Azione 43 del 20 ottobre 2025

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MONDO MIGROS

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SOCIETÀ Pagina 3

Il neuroscienziato Sergio Della Sala spiega perché dimenticare è una strategia per vivere meglio

La tregua raggiunta in Medio Oriente e il ruolo fondamentale dei media al fine della riconciliazione

ATTUALITÀ Pagina 13

In mostra a Firenze fino a gennaio le straordinarie miniature del frate artista Beato Angelico

CULTURA Pagina 19

Berna, il mistero dei numeri civici

Dalla bicicletta rubata al padre ai passi nel deserto del Ladakh, nei racconti di Werner Kropik

TEMPO LIBERO Pagina 31

Una piccola fiaba moderna

Dunque, riassumiamo.

C’era una volta un gruppo di terroristi che, per vendicarsi delle condizioni di vita durissime in cui versava la popolazione su cui governavano, commise un’immane strage di civili tra i suoi nemici responsabili di quelle condizioni, senza risparmiare violenze gratuite, umiliazioni, stupri e torture. Infine, ne catturò parecchi, tenendoli in ostaggio. Orrore.

Per difendersi dall’efferato attacco subito e liberare gli ostaggi, i suoi nemici dichiararono guerra ai terroristi. Fu legittima difesa. Ma c’era un problema enorme: pur di stanarli e ucciderli, cominciarono a bombardare anche i loro vicini di casa, gli ospedali, le scuole, le abitazioni della gente comune, tra cui i terroristi si mescolavano, stringendoli letteralmente in un assedio senza cibo né medicine. Col passare dei giorni, ciò generò una strage ancora più gigantesca di civili. Orrore.

Nel frattempo, la maggior parte degli ostaggi moriva, e i loro parenti imploravano il proprio governo di far tacere le armi per riportare a casa i pochi superstiti. Disperazione. Ma la guerra non si fermava. Anzi, si espandeva oltre i confini, colpendo anche i sostenitori dei terroristi in altri Paesi, vicini e lontani. Per fare tutto questo servivano moltissime armi. E c’era un Signore ricchissimo che le forniva molto volentieri, incoraggiando i suoi alleati a proseguire nella loro «operazione difensiva». In passato, quel Signore era stato un immobiliarista straordinario che fiutava gli affari a colpo sicuro. Ora non si occupava più di edilizia, ma di costrutti ben più complessi. Sperava, in quella zona opportunamente liberata dai suoi abitanti, di realizzare un resort di lusso vista mare. Bastava, diceva, che i Paesi confinanti accogliessero con solidarietà i loro fratelli. Ma quei Paesi non volevano farlo. E non si sa nem-

meno cosa pensassero i diretti interessati di questo caloroso invito a vivere altrove. Delirio. Quando ormai otto case su dieci del popolo governato dai terroristi erano state distrutte, tutti i campi agricoli resi inutilizzabili e nove civili su dieci sfollati, il mondo cominciò a ribellarsi dicendo che anche il popolo dei nemici dei terroristi, ormai, era governato da terroristi. Spinti da ideali di giustizia, alcuni volontari partirono in barca per portare aiuti umanitari al popolo bombardato, o anche solo per attirare l’attenzione dei potenti sulla tragedia in corso. Molte piazze del pianeta si riempirono di gente che brandiva cartelli contro i governanti terroristi del popolo che era stato aggredito dai terroristi, che aveva reagito in modo ipertrofico (sessanta morti per ogni vittima) al vile attacco iniziale. Fischi! A quel punto, il Signore ricchissimo decise di costringere il governo del popolo a cui aveva

fornito le armi e quello dei loro avversari a fermare la guerra. Era un Signore davvero abile e convincente e in men che non si dica, mise in campo tutta la sua forza persuasiva per obbligare i contendenti – e i loro amici sostenitori esterni – a interrompere le ostilità. Speranza! Fu un momento bellissimo. Non si sparava più, ostaggi e prigionieri venivano rilasciati nel tripudio dei loro cari, cibo, acqua e medicinali raggiungevano i civili stremati. Da una parte e dall’altra si ballava per strada, si rideva e si piangeva di gioia. I potenti che avevano contribuito a portare la pace si stringevano le mani e facevano selfie con molti sorrisi. Nessuno sapeva se sarebbe durata (ci furono poco dopo altre violenze), ma su una cosa erano tutti d’accordo, al centro c’era lui, il Signore ricchissimo: così, come aveva contribuito ad alimentarla con le sue armi, ora aveva spento la guerra. What else? Applausi.

Roberto Porta Pagina 15
Carlo Silini

La Migros di Locarno si fa piazza urbana

Inaugurazione ◆ Riapre il City Center Lago con una rinnovata idea architettonica che invita all’incontro

«Non stiamo festeggiando solo l’apertura di un centro commerciale, bensì un gesto tangibile di fiducia, sviluppo e partnership», ha detto Claudio Franscella, vicesindaco di Locarno, nel corso del suo intervento. «Questo luogo ha tutti i requisiti per diventare un punto d’incontro vero per la comunità: fin dal primo sguardo si percepisce che è stato disegnato in questa ottica. Non è solo shopping: è il segnale che una grande realtà economica ha scelto di continuare a dialogare con una città viva e proiettata nel futuro». Locarno, giovedì scorso, ha vissuto un momento simbolico: la riapertura di Migros City Center Lago, dopo mesi di lavori intensi, ha attirato curiosità e applausi in via Stefano Franscini 31, dove il supermercato amato dai locarnesi appare profondamente trasformato, rifatto negli impianti, rinnovato negli spazi, con uno sguardo forte alla sostenibilità.

L’evento è stato più di un semplice taglio del nastro: è parso un gesto di fiducia reciproca tra Migros Ticino e la comunità. L’area interna, ora concepita come una piazza arredata con sedie e tavoli, fresca e giovanile, si è offerta a cittadini e autorità, che si sono alternati in momenti di scambio e discorsi istituzionali.

Franscella ha voluto rimarcare che il progetto porta con sé valori concreti: «Porterà posti di lavoro, stimoli all’economia locale e servizi accessibili di qualità». Mentre il direttore di Migros Ticino Mattia Keller ha ricorda-

to con orgoglio che a realizzare i lavori sono state quasi esclusivamente maestranze ticinesi: «Un investimento che nasce e cresce sul territorio», ha detto prima del taglio del nastro.

La ristrutturazione costata 15 milioni di franchi ha toccato l’intero edificio: nuova isolazione, impianti più efficienti, sistemi di raffreddamento a CO₂ con recupero calore, e pannelli fotovoltaici per l’autoalimentazione. A completare il progetto, una facciata metallica dall’aspetto contemporaneo, firmata dallo studio Inches Geleta di Locarno, e interni curati dall’architetta luganese Daniela Fischli, con materiali naturali e linee accoglienti.

Sono soprattutto due gli aspetti che Mattia Keller valorizza di questo progetto: «Il nuovo concetto nazionale Papillon viene applicato qui nella sua forma completa, per la prima volta senza compromessi. E poi, la zona centrale con la piazza interna consente al centro di diventare più di un semplice supermercato: ci sono nuovi negozi, aree in cui fermarsi o incontrarsi, e passare del tempo insieme». Il nuovo supermercato copre circa 1900 metri quadrati e ribalta l’impostazione tradizionale: il concetto Papillon punta su fluidità, luce naturale e spazi accoglienti. Importanza particolare è riservata al reparto ortofrut-

ta, ai banchi a servizio per carne e pesce, e all’area dedicata ai piatti pronti. Il Take Away, invece, dispone di una sala interna ampia e di una terrazza con circa sessanta coperti, proponendo caffè, pasticceria, sushi, piatti caldi e freddi, e zone di ristoro per la comunità.

I primi momenti di apertura sono stati vivaci: affezionati incuriositi, un anziano in cerca del suo caffè mattutino, una nonna con la nipotina, «è aperta!, è già aperta!», operai, passanti e un gruppetto di adolescenti pieni di vitalità. Un brulichio imprevisto, prima delle otto di mattina, che dimostra il potenziale urbano di questo spazio:

Una Migros più snella in via Pretorio

Lugano ◆ Ne abbiamo parlato con il sostituto direttore di Migros Ticino Daniele Bassetti e con il gerente Sinisa Metikos

Un’epoca di grandi cambiamenti e una situazione in divenire. Questo il setting in cui si muove il Gruppo Migros, da qualche tempo al centro di un importante progetto di ridefinizione. Anche in Ticino, alla massiccia campagna di riduzione di molti prezzi si accompagna una serie di ristrutturazioni di filiali, così da garantire alla clientela una rete di supermercati moderna e capillare.

Il nuovo supermercato Migros di Via Pretorio diventerà più moderno ed efficiente; sarà poi la volta di un restyling del Take Away

Chi da anni fa la spesa nel supermercato di Via Pretorio a Lugano, gestito da Sinisa Metikos, avrà notato come vi siano in corso grandi cambiamenti. Questo in seguito alla costituzione di MSM AG, e al riorientamento sul core business dei supermercati (con vendita di alcune storiche insegne dei mercati specializzati). Per riprendere le più recenti tendenze della clientela, orientata sempre più a una spesa veloce e semplice, gli spazi di Via Pretorio sono stati sottoposti a una ristrutturazione, o restyling parziale.

«Siamo in un momento di transizione», ci spiega Sinisa (Nino) Metikos, «che vedrà la creazione di un supermercato più moderno ed efficiente. Al centro della superficie di vendita sorgerà un grande banco per la carne

e per il pesce. Ci sarà anche un bancone destinato al taglio dei formaggi, che avverrà “a vista”. I surgelati saranno spostati in prossimità della cassa, e diventeranno l’ultimo acquisto prima dell’uscita».

Evidentemente, vista la chiusura dei piani superiori (di cui comunque il quarto resterà occupato dalla Scuola Club e il quinto da Activ Fitness), l’offerta del supermercato Migros nel piano interrato aumenterà considerevolmente: «Abbiamo aumentato leggermente la superficie di vendita, passando da 1683 m2 a 1730 m2», spiega ancora Sinisa Metikos, «e introdurremo delle gondole più alte che ci permetteranno una ulteriore estensione dell’offerta. Tre nuove casse – pensate

anche per i disabili – si affiancheranno alle 17 casse Subito, e vicino all’uscita resteranno anche il punto info e i fiori». Continua Daniele Bassetti, direttore commerciale di Migros Ticino «La nuova disposizione del supermercato di Lugano Centro si inserisce in quello che a livello nazionale è il nuovo concetto espositivo, conosciuto come Papillon. Questo prevede un doppio percorso nella superficie di vendita: breve per chi va di fretta e più lungo e completo per chi invece fa la spesa grande. Ciò sarà presto possibile al piano inferiore di Via Pretorio, dove i prodotti passeranno da 16’000 a 22’000. Anche Vinarte ha subito un interessante restyling e vede finalmente un aumento dei propri spazi», spiega ancora Basset-

ti. «Poiché Migros Ticino ha voluto ridurre al minimo i disagi della clientela (per i quali ci scusiamo) nella sua esperienza di acquisto, la ristrutturazione avverrà a tappe e comprenderà in un secondo momento anche il pianoterra, dove si trovano il Take Away, il chiosco e il sushi. A lavori finiti, la clientela potrà avvalersi di un supermercato moderno, efficiente, con un numero molto alto di prodotti (food e non food) e prezzi sempre più contenuti». Dunque, non resta che pazientare ancora qualche mese per potere ritrovare il proprio supermercato in Via Pretorio a Lugano in veste rinnovata, ma con la freschezza e la qualità dei prodotti e la gentilezza del personale di sempre! Si.Sa.

non solo un centro per fare la spesa, ma un luogo pubblico che promette di farsi occasione d’incontro. E lo confermano proprio le impressioni dei quattro giovani incontrati al Take Away: «Molto bello»; «È spazioso e confortevole»; «Invita a incontrarsi. Mi sento a mio agio». «Io venivo già qui prima, ma ora è decisamente più bello». Poi insieme, sorridendo, hanno aggiunto: «six seven!», espressione slang nata su TikTok e nei meme che in questo caso – ne siamo certi, dato l’entusiasmo con cui è stata pronunciata la parola più volte – ha il significato di «figo, ci sta!». E se lo dicono i giovani…

Qual è il tuo consiglio preferito?

Iniziative ◆ Supporta la coesione in Svizzera e vinci un buono

Come possiamo rafforzare la coesione in Svizzera? Nell’ambito della #iniziativavarieta il Percento culturale Migros cercava una risposta a questa domanda, ricevendo centinaia di consigli dalla popolazione. Come quello di Patrizia M. di Arbon: «Una volta al mese nel mio condominio cucino per tutti coloro che desiderano mangiare da me». Matthias R. di Zurigo due volte al mese aiuta una signora anziana a fare la spesa: «Per ringraziarmi mi cucina un pranzo». Scegli adesso il consiglio che vorresti mettere in pratica per rafforzare la coesione e vinci uno dei 1000 buoni Migros del valore di 100 CHF.

Informazioni

engagement.migros.ch/ it/voci-della-varieta

Veduta interna del Take Away della Migros di Via Pretorio.
Da sinistra, il gerente Bosko Stojcev, il vicesindaco Claudio Franscella e il direttore di Migros Ticino Mattia Keller. (Flavia Leuenberger)
Poco prima del taglio del nastro, con molti clienti felici della riapertura e in attesa di fare la spesa. (Manuela Mazzi)

SOCIETÀ

La salute degli anziani

La collaborazione tra medico di famiglia e geriatra permette di affrontare al meglio i bisogni complessi del paziente nella terza età

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Le sfide del commercio in Ticino

Uno studio della SUPSI analizza il settore della distribuzione al dettaglio e il suo impatto economico nel Cantone

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Dimenticare aiuta a vivere meglio

Progettare o prevedere il futuro?

Ogni essere umano coltiva la propensione a sperare, temere e progettare gli eventi futuri, ma prevederli è tutt’altra cosa

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Pubblicazioni ◆ L’oblio non è un malfunzionamento della mente, ma una strategia di sopravvivenza

Lo racconta il neuroscienziato Sergio Della Sala

Come funzionano i ricordi? Perché dimentichiamo? Per Platone, la memoria era una tavoletta di cera. Per Sant’Agostino, invece, era un magazzino o una libreria infinita. Successivamente si è passati a paragonare la memoria a una macchina fotografica, a una videocamera e a un computer. Gli studi di oggi ci raccontano un’altra verità: la memoria non è un archivio immutabile, ma un sistema dinamico che si trasforma con l’esperienza. Di ricordi e dimenticanza si è occupato Sergio Della Sala, professore di Neuroscienze cognitive all’Università di Edimburgo, nel suo ultimo libro intitolato Perché dimentichiamo. Una scienza dell’oblio (Feltrinelli). Secondo il neuroscienziato, memoria e oblio sono strettamente connessi: «Ciò che sappiamo del mondo è ciò che rimane dopo che abbiamo dimenticato i dettagli del nostro vissuto».

Sergio Della Sala, perché dimentichiamo?

Quando perdiamo le chiavi, scordiamo un nome o confondiamo una data, ci sentiamo subito in difetto e pensiamo che la nostra memoria non funzioni come dovrebbe. Eppure, in condizioni di normalità, l’oblio non è un segno di debolezza, ma una risorsa che ci permette di vivere meglio. Dimenticare non è un malfunzionamento della mente, ma una strategia di sopravvivenza. Il cervello, infatti, non è un archivio infinito: sceglie ciò che serve e lascia andare il resto, così da alleggerirci e renderci più pronti all’azione. Memoria e dimenticanza lavorano insieme, sono due facce della stessa medaglia e rendono il pensiero più agile e la vita più semplice. Non siamo soli in questo: anche gli animali fanno uso dell’oblio per meglio adattarsi al loro ambiente. Gli scoiattoli, ad esempio, aggiornano la loro mappa mentale delle provviste, cancellando quelle ormai marce per concentrarsi solo su ciò che ancora può nutrirli.

Come si formano i ricordi? Ogni ricordo nasce da un incontro con il mondo: uno sguardo, una voce, un odore, una sensazione. In quel momento il cervello, se presta attenzione, inizia a codificare l’esperienza, trasformando stimoli sparsi in tracce nervose. Ma non tutto resta: ciò che ci colpisce, emoziona o interessa, e ciò che si connette con quanto già sappiamo, ha più possibilità di imprimersi, mentre il resto svanisce senza lasciare segno. Poi entra in gioco una struttura cerebrale che si chiama ippocampo, come un bibliotecario instancabile che raccoglie

i frammenti e li trascrive in modo più stabile. È il processo di consolidamento. In questa fase il tempo e il sonno sono alleati indispensabili (durante il riposo il cervello riorganizza, ripassa, rinforza). Una volta stabilizzati, i ricordi vengono archiviati: le immagini visive trovano posto nella corteccia occipitale, i suoni in quella temporale, i movimenti nelle aree motorie. Quando ne abbiamo bisogno, il cervello ricompone quei frammenti: richiamare un ricordo è come rimettere insieme i pezzi di un mosaico.

E come dimentichiamo?

Ricordare tutto non solo appesantirebbe la mente, ma la renderebbe inefficiente. Se ogni informazione restasse per sempre accessibile, le nuove conoscenze non riuscirebbero a farsi spazio. Per esempio, non rammentare l’indirizzo della casa in cui abitavamo da bambini è utile, perché lascia priorità al nostro indirizzo attuale. Inoltre, la memoria funziona attraverso la selezione. Il cervello scorda ciò che non usiamo per

evitare interferenze. Ricordare tutto sarebbe un disastro perché bloccherebbe il nostro cervello in una massa caotica di dati.

Lei scrive che esistono 256 diversi tipi di memorie. In che cosa si differenziano l’una dall’altra? Usiamo sistemi differenti per ricordare cosa abbiamo mangiato ieri, l’orario in cui accompagnare nostra figlia a pallavolo, il nome della capitale della Turchia, le nozioni per un esame, come guidare, il profumo della persona amata o un numero telefonico giusto il tempo di comporlo. La memoria a breve termine è la capacità di trattenere poche informazioni per un tempo ridotto (qualche decina di secondi). La memoria a lungo termine, invece, comprende ricordi che durano tutta la vita e si distingue in due diverse categorie: la memoria semantica (le conoscenze generali sul mondo); la memoria episodica (che riguarda i ricordi personali e autobiografici, legati a un contesto specifico di tempo e luogo). C’è poi la cosiddetta memoria pro-

spettica che è la memoria del futuro: serve a ricordare di compiere un’azione programmata. Ed è ragionevole pensare che ci siano anche diversi tipi di oblio.

Come funziona l’oblio?

Lo psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus, con i suoi studi meticolosi e ripetitivi, arrivò a una scoperta fondamentale: la memoria non svanisce in modo casuale, ma segue un andamento regolare e prevedibile. Da queste osservazioni nacque la celebre curva dell’oblio, considerata ancora il punto di riferimento per comprendere come dimentichiamo. La curva ha l’aspetto di un gomito piegato: subito dopo l’apprendimento il declino è rapidissimo, quasi verticale, poi la perdita di informazioni rallenta fino a diventare più lenta e graduale. In pratica, dimentichiamo circa metà di ciò che abbiamo appreso entro la prima ora; successivamente continuiamo a perdere ricordi, ma a un ritmo molto più blando. Questo significa che, se è falso il mito secondo cui userem-

mo solo il 10 per cento del nostro cervello, è invece vero che la nostra capacità di trattenere informazioni è limitata.

La memoria è fedele alla realtà? Il cervello umano produce facilmente false percezioni, ricordi distorti e cattive valutazioni statistiche. La sua evoluzione è stata guidata dalla necessità di sopravvivere: i nostri antenati scappavano ogni volta che vedevano l’erba muoversi, anche se quasi sempre era il vento, perché quella rara volta in cui si nascondeva un predatore poteva costare la vita. La nostra mente, dunque, è programmata per commettere errori funzionali alla sopravvivenza, a differenza di un computer che, pur più preciso nel calcolare le probabilità, non sarebbe in grado di affrontare i rischi reali dell’ambiente. I nostri ricordi non funzionano come fotografie, ma come ricostruzioni guidate dagli schemi mentali e dalle aspettative. Ricordiamo non solo ciò che abbiamo visto, ma anche ciò che ci aspettavamo di vedere.

Stefania Prandi

Formaggi svizzeri protagonisti

Attualità ◆ Dal 20 al 25 ottobre 2025 il Centro S. Antonino ospita un’interessante esposizione sui nostri formaggi, come anche un piccolo caseificio dimostrativo

Tra i prodotti più rappresentativi del nostro Paese, i formaggi la fanno certamente da padrone, incarnando perfettamente la ricchezza e diversità di una delle nostre lunghe tradizioni nazionali. Per scoprire alcuni tra gli iconici formaggi svizzeri, l’imperdibile appuntamento è presso il Centro Migros di S. Antonino. Qui, fino a sabato 25 ottobre 2025, viene infatti ospitata un’esposizione e degustazione esclusiva di formaggi, con tanto di piccolo caseificio dimostrativo dove assistere, in giorni e orari selezionati, all’affascinante arte della lavorazione casearia (lu ore 14.30, ma-me-ve ore 9.30 e 14.30, sa ore 8.30 e 13.00).

Tra i formaggi originali presentati durante la rassegna, spiccano per esempio i seguenti:

Ingrediente principale della classica fondue al formaggio, il Gruyère viene prodotto nelle Alpi e Prealpi friburghesi e possiede una stagionatura minima di cinque mesi.

Famoso per i suoi caratteristici buchi, questo formaggio a pasta dura dal sapore delicatamente speziato viene prodotto da secoli nel Canton Berna.

Dalla Svizzera orientale arriva questo formaggio con oltre 700 anni di storia alle spalle. La lavorazione prevede che le forme vengano trattate con una salamoia a base di erbe aromatiche.

Croccantezza quotidiana

Specialità simbolo del Vallese, il cremoso formaggio Raclette du Valais è l’ingrediente principe di ogni banchetto conviviale che si rispetti.

Eccellenza dei nostri alpeggi, il formaggio d’alpe ticinese è sinonimo di tradizione secolare, rispetto per gli animali, passione artigianale e amore per il territorio alpino.

Formaggio emblematico originario del Giura bernese, è prodotto con latte vaccino crudo e si gusta tradizionale a rosette, che vengono raschiate per mezzo di uno strumento chiamato «Girolle».

