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Dossier Agroalimentare
in questo numero:
Meno frutta e più cereali pagina 3
Advertisement
In arrivo 913 milioni per l’agricoltura pagina 11

L’energia che serve ai campi e non solo pagina 15
Nei campi manca la manodopera pagina 19
L’industria alimentare al traguardo delle mille imprese pagina 23
Le coop big dell’agroalimentare pagina 27
Gli agricoltori contro il cibo sintetico pagina 35
Romagna 24 economia - Rassegna notizie pagina 39› 47
Resta uno dei settori centrali dell’economia romagnola ma sta radicalmente cambiando la geografia dell’agricoltura emiliano-romagnola nel 2023. Ci saranno meno frutteti e più ettari a seminativo. Confagricoltura Emilia-Romagna stima nell’anno la crescita delle superfici a grano fino a toccare 260.000 ettari complessivi e l’aumento dell’incidenza del duro sul tenero che raggiunge il 40%; bene inoltre l’andamento dell’orzo che arriva a sfiorare i 26.000 ettari totali. In vista delle semine primaverili, si guarda positivamente anche alle colture oleaginose, destinate al mercato alimentare (soia e girasole in primis), sulla spinta del boom di richieste innescato dal conflitto russo-ucraino. Sempre nello scenario tendenziale, è stimato invece in forte calo il mais (-15%). In questo numero di Romagna24Economia passiamo in rassegna le principali problematiche legate alla coltivazione dei terreni e alla trasformazione dei prodotti agricoli.
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RECUPERO RIFIUTI AGROALIMENTARI
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Meno frutta e più cereali
L’agricoltura romagnola cambia pelle

Cambia la geografia dell’agricoltura emilianoromagnola nel 2023. Ci saranno meno frutteti e più ettari a seminativo. Confagricoltura Emilia-Romagna stima nell’anno la crescita delle superfici a grano fino a toccare 260.000 ettari complessivi e l’aumento dell’incidenza del duro sul tenero che raggiunge il 40%; bene inoltre l’andamento dell’orzo che arriva a sfiorare i 26.000 ettari totali. In vista delle semine primaverili, si guarda positivamente anche alle colture oleaginose, destinate al mercato alimentare (soia e girasole in primis), sulla spinta del boom di richieste innescato dal conflitto russo-ucraino. Sempre nello scenario tendenziale, è stimato invece in forte calo il mais (-15%). Lo sguardo d’insieme sulle colture a seminativo in EmiliaRomagna rileva la costante diminuzione delle risaie, che in sei anni si sono ridotte della metà (da 8.000 a 4.000 ettari circa). Pressoché stabile, oltre i 15.000 ettari, la superficie a barbabietola da zucchero destinata all’unica filiera
Oltre 307mila gli ettari coltivati tra Imola e Cattolica
bieticolo-saccarifera d’Italia. «Si conferma per il quarto anno consecutivo l’incremento delle coltivazioni di grano tenero e duro in tutta la regione – dichiara il presidente dei cerealicoltori di Confagricoltura
Emilia Romagna, Lorenzo Furini -. Nel 2022 la resa si è attestata mediamente al di sotto degli standard del territorio a causa delle difficili condizioni climatiche, a fronte però di quotazioni del periodo sensibilmente elevate. Cresce anche la superficie a orzo seguendo la buona performance commerciale ottenuta dal cereale anche in terreni cosiddetti “marginali”. Flette quella del mais per la scarsa redditività e i costi di produzione troppo alti: la coltura richiede una giusta concimazione e molta acqua».
