Saper comunicare in maniera efficace è alla base delle buone relazioni e della nostra felicità
Servizio civico obbligatorio per tutti e tutte? Lo decide il popolo elvetico il prossimo 30 novembre
ATTUALITÀ Pagina 15
Al Museo d’arte di Mendrisio le incisioni di Pablo Picasso e dello svizzero Markus Raetz
CULTURA Pagina 23
Letterature dal Medio Oriente
Dalla palestra di Nottwil al progetto nazionale di Swiss Table Tennis, grazie a Fabrice Descloux
TEMPO LIBERO Pagina 37
C’era una volta in America (il giornalismo)
Sono cresciuto nel mito del giornalismo d’inchiesta americano: quello che costrinse Nixon alle dimissioni per lo scandalo Watergate, che pubblicò i Pentagon Papers smascherando le menzogne sulla guerra in Vietnam, che con il Team Spotlight del «Boston Globe» rivelò gli insabbiamenti degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica, che fece esplodere lo scandalo #MeToo e il caso Weinstein grazie alle inchieste del «New Yorker» e del «New York Times». Oggi, quelle stesse testate mantengono una linea abrasiva nei confronti di Trump, scarnificando le sue politiche antidemocratiche. Ma pagano pegno: l’attuale amministrazione ha intentato cause per 15 miliardi di dollari contro il «New York Times» («ha mentito per decenni sul vostro presidente preferito (IO!), sulla mia famiglia, sui miei affari, sul movimento America First, sul MAGA e sulla nostra nazione nel suo complesso») e per 10 miliardi contro il «Wall Street Journal» (per la pubblicazione di una let-
tera di auguri per i 50 anni di Jeffrey Epstein, che secondo Trump è falsa e farebbe parte di una campagna diffamatoria).
La strategia è chiara: usare le cause legali come armi politiche e mediatiche, anche quando poggiano su basi fragili, per inibire i media critici, rafforzare la narrativa delle «fake news» e nel frattempo intascare qualche milioncino di dollari (finora oltre 30 quelli incassati).
Così, alcuni grandi giornali – come il «Washington Post» e il «Los Angeles Times» – già prima delle elezioni presidenziali avevano cercato rifugio nella «neutralità» (né con Trump né con Harris) per evitare ritorsioni. Generando dimissioni interne e accuse di cedimento alle pressioni dall’alto. Onore a chi resiste, ma tra autocensure e ricatti la capacità dei media tradizionali di influenzare l’opinione pubblica americana sembra ai minimi storici. Molti cittadini-elettori si informano tramite social, podcast e influencer, percependo i media mainstream come «parzia-
li» o «inutili». Ad aprile la Casa Bianca ha ampliato l’accesso alle conferenze stampa a blogger, podcaster e creator digitali, tra cui strampalati esponenti del mondo MAGA poco avvezzi al concetto di deontologia giornalistica. Anche i giganti dell’informazione di qualità, però, a volte sbagliano. Che scivolata, quella della britannica BBC con il montaggio manipolatorio di un discorso di Trump del 6 gennaio 2021 (giorno dell’assalto a Capitol Hill) in un documentario, dove sembrava che il presidente avesse incitato direttamente alla violenza. La BBC ha chinato il capo e il direttore generale Tim Davie e la responsabile news Deborah Turness hanno perso il posto. Giusto: non puoi predicare contro la disinformazione della Casa Bianca e poi creare una fake news per combatterla.
Tutto questo consente al presidente Usa di continuare a trattare a pesci in faccia i giornalisti rei di fare il loro mestiere. Come Catherine Lucey
di «Bloomberg», che nei giorni scorsi ha tentato di interrogarlo sui documenti di Epstein e si è sentita dire: «Quiet, piggy!» («Sta’ buona, maialina»). In febbraio, un reporter dell’AP è stato escluso da un vertice alla Casa Bianca per il rifiuto dell’agenzia di adottare la denominazione «Golfo d’America» al posto di «Golfo del Messico», come preteso da Trump. Del resto, il Primo Emendamento garantisce la libertà di stampa, ma non obbliga il governo a concedere accesso illimitato. Tuttavia, negarlo a chi critica il presidente o non adotta una certa terminologia va considerato «viewpoint discrimination», una delle forme più gravi di violazione della libertà di espressione, perché colpisce il cuore del dibattito democratico. La nuova regola l’ha spiegata, papale papale, lo stesso Trump a un giornalista dell’AP: «Farmi domande è un privilegio, non un diritto». E quando l’AP ha presentato ricorso, un giudice federale lo ha respinto. Aiuto!