Attualità ◆ Con cracker e biscotti Blévita ogni pausa si trasforma in un momento di gusto grazie alla loro irresistibile friabilità

Ampia scelta di gusti, poche calorie e una buona fonte di fibre ed energia: con i mitici cracker e biscotti Blévita della Migros è impossibile non lasciarsi conquistare. Lo sapevi che sono stati lanciati sul mercato nel 1969 e oggi sono tra gli snack più apprezzati della Svizzera? Amati da grandi e piccini in ogni occasione, dalla pausa lavoro alla scuola, dallo sport ai viaggi fino ai momenti di relax a casa, rappresentano un alleato da portare sempre con sé per allietare con gusto tutte le tue giornate. Blévita oggi esiste in ben una quarantina di varietà, in cui sbizzarrirsi per trovare il proprio preferito: dai classici con sesamo e lino alle combinazioni più creative con Gruyère, carote e zucca, flammkuchen, salt & vinegar; dai mini sandwich con formaggio ed erbe aromatiche fino ai biscotti con cioccolato scuro, müesli o miele ce n’è assolutamente per tutti. I Blévita sono fatti principalmente con farina di farro o farina ai cinque cereali, quest’ultima composta da grano, segale, avena, orzo e farro, ma esistono anche alcune varianti a base di riso. A proposito, vorresti creare il tuo Blévita preferito

e vederlo magari un giorno in vendita alla tua Migros? Allora scansiona il codice QR qui sotto e libera la tua creatività. Con un po’ di fortuna potresti vincere una fornitura gratis di Blévita per un anno.

«Sono rimasta senza parole!»

Attualità ◆ Nei giorni scorsi è stato consegnato il primo premio del concorso dei Nostrani del Ticino alla

È Giovanna Rusconi Bachofner di Camorino la vincitrice del premio principale del grande concorso dei Nostrani del Ticino, ossia una fiammante autovettura elettrica BYD Dolphin Surf del valore di Fr. 25’000.-. «Quando sono stata contattata da Migros per informarmi della vincita, non riuscivo a crederci e sono rimasta letteralmente senza parole!», commenta Giovanna Rusconi Bachofner. «Sono davvero molto contenta e valuteremo in famiglia chi utilizzerà questa bellissima auto». Giovanna afferma di acquistare regolarmente prodotti a marchio Nostrani del Ticino: «Oltre ad essere buoni e di qualità, trovo giusto sostenere nel limite del possibile i produttori della regione. Tra i miei prodotti preferiti ci sono i formaggini freschi, che sono anche legati a bei ricordi della mia infanzia».

Ricordiamo che il concorso è stato organizzato lo scorso settembre in occasione della terza rassegna annuale dedicata ai Nostrani del Ticino. Oltre all’auto, sono stati assegnati anche 50 bellissimi zaini con il caratteristico brand dei prodotti regionali di Migros Ticino. Si ringrazia BYD Svizzera per la collaborazione.

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Giovanna Rusconi Bachofner ritira la sua auto BYD Dolphin Surf presso il Centro S. Antonino, alla presenza di Dario Tondi, resp. Sales Promotions & Sponsoring Migros
Ticino (a sinistra) e due rappresentanti della concessionaria ticinese BYD Automotive Garage Giorgio SA di Cadenazzo. (Oleg Magni)

Un’alleanza per il bene dell’anziano

Salute ◆ Medico di famiglia e geriatra uniti per rispondere ai bisogni complessi del paziente nella terza età

«Quando nostra madre ha iniziato a mostrare segni di declino cognitivo e fragilità fisica, il medico di famiglia non si è limitato a prescrivere farmaci, ma ha coinvolto un geriatra. Fra loro è nata una collaborazione efficace che ha messo al centro il suo benessere: il geriatra l’ha accolta con le sue competenze specifiche legate all’età avanzata, mentre il suo medico curante con la rassicurante conoscenza di lunga data, ha garantito la continuità del percorso. Insieme, hanno costruito un piano di cura personalizzato, affrontando aspetti medici, psicologici e sociali, cosa che ha rassicurato nostra madre, e non ci ha fatto sentire soli ad affrontare la complessità della sua salute». Laura e Gianni (conosciuti dalla redazione) così raccontano come hanno affrontato il delicato momento dell’invecchiamento materno. Una situazione che è destinata a toccare sempre più persone perché, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UST), l’invecchiamento demografico in Svizzera è un fenomeno destinato ad accentuarsi: la quota di popolazione over 65 è già elevata (circa il 19 % nel 2021) e le proiezioni indicano nuove crescite fino al 26-27% entro il 2045. L’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) conferma che il Ticino è un cantone particolarmente colpito, con la popolazione più anziana della Svizzera (oltre 23 %) e un andamento al rialzo previsto fino al 32 % entro il 2050. Sta di fatto che entro il 2050 gli over 65 saliranno al 32,3% e gli ultraottantenni raddoppieranno, mentre la popolazione giovane e quella in età lavorativa caleranno.

L’invecchiamento demografico è destinato a crescere, e le cure geriatriche diventano sempre più centrali nella sanità pubblica e nella vita delle famiglie. Non si tratta solo di gestire malattie croniche, ma di tutelare qualità della vita, autonomia e dignità. Mentre rimane essenziale affrontare l’età avanzata con competenza e umanità. Ne parliamo con il geriatra Florec Kola, che ci aiuta a fare chiarezza sul presente e sul futuro della cura agli anziani, partendo dal presupposto che oggi bisogna considerare un cambio di paradigma nella gestione della loro salute: «Non si tratta più solo di curare malattie, ma di accompagnare una persona spesso fragile, la cui condizione coinvolge non solo aspetti clinici, ma anche psicologici, funzionali e sociali. In quest’ottica, la collaborazione tra il medico di famiglia e il geriatra

appare non solo utile, ma imprescindibile». Egli sottolinea come il medico di medicina generale resti comunque la figura di riferimento: «È colui che conosce meglio il paziente nel tempo, nel suo contesto quotidiano e relazionale». Ribadisce l’importanza di coinvolgere il geriatra per i casi più complessi, «quando la presenza di più patologie croniche (multimorbilità) rende necessaria una visione più ampia e specialistica». Allora, l’approccio geriatrico, basato sulla valutazione multidimensionale, può fare la differenza: «Permette di considerare non solo i dati clinici, ma anche le funzioni cognitive, lo stato emotivo, l’autonomia e la rete sociale del paziente, con l’obiettivo di prevenire la disabilità, mantenere l’autonomia e garantire la miglior qualità della vita possibile, anche in età avanzata».

«In Paesi come la Svizzera la speranza di vita è tra le più alte al mondo e la vera sfida non è solo vivere a lungo, ma vivere meglio», afferma Kola che sottolinea come ciò richiede, a maggior ragione, un’assistenza integrata, continua e condivisa tra territorio e specialisti. D’altra parte, egli sottolinea: «L’invecchiamento è un processo molto variabile: ogni individuo invecchia in modo diverso, e gli organi non seguono tutti lo stesso ritmo. Per questo, l’anziano non può essere considerato solo una “persona più vecchia”, ma

L’APPUNTAMENTO

un paziente con caratteristiche specifiche: spesso affetto da più malattie, soggetto a polifarmacoterapia, talvolta con fragilità fisica, cognitiva o sociale». Allora, il ruolo del geriatra è proprio quello di orientarsi in questa complessità, ricorrendo alla valutazione multidimensionale per costruire un piano di cura realmente personalizzato: «È un lavoro di equilibrio clinico tra patologie, farmaci e vulnerabilità, ma è anche un’opportunità per prevenire peggioramenti e valorizzare le risorse residue dell’individuo».

Potremmo pensare che il medico di famiglia rischi di perdere centralità. Però non è così perché il geriatra

non si sovrappone al medico di base, ma lo affianca soprattutto nei casi in cui la situazione si complica: «Il rapporto di fiducia che il medico curante instaura nel tempo con il paziente è un elemento insostituibile. E quando la complessità aumenta, per esempio in presenza di declino cognitivo, fragilità grave o difficoltà gestionali, il coinvolgimento del geriatra consente una presa in carico più efficace, senza mai escludere il ruolo centrale del curante». Il nostro interlocutore spiega come si declina questa collaborazione nella pratica quotidiana: «Si va dai confronti informali sui casi clinici più delicati, alla revisione condivisa delle

Pubbliredazionale

Malattie croniche e terza età: prevenzione primaria e secondaria, percorso di cura e coordinazione della presa a carico a domicilio

Rete Sant’Anna, la prima rete di cure integrate in Ticino, è lieta di proporre un calendario di appuntamenti regolari, gratuiti e aperti a tutti sul tema della prevenzione come accompagnamento al paziente nel percorso di cura: non solo della malattia ma in primis per la conservazione della sua salute, incoraggiando prese a carico sempre più personalizzate e focalizzate al bisogno individuale, per mezzo di un approccio multidisciplinare integrato

Rete Sant’Anna organizza conferenze aperte al pubblico presso la Sala Conferenze della Clinica Sant’Anna di Sorengo (Stabile Villa Anna 2). Il prossimo appuntamento è previsto giovedì 30 ottobre alle 18.00. Il tema della

conferenza sarà Malattie croniche e terza età: prevenzione primaria e secondaria, percorso di cura e coordinazione della presa a carico a domicilio

La prevenzione primaria e secondaria rappresenta un pilastro fondamentale nella gestione del paziente geriatrico, sempre più fragile e complesso. Un approccio integrato e olistico, che veda la stretta collaborazione tra medico di famiglia e geriatra, consente una presa in carico continuativa, personalizzata e centrata sulla persona. La prevenzione primaria mira a promuovere stili di vita sani e a ridurre l’insorgenza di patologie croniche, mentre quella secondaria si concentra sull’identificazione precoce e sul trattamento tempestivo delle

malattie. Il dialogo costante tra i due professionisti favorisce un monitoraggio più efficace, riduce la frammentazione delle cure e migliora la qualità della vita dell’anziano, sostenendo anche la rete familiare e sociale.

I relatori della serata saranno il dr. Florenc Kola, specialista in Geriatria e Medicina interna generale, e il dr. Matteo Badini specialista in Medicina interna generale. Segue un rinfresco. Ingresso libero previa registrazione.

terapie, alla gestione integrata di condizioni tipiche dell’età avanzata, come le malattie neurodegenerative, le cadute o la fragilità. Quando possibile, l’uso di una cartella clinica accessibile da entrambi agevola la coerenza terapeutica. E spesso, bastano contatti regolari, telefonate o scambi via email, per aggiornamenti e aggiustamenti mirati». Il geriatra, dunque, può intervenire in momenti chiave, come una fase di instabilità clinica, per poi restituire la gestione al medico curante che mantiene la regia del percorso: «In fondo, è lo stesso modello che si applica ad altri specialisti: il paziente non viene “ceduto”, ma seguito in modo coordinato, ognuno per la sua parte». Kola porta ad esempio un caso emblematico di un paziente anziano con sintomi vaghi ma persistenti («vertigini, instabilità, malessere diffuso») che non trovavano spiegazione nonostante consulti neurologici e otorinolaringoiatrici: «Dopo vari tentativi, il medico di famiglia ha deciso di coinvolgere direttamente il geriatra attraverso la cui valutazione è emerso un quadro di fragilità iniziale, associato a un lieve decadimento cognitivo e a una componente depressiva trascurata. Quindi, con alcune modifiche terapeutiche e un breve percorso riabilitativo, il paziente ha migliorato significativamente la sua condizione con un intervento mirato che ha probabilmente evitato eventuali cadute e le loro gravi conseguenze. Senza dimenticare l’aspetto dei costi della salute che si riducono in una presa in carico diretta e multidisciplinare». Infine, non va trascurato l’aspetto psicologico: «Sapere che il medico curante e il geriatra lavorano insieme offre un senso di sicurezza e continuità a molti anziani e alle loro famiglie. Spesso, i sintomi non sono legati a una singola malattia, ma a un insieme di fattori interconnessi per i quali il geriatra ha una visione globale che tiene conto della persona nel suo insieme, e non solo della diagnosi». L’intervento geriatrico non si limita dunque solo al paziente, ma coinvolge anche chi gli sta accanto. «È la prima volta che qualcuno si prende cura anche di noi», è una frase che i geriatri sentono spesso, afferma Kola che conclude: «Perché in geriatria curare significa anche “prendersi cura”: ascoltare, sostenere e accompagnare paziente e famigliari lungo un percorso condiviso con il medico di famiglia, che resta il punto di riferimento più stabile».

Sapere che il medico curante e il geriatra lavorano insieme offre un senso di sicurezza e continuità a molti anziani e alle loro famiglie. (Freepik.com)
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Le sfide del commercio: ogni spesa conta

Territorio ◆ Uno studio della SUPSI analizza il settore della distribuzione al dettaglio in Ticino e il suo impatto economico I nodi sono demografia, e-commerce e turismo degli acquisti. E la DISTI si rivolge ai consumatori del Cantone

Come sta il settore del commercio al dettaglio nel Canton Ticino? Che impatto ha sull’economia cantonale? Quali problemi deve affrontare nel presente? Quali le principali sfide nel futuro?

A queste domande risponde uno studio realizzato dalla SUPSI su mandato della DISTI (associazione dei distributori ticinesi) che fotografa e analizza come e quanto il commercio al dettaglio contribuisce allo sviluppo economico del Canton Ticino. Presentato settimana scorsa da Carmine Garzia, professore di strategia aziendale e imprenditorialità alla SUPSI, lo studio è particolarmente interessante perché si basa non solo su dati statistici pubblici ma anche su dati raccolti direttamente presso i principali operatori della distribuzione. Il quadro che ne emerge è quello di un settore di peso per l’economia cantonale, con un giro di affari complessivo di 4,9 miliardi, il che corrisponde, ha precisato il prof. Garzia, a circa il 14% del PIL cantonale, ma che è in una fase di stagnazione. Negli ultimi anni, infatti, il tasso medio di crescita di quelle che sono definite le Insegne DISTI, cioè Migros, Coop e Manor, è negativo (-0,6 %).

Un settore strategico

Lo studio mette in luce come il commercio al dettaglio rappresenti un settore strategico e di peso per l’economia cantonale sotto molti punti di vista. A livello occupazionale, ad esempio, nel 2022 impiegava 11.982 addetti, corrispondenti a una massa salariale di oltre 736 milioni. La retribuzione mensile lorda mediana ammontava a 4.729 franchi mentre gli apprendisti in formazione erano 398. Le aziende del commercio al dettaglio contribuiscono, inoltre, in maniera significativa al gettito fiscale del Cantone. Nel 2023 hanno, infatti, versato 49 milioni di franchi in imposte cantonali, federali e comunali.

Viale dei ciliegi

Tove Jansson

Le memorie di papà Mumin Salani (Da 8 anni)

C’è una persona che ha lasciato il segno nella letteratura per l’infanzia, una donna senza la quale i lettori di lingua italiana non conoscerebbero Roald Dahl, ad esempio. Ma neanche Pippi Calzelunghe, neanche Bibi, neanche i Mumin, neanche molti altri, i più grandi insomma. Questa donna, morta qualche giorno fa, si chiamava Donatella Ziliotto, vorrei ricordarla qui. Nata a Trieste nel 1932, in una famiglia colta e aperta alle influenze mitteleuropee, si laurea con lode all’Università di Bologna con una tesi su Collodi e inizia a viaggiare molto giovane, privilegiando il Nord Europa, influenzata dal personaggio di Bibi, la bambina del Nord immaginata dalla scrittrice danese Karin Michaelis, una bambina anticonformista e intraprendente che viaggia sola, così come anticonformista e intraprendente sarà Pippi Calzelunghe, della svedese Astrid Lindgren, con la quale Ziliotto ebbe un incontro straordinario e quasi magico, quando, nel 1958, era alla dire-

A queste si aggiungono i quasi 283 milioni di gettito IVA (dati 2022) e i 52 milioni che provengono dalla tassazione delle persone fisiche impiegate nel settore, di cui il prof. Garzia stima che più di 40 rimangano sul territorio.

Sul piano degli investimenti il comparto ha destinato nel 2023 oltre 115 milioni a strutture fisiche, attrezzature e impianti (e qui si intendono gli investimenti per l’apertura di nuovi punti vendita, per la manutenzione, lo sviluppo e l’ammodernamento).

Chiaro, inoltre, che questi investimenti hanno poi avuto una ricaduta positiva anche per altri attori economici del territorio, come gli artigiani. Ma non è tutto, lo studio ha messo in evidenza anche il forte legame con l’economia locale: nel 2023 gli acquisti di merce da fornitori ticinesi hanno raggiunto i 55 milioni e gli acquisti di beni e servizi generici sul territorio ticinese e del Moesano hanno superato i 43 milioni. Infine le spese pubblicitarie sui media locali ammontavano a circa 797mila franchi.

Le prospettive future

Un settore strategico per l’economia cantonale che in questi anni, però, ha smesso di crescere, ha raggiunto una fase di stagnazione confermata dal fatto che i grandi operatori del commercio al dettaglio negli ultimi anni hanno conosciuto una crescita sensibilmente inferiore a quella dell’economia cantonale e nazionale. Servono, dunque, come ha sottolineato il prof. Garzia, investimenti per migliorare la produttività e mantenere le aziende competitive e vive sul territorio.

Una sfida non da poco se si tiene conto delle prospettive future analizzate nello studio della SUPSI. Lo sviluppo dei prossimi anni del settore del commercio al dettaglio sarà, infatti, influenzato da fattori che sfuggono al controllo delle aziende stesse.

Le cifre del settore del commercio al dettaglio nel Canton Ticino (Dati aggiornati al 2023)

Giro d’affari complessivo

4,9 miliardi di CHF

Numero degli impieghi

11’982

Numero di apprendisti

398 (in formazione nel 2022)

Massa salariale

736 milioni di CHF

Gettito fiscale

49 milioni di CHF (imposte cantonali, federali e comunali)

Investimenti in strutture fisiche e impianti

115 milioni di CHF

Acquisti di merce da fornitori ticinesi

55 milioni di CHF

Tra questi c’è l’andamento demografico che, nelle proiezioni ufficiali dell’Ufficio cantonale di statistica, prevede una crescita molto contenuta della popolazione residente. La situazione demografica sfavorevole va a sommarsi a un altro dato sottolineato dal prof. Garzia, che vede in diminuzione i consumi pro capite degli abitanti del Cantone (passati da 2’131 franchi al mese, a 1’982). Le famiglie hanno, dal canto loro, ridotto del 17% i loro consumi dal 2007 al 2021. E in Ticino non si può contare su flussi turistici tali da poter compensare queste diminuzioni.

Un secondo elemento che condiziona e condizionerà significativamente il commercio al dettaglio è la concorrenza dell’e-commerce. Il commercio online ha avuto uno sviluppo rilevante, la cifra d’affari è più che triplicata in 14 anni e continua a crescere anche dopo il Covid. Siamo cioè di fronte, ha spiegato il prof. Garzia, a un vero e proprio cambiamento strutturale, non congiunturale che vede la tendenza alla sostituzione degli acquisti fisici con quelli online. Il settore è infine esposto a una

pressione molto forte derivante dal turismo degli acquisti, favorito dal tasso di cambio. Il fenomeno è stato analizzato anche in uno studio da poco pubblicato dall’Università di San Gallo, nel quale si evidenzia una forte crescita anche a livello nazionale del turismo degli acquisti (dagli 8,43 miliardi del 2022 agli attuali 9,26 miliardi), in particolare nel settore alimentare. Nello stesso studio i consumatori svizzeri intervistati dichiarano di acquistare il 34,2% del loro fabbisogno totale nei negozi fisici all’estero, tra i motivi principali di tale scelta citano i prezzi più bassi e gli orari di apertura più vantaggiosi (Thomas Rudolph, Nora Kralle, Tim-Florian Gerlach, Einkaufstourismus Schweiz 2025, Universität St. Gallen, Institut für Handelsmanagement).

La DISTI lancia una campagna

Di fronte a questo quadro la grande distribuzione ticinese è preoccupata e per questo motivo la DISTI punta su una campagna di sensibilizzazione per valorizzare il commercio locale al motto «Ogni spesa conta». «L’idea della campagna è nata dopo aver letto i risultati dello studio commissionato alla SUPSI; abbiamo deciso che, invece di lamentarci, dovevamo muoverci per difendere e valorizzare un settore così importante per l’economia cantonale. L’invito ai consumatori ticinesi vuole essere moderato – ha spiegato Enzo Lucibello, presidente della DISTI –nessuno vuole demonizzare chi va a fare la spesa all’estero, siamo perfettamente coscienti delle difficoltà che le famiglie e tutti i ticinesi affrontano soprattutto alla luce dei nuovi aumenti delle casse malati. La nostra è una campagna propositiva e positiva, un invito a sostenere l’intero tessuto commerciale cantonale, in ogni sua forma».

zione della collana «Il Martin Pescatore» di Vallecchi. Aveva sentito parlare di un libro su una bambina fortissima e autonoma, che le sembrava perfetto per inaugurare la sua innovativa collana, e allora partì per Vimmerby, città natale di Astrid Lindgren, come ha ricordato la figlia, Martina Forti: «Girò a lungo, ma della scrittrice non trovò traccia, fino a quando, esausta, chiese aiuto a una contadina dalle gote rosse, che stava spaccando un cumulo di legna. “Astrid Lindgren sono io.” Le disse. “Sono forte, ma so anche scrivere”. Dopo una lunga chiacchierata e un the con i biscotti, la scrittrice la congedò con queste parole: “Ho capito che tu sei una Pippi, porta la mia Pippi in Italia con te”». Donatella Ziliotto non portò in Italia solo Pippi, ma, appunto, tutti i più grandi autori per ragazzi internazionali, tra cui la finlandese Tove Jansson, con la sua saga dei Mumin, che vorrei segnalare qui a chi ancora non la conoscesse. Le storie che l’autrice e illustratrice finlandese dedicò ai Mumin cominciarono nel 1945, e si celebrano tra l’altro quest’anno gli ottant’anni dalla nascita della prima avventura di queste creature fantastiche, simili a piccoli ippopotami, ma così simili anche a noi umani, nelle loro dinamiche familiari, malinconie, dolcezze, irascibilità e gioia di vivere, e capacità di trovare conforto nelle minime felicità domestiche. Con altri personaggi comprimari (tra cui il commovente solitario Morko, che fa paura, con l’aura gelida che lo circonda, che fa congelare chiunque lo incontri, ma che è in costante ricerca della luce), vivono nella valle dei Mumin, le loro storie sono semplici e profonde, e danno calore. Fu lei, Donatella Ziliotto, a farli conoscere ai lettori italofoni, prima per la casa

editrice Vallecchi, poi nella successiva collana da lei diretta dal 1987, gli Istrici di Salani. Simbolicamente, ci concentriamo su una citazione da Le memorie di papà Mumin: «Cos’è un nuovo giorno? Un nuovo giorno è una porta aperta verso l’incredibile, il possibile. In un nuovo giorno tutto può accadere se non si ha nulla in contrario». Questo invito a considerare le porte aperte verso l’incredibile, e ad accogliere con gioia ogni nuovo giorno, è uno dei lasciti non solo di papà Mumin, ma anche di colei che li ha portati ai lettori di lingua italiana.