E la Romagna si colloca a pieno in questo trend. Da Imola a Cattolica sono oltre 307mila ettari coltivati (il 23,6% della superfice agricola regionale) che produce oltre 1 miliardo di valore sui 4,45 realizzati a livello regionale. “Il dramma è
Nei primi sei mesi del 2022 le esportazioni del comparto agroalimentare (produzioni agricole e industria alimentare) del territorio Romagna (ForlìCesena e Rimini) sono state pari a 494,5 milioni di euro e sono cresciute del 16,6% (+16,3% Emilia-Romagna, +18,7% Italia). L’export agroalimentare costituisce il 13,5% del totale provinciale, valore che si mantiene superiore al dato regionale (12,8%) e nazionale (9,6%). Il 19,4% del valore dell’export agroalimentare provinciale deriva da prodotti di colture permanenti (frutta), il 19,2% da colture non permanenti (cereali), il 13,4% sono “altri prodotti alimentari” (pasti preparati), il 13,2% bevande (sostanzialmente vino) e il 10,1% carne e prodotti a base di carne. I principali Paesi di destinazione dell’export agroalimentare sono Germania (17%), Stati Uniti d’America (9,4%), Francia (6,5%), Spagna (5,1%), Paesi Bassi (4,7%) e Belgio (4,3%).

“I dati sull’agroalimentare italiano nei primi sei mesi dell’anno confermano che il settore sta registrando un trend di crescita storico. Un dato particolarmente buono anche per un settore anticiclico come questo, poco correlato al ciclo economico, che risente meno delle fasi di rallentamento o recessione economica – dichiara Carlo Battistini, presidente della Camera di commercio della Romagna – e anche nei nostri territori i numeri sono positivi; i risultati in crescita dimostrano la qualità dei prodotti che le nostre imprese sanno portare sui mercati internazionali. La Camera della Romagna ha tra le proprie linee strategiche l’Internazionalizzazione del nostro tessuto produttivo, che sosterrà con attività specifiche e con il sostegno alle iniziative di sistema che promuovono le nostre produzioni all’estero”. In particolare, per la provincia di Forlì-Cesena nei primi sei mesi del 2022 le esportazioni del comparto agroalimentare (produzioni agricole e industria alimentare) sono state pari a 328 milioni di euro e sono cresciute del 7,3% (+16,3% Emilia-Romagna, +18,7% Italia). L’export agroalimentare costituisce il 14,7% del totale provinciale, incidenza che si mantiene superiore al dato regionale (12,8%) e nazionale (9,6%). Il 2021 è stato archiviato con
Dalla Romagna alle tavole del mondo
Dalla frutta al vino esportazioni in continua crescita
una crescita delle esportazioni pari all’8,9% (+15,3% Emilia-Romagna, +11,1% Italia). Il 26,7% del valore dell’export agroalimentare provinciale deriva da prodotti di colture permanenti (frutta), il 25,4% da colture non permanenti (cereali), il 12,8% carne lavorata e prodotti a base di carne, l’8,8% oli e grassi vegetali e animali e il 6,4% dalle bevande (sostanzialmente vino). I principali Paesi di destinazione dell’export agroalimentare sono prevalentemente europei: Germania (20,9% l’incidenza), Paesi bassi (6,0%), Belgio (5,5%), Francia (5,4%) e Spagna (4,4%).
Per quel che riguarda la provincia di Rimini, nei primi sei mesi del 2022 le esportazioni del comparto agroalimentare (produzioni agricole e industria alimentare) sono state pari a 167 milioni di euro e sono cresciute del 40,6% in termini nominali (+16,3% Emilia-Romagna, +18,7% Italia). Il rilevante incremento riportato nel periodo gennaio-giugno 2022 deve essere contestualizzato alla parzialità del dato semestrale e alla stagionalità di alcuni prodotti agroalimentari, nonché all’effetto dell’inflazione che si è riflesso sul valore nominale delle esportazioni. L’export agroalimentare Riminese costituisce l’11,5% sul totale provinciale, incidenza che risulta inferiore al dato regionale (12,8%) ma superiore a quella nazionale (9,6%). Il 2021 è stato archiviato con una crescita delle esportazioni pari al 10,0% (+15,3% EmiliaRomagna, +11,1% Italia). Il 34,3% del valore dell’export agroalimentare provinciale deriva da “altri prodotti alimentari” (vale a dire piatti e pasti preparati), il 30,6% da bevande (sostanzialmente vino), il 14,5% pesce e prodotti della pesca e il 5,6% da prodotti per alimentazione degli animali (mangimi). I principali Paesi di destinazione dell’export agroalimentare riminese sono Stati Uniti d’America (25,1% del totale), Francia (9,3%), Spagna (6,8%), Germania (6,8%) e Regno Unito (3,3%).
