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Le coop big dell’agroalimentare

Oltre 6 miliardi il valore della produzione

Agroalimentare sempre centrale importante per il movimento cooperativo romagnolo. Legacoop Romagna associa nel settore agroalimentare 64 cooperative agricole, che a loro volta coinvolgono oltre 22.400 coltivatori associati, distribuiti in varie zone d’Italia ma prevalentemente in Romagna. Le cooperative associate danno lavoro direttamente a quasi 8.000 addetti (dato che non comprende i lavoratori coinvolti nelle aziende agricole socie). Il valore della produzione annuo complessivo è di circa 1,7 miliardi di euro, con un patrimonio netto di 472 milioni di euro.

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Il modello cooperativo è profondamente radicato nel sistema agroindustriale romagnolo. “La prima peculiarità – sottolinea Stefano

Patrizi, responsabile settore agroalimentare di Legacoop Romagna - è proprio la pervasività, l’efficienza e la distintività che esprime, in una pluralità di settori colturali (vino, ortofrutta, cereali, foraggere, sementi, colture industriali, latte, carni, conduzione terreni). La capacità di stare sul mercato e allo stesso tempo di tutelare il reddito degli agricoltori associati determina una resilienza delle filiere fondamentale grazie alla quale alcune colture continuano a resistere nel nostro territorio nonostante le condizioni economiche e climatiche sempre più dure”.

Da parte sua, Confcooperative annovera 96 coop associate, 11.782 addetti, 19.780 soci e ricavi per oltre 4,4 miliardi di euro. Andando nei dettagli dei settori il cerealicolo è andato bene con rese (+20%) e qualità in crescita e aree aumentate grazie anche alla frenata della frutticultura, avicolo in difficoltà per la caduta dei prezzi, vitivinicolo strangolato più dalla siccità che dalle gelate con rese in calo fino al 30% e ortofrutticolo messo in ginocchio nelle aree di pianura dalle gelate con perdite fino all’80% per le pere.

Conserve Italia

Molti i big della cooperazione agroalimentare a partire da Conserve Italia, un gruppo cooperativo con sede a San Lazzaro di Savena (Bo), leader in Italia nel settore della trasformazione alimentare, che associa oltre 14.000 produttori agricoli e lavora 550.000 tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali in 12 stabilimenti produttivi, di cui 9 in Italia, 2 in Francia e uno in Spagna. Il fatturato del Gruppo Conserve Italia è di circa 900 milioni di euro. Conserve Italia dà lavoro in Italia a oltre 3.000 persone tra lavoratori fissi e stagionali e detiene marchi storici del made in Italy alimentare come Cirio, Valfrutta, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani. Dal bilancio 2020-2021 si vede in leggera flessione il fatturato aggregato di Gruppo (-2,7%), che si attesta a 872 milioni di euro. A determinare questo andamento è stata innanzitutto la contrazione delle vendite nel canale retail (sia nel mercato interno che all’estero), in particolare nel confronto con gli ultimi mesi dell’esercizio precedente caratterizzati dal lockdown che aveva fatto registrare un’impennata della domanda di generi alimentari con l’effetto “accaparramento” delle scorte. Oltre al naturale ridimensionamento del mercato a seguito delle fibrillazioni da lockdown, l’esercizio 2020-21 ha risentito per tutta la sua durata degli effetti economici della pandemia, che hanno determinato una generalizzata contrazione dei consumi da parte delle famiglie. Ancora in forte difficoltà il canale horeca e food service, che rappresenta una quota importante del fatturato italiano di Conserve Italia e ha dovuto fare i conti per tutti i 12 mesi dell’esercizio con le restrizioni e le chiusure di bar e ristoranti, che hanno inevitabilmente generato una forte diminuzione nei consumi fuori-casa rispetto ai livelli pre-Covid. “Questo bilancio è stato il primo caratterizzato per intero dagli effetti economici del Covid che hanno influito in maniera negativa sulle vendite, soprattutto nel canale horeca e food service - spiega Maurizio Gardini, riconfermato dall’assemblea dei soci alla presidenza di Conserve Italia -. A queste difficoltà vanno aggiunte quelle registrate in campagna dai nostri soci agricoltori, soprattutto nel comparto della frutta dove da anni si vive una situazione drammatica tra gelate primaverili, cimice asiatica e altre patologie che riducono fortemente i volumi di produzione. Nonostan- te tutto ciò, abbiamo tenuto l’azienda in buon equilibrio economico e assolto la nostra mission di filiera cooperativa, aumentando il valore riconosciuto ai soci agricoltori”. “Per il futuro – conclude Gardini – ci attende un percorso di crescita sostenibile a tutti i livelli, che vogliamo portare avanti insieme ai nostri soci, ai nostri collaboratori e ai nostri stakeholder, consapevoli dell’importanza che ricopre questa Azienda per il sistema agroalimentare italiano”.