Frida Nilsson Hedvig e Valdemar, illustrato da Ilaria Mancini Lupoguido (Da 7 anni)

L’autrice svedese Frida Nilsson è una delle più importanti scrittrici contemporanee per bambini e ragazzi. Classe 1976, ha già al suo attivo romanzi bellissimi, destinati a diventare classici contemporanei, come il teneramente anarchico e surreale Mia mamma è un gorilla, e allora? (Feltrinelli), o come l’intenso viaggio nell’Aldilà in cui ci

conduce La spada di legno (Feltrinelli), o l’incantevole storia per l’Avvento Buon Natale, Cipollino!, pubblicata da Lupoguido. Così come da Lupoguido sono pubblicati anche i romanzi di Hedvig, intraprendente bambina di sette anni che deve inserirsi in una nuova scuola (Hedvig), e che ritroviamo l’anno successivo in seconda, quando le compagne di classe hanno l’ossessione per i cavalli, ma come potrebbe Hedvig avere un cavallo, se costano così tanto? Hedvig non avrà come amico un cavallo, ma un asino, Valdemar, burbero e adorabile, che le cambierà la vita.

di Letizia
Bolzani
Migros

Il futuro?

Lo decido io

Sociologia ◆ La delicata relazione fra un progetto e una previsione

In un precedente articolo dedicato al tema del futuro sottolineavo come ogni previsione sia esposta alla spada di Damocle dell’incertezza e degli eventi improvvisi. Situazioni nelle quali la previsione è, come si dice, «matematica» sono reperibili solo in laboratori controllati, in alcuni contesti di astronomia o in dispositivi digitali preordinati. Fuori da questi ambiti nessun controllo è possibile esaustivamente, perché la realtà totale di un qualsiasi contesto consiste in un groviglio illimitato di variabili. Sta però di fatto che gli esseri umani vivono di futuro non meno che di passato. Due prospettive solo in parte analoghe. La nostra ricostruzione del passato è passibile di errori dovuti all’omissione di eventi, volti, nomi. La previsione è invece gravata da eventi inaspettati dovuti alla complessità con cui abbiamo a che fare. Il passato ha però un sicuro vantaggio sul futuro poiché esso è già accaduto e, perciò, si è cristallizzato senza più essere modificabile. Il lavoro dello storico, o di chi fa indagini su un certo evento, può presentare molte difficoltà ma la certezza dell’evento da spiegare è una base sicura da cui partire, base che, nel caso del futuro, manca del tutto.

Ogni essere umano coltiva la propensione a sperare, temere e progettare gli eventi futuri, ma prevederli è tutt’altra cosa

Tuttavia, anticipare gli eventi è un desiderio comune e, allora, ecco nascere in ogni essere umano una doppia propensione: da un lato, l’inclinazione dell’ottimista o del pessimista a prevedere, ma in realtà a sperare (il diffusissimo wishful thinking) o temere, che tutto andrà bene oppure male e, dall’altro, la propensione a «progettare», cioè a preordinare le cose in modo da ottenere, in un futuro più o meno vicino, un certo risultato. Ogni progetto – un viaggio, una costruzione o un intervento chirurgico – implica necessariamente una o più previsioni ma è importante sottolineare che un progetto, in sé, non è una previsione. Prevedere, in termini razionali, significa «vedere prima» un evento e il suo successo dipende dall’accertamento che l’evento sia dovuto alla dinamica

indicata dalla previsione e non dalla manipolazione degli accadimenti. Supponiamo che Tizio e Caio siano seduti al tavolo di una pizzeria, in attesa dell’amico Sempronio. Vedendolo arrivare, Tizio dice a Caio: «Vedrai che Sempronio ordinerà una pizza al prosciutto», poi, rivolgendosi a Sempronio, decanta la qualità della pizza in questione fatta in quella cucina e, alla fine, convince Sempronio a sceglierla. Dunque la previsione si è avverata ma è del tutto indimostrato che Sempronio avrebbe ordinato quel piatto anche se Tizio non l’avesse persuaso. In fondo siamo di fronte a quella che il sociologo Robert K. Merton, ha denominato la «profezia che si auto-adempie» (Self-Fulfilling Prophecy). Si tratta di circostanze nelle quali chi emette una previsione dà, per così dire, una mano agli eventi forzandoli a svilupparsi nella direzione «prevista». Il caso limite è quello del baro che studia il modo di fermare la roulette sul numero desiderato ma la casistica è assai più ampia e include anche congiunture umane di varia quotidianità persino di ordine psichiatrico, come quando la depressione, fornendo al soggetto una visione tetra delle cose, si auto-alimenta generando un futuro sempre più tetro. Merton però segnala anche il caso di previsioni storico-sociali come quella emessa da Karl Marx circa l’ineluttabile rivoluzione proletaria poiché, assieme a Friedrich Engels, pubblica poi Il Manifesto, ossia un’opera nella quale si incita il proletariato a realizzarla. Merton paragona una simile condotta, e la sua pretesa natura scientifica, al comportamento di un prestigiatore che, dopo aver messo il coniglio nel cappello nel suo camerino, lo preleva trionfalmente davanti al pubblico.

In definitiva, la relazione fra un progetto e una previsione «pura» pone questioni logiche di notevole interesse e talvolta difficili da dirimersi: quell’evento sarebbe accaduto comunque oppure si è generato solo grazie alla mia volontà e alla mia azione? E quindi non sono da trascurarsi nemmeno gli aspetti etici, dato che, non raramente, il nostro modo di vedere le cose, o di prevederne l’andamento, risulta influenzato da previsioni talvolta non disinteressate e in grado, alla fine, di auto-avverarsi senza che ve ne fosse reale motivo.

La sua eredità per la natura

e il futuro

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ATTUALITÀ

Giù le armi, serve umanità

L’intellettuale pacifista Bertha von Suttner ispirò Alfred Nobel, inventore della dinamite e fondatore dei premi che portano il suo nome

Il mistero dei numeri civici

L’edificio che ospita Governo e Parlamento a Berna non possiede il numero civico 1 di Piazza federale, occupato dalla Banca Nazionale Svizzera, ecco perché

Ricominciare dagli organi di informazione

Israele-Palestina ◆ Nessun futuro condiviso potrà costruirsi senza delle solide fondamenta basate sulla conoscenza dell’altro e sul riconoscimento dei reciproci traumi. I media mainstream giocano un ruolo fondamentale

Dopo due anni di tensioni, paura e conflitti interni, dal momento dell’annuncio del siglato accordo gli israeliani hanno conosciuto ore di pura gioia e speranza, mentre l’attesa dei 20 connazionali sopravvissuti alla prigionia ha ricompattato la società ebraica che ha condiviso le stesse emozioni a prescindere dalle opinioni politiche. Sin dalla sera precedente decine di migliaia di israeliani si sono radunate nella Piazza degli ostaggi per trascorrervi la notte in attesa di assistere sui maxi schermi al rilascio previsto per le prime ore del mattino. I primi sette ostaggi sono stati consegnati alla Croce Rossa a Gaza City, nel nord della Striscia, intorno alle 8 del mattino. Si tratta di Matan Angrest, Alon Ohel, Omri Miran, Eitan Mor, Guy Gilboa-Dallal e i gemelli Gali e Ziv Berman. I successivi 13 – Elkana Bohbot, Avinatan Or, Yosef-Haim Ohana, Evyatar David, Rom Braslavski, Segev Kalfon, Nimrod Cohen, Maxim Herkin, Eitan Horn, Matan Zangauker, Bar Kupershtein e i fratelli David e Ariel Cunio – sono stati consegnati alla Croce Rossa a Khan Younis, nel sud della Striscia, poco prima delle 11.

Bisogna sottostare al ricatto di una pace ingiusta che tuttavia detiene il potenziale di preservare molte vite umane

Il protocollo prevedeva che venissero trasferiti alle forze israeliane all’interno di Gaza e successivamente condotti al centro di frontiera di Re’im, da dove sono stati trasportati in elicottero negli ospedali del centro di Israele, dove vengono ora sottoposti a valutazioni, cure e riabilitazione. Nel corso di tutta la mattinata, mentre i media trasmettevano ininterrottamente le immagini delle famiglie euforiche e in lacrime che si riunivano ai loro cari, la folla riversatasi lungo le strade di tutto Israele applaudiva sventolando bandiere, cantando e ballando.

La tregua è cosa buona perché tutela almeno temporaneamente la sacralità della vita umana e concede l’ossigeno necessario per uscire dalla modalità di sopravvivenza. Da quando Trump ha proclamato la fine delle operazioni militari il sollievo del sistema nervoso è palpabile già al risveglio e, anche solo per questa leggerezza ritrovata – difficile forse da comprendere per chi ha vissuto la guerra da lontano – c’è senz’altro da ringraziare il presidente americano e la sua discutibile, imbarazzante autorità. I manifestanti e i parenti degli ostaggi lo hanno ringraziato sin troppo. Troppo perché, così come ha re-

pentinamente scatenato l’euforia in un Paese traumatizzato, così ha anche riportato la Nazione, o almeno la parte razionale della medesima, con i piedi per terra, per non dire nella palude. Lo ha fatto con un’esibizione di oltre un’ora trasmessa in mondovisione dalla Knesset, il Parlamento israeliano, dove si è recato a ricevere gli onori non appena atterrato. L’oratoria di Trump richiede allo spettatore onesto un’operazione da equilibrista: rinunciare alla verità storica che è sotto gli occhi di tutti, sotto il ricatto di una pace ingiusta che, tuttavia, detiene l’oggettivo potenziale di preservare molte vite umane. Ad accoglierlo in pompa magna c’era, oltre ai suoi parenti e collaboratori, tutto l’establishment sionista, grato per essere stato salvato in extremis dal criminale vicolo cieco dove si è incastrato.

In uno scenario geopolitico costellato da simili attori tanto influenti, quanto indigesti per le modalità al limite della legalità e l’imprevedibilità, non resta che attrezzarsi ingoiando rospi e individuando i campi di azione trascurati o peggio lesi dalla pre-

potenza, dalla menzogna e dalla superficialità che regnano sovrane. Nel caso di Israele-Palestina, nessun futuro condiviso potrà costruirsi senza delle solide fondamenta basate sulla conoscenza dell’altro e sul riconoscimento dei reciproci traumi. Mentre Trump lavora con i suoi partner per ridisegnare il Medio Oriente a modo suo, l’onestà della leadership locale e internazionale si misurerà dunque sull’approccio alle questioni della memoria, dell’empatia, del passato coloniale, dell’antisemitismo, della pace e della giustizia storica, oggi ancora arenate su posizioni stagnanti e autoreferenziali. Si richiede di introdurre un’etica fondata sulla parità, sulla legittimità reciproca, sull’uguaglianza e il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione nazionale tanto per gli ebrei israeliani che per gli arabi palestinesi. Rinunciamo quindi alla seduzione del narcisismo ideologico e approfittiamo di questa tregua per promuovere un processo etico di smantellamento di tutte le forme di supremazia, controllo e dominio a favore di un

processo di decolonizzazione che sfoci in un contesto paritario in cui gli israeliani potranno recuperare la loro legittimità agli occhi dei palestinesi e del mondo.

I media israeliani, arruolati alla propaganda, in questi due anni si sono resi complici di indifferenza, rimozione e contraddizioni

Una parte importante della riabilitazione andrà dedicata ai media mainstream di Tel Aviv i quali, arruolati alla propaganda, in questi due anni si sono resi complici di indifferenza, rimozione e contraddizioni. Silenziando la critica e omettendo di riportare quanto avviene a Gaza, i commentatori dei principali canali televisivi 11,12 e 13 hanno plasmato le coscienze degli israeliani relegandoli ad una dimensione passiva di lutto che impedisce loro di confrontarsi con le accuse di genocidio. Nel suo libro The New Censorship: How the War on the Media is Taking Us Down, uscito questo set-

tembre per la casa editrice inglese Footnote, la ricercatrice e giornalista israeliana Ayala Panievsky ha condiviso i risultati dei propri studi sulla copertura della guerra. «Le persone che si ritengono giornalisti seri hanno accettato e pompato per due anni la percezione che non ci siano innocenti a Gaza, che tutti i palestinesi siano uguali», ha affermato Panievsky dopo aver passato in rassegna da Londra i notiziari israeliani dal 7 ottobre. La sua analisi dimostra come la destra populista abbia usato tecniche come bot, campagne diffamatorie e disinformazione per dominare la conversazione sui media. Invece di vietare le storie, diffondono disinformazione. Invece di tacere, gridano più forte. La censura a mano pesante non è necessaria quando le persone possono essere manipolate e silenziate con modalità «socialmente più accettabili». In un periodo di decadimento democratico, in cui la tecnologia viene utilizzata per diffondere informazioni e incitare alla violenza, reintrodurre e incentivare un giornalismo di qualità è più urgente che mai.

Il discorso di Trump alla Knesset, il Parlamento israeliano (Keystone)
Sarah Parenzo
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«La guerra trasforma l’uomo in demonio»

La pacifista ◆ Bertha von Suttner ispirò Alfred Nobel, inventore della dinamite e fondatore dei premi che portano il suo nome

Un vecchio che vince alla lotteria ma muore il giorno dopo. Una corsa gratis quando hai appena comprato il biglietto. Una grazia ricevuta nel «Braccio della morte»… due minuti in ritardo. Sono scene tratte da Ironic, brano che spopolava negli anni Novanta e racconta il lato ironico e paradossale della vita quotidiana. Ci è venuto in mente rileggendo la biografia di Alfred Nobel, dopo il recente annuncio della vincitrice del Premio per la pace, la venezuelana María Corina Machado. Già, perché l’uomo che ha lasciato in eredità uno dei più prestigiosi riconoscimenti per la promozione della pace, costruì la sua fortuna proprio grazie alla guerra (online trovate un interessante contributo Rsi intitolato «Il complesso volto del Nobel»).

Sterminatore o filantropo?

Il suo nome è legato soprattutto all’invenzione della dinamite (1867), un derivato della nitroglicerina che rivoluzionò l’industria mineraria e il settore delle costruzioni, ma trovò anche ampia applicazione nel contesto dei conflitti armati. Tra i suoi oltre 300 brevetti figura anche quello della balistite (1888), una polvere da sparo senza fumo, usata per proiettili e munizioni, che migliora la visibilità in battaglia. E Nobel, a quanto pare, acquistò quote in una fabbrica svedese di cannoni e armamenti…

Però, col tempo, l’inventore-imprenditore cominciò a riflettere sulle implicazioni etiche delle sue attività. Si dice che i suoi dubbi si acuirono dopo l’episodio del necrologio pubblicato per errore a suo nome nel 1888, quando morì suo fratello Ludvig. Nel saggio La pazza scienza il divulgatore scientifico Luca Perri scrive: «Alcuni giornali francesi, confondendo il defunto con suo fratello Alfred, annunciarono la morte di quest’ultimo con frasi non propriamente lusinghiere.

Uno su tutti scrisse: “Il mercante di morte è morto! Il dottor Alfred Nobel, che fece fortuna trovando il modo di uccidere il maggior numero di persone possibile più velocemente che mai, è morto ieri”. Alfred, profondamente turbato dal lutto e da tali parole, decise che non sarebbe passato alla storia come uno sterminatore, ma come un generoso filantropo. Nel suo testamento (firmato a Parigi il 27 novembre 1895, ndr.) decise quindi di istituire un fondo cui destinare circa il 94% dell’immensa fortuna accumulata, 31 milioni di corone svedesi». Gli interessi generati da tale fondo avrebbero dovuto finanziare dei premi da assegnare a coloro che, nel corso dell’anno precedente, avessero contribuito in modo significativo al progresso dell’umanità. Da qui i Nobel per la Fisica, la Chimica, la Medicina, la Letteratura e la Pace.

Si pensa che l’idea di quest’ultimo riconoscimento gli sia venuta da una donna di nobili origini: Bertha von Suttner, intellettuale nata a Praga nel 1843 e morta a Vienna nel 1914, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, una delle voci più autorevoli del pacifismo europeo di quegli anni. Per breve tempo segretaria di Alfred Nobel a Parigi, intrattenne con lui un fitto scambio epistolare che durò fino alla morte dell’inventore-imprenditore (leggi Un’amicizia disvelata. Carteggio (1883-1896), Moretti & Vitali). Fu la prima donna a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 1905 e la seconda a ricevere un Nobel tout court (dopo Marie Curie premiata nel 1903 per gli studi sulla radioattività, insieme a Pierre Curie ed Henri Becquerel).

L’opera più celebre di Bertha von Suttner è Giù le armi, pubblicato per la prima volta in tedesco nel 1889. Testo che vi consigliamo di leggere in questo tempo incerto dove furoreggiano le voci grosse e i nuovi Ministeri della guerra, dove tregue mal raggiunte restano appese a fili sottilissimi mentre l’esistenza di tanti/e resta segnata

Vorrei investire del

da sofferenze atroci. Il romanzo-manifesto racconta la vita di Martha Althaus, cresciuta in un ambiente aristocratico dominato da una cultura che esalta l’eroismo guerresco («che disdetta per il sesso femminile essere escluso da questa magnifica esibizione del virile sentimento dell’onore e del dovere!») e la «sopportazione» delle donne, «fiere» di sacrificare mariti e figli sull’Altare della Patria. La sua esistenza viene sconvolta da quattro grandi conflitti europei del XIX secolo: la Seconda guerra d’indipendenza italiana (1859), la Seconda guerra dello Schleswig (1864), la Guerra austro-prussiana (1866) e la Guerra franco-prussiana (1870–71). Martha si scontra giorno dopo giorno con la dura realtà: l’ansia di notizie dal campo di battaglia, la crudele perdita di persone care, i duri contraccolpi econo-

Bertha von Suttner fu la prima donna a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 1905. (Wikipedia)

mici e sociali, i racconti delle continue atrocità… Trasformandosi in una convinta pacifista, contraria al nazionalismo e al patriottismo imperanti che nascondono solo «brama di conquista» (fondò e animò diverse associazioni pacifiste in Europa).

Spedizioni in vista del bottino

Vi lasciamo con alcune frasi tratte dal libro, brutalmente attuali. «Non mi era più possibile, in quella notte, attribuire alla parola “guerra” il suo sublime significato storico, ma soltanto quello terribile di distruzione». «Perché (il soldato, ndr.) deve assalire?

Perché deve, quando nessuna sorpresa minaccia la sua patria, unicamente per sostenere le contese, l’ambizione di principi spesso stranieri, mettere

denaro, qual è il modo migliore per farlo?

a rischio le sue sostanze, la sua vita, il suo focolare, quasi si trattasse, come si dice per giustificare la guerra, di proteggere la vita, il focolare dei propri concittadini?». Le guerre – sottolinea l’intellettuale – sono «spedizioni in vista del bottino», «massacri», «macellerie spaventose». «Ma non sarebbe meglio, infinitamente meglio, non mandarli al macello, questi poveri soldati?». «Non affermate più che la guerra nobilita l’uomo! Confessate che lo snatura, lo trasforma in tigre, in demonio!».

Per quel che riguarda la visione del «nemico»: «I peggiori sentimenti, quali ad esempio desiderio di conquista, mania di azzuffarsi, crudeltà, rapacità, inganno, sono ammessi come esistenti nelle guerre, ma solo fra i nemici, la cui inferiorità morale è evidente. Prescindendo dall’inevitabilità politica della campagna intrapresa e dagli indubbi vantaggi patriottici, la vittoria è considerata come un’opera moralizzatrice, un premio dispensato dal Genio della Civiltà». Invece tutte le fazioni in lotta si macchiano di crimini orrendi: «Quali risarcimenti? Nessun generale si permetterebbe di dire oggi alle sue truppe: “Voi potete saccheggiare, violare, incendiare, uccidere”, come si faceva nel Medioevo per eccitare l’ardore delle orde guerriere. Oggi si può, tutt’al più come ricompensa, far brillare dinnanzi ai soldati la prospettiva radiosa di una più bella distribuzione di carne…». I conflitti – ripete von Suttner –fanno male a (quasi) tutti/e: «Ad eccezione dei fornitori dell’esercito, non c’è uomo d’affari a cui la guerra non abbia recato incalcolabili danni. Tutto ristagna: il lavoro nelle fabbriche, il lavoro dei campi, migliaia di uomini sono disoccupati e senza pane. Insomma, è una miseria, una miseria». «Che disgrazia che queste questioni politiche non possano essere regolate da un tribunale internazionale, invece di essere definite coi sistemi della devastazione e del massacro».

La consulenza della Banca Migros ◆ Quando si entra nel mondo degli investimenti è importante procedere con cautela I quattro punti da considerare attentamente, secondo l’esperta Barbara Russo

1. Formulare l’obiettivo d’investimento

Prima di tutto bisogna chiedersi: per cosa si vuole investire il proprio denaro? Gli obiettivi d’investimento variano a seconda della situazione di vita. Tra gli obiettivi più comuni figurano la costituzione di un patrimonio, la previdenza per la vecchiaia, il risparmio per acquisti e il fondo di emergenza. I primi due obiettivi sono investimenti a lungo termine (almeno dieci anni), mentre il risparmio mirato e la riserva per le emergenze sono investimenti a breve e medio termine.