che non sappiamo più su cosa investire, con prezzi sempre più volatili e peculiarità locali che rischiano di scomparire. Il 2023 – spiega il presidente di Confagricoltura Ravenna Andrea Betti – si apre con non poche preoccupazioni, a partire da quella climatica che dopo un inverno che non è stato inverno temiamo le ormai consuete gelate primaverili. Ma a parte queste incognite l’agricoltura romagnola, e quella ravennate in particolare, sta cambiando faccia, con sempre meno frutteti e sempre più seminativo. Si continuano ad estirpare frutteti, a partire da peschi e prugne e così il ravennate rischia di perdere una sua peculiarità. Servirebbero dei seri, ripeto, seri, progetti di valorizzazione che promuovano la nostra frutta anche all’estero ma purtroppo non è stato fatto quasi niente di significativo. E i risultati sono sotto i nostri occhi con espianti a getto continuo”. E se si perdono i frutteti aumenta la quota di seminativo. “Certamente – spiega Betti - ma non tutti i terreni, penso in particolare quelli sopra la via Emilia nel faentino, pur interessato da larghi espianti di frutteti, sono solo parzialmente idonei al seminativo e al grano in particolare e necessitano di abbondanti apporti di acqua che, da parte sua, è sempre più rara. Peraltro con rese per ettaro tra i 40 e i 50 quintali che sono circa la metà dei terreni di pianura”. Del resto, colture non irrigue diventano, per necessità, irrigue se vogliono sopravvivere agli effetti del cambiamento climatico: siccità e ondate di calore. Su tutte la soia, che in regione rappresenta circa 43.000 ettari coltivati, ed è la componente proteica più comune nella mangimistica. «Dove si è potuto dare acqua – spiega Marco Faccia, responsabile oleaginose per Confagricoltura Emilia-Romagna – le rese sono state soddisfacenti, tra i 20 e i 35 quintali ad ettaro con punte di 40, ma senza irrigazione di soccorso sono scese fino a 5 quintali ad ettaro (idem per i secondi raccolti). Il prezzo all’origine ha oltrepassato i 60 euro al quintale nel 2022 e non può che essere di buon auspicio per il futuro nonostante la fiammata dei costi colturali nelle principali voci di spesa: diserbanti, concimi e gasolio agricolo. In estrema sintesi – sottolinea il produttore ferrarese di semi oleosi – ci attendiamo un trend positivo delle semine anche nel 2023 per soia, colza e girasole “alto-oleico” ad uso alimentare». Preoccupa, infine, la crescente disaffezione alla risicoltura oggi estesa su 4000 ettari soltanto, quasi interamente concentrati nel ferrarese.

Per il presidente di Coldiretti Ravenna Nicola Dalmonte nel 2023 la situazione di contesto non sta migliorando con costi energetici sempre elevati e materie prime costose. Per quel che riguarda il 2022 la frutta non è andata benissimo


Due cose contribuiscono ad avanzare: andare più rapidamente degli altri o andare per la buona strada
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E quello dell’irrigazione resta uno dei problemi principali del settore agricolo che però in Romagna è stato affrontato per tempo. “Tra Faenza e Castel Bolognese abbiamo realizzato 3 laghetti – spiega Dalmonte – che nel 2024 saranno messi in rete con il Cer, Canale emiliano-romagnolo per cui dalle nostre parti l’acqua non è più il primo problema. E la strada obbligata, ovunque ce ne sia la possibilità, è quella di creare laghi artificiali in gradi di contenere le acque nel momento in cui essa si renda disponibile poi conservarla”. Ma Dalmonte è anche presidente del Cer il cui apporto economico vale 324 milioni di euro l’anno: è questa la positiva sintesi dei valori economici complessivi generati dal Canale Emiliano-Romagnolo nel territorio in cui è presente, (Province di Ferrara, Modena, Bologna, Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena) e certificata