Apofruit

Sulla scena internazionale da oltre 50 anni, Apofruit Italia è un’impresa cooperativa che opera dalla sede di Cesena con proprie strutture e soci produttori dal nord al sud dell’Italia. L’impresa associa oltre 3.200 produttori con 15 stabilimenti di lavorazione e 16 strutture per il ritiro e lo stoccaggio dei prodotti e che si avvale della collaborazione di 220 addetti fissi oltre a 2.200 addetti che lavorano dalle 120 alle 160 giornate l’anno. Oggi Apofruit orienta principalmente la sua attività verso lo sviluppo delle produzioni biologiche grazie a uno staff di tecnici specialisti per l’assistenza tecnica alle aziende e a una unità di marketing strategico e operativo senza trascurare gli investimenti finalizzati al risparmio energetico e al continuo miglioramento delle varietà prodotte. Il rendiconto 2021 registra 235 milioni di euro di fatturato, in linea con l’andamento del 2020 e con un utile di esercizio di 620 mila euro. Il bilancio consolidato del Gruppo (rappresentato dalle società Canova per il biologico, Piraccini per i mercati generali, Mediterraneo Group per la distribuzione dei prodotti dei partner commerciali, Vivi Toscano per il bio in Lazio e Toscana, Canova France e Canova Spagna per i rispettivi mercati) ammonta inoltre a 348 milioni di euro, per un patrimonio netto di 103 milioni di euro e un risultato netto di esercizio pari a 812.000 euro. “Le premesse con cui si era aperta l’annata 2021 non lasciavano presagire nulla di buono - commenta Ernesto Fornari, direttore generale del Gruppo Apofruit -. A causa delle gelate tardive che si sono verificate in tutta Italia tra marzo e aprile 2021, abbiamo toccato il minimo storico per quantitativi di ortofrutta conferiti in cooperativa, ovvero 1.450.000 quintali. Ciò significa avere avuto un 16% in meno in volume rispetto al 2020, che già era stato un anno contrassegnato da problemi di gelo, ma localizzati per la maggior parte tra Emilia Romagna A questa difficile situazione, il Gruppo Apofruit ha reagito innanzitutto con un’attenta gestione dei propri centri di lavorazione. Continua Fornari: “Visto ciò che stava accadendo, abbiamo deciso di tenere chiusi tutti i centri di ritiro non fondamentali, cercando il più possibile di concentrare la lavorazione”.

Il presidente di Apofruit Italia, Mirco Zanotti, aggiunge: “Data la situazione che si era venuta a creare, siamo molto soddisfatti per come abbiamo chiuso il 2021. Consideriamo infatti che Apofruit è una vera cooperativa di produttori, in quanto il 90% dei prodotti che commercializza sono conferiti dai soci. Un altro aspetto rilevante è il rapido efficientamento che siamo stati in grado di mettere in campo e che ha permesso, da un lato, di ottimizzare le performance gestionali, dall’altro di liquidare ai soci il 63% del fatturato. Resta purtroppo la difficoltà per i soci che non hanno avuto produzione a causa delle gelate di primavera 2021”.