2. Valutare i rischi

In linea di massima, più lunga è la durata dell’investimento, maggiore è il rischio che si può sostenere. Infatti le fluttuazioni di mercato a breve termine vengono compensate più facilmente nel tempo. Per gli investimenti

a lungo termine nella costituzione di un patrimonio e nella previdenza per la vecchiaia sono indicati gli investimenti orientati alla crescita, come le azioni e i fondi con un’elevata quota azionaria. Per la previdenza per la vecchiaia si consigliano inoltre i prodotti previdenziali del pilastro 3a. Per obiettivi d’investimento a breve termine, ad esempio il risparmio per l’acquisto di un’auto o per costituire un fondo di emergenza, gli investimenti sicuri come un conto di risparmio o un conto di risparmioinvestimento sono la scelta migliore.

3. Determinare l’importo

Si dovrebbe investire solo il denaro di cui si può fare a meno a lungo termine. A tal fine, è importante conoscere le proprie entrate e uscite. Un budget aiuta a farsi un’idea delle proprie finanze e a determinare un importo di risparmio realistico.

Conviene investire anche piccoli importi. La cosa fondamentale è iniziare il prima possibile. Chi, ad esempio, investe 50 franchi al mese in un fondo può accrescere notevolmente il proprio denaro nel corso del tempo, poiché i dividendi e gli interessi sul capitale investito vengono subito reinvestiti. Questo permette di ottenere un rendimento sul rendimento (effetto dell’interesse composto).

4. Diversificare

Per ridurre al minimo i rischi e ottenere un rendimento stabile, è opportuno ripartire il proprio capitale su diverse classi di asset, come azioni, obbligazioni, immobili o metalli preziosi, ossia diversificare.

I fondi a gestione attiva sono particolarmente indicati per iniziare, in quanto non richiedono una conoscenza approfondita dei mercati finanziari. Il denaro viene investito in

diverse classi di asset e in vari titoli singoli. Se un titolo non ha un andamento ottimale, può essere sostituito con altri titoli che hanno un rendimento migliore. Gestori esperti amministrano i fondi. Sono loro a decidere in quali classi di asset e titoli investire il capitale sulla base della strategia d’investimento del relativo fondo.

Investire per esordienti

La Banca Migros fornisce qui altri suggerimenti su come entrare nel mondo degli investimenti: Pubblicità di un servizio finanziario secondo la LSerFi.

Barbara Russo, consulente alla clientela della Banca Migros.

La finanza prima della politica?

Svizzera ◆ L’edificio che ospita Governo e Parlamento non ha l’onore del numero civico 1 di Piazza federale, occupato dalla BNS

Iniziamo con un interrogativo attorno a cui non ruotano di certo i destini del mondo, e nemmeno quelli del nostro Paese. Il quesito, che in verità ne raggruppa un paio d’altri, è presto detto e ci porta dritti dritti a Berna. Come mai Palazzo federale ha ricevuto il numero 3 di Piazza federale, mentre il numero 1 è stato assegnato all’edificio della Banca Nazionale Svizzera? Il primato della legittimità democratica, rappresentato in primis proprio dalla sede del Parlamento federale, non dovrebbe simbolicamente rispecchiarsi anche in un semplice numero civico? Vuol forse dire che in Svizzera l’economia e la finanza sovrastano per davvero le dinamiche e gli equilibri politici? E poi un edificio così conosciuto, come quello di Palazzo federale, ha davvero bisogno di un numero sulla sua facciata?

Nel 1848 Berna venne scelta come capitale della Confederazione e sede del Governo, del Parlamento e dell’Amministrazione

Non basterebbe pronunciarne il nome, «Bundeshaus», per permettere a questo Palazzo di essere subito riconosciuto, anche per quanto riguarda la toponomastica stradale? Domande a cui non è semplice dare una risposta univoca e immediata, in particolare perché la ragioni che hanno portato Palazzo federale ad avere, e forse anche ad accontentarsi, del numero civico 3 sono molteplici e di diversa natura. C’è di mezzo la storia e con essa le dinamiche urbanistiche di una città che all’improvviso si era ritrovata, correva l’anno 1848, ad essere la capitale del Paese. Ma ci sono anche motivi di semplice inerzia burocratica a spiegare le stranezze dei numeri civici di Piazza federale.

Prima c’era l’Inselspital

Ma andiamo con ordine e iniziamo con una data che ci porta lontano nel tempo, il 1531. In quell’anno, nel luogo in cui oggi sorge l’ala occidentale di Palazzo federale, un antico monastero domenicano venne trasformato in un istituto di cura, che verrà chiamato Inselspital, lo stesso nome che si usa ancora oggi per l’ospedale universitario cittadino, che si trova da tempo in un altro quartiere della capitale. Anche la strada che permetteva di accedere a quell’antico ospizio prenderà lo stesso nome, nacque così la Inselgasse, il vicolo dell’isola, termine che rimandava ad un piccolo isolotto che allora emergeva dalle acque del fiume Aare. Facciamo ora un salto di tre secoli, per approdare al 1848, anno in cui nacque la Svizzera moderna così come la conosciamo oggi. Berna venne scelta come capitale della Confederazione e sede del Governo, del Parlamento e dell’Amministrazione federale. C’era però un problema che oggi chiameremmo logistico: la città mancava completamente degli edifici pronti a ospitare queste tre istituzioni, che negli anni successivi vennero alloggiate qua e là in alcuni degli stabili più rappresentativi della città. Lo Stato federale era nato ma la sua capitale era ancora tutta da modellare. I lavori per la costruzione di Palazzo federale vennero iniziati nel 1894 e si conclusero otto anni più tardi. L’edificio sorse su per giù dove un tempo si trovava l’Insel-

spital e lungo quella che si chiamava ancora Inselgasse. Il primo indirizzo del Bundeshaus fu dunque «Inselgasse 15». E questo perché la Piazza federale non esisteva ancora, sarebbe sorta grazie al successivo abbattimento di uno stabile che in quegli anni si trovava proprio di fronte alle Camere federali.

Ecco il perché del numero 3

Venne così a crearsi un nuovo spazio nell’urbanistica della città, un luogo che le autorità di allora decisero di non più edificare: nacque così Piazza federale e il primo stabile ad essere costruito attorno a quel piazzale fu proprio la sede della Banca nazionale, a cui fu assegnato il numero civico 1. Era il 1909. A partire da allora il «Vicolo dell’isola» cambiò nome un paio di volte, dapprima venne ribattezzato Theodor-Kochergasse e poi Kochergasse. Con Palazzo federale a dover modificare il proprio indirizzo, legato a filo doppio a quella via che gli scorreva davanti e che lo separava di qualche metro da Piazza federale. Arriviamo così all’inizio degli anni ’70 quando la città di Berna decise di rivedere le regole per l’assegnazione dei numeri civici.

Va detto che la Piazza federale di allora era utilizzata soprattutto come parcheggio, e questo fino all’inizio degli anni Duemila

Fu in quel momento che a qualcuno, probabilmente ad un funzionario dell’amministrazione cittadina di cui non si è mai saputo il nome, venne l’idea di assegnare a Palazzo federale un nuovo indirizzo. Il numero 1 era però già occupato da più di 60 anni, così come il 2, che divenne fino a un paio di anni fa la storica sede bernese del Credit Suisse. Il Bundehaus dovette così accontentarsi del numero 3, cifra che fa ancora oggi bella mostra di sé su una delle colonne frontali dell’edificio. Per inciso va detto che la Piazza federale di allora era utilizzata soprattutto come parcheggio, e que-

sto fino all’inizio degli anni Duemila. Oggi è in gran parte pedonalizzata e abbellita da una serie di getti d’acqua ad intermittenza. A quanto pare i

numeri civici potrebbero anche essere scambiati, tra Banca Nazionale e Parlamento federale. Il regolamento cittadino non lo impedirebbe, anche se,

stando a fonti di stampa svizzero-tedesche, la Banca Nazionale farebbe un po’ fatica a separarsi dal suo numero 1, che detiene da quasi 120 anni.

Più spazio ai turisti

I servizi del Parlamento stanno comunque guardando con grande interesse all‘edificio che porta il numero 2, l’ormai ex sede del Credit Suisse, che si trova proprio di fronte a Palazzo federale e che è stata dismessa con il passaggio della banca nelle mani di UBS. Uno stabile in cui si sta pianificando la creazione di un nuovo centro di accoglienza per le persone che desiderano visitare Palazzo federale, un progetto già approvato dal Consiglio nazionale. E questo perché il Bundeshaus riscuote parecchio successo a livello turistico, ogni anno più di centomila persone decidono di visitarlo. E non di rado all’esterno dell’edificio si creano colonne e lunghi tempi di attesa, anche a causa delle nuove esigenze in materia di sicurezza. Se questo progetto dovesse andare in porto, Palazzo federale acquisirebbe così anche il numero 2 della Piazza. E chissà, magari l’apertura di questo nuovo «visitors center» potrebbe anche portare ad un ripensamento nell’assegnazione dei numeri civici. E aggiungere un nuovo capitolo a questa lunga storia bernese ma, in fondo, anche molto svizzera.

A sinistra l’edificio della Banca Nazionale; a destra Palazzo federale. (Wikipedia)

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Il Mercato e la Piazza

Crescita, decrescita o stabilizzazione?

Ho studiato economia nei primi anni

Sessanta dello scorso secolo. La nostra generazione era quella nata durante la Seconda guerra mondiale e portava ancora vivo il ricordo delle difficoltà conosciute dalla nostra popolazione negli anni della crisi mondiale degli anni Trenta. Allora eravamo tutti convinti – studenti come professori – che, a livello mondiale, con un tasso annuale di crescita reale del prodotto nazionale del 5% e con una generosa politica redistributiva si sarebbero potuti risolvere, in breve tempo, i problemi degli squilibri nello sviluppo e della povertà in pochi anni. Poi venne, all’inizio degli anni Settanta, il rapporto sui limiti della crescita del Club di Roma: una vera doccia fredda per entusiasti della crescita economica quali eravamo noi. Oggi siamo arrivati all’altro opposto della catena argomentativa: la crescita economica esponenziale

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è diventata una minaccia maggiore. Essa determina, a livello mondiale, un continuo aumento della temperatura il che può avere conseguenze catastrofiche. Stando agli esperti, un aumento della temperatura di tre gradi, rispetto al livello della società preindustriale (1850-1900) determinerebbe eventi climatici estremi più frequenti e intensi (ondate di calore, siccità, inondazioni e tempeste) e un grave impatto sugli ecosistemi, con perdita di biodiversità e acidificazione degli oceani. Vi sarebbero inoltre gravi ripercussioni socio-economiche, come la diminuzione della disponibilità di cibo, acqua e un aumento dei rischi per la salute e delle migrazioni forzate. Così, se vogliamo salvare il mondo, ci dicono molti di loro, dovremmo essere capaci di arrestare la crescita con il suo enorme consumo di risorse, di energia e la sua,

altrettanto enorme, produzione di scarti, rifiuti e immissioni pericolose. La stabilizzazione, o addirittura la decrescita, come opzioni alternative alla crescita esponenziale attuale, sono scenari che stanno trovando un sostegno sempre maggiore anche in Svizzera. Già oggi, gli oppositori alla crescita economica sono in grado di proporre iniziative costituzionali, con divieti e limiti, e di farle approvare. Contro la crescita sono, a sinistra, i partiti ecologisti ma anche un’importante frangia della socialdemocrazia. A destra troviamo l’UDC e altri movimenti nazionalisti che si schierano da anni contro l’immigrazione e quindi, di fatto, che lo vogliano o no, si oppongono ad un’ulteriore crescita dell’economia. Attualmente, a livello politico, la discussione si concentra soprattutto sui vantaggi e gli svantaggi delle misure previste dall’ini-

Gli estremisti restano il problema

Ma è vera pace, quella firmata a Sharm el-Sheik? Che pace è, quella firmata senza i nemici che si sono combattuti aspramente per due anni? Né Israele né Hamas erano rappresentati. Netanyahu è rimasto a casa dopo che Erdogan aveva detto: o me o lui. I capi di Hamas che avevano progettato il 7 ottobre, da Sinwar a Haniyeh, sono tutti morti; i loro successori sono divisi tra chi vorrebbe conservare le armi, riprendere il controllo militare della Striscia, ammazzare gli oppositori interni e ricominciare il prima possibile ad attaccare Israele, e chi è disposto a rispettare il piano di Trump, con l’obiettivo di diventare una forza politica. Un po’ quello che hanno fatto l’Ira in Irlanda e l’Eta nei Paesi baschi.

Intendiamoci: la tregua a Gaza e in Medio Oriente è la benvenuta. Per trasformarla in pace, occorre individuare il motivo per cui si era giunti a questo punto: la prevalenza degli estremisti,

Zig-Zag

Hamas e il Governo Netanyahu, nei due campi. Anche al loro interno, gli estremisti sono divisi tra realisti e radicali. Hamas non è stata distrutta, né poteva esserlo, visto che i nuovi capi non vivono tra le macerie di Gaza ma in hotel a Doha. E, come detto, sono divisi tra un’ala disposta a deporre le armi, come fece Fatah nel 1990 prima degli accordi di Oslo, e l’ala militare che intende continuare a combattere e che sta regolando i conti con i clan palestinesi ribelli.

Sull’altro campo, i ministri Ben Gvir e Smotrich, i leader dei religiosi ortodossi e del movimento dei coloni, sono contrarissimi all’accordo. Trump l’ha ottenuto imponendo a Netanyahu di scusarsi con il Qatar, e minacciando Hamas di unirsi all’esercito israeliano, come già aveva fatto bombardando l’Iran, per spianare definitivamente la Striscia. Ora al posto di Hamas Trump vuole insediare un «board». Lo chiama

proprio così: un consiglio d’amministrazione, appaltato alle petromonarchie del Golfo. Certo meno peggio degli oltranzisti islamici; ma non una democrazia. Prove tecniche di neocolonialismo. Funzionerà? Qualche dubbio è lecito. Quello che è accaduto a Gaza non sarà cancellato da un tratto di penna. Anche chi, come me, ha sempre difeso lo Stato di Israele, deve riconoscere che quello che Israele ha fatto a Gaza è indifendibile. Qualcuno dice che i media sono troppo morbidi con Israele. Altri dicono il contrario, che con Israele sono troppo severi. Il punto è un altro: così come la morte di un cittadino israeliano fa notizia sui giornali dell’Occidente, allo stesso modo fa notizia una morte provocata dagli israeliani. Siamo più severi con Israele di quanto siamo stati, ad esempio, con il regime siriano di Assad? Certo. Perché Israele è una democrazia, perché gli ebrei sono i no-

«Chi giuoca di capriccio, paga di borsa»

Aumento dei premi delle casse malati, politica sanitaria cantonale messa a nudo, editoriali, prese di posizione e dichiarazioni a non finire che si intrecciano per commentare l’aggravarsi della situazione: i due referendum accettati a fine settembre ci hanno recapitato la fattura di decenni di scelte e tagli non effettuati, di deficit sanitari snobbati, di sovvenzioni irragionevoli sempre infilati sotto il largo tappeto dell’ignavia e del permessivismo. Come se non bastasse, passati due giorni, arriva anche il rosso profondo del Preventivo dello Stato, simile a un coperchio calato sulle teste di tutti noi a conferma che bollitura e tracimazione dei deficit cantonali e comunali sono in corso.

Ho cercato a lungo un modo semplice e chiaro per commentare questa intricata situazione. Dapprima ero tentato di seguire un titolo apparso

su un giornale svizzero-tedesco («C’è nebbia fitta nella “Sonnenstube”»), ma mi sono reso conto che avrei finito per sottolineare più lo stupore dei confederati che non quanto sta capitando da noi. Passando in rassegna editoriali e commenti sui media, la scelta è finalmente caduta su un fotomontaggio presentato dal «Corriere del Ticino» due giorni dopo la votazione. Merita un elogio chi lo ha proposto perché, a mio parere, risulta più efficace di tante parole e immagini nel rappresentare il mishmash politico che stiamo vivendo. Breve rievocazione di quell’affresco fotografico: in casa della Lega per salutare la vittoria del suo referendum si elevano i calici, mentre a salutare il «sì» delle sinistre c’è un pugno chiuso. Ovviamente a guidare il brindisi e a mostrare il pugno ci sono i due promotori dei referendum: il coordinatore della Lega e il co-presidente del Ps. Il

ziativa con la quale l’UDC vuole limitare la crescita della popolazione a livello nazionale. Aggiungiamo ancora che, oltre agli schieramenti partitici, contro la crescita operano molte organizzazioni come, per non citarne che una, l’associazione Degrowth Schweiz che, dal 2018, si impegna in favore di una società socialmente giusta e indipendente dalla crescita.

A questo punto è forse utile ricordare che la decrescita, che comporterebbe una riduzione importante del benessere materiale e, con molta probabilità, un aumento delle disparità nella distribuzione di reddito e ricchezza, non è l’unica via d’uscita. In un libro uscito quest’anno, dal titolo La società esponenziale, il sociologo tedesco Emanuel Deutschmann, propone come alternativa alla crescita la stabilizzazione, ossia una situazione nella quale i molti fenomeni che oggi cre-

scono in modo esponenziale, come popolazione, prodotto interno lordo, volumi del traffico veicolare consumo di energia, informazione, progresso tecnico e altri, smettono di crescere limitando così i rischi connessi al cambiamento climatico. Deutschmann è convinto che quello della stabilizzazione a livello mondiale è uno scenario praticabile. Altri la pensano differentemente. Per esempio per Mathias Binswanger, un professore di economia svizzero, molto attento ai problemi ecologici, questa alternativa sarebbe impossibile. Egli pensa che il sistema economico nel quale viviamo non può fare a meno della crescita. In un libro uscito nel 2019, Binswanger ha dimostrato che, nel sistema capitalista, a causa della continua accumulazione di capitale, la crescita è inevitabile. Anche se non aggiunge nulla alla gioia di vivere o alla felicità degli esseri umani.

stri fratelli maggiori (lo diceva Giovanni Paolo II), perché sono ebrei gli scrittori, gli intellettuali, gli artisti, i filosofi che hanno forgiato il nostro immaginario, da Kafka a Marx, da Einstein a Freud, da Primo Levi a Edith Bruck. Perché la mia generazione ha sempre avuto un forte legame anche sentimentale con Israele, nato nel 1948 per volontà dell’Occidente, facendo pagare ai palestinesi il prezzo di quello che gli europei – i tedeschi per primi, con il volenteroso aiuto di altri, compresi molti italiani – avevano fatto al popolo ebraico. Per questo le immagini dei bambini uccisi, dei morti di fame ci hanno straziato il cuore. È una carneficina che andava assolutamente fermata, e chi ama Israele aveva un dovere in più di tentare di fermarla, perché l’odio che Netanyahu ha seminato nel mondo arabo e nel pianeta durerà generazioni e sarà un disastro per il popolo di Israele.

Per questo alla fine Trump si è mosso proprio nell’interesse di Israele. Per quanto il suo stile sia detestabile, questo suo parlare sempre di soldi sia fastidioso, il modo paternalista con cui in Egitto ha fatto l’appello delle Nazioni del mondo – «dov’è il Regno Unito? Dov’è la Spagna?» – sia incredibilmente sfacciato, alla fine senza Trump la tregua non sarebbe arrivata. L’onestà intellettuale ci impone di riconoscerlo. La strategia del «madman», del pazzo imprevedibile cui nessuno osa dire di no, ha pagato più dei tentennamenti di Biden. L’immobiliarista Witkoff è riuscito dove il diplomatico Blinken aveva fallito. Ora vedremo se Trump avrà la statura di trasformare il cessate-il-fuoco in una pace duratura. La quale non potrà prescindere dalla nascita di uno Stato palestinese, che a sua volta è legata all’emergere di nuove leadership meno estremiste: sia tra i palestinesi, sia tra gli israeliani.

fotomontaggio mi è tornato in mente e si è perfezionato qualche giorno dopo mentre faccio benzina. Nella mente mi balena una possibile analogia fra un errore capitatomi anni fa e l’ormai cronico laisser aller della politica tradizionale che trascura il manipolo intento a versare gasolio nel serbatoio e si disinteressa anche del gruppo che lo riempie con benzina super. Anche chi non guida sa che una simile miscela può diventare micidiale dato che – dicono i meccanici – accendendo il motore il gasolio ostruirà gli iniettori incrostando le candele e depositandosi nel catalizzatore. Non sono forse gli stessi danni che rischia di registrare anche il Governo, trovando nel proprio serbatoio il diesel del referendum delle sinistre e la super di quello leghista? E rischiano di diventare anche irreparabili, soprattutto se si avvierà il motore (e la presentazione del Pre-

ventivo lo fa temere) senza prima preoccuparsi di svuotare e pulire il serbatoio (vale a dire di finalmente individuare e effettuare i necessari tagli in ambito di politica sanitaria).

A pesare c’è poi un’altra componente: i referendum impongono al Cantone e ai Comuni uscite annuali fisse, condizione ardua da gestire senza causare frizioni all’interno dei rispettivi schieramenti «tradizionali». Così si arriva al nodo più complicato dei colloqui fra Governo e referendisti: questi ultimi non soltanto possono democraticamente pretendere l’attuazione di scelte politiche già respinte o mai avallate da Governo e Gran consiglio, ma si sentono ormai legittimati, come schieramenti «sciolti», a proseguire le prove tecniche per inserire il Ticino in un’epoca neopopulista. Mi resta poco spazio e per le conclusioni dall’automobile salgo su un

battellino ceresiano, lo stesso con cui ogni sabato un collega traghetta i suoi lettori attraverso attualità e politica ticinesi. Da sgamato nocchiere aveva presagito questa crisi, abbozzando persino un richiamo alla vigilia del voto («larghe fasce di popolazione esasperate potrebbero usare la scheda di voto come un forcone rusticano»). Così ho pensato a un regalino, una targa da appendere «qualunquemente» a babordo o a tribordo del suo natante. Reca una scritta trovata su Semplici verità ai Ticinesi, libro che riprendo ogni volta che sul Ticino incombono temporali finanziari. L’autore Stefano Franscini in una nota evoca l’antico proverbio «Chi giuoca di capriccio, paga di borsa». Un monito sempre valido: pagheremo di borsa per l’infantilismo politico di chi a destra e a sinistra giuoca di capriccio contro un consociativismo sempre più fatiscente.

di Ovidio Biffi
di Aldo Cazzullo

È il momento delle crostate

CULTURA

Chiasso omaggia Tenchio

Al m.a.x. Museo di Chiasso in mostra le stampe grafiche del maestro italiano Angelo Tenchio

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Il ricco programma del Foce Concerti, incontri e teatro e una serata per i Camillas, in particolare per l’indimenticato Mirko/Zagor

Pagina 23

La fotografia da salvare Zirpoli invita a creare più archivi per preservare un sapere fatto di gesti, paesaggi e comunità

Pagina 25

Beato Angelico, eccelso miniaturista

Ritratti di libertà Dalla giovinezza sognante di Gigi alla maturità disillusa di Renée, torna in libreria Colette

Pagina 29

Mostre ◆ Firenze omaggia l’immenso frate artista morto nel 1455 con un’esposizione curata da Carl Brandon Strehlke

Greco

«Era un pittore talentuoso che si è dedicato anche alla miniatura, oppure un miniaturista eccelso che scelse di diventare pittore?»