dall’approfondito studio, durato due anni, realizzato in collaborazione con lo staff tecnico-scientifico esperto di un partner d’eccezione, Nomisma. Il principale beneficiario del valore del Cer è senza dubbio il settore primario, l’agricoltura che, d’altra parte rappresenta la principale mission per cui lo stesso canale è stato istituito oltre 60 anni fa: dall’indagine emerge chiaramente che, nella sua complessità, ogni anno l’acqua “preziosa” distribuita dal Cer assicura una produzione agricola per un valore pari a 304 milioni di euro. Il territorio interessato dal sistema del Canale ha una superficie di 336.000 ettari di cui 227.000 ettari di superficie agraria. Di questi, 158.000 sono attualmente irrigabili con opere di distribuzione canalizzate. Si stima che l’acqua distribuita su circa 75-80 mila ettari di superficie abbia determinato un valore aggiunto sulla Produzione lorda vendibile (Plv), valutabile in circa 1 euro a metro cubo nelle annate più siccitose e in circa 0,35 euro a metro cubo in quelle umide. Il canale parte da S. Agostino, in provincia di Ferrara e termina in provincia di Rimini in prossimità del fiume Uso. La sua portata si riduce progressivamente lungo il percorso, passando dagli iniziali 60 metri cubi al secondo a 6 metri cubi al secondo nella fase finale. L’attività del Cer è di grande importanza per il territorio emiliano romagnolo in quanto riguarda una grande varietà di soggetti di diversa natura. Quella del Cer può essere definita un’azione ad ampio raggio, essa infatti interessa numerosi settori: agricolo, industriale, civile e ambientale. Simbolo concreto dell’importanza e dell’impegno del Cer nella distribuzione della risorsa idrica per usi extragricoli è la costituzione di Plurima spa, fra il Canale Emiliano Romagnolo e Romagna Acque per la gestione delle acque per usi civili, industriali e ambientali in Romagna e più precisamente per le aree di Faenza, Ravenna, Forlì e Cesena. Coprendo e assicurando l’approvvigionamento idrico ad un’area che rileva molte problematiche sotto questo aspetto. Esempi concreti della grande varietà ed impiego delle acque del Canale sono l’alimentazione, a 5 km dalla foce del Reno tramite uno sbarramento mobile che rende possibile la derivazione dal fiume, del Petrolchimico di Ravenna, dei vari stabilimenti industriali, dell’acquedotto di Ravenna e delle varie utenze irrigue dei territori a nord della città. Ma il Cer influisce anche sull’ecosistema del nostro territorio e sulla preservazione della biodiversità: la sua attività apporta infatti benefici anche sotto il profilo ambientale e della sostenibilità, consentendo di erogare servizi ecosistemici pari ad almeno 20 milioni di euro all’anno.


Dei 1.300 agriturismi attivi in Regione circa 400 sono quelli attivi in Romagna con la provincia di Forlì-Cesena che ne detiene il numero maggiore seguita da Ravenna e da Rimini. Stando al numero di presenze registrate nelle strutture agrituristiche della nostra regione, il 2022 chiude con un bilancio tutto sommato positivo per alloggi e ristorazione, con un aumento di turisti italiani e stranieri, ma l’incremento insostenibile dei prezzi di luce, gas e materie prime ha ridotto all’osso i margini. Altra nota dolente è la mancanza di personale e la ristorazione viaggia al 50% del suo potenziale: non si trovano camerieri e nemmeno addetti alla cucina, spesso le strutture sono costrette a dire di no ai clienti: meno pranzi e cene. Il comparto nel 2022 registra fatturati spesso superiori al periodo pre-pandemia con richieste record per le festività natalizie e Capodanno, però sconta i rincari e una maggiore mole di lavoro dovuta all’organico sottodimensionato. Poi il nodo manodopera rischia di vanificare il buon risultato raggiunto nella ristorazione, nella valorizzazione di prodotti tipici