Simona Sala Pagina 25
Giacomo Longhi
Carlo Silini
Trovalatua filiale conapertura domenicale:
La Migros studia la farina del futuro
Info Migros ◆ Nel laboratorio di farina di Migros Industrie si analizzano nuove varietà di frumento e si sviluppano le miscele ideali per i diversi prodotti da forno
Nina Huber
Il rotolo di pasta viene bloccato saldamente nel supporto metallico. Lentamente, una leva inizia a tirarlo verso il basso, e così diventa sempre più lungo, finché non si spezza. «In questo modo verifichiamo l’elasticità dell’impasto», spiega Christian Städeli, responsabile Ricerca di Migros Industrie. Siamo nel laboratorio di farina della Migros a Volketswil. Tutte le varietà di frumento del raccolto attuale e le nuove varietà coltivate sono analizzate e valutate nei minimi dettagli. «Il frumento deve dar prova della sua qualità ben prima di diventare farina», afferma Städeli. Infatti, le diverse varietà di frumento vengono valutate non solo in base al contenuto di proteine, amido e fibre, ma anche al comportamento sul campo in presenza di intemperie. La varietà deve essere resistente alle malattie, in grado di affrontare estati secche e dare buoni raccolti. «La qualità della cottura in forno si definisce soprattutto nei campi», spiega Städeli. «Quando facevo l’apprendista da panettiere-pasticcere, si diceva ancora che in Svizzera non fosse possibile coltivare frumento in grado di soddisfare le esigenze locali», continua Städeli, che ha poi proseguito gli studi in scienze alimentari. Al massimo, la qualità sarebbe stata sufficiente per un pane piatto e scuro. Per questo motivo, fino a trent’anni fa, il frumento veniva importato quasi totalmente dagli USA e dal Canada. Grazie alla ricerca di Agroscope, il centro di competenza della Confederazione per la ricerca agronomica, è stato possibile coltivare cereali svizzeri adattati alle condizioni climatiche locali. Ognuna di queste varietà prende il nome da una montagna svizzera: Piznair, Titlis, Zinal… Insieme a IP-Suisse, la Migros determina il mix di varietà coltivate in Svizzera. La Migros trasforma frumento al
100% svizzero realizzando un terzo di tutta la produzione elvetica.
La sfida: sono sempre necessarie nuove varietà di frumento, perché con il passare del tempo, spiega Städeli, «invecchiano», diventano cioè soggette alle malattie, non riescono a sopportare le estati più secche o rendono meno. Alcune varietà vengono pertanto rimosse dall’elenco di quelle raccomandate dopo appena sei o sette anni, mentre altre durano 25 anni o più. In
media, ogni anno vengono esaminate circa 250 nuove varietà di frumento e oltre 120 sono attualmente approvate per la coltivazione. La Migros contribuisce notevolmente alla redazione di questo catalogo. «Il nostro laboratorio esiste da oltre cinquant’anni. E poiché siamo attivi lungo tutta la catena del valore aggiunto, il contributo della Migros è molto considerato nel settore», afferma Städeli. Il lavoro quotidiano di Städeli è va-
rio: lo si può incontrare in una fattoria, intento a osservare sul campo la crescita di una varietà, così come nel laboratorio di Volketswil, dove discute le analisi o partecipa ai test nel reparto di analisi sensoriale. Qualche volta lo si incrocia anche al Politecnico federale di Zurigo, dove si confronta con Laura Nyström. Insieme all’ETH la Migros sta portando avanti diversi progetti di ricerca, ad esempio su come aumentare il contenuto di fibre della farina bianca.