Un interrogativo cruciale tra i tanti che ancora si pongono gli studiosi che indagano i misteri della vita e le opere di Fra’ Giovanni da Fiesole, nato con il nome di Guido di Piero intorno a 1395 e morto a Roma nel 1455, protagonista della splendida mostra Beato Angelico da poco inaugurata a Firenze tra Palazzo Strozzi e il Museo di San Marco, a cura di Carl Brandon Strehlke del Philadelphia Museum of Art, con Stefano Cascìu, direttore regionale Musei Nazionali e Angelo Tartuferi già direttore del Museo di San Marco.

Nella grande, doppia mostra fiorentina sono esposti oltre 140 tra disegni, dipinti, miniature e sculture

In mostra 140 opere tra dipinti, disegni, miniature e sculture provenienti da settanta chiese, musei e collezionisti privati, sia italiani sia stranieri. Dopo la grande monografica dedicata a Beato Angelico nel 1955 questa mostra, frutto di oltre quattro anni di preparazione, ha reso possibili dei restauri insperati; indagini scientifiche su molte opere esposte e la ricomposizione per l’occasione di famose pale d’altare, come quella spettacolare di San Marco (1438) smembrata in diciotto pezzi, andati dispersi quasi trecento anni fa. Una Mostra che resterà una pietra miliare per la conoscenza di questo pittore fiorentino, maestro del tardogotico, che seppe aprirsi alla rivoluzione degli stili, della luce e dello spazio del Rinascimento sulle orme di Masaccio, lezione che fece sua in modo inimitabile.

Soprannominato Angelico subito dopo la sua morte, il frate pittore domenicano che il Vasari ricorda di «grande modestia e vita religiosa», è vissuto nel Convento di Fiesole e poi in San Marco, emblema della sua spiritualità, dove la mostra inizia con le opere dei suoi esordi in dialogo con quelle di Lorenzo Monaco, Ghiberti, Masaccio, artisti suoi contemporanei. Spicca su tutte il grande tabernacolo dei Linaioli dalla cornice marmorea del Ghiberti, che racchiude una Maestà e dodici angeli musicanti e i santi evangelisti, in un elaborato insieme di colori e di delicatezza cesellata nell’oro dei tendaggi dello sfondo, opera con la quale il venticinquenne Fra’ Giovanni rivela a tutti il suo talento e la sua fantasia.

In un’altra sala sono esposti i suoi codici miniati con eleganti florilegi disseminati di scene e figure raffinate e di grande espressività. Tra i capolavori del convento ci sono gli affreschi: l’impressionante Crocifissione nella sa-

la del Capitolo; al primo piano la bella Annunciazione e quelli delle quarantaquattro celle dei frati che Angelico eseguì su incarico di Cosimo de’ Medici, grande mecenate di San Marco. È a Palazzo Strozzi che la mostra diventa una sfavillante sinfonia di luce e colori: quei rosa accesi e quegli azzurri profondi con l’oro che li illumina, mentre la prospettiva scopre panorami e personaggi sempre nuovi.

Ecco le opere più celebri di Angelico, quelle che raccontano l’evoluzione del suo stile, il suo successo, la sua maturità, allestite cronologicamente in otto sale, da quella dedicata alla Chiesa di Santa Trinità e al ricco mecenatismo fiorentino del primo Quattrocento, al quale seguì quello Mediceo. Qui vediamo a confronto le opere di Gentile da Fabriano, Lorenzo Monaco e Angelico che realizza la Deposizione commissionata dagli Strozzi: «Non solo un

capolavoro di composizione e intensità emotiva – ci ha raccontato Carl Brandon Strehlke – È la testimonianza diretta del connubio tra arte e devozione familiare: gli Strozzi vi sono raffigurati in abiti dell’epoca mescolati ai santi come se il tempo si annullasse». Nella seconda sala dedicata al Nuovo Linguaggio un Angelico sempre più richiesto da chiese e conventi, coniuga nelle sue opere tradizione e innovazione portando nella pittura religiosa una spiritualità sobria e potente, ma colma di simboli. È il tema della Madonna dell’Umiltà quello che meglio lo rappresenta, e secondo Strelhke la Madonna delle collezioni Thyssen – Bornemisza è una delle più belle: «Tutto è perfetto – ci spiega – il colore, la luce, la delicatezza del volto, il dettaglio del vaso con il giglio che Maria tiene in mano. È una sintesi di bellezza spirituale e tecnica pittorica».

Caratteristiche dell’arte di Angelico che fanno sì che pur seguendo il percorso della mostra ci si perda rapiti davanti ai suoi angeli dalle ali intessute di luce dorata; alle sue Madonne dall’eterna gioventù; alle sue Annunciazioni, pale meravigliose, sempre diverse nella concezione e uguali negli incarnati eterei, nella grazia dei gesti e degli sguardi; si rimane incantati dalle sue Maestà colme di pudore e di affetto con quegli infanti stretti al seno; e colpiti dall’umanità che traspare potente dai suoi personaggi, come nella tavola Cristo come Re dei Re, in cui il volto di Cristo trasuda sofferenza e gli occhi arrossati ci fissano con uno sguardo di infinito dolore.

Elsa Morante nel 1970 intitolò il suo saggio su Guido di Piero: Il Beato propagandista del Paradiso, un’azzeccata descrizione della spiritualità intrisa di emozione e di bellezza di Angeli-

co, quasi una promessa di grazia e di salvezza che conquistò i Medici, committenti anche dell’opera che chiude la mostra: la decorazione dell’Armadio degli Argenti (1450), gli ex-voto della Santissima Annunziata. Tre ante sulle quali Angelico rappresentò in stile miniatura le scene della vita di Cristo come fossero fotogrammi di un’unica lunga sequenza, ricca di colori, episodi e personaggi, sottotitolate da un cartiglio dipinto che cita i Vangeli. Una sorta di fantastico epilogo della sua arte.

Dove e quando

Beato Angelico, Firenze. Palazzo Strozzi, orari: tutti i giorni 10.00-20.00; giovedì fino alle 23.00. Museo di San Marco, orari: ma-do 8.30-13.50. Chiuso 1° gennaio e 25 dicembre. Fino al 25 gennaio 2026. www.palazzostrozzi.org; www.museitoscana.cultura.gov.it

Beato Angelico, Pala di San Marco: predella Guarigione del diacono Giustiniano (Miracolo della gamba nera). Tempera e oro su tavola cm 37 × 45. (Firenze, Museo di San Marco, inv. 1890, n. 8495. Photo credits: Su concessione del Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei nazionali Toscana – Museo di San Marco)
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Angelo Tenchio, tra rigore e visionarietà

Mostre ◆ Lo Spazio Officina di Chiasso ospita la prima mostra dedicata alle stampe grafiche del maestro italiano Alessia Brughera

Sebbene di carattere introverso e riservato, Angelo Tenchio è sempre stato un uomo desideroso di conoscere e di sperimentare, aperto al dialogo e al confronto con tutte le figure del mondo dell’arte. Scultore, incisore e pittore, per quanto il suo percorso creativo sia stato piuttosto breve, interrotto dalla sua improvvisa scomparsa nel 1994 quando era poco più che cinquantenne, egli è riuscito a dar prova di una grande padronanza delle tecniche artistiche e della capacità di creare attorno a sé un ambiente culturalmente vivace, dove la collaborazione e lo scambio di idee erano fondamentali. Il suo atelier situato in Borgovico a Como, infatti, è stato per più di due decenni uno spazio di incontro per artisti, galleristi, studenti, critici e collezionisti italiani e svizzeri: un luogo in cui l’affabile Tenchio riceveva a ritmo continuo le visite di coloro che spartivano con lui un profondo interesse per l’arte, proprio negli anni in cui il territorio lariano stava vivendo uno dei suoi periodi creativamente più intensi. Nel suo studio Tenchio aveva allestito un laboratorio di incisione e di stampa calcografica diventato in poco tempo il punto di riferimento per molti colleghi che trovavano nell’artista un raffinato interlocutore in grado di interpretare al meglio le loro esigenze. A dimostrazione di ciò basti pensare che da questo atelier sono passati alcuni dei più importanti au-

tori comaschi e ticinesi: dai maestri dell’astrattismo quali Mario Radice, Carla Badiali e Aldo Galli, a figure quali Giuliano Collina, Giorgio Bellandi, Gianriccardo Piccoli, Max Huber, Fiorenza Bassetti, Paolo Bellini, Marco Mucha e Italo Valenti, solo per citarne alcuni.

Ad Angelo Tenchio incisore lo Spazio Officina di Chiasso dedica una rassegna, a cura di Roberto Borghi e Nicoletta Ossanna Cavadini, che ripercorre i venticinque anni dell’attività grafica dell’artista comasco, evidenziandone i caratteri salienti a partire dagli esiti iniziali di stampo accademico fino ad arrivare a quelli degli anni Novanta. Si tratta di lavori che fanno parte del nucleo di opere donato dalla signora Elvira Tenchio e dalle sue figlie Carlotta e Camilla agli Archivi del m.a.x. museo e che danno vita a un affascinante itinerario in cui le cartelle grafiche e le tirature singole di incisioni, affiancate dalle relative matrici in rame e zinco, documentano bene la versatilità espressiva dell’artista, in uno stretto colloquio tra pensiero e prassi.

Nato artisticamente come scultore, Tenchio coltiva la passione per l’incisione sin dai tempi degli studi all’Accademia di Brera a Milano, arrivando poi a farla prevalere come declinazione dell’atto scultoreo stesso. Quanto nella produzione di Tenchio arte plastica e grafica siano strettamente le-

gate tra loro, nel segno comune di una profonda sperimentazione della materia, è testimoniato dalle due monumentali opere lignee dei primi anni Novanta, intitolate totem T e totem P, che fungono da portale d’ingresso alla mostra. Una scelta, questa, che, oltre ad accogliere lo sguardo del visitatore per incanalarlo nelle sale espositive, manifesta la connessione tra i due linguaggi attraverso cui Tenchio si è espresso con la medesima artigianalità creativa. Per l’artista, infatti, la grafica aveva lo stesso valore concettuale della scultura, e, anzi, quando le sue in-

Una sferzata di collagene per ossa e muscoli

cisioni, a partire dalla metà degli anni Ottanta, hanno avuto come soggetto prediletto proprio i lavori plastici, esse li hanno completamente reiventati catapultandoli in una nuova dimensione di sogno e di enigmaticità.

Della nutrita raccolta di lavori presentata nella rassegna chiassese colpisce l’attitudine di Tenchio alla sperimentazione di diverse tecniche, come l’acquatina, la ceramolle, la puntasecca e l’acquaforte, quest’ultima la preferita per i suoi più marcati effetti pittorici. Emerge altresì in maniera molto evidente quella visionarietà che percorre come un filo rosso tutta la produzione grafica dell’artista. D’altra parte è stato lo stesso Tenchio ad aver sottolineato come l’incisione sia stata per lui una procedura «misteriosa e ricca di infinite possibilità».

La modernità dell’opera dell’artista scaturisce così dalle sue originali scelte di metodo, che indagano incessantemente le potenzialità del segno e del colore, e dalla sua abilità nel far coesistere concretezza e fantasia, meticolosità e spirito allusivo, elaborando forme ancestrali che, a dispetto del virtuosismo tecnico e dell’accuratezza con cui sono state realizzate, racchiudono una forte tensione lirica.

La carica evocativa che permea le grafiche di Tenchio deve molto ad Alberto Giacometti, del quale l’artista comasco apprezza in particolar modo il periodo iniziale improntato al sur-

realismo onirico; la capacità di sintesi della struttura dell’opera, invece, trova il suo punto di riferimento nella ricerca di Fausto Melotti. Di particolare interesse, in mostra, sono poi alcuni taccuini provenienti dall’archivio di famiglia che permettono di conoscere meglio l’artista sia dal punto di vista professionale sia da quello personale. A questi «libriccini» Tenchio, difatti, non affida solo le sue riflessioni artistiche ma anche i suoi pensieri sull’esistenza, le sue passioni e le sue esperienze, come il viaggio in Mali, che ha avuto grande influenza sull’ultima produzione dell’inizio degli anni Novanta.

A suggellare il ruolo di Tenchio quale ricercato stampatore e più in generale quale figura fondamentale della vita culturale comasca è la sezione dedicata agli artisti che hanno eseguito incisioni grafiche nel suo atelier; in quello stesso studio dove hanno preso forma idee e progetti in una raffinata sinergia d’intenti e dove per lo schivo Tenchio arte e vita sono state un tutt’uno.

Dove e quando Angelo Tenchio (1943-1994) fra arte e grafica. Spazio Officina, Chiasso. Fino al 30 novembre 2025. Orari: ma-ve 14-18; sa, do e festivi 10 -12/14-18. www.centroculturalechiasso.ch

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Foce, la casa di tutti

Appuntamenti ◆ È stata presentata recentemente la nuova stagione del Foce di Lugano

La freschezza degli intenti traspariva già nel corso della conferenza stampa avvenuta qualche settimana fa in Via Foce a Lugano. Non i classici interventi frontali degli addetti ai lavori alternati a quelli dei rappresentanti politici, bensì luci basse in sala, con una serie di tavolini rotondi attorno ai quali si riconoscevano protagoniste e protagonisti della scena culturale locale. Ai video di presentazione realizzati per raccontare rassegne e leitmotiv della stagione da poco iniziata, si sono alternate brevi interviste a organizzatori e organizzatrici culturali e ad artiste e artisti, restituendo alla stampa il ritratto di una scena culturale non solo vivace, ma anche in fieri, decisa a diventare urban nel vero senso della parola.

A qualche giorno di distanza ne abbiamo parlato nuovamente proprio con Michela, Ilenia e Filippo, responsabili dell’organizzazione e del coordinamento della programmazione al Foce e con Manuela, addetta alla comunicazione, tutte figure della Divisione eventi e congressi della Città di Lugano. Al Foce si inserisce un processo sinergico avviato oltre trent’anni fa, con la nascita dell’Ufficio Attività Giovanili (oggi Divisione eventi e congressi), e, per la scena musicale, ampliato grazie alla creazione della sala concerti dello Studio Foce, sorta dopo la chiusura della storica sala Metrò in via Brentani. Oggi il Foce rappresenta una realtà variegata e complementare al LAC, al Palazzo dei Congressi e ad altri spazi, di riconosciuto valore per il territorio e pensata come una casa aperta a tutti. È per questo che il Foce di Lugano non è solo sede di spettacoli, ma può essere vissuto anche come sala di studio o di lettura, spazio in cui pranzare, in cui suonare un brano al pianoforte arrivato da poco, o luogo di ritrovo per praticare hobby come i giochi da tavola (come succede il venerdì sera) o il ballo. Negli anni, il Foce è diventato punto di riferimento anche per molte scuole, private e non, e per le scuole di teatro

locali, come il MAT e il Teatro d’Emergenza, che vi organizzano i propri saggi. Le compagnie teatrali del territorio trovano inoltre nel Foce spazio per presentare le loro nuove produzioni nella ormai consolidata rassegna Home. Fra le numerose collaborazioni previste questa stagione, quella con Lugano Animation Days, il FIT o il Festival delle Marionette di Michel Poletti. Recentemente, in occasione del Festival di Teatro FIT, l’Associazione

La Soleggiata, si è occupata di allestire gli spazi esterni e di organizzare un pop up bar, trasformandoli in un luogo di incontro che ha riscosso un successo inatteso e dando vita così al primo appuntamento della cosiddetta «Zona Franca».

La poliedricità di questo centro culturale e aggregativo si riassume nel suo stesso mandato, ribadito a più riprese dai quattro attori culturali: da quel «siamo un po’ i custodi di casa che aprono le porte agli altri», all’accoglienza vissuta a tutti gli effetti. Più che il budget, il grande atout del Foce è lo spazio di cui dispone, che in fondo appartiene a tutti, e spinge il suo team a chiedersi costantemente quale sia il modo migliore per sostenere le realtà presenti sul territorio.

È per questo che è nato il progetto Random, dal desiderio di aiutare i giovani a organizzare eventi aperti al pubblico, che si tratti di una festa o del concerto di un collettivo. Il Foce, oltre a mettere a disposizione gli spazi, offre anche un supporto tecnico e logistico per la realizzazione della serata e garantisce le attività di promozione dell’evento, in quella che viene definita «propedeutica di imprenditoria». Questa attività ha portato naturalmente alla nascita di una rete di contatti soprattutto tra i vari collettivi, che spaziano dal reggae all’hip hop, passando per rock e metal.

La più conosciuta tra le rassegne del Foce, Raclette, è oggi più viva che mai. Il suo nome, ispirato all’idea di una «bella cena tra amici, in cui si condivide il tempo», racchiude lo spirito di incontro e apertura che la anima. Nel corso degli anni ha accolto sul palco luganese numerosi artisti quando ancora erano meno noti come Lucio Corsi (che tornerà a gennaio), Brunori Sas, Calcutta o Paolo Benvegnù, e che nella stagione da poco iniziata, ospiterà fra gli altri i Peter Kernel in occasione del loro ventesimo anniversario e una serata dedicata a Mirko Bertuccioli con i Crema (v. articolo a lato).

Per il programma completo foce.ch

Surreali, giocosi e autentici

Incontri ◆ A colloquio con l’ex Camillas (ora Crema) Vittorio Ondedei

L’offerta del Foce è a 360 gradi: dalla musica al teatro, passando per il ballo e il cinema, non resta che scegliere. Una serata, però, e lo dice il programma stesso, è «speciale», perché dedicata a un personaggio fuori dagli schemi, divertente, e che non si può o deve dimenticare. Il 31 gennaio 2026, infatti, si ricorderà il mitico Mirko Bertuccioli/Zagor Camillas, pilastro, appunto, dei Camillas. Ne abbiamo parlato con un altro membro della band pesarese, non sapendo quale dei tre alter ego ci avrebbe risposto al telefono: Vittorio Ondedei, Topazio Perlini o Ruben Camillas? In realtà ci hanno risposto nessuno e tutti insieme, riuniti nelle parole di un interlocutore attento, riflessivo, ma anche giocoso, leggero e gradevole.

Vittorio Ondedei, come avete fatto a ritrovare la gioia dopo la morte di Mirko, figura tanto importante dei Camillas?

Dopo il Covid ci siamo ritrovati a non essere più in quattro, ma non era una questione di quantità: con la scomparsa di Mirko per noi era chiaro che i Camillas non sarebbero stati più. Al di là del dolore umano – che quello rimane – c’era anche il lato artistico professionale, e lì ho capito che bisognava tenere Mirko acceso Perché Mirko era quello che accendeva le situazioni, che faceva succedere le cose. Siamo andati avanti per più di un anno senza un nome, anzi, lo cambiavamo a ogni concerto, un giorno eravamo i Johnny, quello dopo i Penny: non sapevamo più chi eravamo. Alla fine, quello che ho imparato è che la persona che ti manca non puoi metterla in una specie di sarcofago, perché così la blocchi, e non è giusto, soprattutto perché Mirko era Zagor. Ma allora, come mantenere la «vivezza», come direbbe lui? Dopo un anno e mezzo abbiamo deciso che dovevamo darci un nuovo nome e un nuovo repertorio. Ho cambiato anche postazione sul palco: per dodici anni girandomi vedevo Mirko, ma ora c’era Daniel. Non che non voglia bene a Daniel, ma ogni volta prendevo un colpo. Piccole strategie di sopravvivenza.

La storia del vostro rapporto con i nomi è particolare…

I Camillas sono nati perché una sera dovevamo suonare con un altro gruppo, ma l’amico Giuliano non ne aveva voglia, quindi Mirko a un certo punto ha detto, «chiamiamoci Camillas». Il nome doveva durare una sera, ma poi è rimasto. Secondo me

Una selezione di appuntamenti al FOCE di Lugano

a Mirko è venuto in mente perché in quei giorni era diventata ufficiale la storia tra Carlo e Camilla, anche se lui lo ha sempre negato. Per la nuova band volevamo dapprima fare l’anagramma di Mirko, e a un certo punto è uscito Crimo, che poi è diventato Crema.

Anche con la nuova band l’elemento surreale rimane.

Sì, ma è una cosa quasi naturale, i testi a volte nascono da trasformazioni di suoni. Nel disco nuovo c’è anche un pezzo in giapponese: lo hanno scritto Enrico Liverani e Daniel Gasperini col traduttore, poi l’ha corretto la moglie di uno dei due, spiegando le pronunce. C’è dello spazio anche per me in quella canzone: grido e faccio dei coretti.

Siete surreali anche nella vita vera?

Siamo persone molto istantanee… l’altro giorno dovevamo fare delle riprese per dei reel su Instagram, ma poi abbiamo finito per registrare così tutto il video della canzone nuova.

Siamo un po’ dei dadaisti.

I dadaisti però denunciavano, e voi?

Nelle nostre canzoni c’è una forma di critica alle modalità troppo razionali di pensare. Si ragiona su tutto e si cerca una ragione per ogni cosa, ma questo a volte porta a tagliare in troppi pezzi la realtà. Ormai il mondo va verso quello che conviene, e quando una cosa conviene vuol dire che te ne perdi un sacco di altre. Abbiamo un approccio che definirei vorticoso, una successione di discorsi e canzoni e interruzioni. Affrontare la realtà in modo surreale ti permette di tenere conto di molti aspetti non banali.