del territorio, mettendo in difficoltà la tenuta del sistema. “Il lavoro non manca, anzi – spiega Fabio Della Chiesa, presidente provinciale di Terranostra, l’associazione degli agriturismi di qualità Coldiretti di Forlì-Cesena e Rimini e titolare dell’agriturismo Punto Zero nei pressi di Cesena – specie per coloro che stanno imboccando la strada della ristorazione di qualità nel rispetto della tradizione. Noi sosteniamo la possibilità di diventare agrichef, cioè di portare la giusta innovazione all’interno dell’utilizzo di materie prime locali e di ricette della nostra tradizione”. E così fanno l’ingresso in cucina le cotture a bassa temperatura e le marinature sotto vuoto. “Ma noi ne facciamo solo una questione di innovazione qualitativa senza stravolgere i nostri menù. Ad esempio io propon- go la tagliata, poi come la realizzo e la cucino è un altro conto; noi vogliamo continuare a vendere la tradizione, solo cerchiamo di innovare quel che serve per avvicinare anche nuovi clienti”. E i clienti recepiscono. “Noi - spiega Della Chiesa – siamo ripartiti alla grande e il vero problema di questi mesi non è trovare clienti ma trovare personale. Di soggetti qualificati in giro se ne trovano pochissimi e pochi sono disponibili al lavoro al sabato e alla domenica; e la colpa è anche dei social che ingigantiscono un problema che in parte è sempre esistito ma così facendo inducono molti giovani a dire che il sabato e la domenica non si lavora”. Anche per Alessandro Ricci Bitti vicepresidente ravennate di Agriturist regionale il comparto sta andando bene. “Sicuramente stiamo andando bene come presenze sia al ristorante che come pernottamenti ma dobbiamo dire che all’incremento dei fatturati, causa i costi proibitivi, non fa riscontro l’aumento dei margini che, anzi, tendono a comprimersi sempre più. In questo senso diventa fondamentale per le strutture non vicine alla città come le nostre collocate tra Casola Valsenio e Riolo Terme, cercare di incrementare i flussi anche fuori stagione. E ad esempio noi lavoriamo molto anche grazie agli eventi organizzati dal circuito di Imola o legati al ciclismo come è stato per i mondiali e come sarà grazie al Tour de France che fassa dalle nostre parti”. Un lavoro quello degli agriturismi fatto di picchi e di vuoti che rende complesso anche il reperimento della forza lavoro. Mancano sia camerieri sia personale di cucina, ma anche alla reception, e di certo non ci aiuta il fatto di aver bisogno soprattutto nei fine settimana e comunque con orari non da ufficio.



La fauna selvatica mette a rischio la sicurezza dei cittadini e costa cara all’agricoltura dell’Emilia-Romagna. Confagricoltura stima quasi 3 milioni annui di danni provocati da specie cacciabili (in primis ungulati, lepri e fagiani) e non (oche, picchi, cormorani e altro), fermo restando i crescenti attacchi a bestiame e animali domestici da parte del lupo: un problema trop-
La fauna selvatica costa cara agli agricoltori
Oltre 3 milioni i danni da cinghiali e non solo
po sottovalutato. «Agire in fretta affinché siano rispettati gli obiettivi dei Piani di prelievo annuali approvati dalla Regione. Per quanto concerne il cinghiale, che è un animale pericoloso sia per l’uomo che per l’economia del territorio in quanto rappresenta il principale veicolo di diffusione della peste suina africana, non si è raggiunto il target nel 2020 (su 30.000 capi prelevabili assegnati, ne sono stati realmente abbattuti 21.000), e neppure nel 2021: sono stati prelevati solo 26.000 capi sui 34.000 indicati nel Piano. A fine anno la Regione ha pubblicato tre bandi della programmazione scorsa in via di conclusione, che riguardano le misure per fronteggiare i danni da fauna, le attività di informazione e l’agricoltura sociale, per un valore complessivo di 6,1 milioni di euro.