È la miscela a far la differenza
Anche Städeli e il suo team nel laboratorio della farina non sono mai a corto di lavoro. I 3500 prodotti delle panetterie Migros richiedono da 300 a 400 qualità diverse di farina. Un biscotto prussiano piatto caramellato ha esigenze diverse in termini di farina rispetto a una corona croccante e voluminosa. Per un biscotto piatto, la percentuale di proteine nel frumento deve essere inferiore e la qualità deve essere adattata di conseguenza, al fine di evitare un volume troppo grande. Anche le farine domestiche presenti sugli scaffali della Migros, con cui a breve nelle case svizzere si sforneranno deliziosi milanesini o trecce al burro, non sono prodotte con una sola varietà di frumento, ma composte da miscele: una farina bianca contiene tra 26 e 30 varietà di frumento diverse. Ecco perché Städeli e il suo team nel laboratorio della farina Migros stanno già lavorando al «blend» per la farina del 2040, con varietà di frumento che saranno coltivate solo fra 15 anni.
Lugano: apre il nuovo Supermercato Migros
Info Migros ◆ Terminati gli importanti lavori di ristrutturazione della superficie di vendita svolti a tappe negli ultimi mesi, il prossimo 27 novembre aprirà completamente rinnovato il Supermercato Migros sito al -1 dell’edificio di Via Pretorio a Lugano
Un investimento per una rete di vendita più sostenibile
Con un investimento complessivo di oltre 3 milioni di franchi, Migros Ticino rinnova ulteriormente la propria rete di vendita nel Sottoceneri, rafforzando il servizio al cliente e il radicamento nel territorio, con un’ottica di sempre minore impatto ambientale. La rinnovata filiale si distingue per l’uso di impianti moderni, tecnologie molto avanzate e per il rispetto dei più alti standard di sostenibilità ambientale ed efficienza energetica, in linea con gli ambiziosi obiettivi di Migros. Con una superficie di vendita di 1750 metri quadrati, il punto vendita cittadino offre un assortimento ben calibrato per soddisfare le necessità della popolazione di Lugano, dei molti lavoratori della zona, dei clienti in transito e dei numerosi turisti che per diversi mesi all’anno lo frequentano.
Per una spesa più piacevole e gratificante
Questo Supermercato Migros luganese è il terzo in Ticino, dopo Locarno e Bioggio, a essere realizzato con il
nuovo concetto nazionale «Papillon», ideato per migliorare l’esperienza d’acquisto della clientela grazie a spazi più accoglienti, luminosi e moderni. Grande attenzione è stata dedicata ai reparti del fresco, con in ingresso il reparto Frutta e verdura completo e curato. Fiore all’occhiello la macelleria, ora più centrale e accessibile, moderna e luminosa, senza dimenticare la pescheria, il nuovo banco formaggi con prodotti a libero servizio imballati freschi e la nuova zona di cottura del pane. La linea Daily sarà ben rappresentata, offrendo un’ampia scelta di
cibi pronti caldi e freddi, bibite di alta qualità e articoli ideali per chi è di passaggio o lavora nella zona. Ciliegina sulla torta, il nuovo apparecchio per la spremitura di melagrane, che andrà ad affiancare il collaudato e apprezzato spremiarance.
Il reparto non alimentare proporrà una vasta selezione di articoli per la casa, cosmetica e molto altro, calibrata sulle esigenze della clientela abituale. Il supermercato sarà dotato di tre casse tradizionali (di cui una accessibile a persone con disabilità) e 17 casse Subito per il self-checkout, ideali per
chi desidera una spesa veloce. Saranno disponibili anche il comodo Servizio PickMup per il ritiro degli ordini online e l’apparecchio Migros Photo Service, per la stampa istantanea delle vostre foto.
La parete ecologica è nuova e completa e includerà la zona per il ritiro dei sacchi Migros dedicati alla raccolta delle plastiche miste e Tetra Pak.