Terremerse

Tra i big delle coop agricole vi è certamente Terremerse. Nel 2021 il fatturato di Terremerse è risultato pari a 248,4 milioni di euro, in crescita per oltre 88 milioni rispetto al 2020, mentre quello del bilancio consolidato è di 265 milioni. Il risultato netto, positivo per oltre 1,2 milioni di euro, include importanti accantonamenti incrementali rispetto al budget per circa 1,7 milioni di euro, a fronte di rischi collegati alla congiuntura attuale e a fondo spese future per costi che dovranno essere sostenuti nei prossimi esercizi, di importo non esattamente determinabile. I primi dati sul 2022 resi disponibili a fine gennaio 2023 indicano che quello scorso è stato un anno positivo per Terremerse, dal punto di vista economico e finanziario: l’andamento gestionale è migliorato rispetto al 2021 e il fatturato consolidato si attesterà ben oltre i 300 milioni di euro (contro i 265 milioni del 2021) e nel 2023 sono previste 18 nuove assunzioni. Il forte incremento del fatturato deriva da vari fattori. L’incorporazione della Società Pempacorer, e la nascita dell’O.P. (Organizzazione di Produttori) Terremerse Sezione Ortofrutta, ha portato un aumento di fatturato di oltre 70 milioni di euro, che si sono aggiunti ai volumi di prodotti ortofrutticoli da industria. Oltre al settore ortofrutta, i comparti delle Agroforniture e dei Cerealproteici contribuiscono rispettivamente alla crescita per 8 e 11 milioni. L’aumento nel settore dei mezzi tecnici è dovuto principalmente all’acquisizione di quote di mercato su nuovi territori. Per i cereali nel 2021 la crescita del fatturato è frutto del forte incremento dei prezzi, che consentirà liquidazioni relative alla campagna 2021 di estrema soddisfazione per gli agricoltori.

Il settore carni ha fatto registrare una flessione in termini di volumi di quantità vendute, passando da un fatturato di 26 milioni del 2020 ai 23 milioni di euro del 2021, ma ha in ogni caso prodotto una buona redditività, superiore alle previsioni di budget. “Da qualche anno si è innescato un circolo virtuoso che ha permesso a Terremerse di migliorare tutti i propri indici economici, patrimoniali e finanziari, rendendo la Cooperativa più solida e attrattiva per gli agricoltori e gli stakeholders in generale. Questo è stato reso possibile anche grazie a un processo di riorganizzazio- ne e sviluppo organizzativo che, a fronte delle aumentate dimensioni e del necessario ricambio generazionale, ha permesso di valorizzare risorse interne e acquisire nuove competenze dall’esterno. La marcata riduzione del debito finanziario, le maggiori risorse e il migliore accreditamento di Terremerse sono anche funzionali a poter cogliere, in modo selettivo, opportunità di investimento per la continua crescita e affermazione del nostro modello di impresa”, sottolinea il direttore generale Emilio Sabatini. Prosegue il presidente Marco Casalini: «Lo sviluppo dimensionale, se correttamente gestito, consente di elevare le sinergie e l’integrazione tra i vari comparti della Cooperativa. Ricordiamo, infatti, che il dialogo con nuove aziende agricole e con un nuovo territorio, può offrire opportunità contestualmente per le agroforniture, i cereali e l’ortofrutta. Senza mai trascurare il settore carni, che sta puntando anch’esso su uno sviluppo commerciale e industriale attraverso investimenti in tecnologia».

Terre Cevico

Terre Cevico che associa più di 5mila famiglie di viticoltori chiude l’annata 2021-22 con un fatturato aggregato di 189,6 milioni di euro, per una crescita del +15,3% rispetto all’esercizio precedente (164,3 milioni). Terre Cevico, quindi, gestisce oltre il 30% della produzione del bacino romagnolo e oltre la metà del vino del gruppo è venduto confezionato. L’incremento si deve alla crescita nei mercati, in particolare quelli esteri, così come all’acquisizione del 60% di Orion Wines. In crescita anche il patrimonio netto aggregato arrivato a 86 milioni di euro (+16,3%), mentre il plusvalore riconosciuto ai soci, vale a dire l’incremento della liquidazione dei vini conferiti ai prezzi di mercato per l’esercizio 2021/22, ammonta a 6,9 milioni di euro (6,4 mln in precedenza). Cresce anche la quota di export che tocca la cifra di 72,9 milioni di euro (+40%), tanto da incidere per il 43% sui ricavi del consolidato. In sostanza quasi una bottiglia su due arriva dai mercati oltreconfine, con una presenza in 70 Paesi in giro per il mondo. I mercati di maggiore incidenza per quanto riguarda l’imbottigliato sono Giappone, Cina, Svezia, Danimarca, Usa, Francia e Germania. In buona crescita il vino biologico venduto, oltre in Italia, anche in 40 Paesi del mondo, che ha registrato un +7% rispetto all’esercizio precedente. In ordine di fatturato questi i mercati principali: Corea del Sud, Svezia, Svizzera, Taiwan, Danimarca, Giappone, Spagna. Il numero dei dipendenti cresce, 343 (+3,3%), così come sono in crescita le ore di formazione (+12,6%). Interessante il capitolo sulle risorse ambientali con un 98% dei rifiuti destinati al recupero, così come una riduzione del -8,6% nel prelievo dell’acqua e un +7,8% nel recupero di fecce da lavorazione. San Crispino si conferma il big player con oltre 30 milioni di brik venduti in un anno.