“A nostro avviso – propone Confagricoltura EmiliaRomagna – occorre rafforzare le misure di autodifesa dell’agricoltore che finora hanno dato buoni risultati e consentire l’utilizzo di un maggior numero di coadiuvanti, cacciatori abilitati. Fondamentale è attivare anche nuovi corsi di abilitazione su tutto il territorio». Per risarcire gli agricoltori, si legge nel Report redatto dalla Confagricoltura regionale, sono stati spesi 1.790.000 euro di soldi pubblici nel 2021 – somma che include gli importi ero- gati dalla Regione Emilia Romagna (1.140.000 euro) e dagli ATC-Ambiti territoriali di caccia per i danni arrecati dalla fauna cacciabile nel rispettivo territorio di competenza (circa 650.000 euro) -, ma ben superiore è stata la perdita di prodotto realmente subita dalle aziende agricole e zootecniche. Infatti, nell’ammontare dei risarcimenti il danno è stato sottostimato, non si è tenuto conto delle produzioni agricole di particolare pregio (biologico, trasformazione e commercializzazione diretta del prodotto di qualità). Al totale calcolato, prosegue l’analisi, bisogna quindi aggiungere almeno un + 15% (268.500 euro). E non solo. Per avvicinarsi alla realtà, la cifra va ulteriormente maggiorata del 30% (617.550 euro), in considerazione del fatto che molte aziende non hanno potuto accedere al contributo a causa del superamento del limite “de minimis”. «In sintesi, nel 2021, l’entità dei danni all’agricoltura regionale da fauna selvatica, cacciabile e protetta, è stata pari a 2.676.050 euro e per il 2022 – conclude Confagricoltura Emilia-Romagna – possiamo certamente confermare il trend di crescita annuale del periodo 2019-2021 (+2530%), visto il costante aggravarsi della situazione e la presenza massiccia di animali selvatici non solo in collina e montagna ma anche in pianura, appesantita dalla grave siccità che ha costretto, ad esempio, i cinghiali a scendere a valle alla ricerca di cibo in particolare nei campi di grano, mais, patate e sorgo. Che ha visto le lepri invadere i vivai, attaccare i terreni coltivati a orticole, soia e girasole senza risparmiare frutteti e vigneti. Che ha assistito al proliferare di una “nuova” specie non cacciabile, l’oca selvatica, soprattutto nelle province di Ferrara, Modena e Bologna, talmente dannosa da decimare colture a seminativo già in sofferenza per il caldo africano e lo stress idrico».


Oltre 913 milioni di euro per l’EmiliaRomagna, 132 in più confrontando le risorse 2014-20 con quelle del periodo 2021-27. È uno dei risultati dell’accordo tra le Regioni per il riparto del Fondo europeo per l’agricoltura. L’intesa è stata approvata dalla Conferenza Stato-Regioni e vede l’Emilia-Romagna al primo posto per valore delle risorse assegnate fra le regioni del centro nord.
In sostanza nell’accordo raggiunto sul Fondo europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (Feasr), la Regione per il periodo 2023-2027 potrà contare su 913,2 milioni di euro, così suddivisi: quasi 372 milioni di risorse comunitarie, 379 milioni di finanziamento statale e 162,5 milioni a carico del bilancio regionale.

Le risorse Confrontando le risorse per la programmazione 2014-20 con quelle del periodo 20212027 (che comprende i due anni di transizione 2021 e 2022 più la nuova programmazione 2023-2027), la differenza è di oltre 132 milioni di euro di risorse in più. Un risultato reso possibile, oltre che dal superamento del criterio dei parametri storici di riparto, dalla maggiore quantità di risorse comunitarie ottenute nel periodo di transizione 21-22 e dal maggiore cofinanziamento nazionale (sia statale sia regionale), per il periodo 2023-2027. In estrema sintesi, gli elementi alla base del riparto delle risorse per lo sviluppo rurale 2023-2027 sono l’utilizzo di nuovi parametri che hanno consentito di migliorare la posizione regionale, in particolare nei confronti delle aree del centro nord e il superamento del criterio storico, l’Introduzione di strumenti di perequazione per attenuare la riduzione di risorse a disposizione delle Regioni del centro sud, la variazione della percentuale di cofinanziamento comunitario con conseguente maggiore impegno a carico delle risorse statali, ma anche regionali. “Un traguardo che ci soddisfa molto, frutto di un’intensa attività di confronto fra le Regioni e con l’allora ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli. Un successo politico importante sia per la disponibilità del Governo di mettere maggiori risorse sia per l’impegno delle Regioni a favore di tutti i territori. In questo modo sarà possibile proseguire, senza rallentamenti, il lavoro per la nuova Politica agricola comunitaria e dare le risposte necessarie a chiudere il negoziato con la Commissione europea, dando avvio alla fase attuativa della nuova programmazione”, ha spiegato l’assessore all’Agricoltura Alessio Mammi.