Polo culturale accogliente e vitale, il FOCE propone oltre 130 eventi tra ottobre 2025 e gennaio 2026. Biglietti acquistabili su biglietteria.ch

CONCERTI

24 ottobre 2025, ore 21

Organic Brew – Revirado Project Rassegna Jazz Me Up! in collaborazione con Tra jazz e nuove musiche di RSI Rete Due

1° novembre 2025

Apocalypse Right Tf Now by Doll$ on the Block

Rassegna Random

ore 14.00-18.00, workshop

ore 20.30-04.00, party

7 novembre 2025, ore 20.30

Punk in Foce by Nextpunk

Rassegna Random

22 novembre 2025, ore 20

Cimini, Magico Tour – Rea – León by ArtLab Events

Rassegna Random

28 novembre 2025, ore 21

Delicatoni

Rassegna Raclette

5 e 6 dicembre 2025, ore 18

Gwenstival by Radio Gwen

Rassegna Random

16 gennaio 2026, ore 21

Peter Kernel

Rassegna Raclette

23 gennaio 2026, ore 21

Valentina Tioli by Delma

Jag Records

Rassegna Random

24 gennaio 2026, ore 20.30 al Padiglione Conza

Lucio Corsi – Tour europeo 2026

Horang Musica in collaborazione con rassegna Raclette

31 gennaio 2026

La memoria è adesso

Serata speciale dedicata a Mirko Bertuccioli/Zagor Camillas

Rassegna Raclette ore 18, proiezione documentario

«La leggenda di Zagor» ore 20, cena conviviale ore 22, concerto dei Crema

CINEMA

19 novembre 2025, ore 18.30 Agent of Happiness

Proiezione documentario di Arun

Bhattarai e Dorottya Zurbò Versione originale in dzongkha con sottotitoli in italiano

A cura di Agorateca in collaborazione con Let’s Doc

3 dicembre 2025, ore 18.30 Becoming Led Zeppelin Proiezione documentario di

Sia i Crema sia i Camillas sono molto giocosi, a volte le persone ridono per le nostre canzoni, a volte le nostre canzoni transitano dei contenuti potenti, anche se in maniera leggera e sorridente. Come diceva un mio amico, i Camillas tirano il sasso ma poi non nascondono la mano, quando li guardi ti sorridono.

Oggi molta musica passa dai social, i Crema a che punto sono? Ha presente TikTok come funziona? Ecco, se becchi quella roba dell’algoritmo sei a posto. La mia figlia diciassettenne un giorno mi ha fatto vedere che La canzone del pane era su TikTok, ma quasi tutti pensano che sia di Calcutta, che ne ha fatto la cover. Mia figlia allora va nei commenti e scrive che la canzone è di suo padre.

Ci parla della serata del 31 gennaio? L’abbiamo proposta appositamente a Lugano perché è lì che volevamo presentare il film e il nuovo album dei Crema. Sarà una specie di sintesi di tutto questo: da una parte la storia di Zagor/Mirko e dall’altra il nuovo disco. Poi nel film c’è anche Lugano, che per la storia dei Camillas rappresenta un passaggio fondamentale.

Concorso Il 31 gennaio si inizierà alle 18 con la proiezione del documentario e una cena conviviale. Alle 22 ci sarà il concerto dei Crema per il quale «Azione» mette in palio 5x2 biglietti. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch (oggetto: Camillas) entro domenica 26 ottobre. Buona fortuna!

Bernard MacMahon Versione originale inglese

Interviene Chiara Fanetti, giornalista culturale

A cura di Agorateca

TEATRO

Dal 18 ottobre al 9 novembre 2025

Festival Internazionale delle

Marionette

Dal 5 al 7 dicembre 2025

Teatro delle Radici – Miserere

Il 28 e 29 gennaio 2026

Alpenfelt / Dolfini / Greenwood

– Valchera’s

Un momento della conferenza stampa. (Divisione eventi e congressi – Città di Lugano)
I Crema saranno protagonisti al Foce il 31 gennaio 2026 con la proiezione di un documentario, una cena conviviale e un concerto.

In memoria della fotografia

Primi piani ◆ Alfonso Zirpoli spiega la ragione per cui sarebbe fondamentale istituire un centro di ricerca che possa dar vita a un archivio fotografico di opere fatte come si deve

Ha alle spalle quasi sessant’anni di fotografia, un percorso vasto e articolato che lo ha visto impegnato sia come professionista – tra ritratto, riproduzione d’arte, fotografia d’architettura e reportage, in Ticino e altrove – sia come artista, con un corpus di opere esposto e pubblicato più volte. Eppure, di tutto questo preferisce non parlare: per riservatezza, per pudore, ma anche perché oggi il suo interesse è rivolto agli archivi fotografici e a ciò che custodiscono.

Siamo in compagnia di Alfonso Zirpoli nel suo Deposito di Fotografia (ex birreria di Bellinzona) a Carasso. E davvero di deposito si tratta: un luogo colmo delle tracce di quanto da lui realizzato e acquisito negli anni. Librerie strabordanti di libri fotografici e cataloghi di mostre sue e di autori vari, attrezzatura fotografica, stampe in ogni dove, manifesti, brochure… Ovunque si punti lo sguardo s’incontra fotografia, la materia che a partire dall’adolescenza ha impregnato la sua esistenza riempiendolo di soddisfazioni, dilettandolo, facendolo viaggiare e permettendogli di conoscere persone e culture che non avrebbe altrimenti mai sognato d’incontrare.

Dall’interno del suo Deposito, tra stampe, negativi e memoria, Alfonso Zirpoli difende la fotografia dall’oblio

Alla fotografia ci arriva un po’ per caso. Appassionato di disegno fin da ragazzo, contro il volere del padre si iscrive alla CSIA, dove incontra, inaspettata, la fotografia. È amore a prima vista: decide che quello sarà il mestiere della sua vita. Si forma seguendo un apprendistato presso un buon fotografo ticinese, assai puntiglioso e con un solido sapere tecnico. Ne assorbe gli insegnamenti, ma a Zirpoli piace soprattutto sperimentare. Ed è così che, terminato l’apprendistato – siamo sul finire degli anni Sessanta – passa un periodo affiancando diversi altri fotografi a livello internazionale per consolidare la sua formazione.

Per un altro caso della vita, viene scelto da una sua ex docente, Luisa Volonterio, per farle da supplente nei suoi periodi di assenza. Comincia così un’esperienza d’insegnamento che si protrarrà per undici anni. Esperienza che lo porterà anche nel seguito a continuare a dare corsi e workshop di fotografia, tanto in Ticino come pure in giro per il mondo.

Apre il suo studio a Bellinzona nel 1974. Oltre alla sperimentazione, che ha continuato a perseguire, ha fin da subito amato e approfondito il ritratto, la figura umana nelle sue varie sfaccettature. Viaggiare fa parte del suo DNA, per cui ha lavorato per tante

Si danza, si riflette, si vive!

Eventi ◆ Una giornata particolare tra arte, scienza e incontro

associazioni e ONG in Africa, Asia e Sud America.

Ma come abbiamo anticipato, oggi a lui interessano gli archivi e per spiegarne la ragione parte da una constatazione: «La fotografia, quella con la F maiuscola – Zirpoli ce lo dice battendo il pugno sul tavolo – è andata scomparendo, non esiste più. Sotto vari punti di vista». Il fotografo bellinzonese lamenta anzitutto la perdita di una formazione a tutto tondo: «La mia generazione non poteva inventarsi la fotografia, per cui dovevi acquisirne l’ABC, conoscere la tecnica, la teoria, la sua storia. Se avevi appreso e in più ci mettevi del tuo creativo, il tuo piacere personale, la cosa poteva funzionare bene. Senza queste prerogative, ti mettevi a copiare gli altri. E quelli che copiavano non venivano selezionati». Si trattava di una formazione dura, talora anche spietata, che produceva una selezione naturale. Chi riusciva a uscirsene indenne e a divenire «fotografo professionista» era perché ne aveva le qualità, perché aveva dimostrato di possedere una capacità operativa e propositiva personale di valore.

Poi, l’impostazione del lavoro: «All’epoca tu pensavi prima di realizzare un’immagine; pensavi a che cosa potevi fare». Mentre oggi – anche grazie alla duttilità del digitale –prevale una sorta d’improvvisazione (prima si scatta, poi si corregge), un tempo si rifletteva sul come approcciare il soggetto, quali mezzi utilizzare, quale taglio, quali luci, a quale soluzione estetica puntare. E a tal fine, non secondaria era la frequentazione di architetti, di artisti, di professionisti della comunicazione, con i quali confrontarsi.

Pure importante veniva considerata la ricerca e il consolidamento di un

proprio stile, attraverso la sperimentazione creativa, ponendosi in un dialogo continuo col lavoro di altri fotografi, visitando mostre, sfogliando libri e studiandone le immagini, non per copiarle, ma per costruirsi un fertile bagaglio di cultura fotografica.

Con l’avvento del digitale, ormai tutti sono diventati fotografi: «Ti fa rabbia quando vai su Facebook e guardi… sono nati un mare di fotoclub, che producono una marea di corsi di fotografia e fotografi, che fanno tutti la stessa cosa. Ma quello che fa rabbia è che vedi delle cose obbrobriose. Ciò vuol dire che questi non hanno studiato, non hanno mai aperto un libro di fotografia. Se avessero aperto un libro, si vergognerebbero di pubblicare o di realizzare lo scatto che pubblicano». Ben poco di questo marasma d’immagini sopravvivrà in quanto col digitale si è pure andata a perdere la necessità di produrre delle stampe di ciò che si è fotografato – che ormai viene visto a schermo per essere consumato il tempo di uno sguardo e poi venir per sempre rinchiuso nella memoria di hard disk e di chiavette usb. Della fotografia è svanita la tangibilità.

Partendo da queste considerazioni, l’intento di Zirpoli è di lanciare con forza un appello – allo Stato, agli enti, alle fondazioni – affinché si costituisca un Centro di ricerca in memoria della Fotografia, di quella con la F maiuscola (ricordiamo che, per contro, esistono – grazie al lavoro del Cantone – l’archivio fotografico etnografico, www4.ti.ch/decs/dcsu/cde/collezioni/ archivio-fotografico e diversi fondi fotografici, www3.ti.ch/DECS/dcsu/ ac/asti/cff).

Al di là della provocazione, Zirpoli denuncia la scomparsa del lavoro di una generazione di fotografi pro-

fessionisti che con grande dedizione e perizia hanno costruito e assemblato attraverso il loro lavoro un patrimonio di conoscenza – fatto dalle immagini prodotte, ma anche quelle da loro raccolte e collezionate; da qui, l’urgenza di preservarne gli archivi onde evitarne la perdita. Questi archivi custodiscono un sapere antropologico relativo al nostro territorio – degli aspetti concreti e immateriali che lo costituiscono – di grande rilevanza, dalla cultura alla politica, dall’industria all’arte: personaggi, modi di vivere e di lavorare, uso del territorio, le ritualità e i tempi delle comunità, e così via. Fare in modo che le nuove generazioni abbiano la possibilità, guardando al passato, di meglio capire il loro presente, è il compito che Zirpoli ha deciso di assumere per i prossimi anni sensibilizzando e sollecitando chi, a livello di istituzioni, di questa responsabilità dovrebbe farsi carico: «Correte a creare… mettete a disposizione i fondi per creare un centro di ricerca. Non di certo pensando solo a me: il Ticino ha avuto dei personaggi che si sono occupati di fotografia, che hanno vissuto con la fotografia, non il dilettante che alla domenica va a fare le foto – talvolta anche di qualità! –, ma fotografi che hanno sofferto, mantenuto delle famiglie, che hanno vissuto per la fotografia. Tutto quel loro lavoro diventa memoria storica. Queste cose in Ticino ci sono. Vediamo di salvarle prima che si perdano. Io mi batterò per gli anni che mi restano per riuscire a realizzare questa cosa. Poi vedremo. Anche perché la mia preoccupazione è che, se noi domani ce ne andiamo, testimoni di un tempo che è stato, nessuno sa cosa abbiamo raccolto, nessuno ne conosce il valore, si perde tutto ed è un peccato».

La danza è sempre stata una finestra aperta sulla natura, a lei si è sempre ispirata dai tempi remoti fino a oggi. È per questo che domenica 26 ottobre andrà in scena una giornata (promossa da Arturo Prod) dedicata ad arte, filosofia e scienza, con momenti di riflessioni curati dallo storico della filosofia Paolo Pecere e dal biologo e giornalista scientifico Davide Conconi. L’incontro sarà anche l’occasione per presentare una pubblicazione frutto di un progetto di ricerca triennale Overlap (Eventi tra Arte e Scienza su Biodiversità e Migrazione) che mette in luce le coincidenze rilevate nella sovrapposizione delle rotte migratorie degli uccelli e dei flussi migratori degli esseri umani tra Africa Subsahariana, Mar Mediterraneo e Nord Europa.

Al termine dei momenti di riflessione vi sarà la possibilità di sperimentarsi in alcune pratiche, grazie a dei laboratori (aperti a tutte/i) guidati dalle coreografe, danzatrici e performer della regione Manuela Bachmann Bernasconi, Elena Boillat, Margherita Tassi, e da Dario La Stella e Valentina Solinas, tra i curatori del progetto Overlap e fondatori della compagnia italiana «Senza confini di pelle».

La prima parte della giornata, che prenderà il via alle 9.00 (punto di ritrovo: parcheggio CPV) si svolgerà a Mezzana (Balerna), poi ci si sposterà alla palestra Canavée di Mendrisio per i laboratori pratici.

Dove e quando Presto danzerà tutta la terra. Domenica 26 ottobre 2025. Isadora. Piattaforma danza in collaborazione con Laban Event, la Florida e Casa delle api. Mendrisio e dintorni. Giornata di incontri, laboratori e riflessioni www.isadora.dance info@isadora.dance

La locandina dell’evento dedicato alla danza in molte declinazioni.

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Burkina Faso. (Alfonso Zirpoli)

rasatura perfetta

È buio e una fitta nebbia avvolge gli alberi. Si sente un leggero raschiare, poi all’improvviso una figura ombrosa sbuca dall’oscurità. Tutto ciò che si distingue sono le zanne bianche spalancate: un classico scenario horror che fa rabbrividire.

Film, serie, libri: l’horror piace. Il film horror «The Substance» quest’anno è stato candidato a cinque Oscar, unendosi alla schiera di film spaventosi come «Get Out» e «Hereditary», che hanno avuto un grande successo commerciale negli ultimi anni.

Perché ci piace così tanto spaventarci?

Gli psicologi parlano di «piacere della paura», uno stato emotivo ambivalente in cui le persone provano un senso di euforia anche se hanno paura. «Questa piacevole sensazione di paura nasce da una sorta di braccio di ferro tra le aree più antiche ed emotive del cervello e quelle più recenti e cognitive», spiega Simon Eickhoff, neuroscienziato e direttore dell’Istituto di neuroscienze sistemiche di Düsseldorf.

La paura si origina nella parte del cervello più antica dal punto di vista evolutivo, la cosiddetta amigdala, che fa «scattare l’allarme» in caso di potenziale pericolo. Allo stesso tempo, la regione cerebrale più recente cerca di classificare ciò che sta accadendo. «I contenuti di un film dell’orrore evocano la paura in modo del tutto automatico, ma, poiché siamo seduti al sicuro, ci trasmettono al contempo un senso di tranquillità», dice Eickhoff. È decisivo, quindi, che non ci sia la minaccia di un pericolo reale. Il piacere di provare paura si nasconde anche dietro attività come le montagne russe o il bungee jumping.

Ma non tutti apprezzano i film horror: perché? «Dipende dall’equilibrio tra le due attività cerebrali: alcune persone si annoiano con i film horror perché

LIFESTYLE

Psicologia

Perché ci piace spaventarci

Il 31 ottobre è Halloween. È tempo di film e serie horror. Ma perché alcune persone amano i momenti di terrore sul divano?

Testo: Barbara Scherer

non provano abbastanza paura», spiega Eickhoff. Altri, invece, sono estremamente spaventati e non riescono a guardarli. Questi ultimi potrebbero attenuare la loro risposta alla paura rendendo l’ambiente particolarmente sicuro: ad esempio, lasciando la luce accesa e sedendosi in obliquo davanti alla TV, in modo che il salotto, percepito come luogo sicuro, rimanga ben visibile durante la proiezione del film. Tuttavia, secondo gli esperti, chi non ha molta paura non imparerà mai a provare questo sentimento.

I bambini provano semplicemente paura

Per i bambini è diverso. Il loro cervello è ancora in fase di sviluppo: «Non provano brividi, ma semplicemente paura», dice Eickhoff. Poiché la paura è profondamente radicata nell’evoluzione: chi ha paura vive più a lungo. La paura è quindi essenziale per la sopravvivenza dei bambini piccoli. È solo durante l’adolescenza che sviluppiamo la capacità di giudicare correttamente queste situazioni e iniziamo a goderci i

brividi. «Se un bambino vede una scena di un film horror, probabilmente non gli farà male», dice Eickhoff. Tuttavia, i genitori che guardano deliberatamente un intero film dell’orrore con i loro figli devono prepararsi a qualche notte insonne. Questo perché i bambini non sono in grado di elaborare correttamente ciò che hanno visto e ci pensano per diversi giorni. Tuttavia, nei bambini sani non dovrebbero esserci danni duraturi. «Se i bambini soffrono già di disturbi d’ansia, è un po’ diverso: un film horror può avere conseguenze psicologiche negative a lungo termine», afferma Eickhoff. Un consumo eccessivo di tali contenuti può essere problematico anche per gli adulti. «Ma, in questo caso, si parla di diverse ore al giorno per un periodo di tempo prolungato», spiega il neuroscienziato. Lo stesso vale per qualsiasi concentrazione estrema e unilaterale su un’attività, come ad esempio il gaming: chi si rifugia in un mondo immaginario per molte ore al giorno, per diverse settimane o mesi cambia la propria percezione della realtà, intensifica le paure e favorisce l’isolamento sociale.

La paura dei pupazzi e dei clown

Il fatto che nei film horror compaiano sempre gli stessi elementi spaventosi può essere anch’esso spiegato dalla biologia evolutiva. Le persone percepiscono meno i pericoli al buio o nella nebbia fitta: un fruscio o un raschiare sono percepiti come rumori minacciosi e ci mettono in allerta. Invece non è ancora stato possibile chiarire la paura di oggetti simili all’uomo, come bambole, clown o robot. Il fenomeno è noto in psicologia come «Uncanny Valley» (il fenomeno della valle perturbante): «Proviamo questo disagio solo quando qualcosa assomiglia a una persona ma non è del tutto reale», spiega Eickhoff. Si genera una sensazione di straniamento poiché il cervello non è sicuro che si tratti di qualcosa di pericoloso: assomiglia a un essere umano, ma mostra dei difetti nella sua realizzazione. Forse c’è stata una ragione nella storia dell’umanità per cui ci sentiamo così …

Nelle maggiori filiali Migros è disponibile un ampio assortimento di articoli per la notte più spaventosa dell’anno: dagli irresistibili dolciumi ai costumi da paura, dalle maschere terrificanti alle zucche, fino alle decorazioni più variegate, ognuno troverà quello che cerca.

Halloween alla Migros
Uahhh! La vista di fantasmi provoca subito un brivido di paura.

Le donne di Colette

Queste due immagini sono state usate per illustrare le copertine delle nuove edizioni de L’Orma.

La tomba del padre

Romanzi – 2 ◆ Con La nuotatrice notturna, Adrian Bravi scrive un romanzo di scomparsa e rivelazione, dove ogni distanza diventa linguaggio

Angelo Ferracuti

Romanzi – 1 ◆ Nelle nuove edizioni curate da L’Orma, torna l’urgenza di chi non si lascia addomesticare

Laura Marzi

C’è la moda, che passa inevitabilmente, e ci sono i classici, anzi le classiche in questo caso: Colette Sidonie-Gabrielle (1873-1954) appartiene alla seconda categoria ed è protagonista di un’operazione di ripubblicazione dei suoi romanzi da parte della casa editrice L’Orma di Roma. Si tratta di un progetto curato nei minimi particolari, con traduzioni nuove e prefazioni di studiose rinomate, nonché una veste grafica affascinante, con le copertine ispirate ai disegni di un grande illustratore francese del periodo della Belle époque: George Barbier. Per ora i romanzi già usciti sono Gigi del 1942 e La vagabonda che fu pubblicato a puntate sulla rivista «La Vie parisienne» a partire dal 1910.

Sotto l’apparente candore della giovinezza sognante di Gigi brilla l’intelligenza spregiudicata di chi sa già come muoversi nel mondo

Gigi, con la traduzione di Ornella Tajani e la postfazione di Daria Galateria, è un romanzo breve o novella lunga che dir si voglia, che racconta una storia d’altri tempi, è il caso di dirlo. Gilberte, la protagonista, è un’adolescente che vive con sua nonna e sua madre che però non c’è mai per via degli orari lavorativi a teatro dove svolge il ruolo di «seconda donna». Nel corso della storia Colette lascia intendere che la sua scarsa presenza in casa possa essere anche dovuta al desiderio di stare lontano dalle premure asfittiche di sua madre che le riversa, allora, tutte sulla nipotina. A occuparsi dell’educazione della ragazzina c’è anche la prozia Alicia, che non si è mai sposata, ma è riuscita grazie alla sua astuzia e al suo coraggio ad accumulare nella sua lunga vita avventure e gioielli di gran valore. A caratterizzare Gilberte sembra essere la sua in-

genuità, tanto che le donne della sua famiglia credono che lei sia in ritardo rispetto alle sue coetanee, ma Colette è abile a farci capire che la protagonista di questa storia a lieto fine è animata invece da una vitalità schietta, da un’intelligenza che va ben al di là delle macchinazioni delle anziane di casa. Grazie a questa sua dote innata e a un corpo attraente riuscirà a garantirsi un ottimo matrimonio e a sistemare anche il suo clan, tutto al femminile. Gigi, come viene raccontato nella postfazione, è un romanzo probabilmente ispirato a un fatto di cronaca rosa, verificatosi ai tempi della giovinezza di Colette, che aveva come protagonista una ragazza di umili origini finita in moglie a un magnate, conteso da tutte le nubili parigine, ma non è la verosimiglianza della storia il segreto del suo successo. A leggerlo resta in bocca il gusto dolce della favola e quello forte della trama borghese, la capacità di Colette di donarci, in queste poche pagine, il quadro di una giovinezza intatta, di quel momento della vita in cui tutto è ancora possibile, persino la felicità.