Caviro

Da parte sua Caviro (Faenza), il più grande “vigneto” d’Italia con 12.400 agricoltori al lavoro e 36.300 ettari localizzati in 7 regioni italiane presenta risultati in crescita. Il bilancio d’esercizio chiuso al 31 agosto 2021 presenta un fatturato consolidato di 390 milioni di euro, in aumento dell’8% rispetto al 2020, con un complessivo di 583 persone mediamente impiegate, (+15 unità). La crescita del Gruppo è stata sostenuta da ottimi risultati dell’export (+17%), di cui vino +6% e B2B +75% e, in particolare, dalle performance straordinarie della società Caviro Extra. La composizione dei ricavi è così suddivisa: vino 65%, mosti, alcol e acido tartarico 20%, energia e ambiente 15%. «In un anno in cui i consumi di vino in Grande distribuzione hanno avuto una flessione, abbiamo registrato un deciso aumento sul fatturato trainato principalmente dalle esportazioni. Questo – commenta il Presidente di Caviro Carlo Dalmonte – è di particolare soddisfazione perché, come è noto, lo sviluppo del vino italiano dovrà guardare con sempre maggiore attenzione ai mercati esteri. In generale il Gruppo ha dimostrato flessibilità in un anno caratterizzato da frenate e ripartenze improvvise. Un legame sempre più stretto con la filiera, i risultati dei tanti investimenti per la sostenibilità e una struttura coesa hanno dato concretezza e valore economico alla gestione rendendo Caviro un ‘gigante agile’». L’utile di esercizio al 31 agosto 2021 è di 8,7 milioni di euro, mentre gli investimenti realizzati dal Gruppo hanno raggiunto quota 22 milioni di euro. Nel comparto daily prevale lo storico marchio Tavernello, il vino più consumato in Italia e il vino italiano più venduto al mondo. Nel segmento premium hanno performato bene i brand delle società controllate Leonardo da Vinci e Cesari e il nuovo marchio di Caviro sca Vigneti Romio. Il Regno Unito, con un peso del 36%, si conferma il primo mercato di destinazione delle esportazioni, seguito da Stati Uniti (12,5%) e Germania (11,5%). Gli altri principali mercati esteri nel mondo del vino sono, in ordine, Canada, Svizzera, Francia, Giappone, Cina e Russia. Molto bene i risultati di Caviro Extra, società controllata che porta avanti e completa l’economia circolare del Gruppo valorizzando i sottoprodotti della produzione trasformandoli in prodotti nobili, alcol ed energia. Nel 2020/2021 Extra ha conseguito un incremento di fatturato del 23% rispetto al fiscal precedente. «Il segmento B2B del ‘non vino’ ha evidenziato performance straordinarie, un risultato dovuto a fattori contingenti ma anche alla capacità di Extra di penetrare nuovi mercati – aggiunge Dalmonte -. Il legame con la filiera e gli investimenti in economia circolare sono per noi elementi concreti e non operazioni di puro green washing, questi numeri lo evidenziano». Nel 2020/21 l’azienda ha investito circa 22 milioni di euro in impianti e tecnologie rivolti a migliorare le perfor- mance ambientali, una direzione, quella della sostenibilità, che il Gruppo porta avanti da anni e che caratterizzerà anche la gestione 2022.

Amadori

Il bilancio 2021 di Amadori mette in luce ricavi per 1.362 milioni di euro e un incremento di 130 milioni rispetto l’anno precedente. Ebitda a 86 milioni, patrimonio netto a 296 milioni, investimenti per 95 milioni e utile netto pari a 18,7 milioni.