Da anni l’Azienda Agricola Casadei ha intrapreso un progetto di forte valore territoriale, con la produzione di vino Sangiovese di Romagna, Albana di Romagna e la coltivazione degli ulivi per la produzione dell’olio extravergine d’oliva. Qui, le vigne si incontrano con gli ulivi in un panorama bucolico, accogliente e tranquillo. L’azienda a conduzione famigliare essendo da sempre grande amante della vera storia e tradizione romagnola, le vuole raccontare con l’intento di far conoscere e apprezzare i prodotti del nostro meraviglioso territorio. Inoltre, già certificata come azienda biologica continua a concentrare i suoi sforzi sia in campo sia all’interno della cantina per avere un’attenta cura dell’ecosistema e un continuo studio delle tecniche che lo salvaguardino.

“La programmazione del PSR 20232027 – commenta il direttore di Coldiretti Regionale Marco Allaria Olivieri – offre dotazioni finanziarie molto importanti a favore dell’agroambiente nel corso di tutto il periodo, i 188 milioni di euro dedicati all’agricoltura biologica come i 60 milioni di euro dedicati alla produzione integrata, fortemente voluta e richiesta da Coldiretti anche per il sostegno al mantenimento ovvero per coloro che avevano già adottato tale tipo di gestione in passato, devono essere fruibili in maniera semplice e veloce da parte delle imprese”. Gli 11 bandi usciti a fine 2022 riguardano le produzioni integrate e biologiche, le tecniche di lavorazione dei suoli rispettose dell’ambiente, la gestione di prati e pascoli, gli interventi per favorire l’agrobiodiversità e per un uso più sostenibile dei prodotti fitosanitari.




Produrre energia come integrazione al reddito agrario. Una strada che molti agricoltori stanno seguendo e che se non può essere considerata una attività primaria (che resta quella di produrre beni legati all’alimentazione umana o animale) resta comunque una buona strada per mettere a frutto o porzioni marginali di terreno o copertura di spazi aziendali. Di fatto, le ‘agroenergie’ – termine sempre più diffuso per definire l’energia prodotta dalle imprese agricole, zootecniche, forestali e dall’agroindustria – costituiscono oggi in Italia la più importante fra le fonti energetiche rinnovabili per l’ampia disponibilità di materia prima e, soprattutto, perché possono fornire elettricità, calore e biocarburanti con tecnologie mature e affidabili. Tuttavia, se la biomassa è una risorsa rinnovabile, continua e programmabile, non è inesauribile e deve essere utilizzata in modo da permetterne la ricostituzione senza alterare gli ecosistemi e senza entrare in conflitto con l’uso del suolo agricolo per la produzione di alimenti e mangimi: di fatto, l’uso a fini energetici deve essere assolutamente “sostenibile”. Il 2023 potrebbe essere l’anno di svolta per l’agrovoltaico, a partire dal decreto attuativo che sbloccherà i fondi Pnrr, atteso a breve. Si tratta di 1,1 miliardi di euro per lo «Sviluppo agrovoltaico», che fissa l’obiettivo di installare entro il 2026 impianti per 1,04 gigawatt, con una produzione di circa 1.300 gigawattora annui. L’obiettivo è quello di ridurre i costi di approvvigionamento energetico del settore agricolo, oggi oltre il 20% dei costi aziendali, e migliorarne le prestazioni climatiche e ambientali, con una diminuzione potenziale di 0,8 milioni di tonnellate di CO2. Nel dettaglio, i fondi dovrebbero prevedere contributi a fondo perduto fino al 40% per la realizzazione degli impianti definiti agrivoltaici avanzati. E stanno avanzando progetti in cui i pannelli fotovoltaici non sono in competizione con le colture ma si integrano con esse ad una altezza di oltre 4 metri dal piano di campagna. Ad esempio, le installazioni della Remtec di Mantova con il sistema Agrovoltaico® ad inseguimento solare (cioè i pannelli ruotano per “cercare” il sole) se non comporta alcun impatto sulla resa agricola media, su altre ne migliora la produzione. Gli studi effettuati hanno evidenziato un incremento di produzione del 4.3% per il mais sotto a un impianto Agrovoltaico® rispetto allo scenario in campo aperto.