Di tutt’altro tono è il romanzo La vagabonda, scritto molti anni prima e che paradossalmente potrebbe essere un possibile prosieguo della vicenda di Gigi. La protagonista Renée è una donna che si è separata dal marito, dopo aver subito e sopportato per anni i suoi maltrattamenti e gli innumerevoli tradimenti. Dopo aver preso la decisione di mettere fine a una vita di sofferenza e di annientamento di sé stessa, Renée va a vivere in un piccolo appartamento al piano terra e inizia a mantenersi da sola, a lavorare per sopravvivere, in un café-cabaret parigino dove balla, canta e recita in diverse pantomime con il suo collega Brague. Ecco che anche qui, come in Gigi, ritroviamo il mondo dei caffè-concerto parigini, abitato da cantanti squattrinate e acrobati che hanno popolato la

vita della scrittrice, la quale dopo la separazione da suo marito aveva iniziato a lavorare come attrice e mima. Colette racconta questo mondo con affetto e con immensa stima, riconoscendo a questi artisti un’onestà intellettuale e una dignità uniche. Renée, che nel presente della storia ha trentatré anni, è una donna divisa tra la spinta sociale di ritornare in coppia con un uomo, di risposarsi, e la libertà che ogni giorno si conquista a fatica, a prezzo della solitudine e delle sue dolorose conseguenze. La vagabonda è un libro di un’attualità disarmante e, anzi, colpisce come a tratti leggendolo appaia più moderno di molti romanzi contemporanei. In questa storia, infatti, il conflitto interiore della protagonista, il suo dilemma tra la solitudine e la libertà non viene risolto come succede spesso nella narrativa attuale, grazie a un evento come la maternità o all’eroismo della protagonista che si rivela indenne ai contraccolpi della solitudine. In La vagabonda Renée convive con il suo dolore e con la soddisfazione che le dà provvedere ogni giorno per sé stessa, perseguendo senza troppe ambizioni una carriera che le permette di vivere dignitosamente e la spinge a compiere avventure e viaggi.

Colette è un’alchimista, poi, nella descrizione approfondita, anzi nello scandaglio, non solo della psiche della sua protagonista, ma anche della realtà materiale di un universo umano che non è né quello dei vinti, né quello dei vittoriosi, ma della gente normale che si incontra in metrò, nei bar, che spera, si affanna, a volte ce la fa, altre soccombe: dell’umanità.

Bibliografia

Sidonie-Gabrielle Colette, Gigi L’Orma Editore, pp 96; Sidonie-Gabrielle Colette, La vagabonda, L’Orma Editore, pp. 240.

Il fascino della letteratura di Adrian Bravi sta nell’ibridare un crudo e verosimile dettato della realtà con la forza metaforica dello stile fantastico, quel realismo magico che ne tradisce le inconfondibili origini sudamericane, per la precisione argentine. Anche in La nuotatrice notturna (Nutrimenti, 2025) – in questo scrittore vissuto a Buenos Aires e poi trapiantato a Recanati, nelle Marche, dove fa il bibliotecario – la commistione di temi e di stili è molto forte e nutre quello che è a tutti gli effetti un romanzo di formazione e conoscenza del mondo. Jacopo, il protagonista del libro, è un quarantenne stralunato che vive nelle campagne marchigiane e lavora da precario come necroforo al cimitero, all’inizio del libro riceve una telefonata da una fantomatica Ingrid la quale gli dice che il padre Pietro Bordignola è morto, annegato mentre stava nuotando come ogni sera nel fiume a Rio Salgueiro, in Portogallo. Un padre misterioso e avventurista, un po’ figlio dei fiori, che lo aveva abbandonato ragazzo, era andato a vivere in Finlandia, poi aveva girato mezzo mondo, inviando a lui e a sua madre Mina lettere perturbanti da New Orleans, da Benares e Luxor, prima di far perdere definitivamente le sue tracce. Adesso «stava scomparendo dalla sua vita, questa volta, però, non più da vivo ma da morto». L’unica cosa che gli restava di lui erano un’armonica a bocca, il Preludio polacco spia dei suoi antenati, e il ricordo di una Citroen arancione dove aveva gettato una borsa prima di scappare. E poi tutte le domande senza risposta rivolte a sua madre, che nel frattempo si era ricostruita una vita nuova con il compagno Simone, o i ricordi volutamente sfocati di lei.

Jacopo ha una fidanzata eccentrica, vive da solo nella casa dei nonni, e il cimitero è il suo piccolo mondo, la Spoon River di una provincia fiabe-

sca, dai contorni fantastici, popolata di bizzarri personaggi come Quinto, il suo principale, che ha l’appalto per seppellire le salme e fare la manutenzione delle aiuole. I due hanno un rapporto molto intimo, e proprio l’uomo si offre di accompagnare l’amico nel luogo dove è morto suo padre, perché «un figlio deve capire dove si trova la tomba di suo padre, anche se per quarant’anni non ha saputo niente di lui», questo sostiene durante una delle loro surreali conversazioni. I due picari allora comprano i biglietti aerei e partono. Raggiunta Roma, volano a Lisbona, poi con un vecchio autobus raggiungono Rio Salgueiro e, costeggiando il fiume Tago, si mettono alla ricerca di Ingrid. Quando la troveranno, Jacopo si trova di fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato, una verità inconfessabile e nuova, quella parte di vita di suo padre sepolta per quarant’anni che rimette improvvisamente in discussione tutta la sua storia e quella della sua famiglia. Dalla viva voce di Ingrid rivivrà tutta la vita perduta di Pietro, inoltre ritroverà vecchie fotografie, lettere mai spedite, effetti personali, gli amici e le amiche che frequentava.

Con una scrittura delicata e naturale, uno stile semplice, scarnificato e privo di ogni effetto spettacolare della fiction, Bravi ci consegna un altro capitolo della sua originale produzione letteraria, che anche linguisticamente fonde a tratti i modi delle parlate marchigiane con la lingua portoghese, mette insieme mondi solo apparentemente distanti, e concepisce la letteratura e l’esperienza di sé come una continua metamorfosi di corpi e parole, la ricerca di un equilibro mobile e instabile per stare al mondo.

Bibliografia

Adrian Bravi, La nuotatrice notturna, Nutrimenti, 2025, pp. 192

Immagine usata per la copertina. (Nutrimenti)

TEMPO LIBERO

L’incantesimo della luce UV

Un esperimento luminoso per bambini che amano sporcarsi le mani e accendere la fantasia animando fantasmini e pipistrelli durante la notte di Halloween

Olimpiadi sotto steroidi

Dai miti infranti del ciclismo agli «Enhanced Games», nuovi giochi sportivi di Las Vegas, l’utopia del corpo potenziato e performante tra doping e business

Taccuini, dromedari e polvere

Editoria ◆ Il lungo pellegrinaggio laico di Werner Kropik, raccolto in Una vita in viaggio, è un mosaico di incontri, di gesti minimi e di creature che raccontano il pianeta meglio delle mappe

Cosa spinge un uomo a sottoporsi a tremende seccature come sete, polvere, freddo, punture di insetti, morsi di cani randagi, settimane senza poter fare una doccia, ore e ore a dorso di dromedari e notti in tuguri o caravanserragli, quando non all’addiaccio a quattromila metri d’altezza? E cosa lo induce a sopportare di volta in volta la compagnia di trafficanti di droga, truffatori, ufficiali corrotti, venditori asfissianti e maragià a corto di carburante? La risposta è semplice: il gusto dell’avventura.

Sono più di sessant’anni che Werner Kropik, documentarista residente a Lugano, ricorre all’unico modo per lui concepibile di sentirsi vivo: viaggiare. Un istinto talmente insopprimibile che, sedicenne e squattrinato, s’impadronì della bicicletta di suo padre e partì alla scoperta delle regioni attorno a Vienna, dormendo nei fienili e sfamandosi grazie agli alberi carichi di mele e pere. Un mezzo, la bicicletta, che da quel primo viaggio sarà il suo marchio di fabbrica e che gli permetterà di uscire dai sentieri battuti per entrare autenticamente in relazione con le popolazioni delle regioni visitate (solo andare a piedi è un modo ancora più efficace per riconoscere e decifrare le infinite pieghe della realtà che ci viene incontro a ogni passo).

Il libro che Kropik si è infine deciso a pubblicare alla soglia degli ottantaquattro anni, portati egregiamente, è un racconto ricchissimo, intarsiato di mille avventure talmente rocambolesche che se non fossero autentiche le crederemmo frutto di una fantasia sfrenata. Basandosi su numerosi taccuini, migliaia di fotografie e ore di filmati, l’autore ripercorre le tappe del suo personale e sconfinato pellegrinaggio laico. Pur potendo disporre di un’ingente documentazione, egli ammette con onestà che rammemorare il passato è un’operazione di recupero ma al tempo stesso di ricomposizione della nostra esperienza. Parole che sembrano evocare – pur in circostanze radicalmente diverse – il monito di Primo Levi, il quale metteva in guardia dal fidarsi ciecamente della memoria «strumento potente e fallace». Nei suoi innumerevoli viaggi verso l’Oriente (da Hong Kong al Tibet, dall’Indonesia alla Cina, dalla Turchia al Bangladesh, dall’India al Nepal e alla Mongolia) Werner Kropik si è sempre accostato con umiltà e rispetto alle popolazioni incontrate, ma soprattutto con la curiosità di chi vuole conoscere, capire e infine tornare a casa ricco di un’esperienza prima di tutto interiore. Sempre munito di macchina fo-

tografica e videocamera, l’autore ha dunque accumulato un ingente materiale visivo con cui negli anni passati ha prodotto alcuni affascinanti documentari. Ricordo con piacere le notti (le puntate venivano trasmesse in tarda serata su TeleTicino) passate a seguire le sue esplorazioni del Ladakh, la sperduta regione tibetana dell’India fino ad allora inaccessibile e praticamente ignota agli occidentali. Non solo nel Ladakh, ma in quasi tutti i suoi peripli (definiti «cammini a ritroso») l’autore ci consente di capire che ogni viaggio nello spazio è nello stesso tempo un viaggio nel tempo. Itinerari in un passato infinitamente più autentico di quello che possiamo rivivere per esempio a Venezia, dove il passato è sì stupendamente testimoniato dal piano urbanistico e dall’architettura così ben preservati, ma per quasi tutto il resto è ormai l’indigesto frullato di un gigantesco parco giochi e di uno smisurato centro commerciale. Indimenticabili al riguardo le pagine in cui si imbatte in usi e pratiche che noi occidentali definiremmo primitive. Per esempio scopre una comunità ai piedi dell’Himalaya, i Dunai, che – come da noi nel Medioevo – impiega l’aratro di legno; o descrive l’economia del baratto, ancora molto diffusa in Nepal; o racconta dei pastori che

nelle montagne dell’Hindu Kusch usano lo sterco di yak per accendere il fuoco (ancora negli anni Settanta del ventesimo secolo, bambino, ricordo di aver visto con i miei occhi, a Juf, il villaggio più alto della valle di Avers, un anziano contadino confezionare del combustibile con lo sterco di mucca pressato dentro stampi di legno. Per far bruciare bene le puzzolenti mattonelle – mi spiegarono –occorreva una stagionatura di almeno due anni!).

Questa disposizione all’incontro con l’altro, compresa l’accettazione di rituali che a prima vista ci sembrano incongrui, è un atteggiamento mentale di ogni scrittore di viaggio degno di questo nome (genere letterario peraltro molto fluido). Bouvier, Chatwin, Maraini, Theroux, Byron, Kapuscinski sono tra i molti maestri ideali di Werner Kropik e di cui l’autore si è certamente nutrito. Proprio Kapuscinski in un suo volume teorizza il «metodo della gentilezza» che gli ha permesso di attraversare le frontiere più invalicabili e militarizzate della Terra. Metodo che consiste nell’affrontare con un sorriso il soldato che gli punta addosso il kalashnikov. Un sorriso tranquillo ma insistente, che alla fine disarma quasi sempre il soldato, gli fa spostare il groviglio spinato e alzare la barriera.

Ma cos’è che unisce come un filo rosso i molti viaggi e le infinite peripezie di questo libro a metà tra una guida tascabile e un romanzo picaresco? Credo sia la compassione per gli animali. Animali usati, sfruttati e maltrattati in ogni angolo del mondo. Come se ogni viaggio fosse dedicato a un animale, ci emozioniamo per i dromedari che trainano dei pesantissimi carri in Pakistan, per il cane smagrito che cerca resti di cibo tra i piatti abbandonati sui tavoli di un ristorante in India, per le carovane di yak che arrancano carichi di sale a cinquemila metri in Nepal, per la mandria di cavalli guidati, di notte e nella tempesta, al di là di un passo cinese di tremila metri infestato da orsi, lupi e leopardi. Gli uomini avrebbero molto da imparare dagli animali, se solo sapessero ascoltarli. Come sa fare il popolo Nenets dello Jamal siberiano: quando con le loro renne giungono alle sponde di un grande corso d’acqua, i mandriani si fermano e studiano attentamente il comportamento di quegli intelligenti animali, perché seguendo il loro istinto le renne trovano sempre da sé il punto migliore per guadare il fiume. Bibliografia

Kropik, Una vita in viaggio Istituto Editoriale
L’immagine di copertina.
Manuel Rossello
Pagina 35
Pagina 33

Makeita Memory.

Scoprigliappuntamentimemorabilidinovembre.

30.10

Batiashvili/ Thibaudet/Capuçon

IlvioloncellistaGautierCapuçon tornaalLACinsiemeallaviolinistaLisaBatiashviliealpianista

Jean-YvesThibaudet,invitando ilpubblicoaunviaggionella musicadacamera:un’occasione unicapervivereun’esperienza d’ascoltointensaeraffinata.

10.11

TokyoPhilharmonic Orchestra

Myung-WhunChung/ MaximVengerov

PerlaprimavoltaaLugano, laTokyoPhilharmonicOrchestra proponeunconcertosinfonico d’eccezione:direttadaMyungWhunChung,conilviolinista MaximVengerov,esegue ilConcertoperviolinoinremaggioreop.35diČajkovskije Lasagra dellaprimavera diStravinskij.

12–14.11

ReLear

WilliamShakespeare/ GabrieleLavia GabrieleLaviaèprotagonista eregistadi ReLear,capolavoro delladrammaturgiashakespearianache,daoltrequattrocento anni,custodiscelemolteplici sfaccettaturediuntempoancora attuale.

• Primanazionale

19.11

SãoPaulo DanceCompany IndigoRose/ LeChantduRossignol/ I’veChangedMyMind

Tralecompagniedidanzapiù importantialmondo,laSão PauloDanceCompanyarrivaper laprimavoltaalLACconuno straordinarioprogrammaintre particheunisceilvirtuosismo delladanzacontemporaneaalla vibranteenergiadelBrasile.

25–30.11

CATS

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DirettamentedalWestEnd diLondra,arrivailmusical darecordfirmatodaAndrew LloydWebber:musicatravolgente,coreografiespettacolari ecostumistraordinarisifondono coneleganzaeimmaginazione rendendo CATS un’esperienza teatraleunica.

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Disegni di Halloween che si accendono al buio

Crea con noi ◆ Un laboratorio creativo per piccoli maghi curiosi alle prese con fantasmi fluorescenti che brillano e stupiscono

Halloween è il momento perfetto per divertirsi con la luce UV e sperimentare attività che fanno «magia». Con questa proposta i bambini potranno utilizzare la colla, il sale e i colori fluorescenti, osservando come i disegni cambiano aspetto quando vengono illuminati al buio. Un gioco sensoriale semplice e sorprendente, che stimola curiosità, creatività e tanta voglia di scoprire!

Preparazione

Stampate il cartamodello con i sei disegni di Halloween. Ritagliate i quadrati da 10x10 cm seguendo i contorni del cartamodello. Posizionate un quadrato con il disegno so-

pra il cartoncino nero.

Ricalcate le linee del disegno premendo con una matita: le linee resteranno impresse sul cartoncino sottostante.

Con la colla vinilica, ripassate i contorni impressi. Cercate di avere un tratto regolare.

Mettete il disegno su un piatto o una vaschetta e cospargete subito le linee di colla con abbondante sale fino. Lasciare asciugare almeno 15 minuti. Scuotete delicatamente il cartoncino per eliminare il sale in eccesso. Se necessario potete rifinire le linee utilizzando dei cotton fioc. Lasciate asciugare completamente.

Una volta asciutto, usate i pennel-

Giochi e passatempi

Cruciverba

Scopri la parola misteriosa e il suo significato risolvendo il cruciverba, aiutandoti con le lettere date. In fine, leggendo le lettere evidenziate, scoprirai la soluzione. (Frase: 10 - 5, 5, 8)

ORIZZONTALI

1. Un figlio di Apollo

7. Oggetto volante

9. Piccoli elettrodomestici

10. C atasta di legna per... condannati

12. Capo musulmano

13. Misura approssimativa

15. L etto al contrario non cambia

16. Accorte

17. Asino selvatico dell’Asia

18. Preposizione

19. Capitoli della geologia

li sottili e le pitture acriliche fluorescenti (o pitture UV).

Applicate il colore molto diluito direttamente sul sale: questo creerà un bellissimo effetto luminoso e brillante. Potete anche mischiare i colori per creare delle sfumature. Lasciate asciugare nuovamente.

Idea in più

Se cercate un’attività ancora più semplice e veloce, potete far colorare direttamente i disegni del cartamodello con pennarelli fluorescenti. Una volta pronti, ritagliateli e usateli per decorare la casa: ad esempio, incollandoli su un filo per creare una ghirlanda luminosa di Halloween oppure appendendoli alle finestre e alle porte.

Per rendere il gioco ancora più magico, munite i bambini di una piccola torcia o penna UV: potranno girare per casa nella penombra alla ricer-

Materiale

• C artoncino nero (tagliato in quadrati da 10x10 cm)

• Forbici/taglierino

• Adesivi tondi fluorescenti (facoltativi)

• Matita

• Colla vinilica

• Sale fino

• Pitture acriliche fluorescenti o pitture UV, pennello

• Stampante per cartamodello dei disegni di Halloween

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage)

ca degli effetti fluorescenti nascosti. Un’attività semplice che regalerà stupore e divertimento assicurati!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

20. Lingua Italiana dei Segni

21. Le iniziali dell’attore Arena

22. Veloce a Londra

23. Pieghe curvilinee dell’orecchio

24. Il sarto lo arrotola

VERTICALI

1. Materiale per pennelli

2. Il sapiens d’altri tempi

3. L egname per mobili di pregio

4. Una sigla da CD 5. Due in moto 6. Tuttavia

Contenevano sacre ceneri

Acceso ammiratore 11. Incontro di due vocali pronunciate separatamente 13. Festa paesana

14. Termine narrativo che indica le gesta di un eroe

16. Cielo in latino

18. Jockey in discoteca 20. Mitico re di Tebe padre di Edipo

22. Dispari in

Soluzione della settimana precedente

SEMPRE VIGILE – Il delfino … Resto della frase: …DORME CON UN OCCHIO APERTO

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Viaggiatori d’Occidente

Inizia a cedere anche il muro delle lingue

Nella divertente Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams (1979), i personaggi possono capire tutte le lingue grazie a un minuscolo «pesce-Babele» infilato nell’orecchio. A quei tempi era fantascienza; solo mezzo secolo fa un muro invisibile separava turisti e locali, limitando incontri e scambi, rendendo spesso penosa anche la vita quotidiana. Invano lo straniero si arrabattava con dizionari, ridicoli manuali di conversazione, interpreti poco affidabili, gesti facilmente fraintesi. Negli ultimi decenni la continua diffusione dell’inglese ha facilitato la comprensione reciproca, ma restano ampie zone d’ombra.

Ancora qualche giorno fa ‒ si racconta ‒ un impiegato di un aeroporto italiano avrebbe confuso «To Nice » con «Tunis », spedendo due inconsapevoli turiste nel Paese sbagliato. E secondo un recente sondaggio di «Preply»,

una piattaforma di corsi di lingua, un terzo degli statunitensi evita mete dove potrebbe avere problemi con la lingua; inoltre il 17% ammette di mangiare solo in catene di fast food americane, per timore di non capire i menu.

Adesso però Apple promette una rivoluzione definitiva. I nuovi auricolari wireless di fascia alta AirPods Pro 3, assistiti dall’intelligenza artificiale, ci permettono di ascoltare nella nostra lingua quello che l’interlocutore sta dicendo nella sua, oltretutto trascrivendo la conversazione in tempo reale sullo smartphone. Il servizio è già disponibile al di fuori dell’Unione europea e copre molte delle principali lingue: inglese, francese, tedesco, italiano, portoghese, spagnolo. In arrivo entro l’anno: cinese mandarino, giapponese, coreano.

L’applicazione sembra funzionare bene, naturalmente se si parla lenta-

Cammino per Milano

Il Pirellone

Faro nelle mie notti alla deriva, il grattacielo, diamantesco di colpo, m’indicava la via. Visto la sua vicinanza alla stazione centrale: all’epoca abitavo da quelle parti. Architettura notturna autoilluminantesi è infatti uno dei titoletti di un testo prefiguratore di Gio Ponti (1891-1979), già incontrato per strada in occasione del marmo tempesta, a proposito del grattacielo Pirelli. Espressione dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, apparso su «Domus» di marzo 1956, tra l’altro, oltre a svelare, con parole d’elogio e partecipazione, l’importanza degli altri sei progettisti – Giuseppe Valtolina, Egidio Dell’Orto, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Arturo Danusso, Pier Luigi Nervi – tocca dei picchi tipo «arte e poesia incominciano dove interviene l’illusione». L’illusività vera del Pirellone, come l’ho sempre chiamato amichevolmente al pari di molti milanesi, però, è solo negli ultimi

tempi di gironzolamenti accurati, ricognizioni maniacali o smarrimenti ragionevoli, che l’ho colta. Va visto di lato, certe sere, all’improvviso. Da via Filzi, mi ricordo, per esempio, una sera, all’angolo con via Locatelli, d’un tratto tutta la sua sottigliezza, di lato, mi ha investito. Estenuato dal continuo camminare in mezzo al traffico, ostinato a non prendere né tram né tantomeno metrò, una rasoiata di grazia, quantomeno, ha colpito il mio sguardo. Il Pirellone, nato nel 1960, fratellino dunque della Velasca anche se più grandicello con i suoi centoventisette metri, da quella prospettiva, esprimeva di colpo la sua natura di diamante, cristallo, lama di spada. Entrava in scena tutta la sua illusività, leggerezza, poesia. Lampo di architettura quasi fantastica in una città poco incline alle fantasticherie.