Il trend positivo è stato guidato dalle vendite nel canale moderno (+4,7%) e da una ripresa (+0,6%) del canale tradizionale, che tuttavia non è ancora tornato ai numeri prepandemia. Il fuoricasa ha registrato una importante accelerazione (+16,9%), anche se non ha recuperato il ritardo accumulato nel periodo delle chiusure 2020. Il Gruppo nel 2021 si è presentato sul mercato con importanti novità di prodotto, entrando nel segmento della colazione e della merenda con i nuovi impasti freschi per pancake, e sedimentando la sua leadership nel segmento degli impanati snack con il lancio delle nuove Birbe Pops. Innovazioni che sul mercato hanno trovato un riscontro più che positivo sia da parte del trade che dei consumatori.

“Per il nostro Gruppo, il 2021 è stato un anno di soddisfazione. Il fatturato ha segnato una crescita del +10,5% rispetto al consuntivo 2020, confermando l’ottimo lavoro portato avanti lungo tutta la filiera, con particolare attenzione ai temi dell’innovazione e della sostenibilità - ha dichiarato Flavio Amadori, presidente di Amadori Spa. Abbiamo intrapreso, con convinzione e successo, un percorso di sviluppo che possiamo definire, senza esitazione, responsabile sia rispetto al nostro ruolo all’interno del settore sia nei confron- ti dei nostri stakeholder, con i quali condividiamo oggi questi risultati”. Per i prossimi anni, il Gruppo conferma le linee guide strategiche di ampliamento dell’offerta di prodotti a base proteica e il conseguente piano strategico di investimenti con l’obiettivo di medio periodo di raggiungere 1,7 miliardi di fatturato, consolidando il modello di filiera 100% italiana, integrata e sostenibile. Rispetto alle previsioni, il 2022 mostra diverse incognite, dall’aumento generalizzato dei costi di produzione all’emergenza aviaria. Nonostante ciò il Gruppo Amadori conferma gli obiettivi di crescita anche attraverso maggiori investimenti in comunicazione.

Orogel

Il Gruppo Orogel di Cesena - 2.182 dipendenti, di cui 1.200 solo a Cesena - punto di riferimento italiano nel mercato dei vegetali surgelati, ha chiuso l’esercizio 2021 con una buona performance, che ha consentito all’azienda romagnola di portare il proprio fatturato consolidato a 302,4 milioni di euro. Un incremento del 7,3% a valore, ancora più significativo in un anno caratterizzato dalla progressiva stabilizzazione del mercato. Questo risultato conferma il progressivo affermarsi di Orogel come uno degli operatori più rilevanti e dinamici, rivolto con lungimiranza al futuro grazie a un piano di investimenti previsti nel triennio 2022-2024 di 100 milioni di euro. L’incremento del fatturato consolidato del 7,3% conferma la comprovata qualità del prodotto e premia l’efficace sinergia tra le strategie aziendali, sia commerciali che di comunicazione, in grado di mantenere fedeli all’azienda i nuovi clienti intercettati durante la pandemia. Le vendite nel 2021 hanno sviluppato un volume totale di 116.300 tonnellate (+2,7% sul 2020) e un valore complessivo di 261,5 milioni di euro (+5,8%). Dati che hanno consentito a Orogel di confermare la propria performance in termini di quote di mercato a valore (17,2%) nel segmento Vegetali e di consolidare la propria performance nel segmento Passati di verdura e altri segmenti core (quota valore 36,6%). I soci produttori sono 1.610 soci e coltivano in campo aperto con sistemi di produzione integrata, residuo zero e biologica 9.256 ettari di superficie (6.314 ettari per colture destinate al surgelato). “Il 2021 si è rivelato per il Gruppo un anno positivo – spiega il presidente di Orogel Bruno Piraccini – e la graduale normalizzazione ha favorito innanzitutto quel ritorno a una vita più regolare che tutti auspicavamo mentre dal punto di vista del business Oro- gel ha saputo migliorare il fatturato fatto registrare nel canale Retail, recuperando le perdite nel Food Service. Una crescita per nulla scontata che ci ha consentito di confermare la bontà del nostro lavoro e la qualità del prodotto che ci viene riconosciuta dai consumatori. Partiamo da queste solide basi per fissare gli obiettivi dei prossimi anni, consci che l’attuale congiuntura economica inviti alla prudenza. Tuttavia per l’anno in corso i risultati sono previsti in sensibile ribasso a causa dell’aumento straordinario dei costi di produzione con al primo posto quello energetico”. Intanto corrono gli investimenti. Il piano previsto nel triennio 2022-2024 è pari a 100 milioni di euro, in parte allocati per il completamento di Orogel 3. L’avanzamento del progetto prevede la costruzione del nuovo reparto di confezionamento e di un tunnel sospeso che collegherà Orogel 2 e Orogel 3 e porterà a compimento nel 2023 il restyling del layout produttivo del polo di Cesena. Sulla cella di Orogel 3 è in fase di installazione anche un impianto fotovoltaico, che svilupperà una potenza di circa un megawatt, a dimostrazione dell’attenzione dell’azienda sul fronte del contenimento dei costi energetici e della sua sensibilità in termini di sostenibilità ambientale.