Il sostegno per il fotovoltaico agricolo, concesso tramite il regime approvato, si traduce in sovvenzioni dirette fino al 90% dei costi di investimento ammissibili: i beneficiari potranno investire in capacità fotovoltaiche non eccedenti il proprio fabbisogno energetico, per cui i contributi saranno soggetti a massimali in funzione della capacità dell’impianto fotovoltaico. Gli aiuti saranno finanziati con il Recovery Fund europeo (RRF – Dispositivo per la ripresa e la resilienza), a seguito della valutazione positiva della Commissione e del Consiglio UE delle misure previste nel PNRR italiano.

Interessante l’esperienza di Roberto Bassi, imprenditore agricolo a Castel Bolognese (Ravenna) che oltre ad avere installato un impianto energetico è anche vicepresidente della cooperativa Mirasole.

Partendo dall’esperienza personale, Roberto Bassi spiega che la decisione di avviare l’attività energetica nasce dalla convinzione di dover diversificare l’attività. “Attualmente – spiega Bassi che gestisce un’azienda di 27 ettari – circa il 15% delle entrate dell’azienda arriva dalla parte energetica, sia sui tetti che a terra, e dall’altra parte l’installazione del fotovoltaico ci ha permesso di ridurre del 40% i costi dell’approvvigionamento energetico. Ma sia chiaro che noi siamo principalmente agricoltori e non vogliamo né abbattere i frutteti per fare energia né creare nei campi delle centrali di produzione. Semplicemente cogliamo una importante occasione di produrre un bene che serve anch’esso alla collettività, come i prodotti agricoli, ma in misura limitata rispetto al nostro business principale che resta l’agricoltura”. E da parte degli agricoltori c’è molto interesse verso l’energia. Lo dimostra l’attività della Cooperativa Mirasole che conta già 180 soci in area romagnola. Mirasole è una cooperativa di servizi a mutualità prevalente con esperienza nel settore delle fonti rinnovabili. Svolge molteplici servizi per la gestione degli impianti, sviluppa, per i propri associati, convenzioni assicurative, manutentive e di gestione collegiale dell’energia, offrendo competenze professionali a prezzi vantaggiosi. Mirasole valuta l’economicità di nuovi investimenti per la produzione di energia verde, sia in contesto aziendale che domestico. La coop Mirasole nasce nel 2010 con lo scopo di gestire collegialmente gli impianti fotovoltaici realizzati da un ristretto gruppo di Soci fondatori. La compagine sociale, costituita inizialmente da imprese agricole produttive della provincia ravennate, è cresciuta aggregando nuove aziende (non solo agricole) fino a costituire un ampio gruppo uniformemente distribuito su tutto il territorio romagnolo. Oggi Mirasole vanta contatti e rapporti con centinaia di soggetti offrendo servizi gestionali a più di 400 impianti, per un valore complessivo di investimento che supera i 130 milioni di euro. Lo scopo sociale è quello di promuovere, gestire, valorizzare la produzione di energia da fonti rinnovabili per favorire il risparmio energetico e la ricerca dell’equilibrio ottimale tra qualità delle produzioni, tutela dell’ambiente ed investimento economico. Mirasole opera per fornire servizi gestionali ai propri soci e clienti e calmierare i costi. Fornisce chiarimenti utili in rapporto agli obblighi di legge, favorisce la realizzazione di nuovi investimenti, attraverso la collaborazione di molteplici partner, e promuove iniziative per la corretta gestione delle fonti rinnovabili. In pratica valorizzare l’etica del settore offrendo scelte strategiche in termini di sostenibilità economica ed ambientale.