Facilmente accessibile e attento alla mobilità rispettosa dell’ambiente
Il supermercato è situato in centro città, facilmente raggiungibile sia a piedi sia con i principali mezzi pubblici. Per chi utilizza un mezzo privato, sono disponibili 130 posti auto interni e quattro postazioni di ricarica M-Charge per veicoli elettrici.
Iniziative per l’inaugurazione del Supermercato Migros di Lugano
Per sottolineare questo nuovo significativo intervento nella propria rete di vendita, Migros Ticino ha previsto
svariate attività. Giovedì 27 novembre, dalle 17:00, aperitivo offerto a tutti i clienti. Nei primi tre giorni di riapertura, dal 27 al 29 novembre, vi saranno un 20% di sconto sull’intero reparto Frutta e verdura e svariate degustazioni dei prodotti Nostrani del Ticino. Sabato 29 novembre dalle 10.00 alle 17.00 trucca bimbi. Inoltre, domenica 30 novembre, apertura straordinaria con un 5x punti Cumulus su tutto l’assortimento del Supermercato Migros.
Orari e contatti del Supermercato Migros di Lugano
La gestione del supermercato rimane affidata all’esperto gerente Sinisa Metikos, che guiderà una squadra composta da un’ottantina di collaboratori pronti a garantire un’esperienza d’acquisto piacevole e di qualità, accogliendo i clienti con professionalità e in un clima famigliare.
Orari d’apertura
Lunedì-venerdì: 7.30-19.00
Giovedì: 7.30-21.00
Sabato: 7.30-18.30 Tel. 091 821 71 00
Non perdetevi le iniziative per la riapertura del punto vendita luganese.
Il cane riconosce le persone cattive? È la percezione che hanno molti proprietari e che i ricercatori studiano: ciò che è certo è che i cani ci osservano e valutano il nostro comportamento
La stanza del dialogo Provare dei sentimenti per un uomo più giovane e che oltretutto è il nostro medico: un’esperienza umana analizzata da Silvia Vegetti Finzi
La felicità passa anche dalla comunicazione
Incontri ◆ Saper comunicare in maniera efficace è alla base delle buone relazioni sia in ambito privato che professionale. Ne parliamo con Monica Garbani-Nerini, formatrice e Chief Happiness Officer
Alessandra Ostini Sutto
Tra i principali fattori che concorrono a determinare la felicità ci sono le buone relazioni, che a loro volta sono influenzate in maniera importante dalla qualità della comunicazione. Lo affermano diversi studi ma anche la nostra esperienza quotidiana. Per questo motivo è utile comprendere come comunicare al meglio, in maniera efficace e in un modo capace di farci connettere più profondamente con l’altro.
«Da qualche anno mi occupo di benessere e le buone relazioni, per le quali la comunicazione è essenziale, sono una delle cose più importanti in questo senso – afferma Monica Garbani-Nerini, formatrice, consulente e Chief Happiness Officer – il problema è che non ci viene insegnato a comunicare in maniera efficace e, di conseguenza, in questo ambito, c’è tanto che diamo per scontato. Per esempio, diamo per scontato che l’altro capisca, e ci capisca, quando in realtà siamo così diversi l’uno dall’altro per cui scontato ciò non lo è affatto. Sta a noi spiegarci, o perlomeno spiegare alcune cose di noi o di quello che stiamo dicendo».