Gli agricoltori contro il cibo sintetico Partita

Partita la raccolta firme per promuovere la legge che vieta la produzione, l’uso e la commercializzazione del cibo sintetico in Italia promossa da Coldiretti, Fondazione Campagna Amica e Filiera Italia. Dalla carne prodotta in laboratorio al latte “senza mucche” fino al pesce senza mari, laghi e fiumi, il cibo in provetta potrebbe presto inondare il mercato europeo – denuncia Coldiretti Rimini – poiché già ad inizio 2023 potrebbero essere introdotte a livello Ue le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio che coinvolgono Efsa e Commissione Ue. “La carne in provetta, cancella l’identità di una intera nazione e del nostro territorio - afferma il Presidente di Coldiretti Rimini Guido Cardelli Masini Palazzi - È importante sostenere e difendere il cibo naturale, salutare e sostenibile contro i surrogati biotecnologici spacciati per alimentati che aiutano l’ambiente.”

Ben 7 italiani su 10 la pensano già così infatti, secondo un’indagine di Coldiretti/Ixè, il 68% degli italiani non si fida del cibo creato in laboratorio con cellule staminali in provetta. Interrogati sui motivi principali per i quali bocciare il cibo fatto in laboratorio gli italiani – spiega l’analisi Coldiretti/Ixe’ – mettono in cima il fatto di non fidarsi delle cose non naturali (68%), mentre al secondo posto ci sono i consistenti dubbi sul fatto che sia sicuro per la salute (60%). Rilevante anche la considerazione che il cibo artificiale non avrà lo stesso sapore di quello vero (42%) ma c’è anche chi teme per il suo impatto sulla natura (18%). Una pericolosa deriva degli alimenti creati in laboratorio – sottolinea Coldiretti Rimini – a favore di interessi commerciali e speculativi che esaltano, a sproposito, il mito della maggior sostenibilità rispetto alle tra- dizionali attività dell’agricoltura. Per quanto riguarda la carne da laboratorio – spiega Cardelli Masini Palazzi - la verità che non viene pubblicizzata è che non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché per farla serve un bioreattore, non è neppure carne ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato. “Le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali che con abili operazioni di marketing puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione. Si sta cercando di imporre sul mercato un nuovo modo di mangiare che presto potrebbe avere il lascia passare europeo con le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio di produzioni create in laboratorio. È necessario - termina il presidente di Coldiretti Rimini - sensibilizzare le famiglie e i consumatori dei rischi del passaggio a una dieta unica mondiale, dove il cibo sintetico si candida a sostituire quello naturale. Le tipicità tradizionali e i prodotti della nostra agricoltura rischiano di essere condannati all’estinzione e scomparire per sempre insieme al paesaggio rurale che siamo abituati a vedere e agli agricoltori che ne sono i custodi”. Per difendere il cibo naturale e fermare l’avanzata del cibo sintetico è possibile firmare tutti i giorni negli uffici di Coldiretti e nei mercati di Campagna Amica ed ogni martedì mattina al mercato esclusivo di Campagna Amica nella corte di Palazzo Ghetti sede della Banca Malatestiana.

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