La conferma di questo punto di os-

Sport in Azione

mente, scandendo le parole, privilegiando concetti chiari e semplici. Le prestazioni peggiorano quando il sistema deve destreggiarsi tra errori di grammatica, accenti diversi, termini dialettali, gesti e così via. E ovviamente l’intelligenza artificiale commette ancora qualche errore, talvolta anche grossolano, sottolineato con divertimento dai diffidenti (ma sa anche correggersi rapidamente). La traduzione istantanea incoraggerà i turisti a viaggiare più spesso e più lontano. Inoltre potrebbero essere invogliati a visitare regioni meno note, ristoranti e negozi locali, distribuendo più uniformemente le loro spese. Naturalmente questa nuova possibilità potrebbe mettere in difficoltà le scuole di lingua. Solo chi visita abitualmente un certo Paese, ne frequenta la cultura in lingua originale e cerca di integrarsi con i locali continuerà a studiare una lingua straniera diversa

dall’inglese; chi soggiorna presso una famiglia ospitante all’estero, ad esempio, o chi desidera comprendere anche le sfumature emotive e personali della lingua.

Anche il personale delle agenzie di viaggio, degli aeroporti e dei servizi turistici beneficerà di questa innovazione; una comunicazione più efficace si traduce in minori ritardi, disservizi e incomprensioni, specie al di fuori dei Paesi più sviluppati, dove la formazione è meglio curata. Ci sono poi situazioni particolari, come il traffico aereo, dove la posta in gioco è ancora più alta: diversi incidenti mortali del passato erano dovuti a incomprensioni tra piloti e controllori di volo. Nel più grave disastro della storia dell’aviazione civile, quello di Tenerife (1977), in cui due Boeing 747 si scontrarono sulla pista causando 583 vittime, i fraintendimenti ebbero un ruolo decisivo.

Per il momento siamo nella fase di passaggio tra sperimentazione e applicazione su larga scala, ma l’impressione è che la traduzione istantanea realizzi finalmente l’eterno sogno dei viaggiatori, specie a livello dei bisogni quotidiani o professionali. Già ora il prezzo è ragionevole, ma naturalmente presto scenderà, com’è sempre successo, anche perché diverse aziende stanno lavorando su servizi simili. Per esempio i Pixel Buds utilizzano l’app Google Translate sugli smartphone Android a cui sono collegati per tradurre le conversazioni in tempo reale. E dall’aprile scorso Meta propone occhiali intelligenti (smart glasses) con la stessa funzione. Insomma ci siamo quasi. E se qualche volta qualcosa non funziona, accettiamolo con grazia. Dopotutto, i viaggi migliori sono anche una somma di piacevoli imperfezioni.

servazione rivelatorio l’ho trovata in uno splendido reportage di Dino Buzzati. Nel finale di Visita con tradimento a una mostra di francobolli (1961) ci sono due consigli prospettici al tramonto, quando la cuspide del monolito si comporta come i «più ispirati picchi delle Dolomiti»: uno è da via Zezon, traversa di Fabio Filzi. «Questo è di gran lunga il più bel posto di Milano, monumenti, chiese, e palazzi antichi compresi»: si sbilanciava, persino, il Buzzati. Dal davanti, invece, come lo vedo adesso appena uscito dalla stazione, su piazza Duca di Aosta, il grattacielo di calcestruzzo armato e vetro, non è niente di che. «Un mobile-bar ingigantito» per il grande storico dell’architettura Bruno Zevi che non deve aver passeggiato abbastanza per beccare quell’angolatura fatata. Mi stupisce pure Antonioni, il cui sguardo architettonico ha già fatto capolino in uno

Olimpiadi del doping? Sarebbero da boicottare

Anche nello sport, e nella fattispecie nel ciclismo, c’è stato il ventennio nero. Tra la fine degli anni Novanta del secolo scorso e il crollo del mito di Lance Armstrong, si è perso il conto dei casi di doping. L’arresto per frode sportiva di Riccardo Riccò al Tour de France nel 2008 ha segnato un confine. In quegli anni, cocenti delusioni, miti crollati e classifiche riscritte avevano portato molti appassionati e alcuni addetti ai lavori ad affermare: «Lasciamoli fare. Doping libero e indiscriminato per tutti, e che vadano a farsi benedire. Tanto è già così». Prevalse il buon senso. Non solo, le federazioni sportive investirono energie, risorse finanziarie e scientifiche per debellare il Male. Non a caso, negli ultimi quindici anni, il numero delle frodi è crollato. Lo si doveva soprattutto alle giovani generazioni. Quelle che avevano, e hanno tuttora, il diritto di crescere sane, con valori

sani, con esempi virtuosi da seguire. Oggi però, Satana, si è di nuovo profilato all’orizzonte sportivo. La notizia era nell’aria già da un paio d’anni. La conferma ufficiale risale ad alcune settimane fa. Dal 21 al 24 maggio del prossimo anno si terrà la prima edizione degli «Enhanced Games», ovvero i «Giochi potenziati», oppure, se preferite, le «Olimpiadi del doping». Si svolgeranno in un Resort di Las Vegas. Guarda caso una delle culle del gioco d’azzardo. È un’iniziativa che puzza di business anche per nasi che si trovano al di qua dell’Atlantico. L’ideatore è Aron D’Souza, un businessman legato al miliardario americano di origini germaniche Peter Thiel. Fondatore e proprietario di PayPal, conservatore, neoliberista, investitore sul fronte delle nuove tecnologie, Thiel è un grande appassionato di fantascienza, con Isaac Asimov e John Ronald Tolkien quali autori culto. In

questa sua nuova iniziativa ha saputo fare proseliti fra coloro che hanno sentito, dolce e seducente, il profumo del denaro. Fra di essi anche Donald Trump Junior, che l’ha considerata perfettamente in linea con i principi del movimento Make America Great Again. Sarà una partenza modesta, in punta di piedi, quella che avverrà la prossima primavera nella città del Nevada: quattro gare di nuoto (50 e 100 stile libero e delfino), quattro di atletica leggera (sulle brevi distanze) e due nel sollevamento pesi. Non ci saranno differenziazioni per sesso. Gli atlet* verranno separat* secondo un’analisi cromosomica. Potranno assumere tranquillamente eritropoietina, e aumentare di conseguenza la cilindrata del motore grazie all’accresciuta percentuale di ematocrito nel sangue. Saranno pure autorizzati a potenziare la muscolatura attraverso l’assunzione di anabolizzanti come il testostero-

dei nostri giri, catturando, nel cuore della notte, palazzo Fidia. L’ha trovata solo in parte, questa angolatura-lama. La camera, all’inizio de La notte (1961), inquadrandolo prima un attimo con accanto, per contrasto, un palazzo antico, sale su frontale. Sul grattacielo modernissimo di trentadue piani che porta il nome della multinazionale famosa per i pneumatici – fondata qui a pochi passi, esordendo con oggetti in caucciù vulcanizzati, da Giovanni Battista Pirelli (1848-1932) – con solo un angolo a mostrarne, in piccola parte, l’esilità. Poi, per due minuti buoni, in questo secondo film della trilogia dell’alienazione con Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Monica Vitti, un pianosequenza-carrellata scende adagio lungo le vetrate – sulle quali scorrono i titoli di testa ricordando un po’ l’inizio del film di Dino Risi con la torre Velasca – che rifletto-

no Milano. Molti, facendo confusione e senza neanche almeno verificare, citano nella filmografia del Pirellone anche il film di Lizzani tratto da La vita agra di Bianciardi però, nel film, il torracchione che Tognazzi vuol far saltare in aria, è la torre Galfa, mentre nel libro è la Montecatini. Se nella vita del Pirellone fanno anche parte una coppietta di falchi pellegrini e un aereo da turismo che centrò il ventiseiesimo piano causando due vittime oltre il pilota, a me non rimane che arretrare nel suo punto di vista verso via Sammartini. Non male, ho scoperto da poco, da qui, l’effetto lama diamantata. E così per sport, con in testa come un mantra la rima di Delio Tessa «ottober, cocober » provo, questa sera di metà ottobre più che mite, a seguire il secondo consiglio prospettico buzzatiano, cercando il punto di osservazione in via General Fara.

ne. Attenzione però a non esagerare, onde evitare un cambiamento di categoria che potrebbe compromettere la classifica. Gli organizzatori sostengono che tutto verrà messo in atto nel pieno rispetto della salute degli atlet*. Non ci credo. In primo luogo perché, da quanto si legge, al termine delle gare non ci saranno controlli. Secondariamente perché da sempre, il profumo dei soldi ha saputo trasformare l’essere umano da docile agnellino in lupo famelico. A chi vincerà spetteranno 250mila dollari (molto di più rispetto a un oro olimpico). Chi riuscirà ad abbassare un primato mondiale intascherà un milione di dollari. Cifra già conquistata dal nuotatore greco di origini bulgare Kristián Goloméev, 5° a Parigi lo scorso anno nei 50 stile libero. Durante un’esibizione promozionale degli «Enhanced Games», ha abbassato di 2 centesimi il record del brasiliano César

Cielo Filho, che resisteva da 16 anni. Un’impresa ottenuta a Greensboro, nel North Carolina, poche settimane dopo aver iniziato la «cura» di potenziamento. Recentemente, il «campione» bulgaro, ha pure demolito il record ufficioso che Caeleb Dressel aveva ottenuto nel 2019 indossando i famosi costumi integrali, realizzati con materiali in grado di migliorare le prestazioni. Se fossimo in presenza di una storia fantascientifica non mi scandalizzerei. La letteratura ha sempre cercato di anticipare i tempi. A volte suscitando il sorriso. Spesso scatenando inquietudine. Pensiamo al Mondo nuovo di Aldous Huxley, a 1984 di George Orwell, o all’Arancia meccanica di Anthony Burgess. Ma qui non siamo in presenza di una fiction. Assisteremo a un’impresa commerciale travestita da ricerca scientifica. Sarebbe da boicottare, ma temo che crescerà, e purtroppo ne sentiremo ancora parlare.

di Claudio Visentin
di Oliver Scharpf
di Giancarlo Dionisio

Settimana Migros Approfittane e

Migros Ticino

2.40

invece di 3.–

Cavoletti di Bruxelles Svizerra/Paesi Bassi, sacchetto da 500 g, (100 g = 0.48) 20%

30%

3.45

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Formentino, Migros Bio Svizzera, 125 g, confezionato, (100 g = 2.76)

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Tutta la frutta bio surgelata (articoli Alnatura esclusi), per es. miscela di bacche Migros Bio, 300 g, 4.13 invece di 5.50, (100 g = 1.38)

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Borsa vitaminica a prezzo fisso da riempire con mele e pere

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Extra Cachi Persimon Spagna, al kg, (100 g = 0.37)

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2.50

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Uva bianca senza semi Migros Bio Spagna/Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.50)

PREZZO BASSO

1.50 Melagrana Spagna/Italia, il pezzo

Migros Ticino
Migros
Migros Ticino

Tutto il pesce fresco intero al banco per es. Orata 300–600 g, ASC, allevamento-Croazia, per 100 g, 1.84 invece di 2.30 20%

20%

8.80 invece di 11.05

Croccantini di pangasio M-Classic, ASC d'allevamento, Vietnam, 700 g, in self-service, (100 g = 1.26)

L’amore per l’artigianato

Cornetti al burro precotti M-Classic, IP-SUISSE 5 pezzi, 200 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 1.18) a partire da 2 pezzi 20%

7.–invece di 8.89

Mini-biberli con ripieno di mandorle 634 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.10) 21%

28%

15.95 invece di 22.43

Gamberetti crudi e sgusciati Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 2.13)

4.10

Crostata di spelta ai broccoli Anna's Best 200 g, prodotto confezionato, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.05) 20x CUMULUS Novità

12.90 invece di 19.50

Leckerli finissimi in conf. speciale, 1,5 kg, (100 g = 0.86) 33%

Ora con impasto di spelta

La crème de la crème

1.90

700/800 g, per 100 g, prodotto confezionato 15%

invece di 2.25

Grana Padano, DOP

Formaggio per raclette a fette aromatizzato e gusti assortiti, Raccard disponibile in diversi gusti (al naturale escl.), per es. gusti assortiti, IP-SUISSE, 900 g, 18.80 invece di 23.50, prodotto confezionato, (100 g = 2.09) a

2.40

Caseificio Canaria per 100 g, prodotto confezionato 20%

invece di 3.–

Fondue Gerber

L'Original o Moitié-Moitié, per es. L'Original, 2 x 800 g, 20.90 invece di 29.90, (100 g = 1.31) conf. da 2 30%

1.65

Le Gruyère Surchoix AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 21%

invece di 2.10

da 3 20%

7.05 invece di 8.85

Le Gruyère grattugiato AOP

3 x 130 g, (100 g = 1.81)

Tutti i Caprice des Dieux (formato maxi escluso), per es. 300 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 1.59) a partire da 2 pezzi 20%

Migros Ticino

Suggerimento: adatto anche per raffinare sfornati e salse

5.40 invece di 6.80

Tutto l'assortimento Tartare (confezioni multiple escluse), per es. erbe e aglio, 150 g, 2.72 invece di 3.40, (100 g = 1.81) a partire da 2 pezzi 20%

2 20% 15.30 invece di 18.–Latte Drink UHT Valflora, IP-SUISSE 12 x 1 litro, (1 l = 1.28)

erbe e aglio o panna e fleur de sel, 2 x 150 g, (100 g = 1.80)

14.10 invece di 15.60 Burro da cucina M-Classic 4 x 250 g, (100 g = 1.41) conf. da 4 1.50 di riduzione

5.20 invece di 6.55 Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g, (100 g = 1.58) 20%

da 12 15%

2.20 invece di 2.60

Una porzione al giorno aiuta la digestione

Tutti gli yogurt Bifidus per es. fragola, 150 g, –.81 invece di –.95, (100 g = 0.54)

Prodotti freschi e pronti

Buonissimi e subito pronti

9.75 invece di 13.–Pasta fresca Garofalo, refrigerata ricotta e spinaci o prosciutto crudo, in conf. speciale, 500 g, (100 g = 1.95) 25%

Pizze Anna's Best, refrigerate Prosciutto o Margherita, per es. Prosciutto, 4 x 400 g, 14.95 invece di 21.60, (100 g = 0.93)

Panetteria e prodotti da forno

Dal forno direttamente al cuore

25% Tutto l'assortimento Pâtissier per es. Zucchero vanigliato, 4 x 10 g, 2.96 invece di 3.70, (100 g = 7.40) 20%

5.70 invece di 7.60 Farina bianca M-Classic, IP-SUISSE 4 x 1 kg, (100 g = 0.14)

Tutti i tipi di pasta per biscotti per es. Pasta per milanesini al burro Anna's Best, blocco, 500 g, 3.68 invece di 4.60, (100 g = 0.74) 20%

da sciogliere e amalgamare agli impasti

Immancabili in dispensa

a partire da 2 pezzi

Tutti i tipi di caffè La Semeuse in capsule, in chicchi e macinato, per es. Mocca in chicchi, Bio, Fairtrade, 500 g, 11.96 invece di 15.95, (100 g = 2.39)

a partire da 2 pezzi

le tisane Klostergarten per es. foglie di ortica bio, 20 bustine, 1.52 invece di 1.90, (100 g = 5.85)

Tutti i tipi di pasta, i sughi per pasta e le conserve di pomodoro Migros Bio e You (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. penne integrali Migros Bio, 500 g, 1.72 invece di 2.15, (100 g = 0.34)

Tutte le conserve di pesce Rio Mare e Albo per es. tonno rosa all'olio d'oliva Rio Mare, 3 x 52 g, 5.36 invece di 6.70, (100 g = 3.44) a partire da 2 pezzi

Purea di patate Mifloc, M-Classic disponibili in diverse varietà, per es. 4 x 95 g, 4.– invece di 5.–, (100 g = 1.05) a partire da 2 pezzi

Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di verdure, barattolo da 228 g, 7.04 invece di 8.80, (100 g = 3.09)

Snack e aperitivi

Divertimento croccante per ogni pausa

a partire da 3

40%

Tutto l'assortimento Blévita per es. Gruyère AOP, 6 x 38 g, 2.37 invece di 3.95, (100 g = 1.04)

a partire da 2 pezzi 25%

Noci di anacardi, mandorle e gherigli di noce Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. noci di anacardi, Fairtrade, 150 g, 2.66 invece di 3.55, (100 g = 1.77)

6.30 invece di 8.08

Molto croccanti, ideali da farcire

Chips Zweifel alla paprica o al naturale, in conf. XXL Big Pack, 380 g, (100 g = 1.66) 22%

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le noci e le noci miste Sun Queen Apéro per es. noci di anacardi, 170 g, 2.64 invece di 3.30, (100 g = 1.55)

20%

Salatini da aperitivo Gran Pavesi Cracker Salato, Sfoglie Classiche o Sfoglie Mais, in confezioni speciali o multiple, per es. Cracker Salato, 560 g, 3.90 invece di 4.93, (100 g = 0.70)

pezzi

Dolci e cioccolato

Allarme biscotti!

conf. da 3 23%

Biscotti Ovomaltine Crunchy o Petit Beurre al latte, per es. Crunchy, 3 x 250 g, 9.95 invece di 13.05, (100 g = 1.33)

5.95 invece di 8.85

Petit Beurre M-Classic chocolat au lait o chocolat noir, 3 x 150 g, (100 g = 1.32) conf. da 3 32% Ovomaltina disponibile in diverse varietà e in confezioni speciali e multiple, per es. Ovo Rocks, 2 x 120 g, 7.50 invece di 9.40, (100 g = 3.13) conf. da 2 20%

6.60 invece di 8.–

Bastoncini alle nocciole M-Classic in conf. speciale, 1 kg, (100 g = 0.66) 17%

Risoletto Frey in conf. speciali o in conf. multiple, per es. minis al latte, 840 g, 15.40 invece di 19.80, (100 g = 1.83) 22%

Zeilenumbrüche

Novità

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Semimaschere di Halloween per bambini disponibili in diversi motivi, il pezzo

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Secchiello a zucca neon per Halloween Ø 17 cm, disponibile in diversi colori, il pezzo

6.95

Mini zucche di Halloween Ø 7 cm, 6 pezzi

Hit

9.95

Haribo Spooky Party Mix in conf. speciale, 1 kg, (100 g = 1.00)

Festone di Halloween da appendere disponibile in diversi motivi, il pezzo
Trolli Halloween Mix sweet & sour, 360 g, (100 g = 1.53)

Puliti e profumati

Carta igienica Hakle, FSC® pulizia delicata, morbida o incredibile, in confezioni speciali, per es. pulizia delicata, 24 rotoli, 17.50 invece di 29.20 40%

Tutto l'assortimento Nature Clean per es. detergente per vetri, 500 ml, 2.80 invece di 3.50, (100 ml = 0.56) a partire da 2 pezzi

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7.50

invece di 13.80

Salviettine umide Hakle freschezza e cura, freschezza assoluta o freschezza e sensibilità, 4 x 42 pezzi, per es. freschezza e cura

da 2 20%

Sacchetti multiuso o fogli di carta da forno, Kitchen & Co. per es. sacchetti multiuso N°13, 2 x 100 pezzi, 2.95 invece di 3.70

Edition, Winter

Un modo rapido per eliminare i fastidiosi moscerini della frutta: versa dell’aceto di mele in un bicchiere, aggiungi qualche goccia di detersivo per piatti e la trappola è pronta. L’aceto attira i moscerini, il detersivo rompe la tensione superficiale e gli insetti fanno il bagno.

7.65

invece di 9.60

conf.
conf. da 3
Manella Lime o Grapefruit & Eucalyptus, 3 x 500 ml, (100 ml = 0.51)
conf. da 3

Coccolati Bellezza e cura del corpo

Prodotti per la doccia e lozioni per il corpo, Kneipp (confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. balsamo doccia cura-pelle ai fiori di mandorlo, 200 ml, 3.71 invece di 4.95, (100 ml = 1.86)

Assorbenti Always in conf. speciali o in conf. multiple, per es. Ultra Normal Plus, 34 pezzi, 4.85 invece di 6.09

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Always Discreet in confezioni multiple o speciali, per es. salvaslip Normal, 2 x 28 pezzi, 9.35 invece di 11.–

Tutto l'assortimento I am Natural Cosmetics (confezioni da viaggio escluse), per es. gel doccia pompelmo e bambù, 200 ml, 3.38 invece di 4.50, (100 ml = 1.69)

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Always per es. Normal, 2 x 76 pezzi, 7.35 invece di 9.23

e unghie,

75 ml, (10 ml = 0.66)

Crema antietà o crema mani
Neutrogena
CUMULUS
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi

i rasoi Gillette e Gillette Venus (esclusi lame di ricambio, rasoi usa e getta e conf. multiple), per es. Comfort Glide Spa Breeze, il pezzo, 6.98 invece di 13.95

Lame di ricambio Gillette Venus in confezioni speciali, per es. Venus Spa Breeze, 8 pezzi, 26.95 invece di 33.90, (1 pz. = 3.37)

di ricambio Gillette in confezioni speciali, per es. Fusion 5, 14 pezzi, 41.90 invece di 52.41, (1 pz. = 2.99)

Rasoi usa e getta Gillette Blue II o Blue 3, in confezioni speciali, per es. Blue II, 20 pezzi, 8.95 invece di 11.20, (1 pz. = 0.45)

Tutti
Lame

Bellezza ed eleganza

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Rose nobili Trio, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 9, lunghezza dello stelo 60 cm, il mazzo 20% 9.95

Minirose disponibili in diversi colori, mazzo da 14, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo

Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, Ø 12 cm, il vaso

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