Monica Garbani su queste tematiche tiene dei corsi, momenti di condivisione, spunti e consigli su come migliorare il proprio modo di comunicare e aumentare di conseguenza il livello di felicità. A lei chiediamo quindi quali sono gli elementi che in questo ambito andrebbero migliorati: «La prima cosa che ritengo importante è il fatto di esprimersi, ed esprimere i propri bisogni, il proprio sentire, la propria richiesta, in prima persona – spiega – per esemplificare, invece di “se mi dici questa cosa mi fai star male”, direi “io sto male quando dici questa cosa”; con la prima formulazione, infatti, la persona che la riceve si sente messa in discussione, mentre con la seconda si esplicita che si tratta di un mio problema». Altro elemento importante anche quando si comunica con l’altro è la conoscenza di sé stessi e delle proprie emozioni: «Se sono cosciente delle reazioni che ho di fronte a certe affermazioni, e dei motivi che ne stanno alla base, avrò maggiore consapevolezza sulle mie scelte comunicative e ciò si ripercuoterà automaticamente sulla relazione con il mio interlocutore e sul modo in cui lui si porrà nei miei confronti», aggiunge la formatrice per adulti. Principi, questi, che valgono per tutti i tipi di relazioni – amichevoli, familiari, professionali –dal momento che le dinamiche che ne stanno alla base sono simili. C’è poi un terzo elemento, basilare, a cui spesso non viene però accordata la dovuta importanza quando si comunica con l’altro: ascoltare. «Molto spesso c’è bisogno di impara-
re ad ascoltare e di farlo fino in fondo, senza reagire o esprimere giudizi e lasciando che il nostro interlocutore possa finire quello che sta dicendo», afferma Monica Garbani, che continua aggiungendo un’ulteriore componente di una buona comunicazione: «Il passo successivo è quello di cercare di capire, quando necessario riformulando quello che l’altro ha detto. Perché anche qui si apre ogni volta un mondo, nel senso che in un dialogo uno dice una cosa, che l’altro poi interpreta, anche in base al proprio vissuto». In particolare in caso di conflitto, magari con i figli, vale la pena di riformulare, a voce alta, quanto appena ascoltato. Questo consente da un lato di assicurarci nel confronto con l’altro di averlo capito davvero e, dall’altro, mantiene aperto il discorso, e lo fa in un modo corretto, senza cioè attaccare l’interlocutore, ma mettendolo piuttosto al centro. «Restando in tema di relazioni soprattutto familiari – ma non solo – è bene rendersi conto che molte volte le persone hanno bisogno solo di ascolto, e non di risposte; mentre quello che spesso siamo portati a fare, anche con l’ammirevole obiettivo di renderci utili, è di partire immediatamente con il dare soluzioni ed interpretazioni», racconta la nostra interlocutrice, la quale si occupa anche di consulenza individuale e sviluppo personale, bilancio delle competenze, sostegno alla ge-
nitorialità, comunicazione costruttiva e gestione dei conflitti. Ma come possiamo capire se la persona con cui ci stiamo confrontando si aspetta da noi «solo» ascolto oppure un aiuto più concreto? «Non è effettivamente semplice; quello che consiglierei è di stare il più possibile in ascolto, evitando di dare soluzioni, ma piuttosto indagando sul tema in questione, su quello che, eventualmente, non va, su come si sente chi abbiamo di fronte; dopodiché, se realmente lo desidera, sarà lui stesso a chiederci la nostra opinione», ci spiega l’esperta.
In caso di conflitto, magari con i figli, vale la pena di riformulare, a voce alta, quanto appena ascoltato, ciò permette di mantenere aperto il dialogo
Riuscire a mettere in atto queste «regole» per una buona comunicazione permette a noi di esprimerci e farci conoscere e, al tempo steso, ci consente di conoscere meglio il nostro interlocutore; riconoscere le nostre emozioni e permetterci di riconoscere i sentimenti e i punti di vista dell’altro, grazie a un atteggiamento di ascolto attento e consapevole, ci fa sentire reciprocamente più vicini e ci aiuta a comprenderci meglio. E queste sono, ovviamente, delle basi soli-
de per delle relazioni di valore. «Le relazioni sono il fulcro di quasi tutte le teorie scientifiche sul benessere – aggiunge Monica Garbani – e, concretamente, i benefici che delle buone relazioni portano con sé si possono misurare in una diminuzione dello stress, un aumento del senso della vita e della sicurezza, per il fatto di avere un supporto sociale, nell’aumento di emozioni positive, con relativo incremento nella produzione di ormoni “della felicità”, come pure in un miglioramento della salute e in un rafforzamento del sistema immunitario». Di conseguenza, appare chiara l’importanza e la necessità di coltivare le relazioni che sono significative per noi, impegnandosi a trovare il tempo da dedicare loro, piuttosto che relegarle in secondo piano rispetto agli impegni e alle scadenze che la vita ci impone. Ne va della nostra felicità. E, in tema di felicità, avrà magari incuriosito qualcuno il titolo di Chief Happiness Officer, che può essere tradotto come «Responsabile della felicità»; di cosa si tratta? «Ho seguito questa formazione in Italia, nel 2020, che arriva, come facilmente immaginabile, dall’America. Attualmente esistono formazioni analoghe anche in alcune business-school di altre nazioni, per esempio Germania ed Inghilterra – racconta Monica Garbani – nel mio percorso, abbiamo studiato quali sono le cose che in
un’azienda fanno stare bene, partendo dal presupposto che se i dipendenti sono felici hanno un rendimento e un coinvolgimento maggiori, nell’azienda e nel lavoro, come comprovato da numerosi studi».
Tra questi studi, la nostra interlocutrice ne cita uno in cui fuori da un’aula di esame ad un gruppo di studenti è stata data una caramella e sono state pronunciate delle parole di incoraggiamento, prima di entrare, mentre ad un secondo gruppo no; il risultato emerso è che gli esponenti del primo gruppo hanno ottenuto un esito nettamente migliore all’esame rispetto a quelli del gruppo di controllo. «A volte si tratta di piccole attenzioni o piccoli accorgimenti che possono fare la differenza, anche in azienda, alcuni dei quali sono proprio legati al fatto di valorizzare le persone, coinvolgerle, e sono quindi a costo zero. Costano soltanto un po’ di tempo e di attenzione. Più in generale, comunque, durante la formazione si viene a conoscenza di tutta una serie di strumenti da utilizzare e di elementi a cui prestare attenzione proprio per arrivare al fine ultimo di avere un buon clima aziendale», conclude Monica Garbani, attiva come formatrice anche in ambito aziendale, nel quale, ci dice, si comincia effettivamente a percepire un maggior interesse per questo tipo di tematiche, anche alle nostre latitudini.
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Per una buona comunicazione molto spesso c’è bisogno di imparare ad ascoltare e di farlo fino in fondo, senza reagire o esprimere giudizi. (Freepik. com)
Con un razzo verso il Pianeta delle Farfalle
Territorio ◆ La nuova opera partecipativa concepita da Yuri Catania ha coinvolto gli allievi dell’istituto scolastico di Lamone-Cadempino
Stefania Hubmann
Da anonimo elemento funzionale –una canna fumaria alta dieci metri –a opera di street art collettiva che ha coinvolto tutti gli allievi dell’istituto scolastico di Lamone-Cadempino. È questa la trasformazione, sul piazzale delle scuole, del manufatto di cemento armato in colorato razzo spaziale di carta che conduce al Pianeta delle Farfalle. Il concetto artistico è di Yuri Catania, autore due anni fa per lo studio di ergoterapia di Sara Ruscitti, sempre a Lamone, dell’opera site specific Il Pianeta delle Farfalle. L’atto primo è ora uscito dallo spazio privato per coinvolgere la comunità diventando un Progetto d’istituto che sarà sviluppato durante l’intero anno scolastico. La direttrice Samanta Cantoni Brugnetti ha raccolto la proposta di Sara Ruscitti e Yuri Catania dando vita in sole cinque settimane, con la decisiva collaborazione del corpo docenti, al primo tassello di un articolato programma.
Non si tratta da parte dell’artista di realizzare un’opera con funzione decorativa, ma di includere i principali destinatari nel processo di creazione e realizzazione
Il Pianeta delle Farfalle: il viaggio, partito a razzo in tutti i sensi, è infatti già anche un libro virtuale che racchiude la storia e i relativi disegni di questo viaggio spaziale. Il volume di cento pagine è scaricabile dall’installazione attraverso un QR code integrato, mentre tramite l’applicazione gratuita ArtiVive è possibile arricchire ulteriormente l’esperienza interattiva fruendo di una visione di realtà aumentata. L’abbinamento di natura e tecnologia, caratteristico del percorso di Yuri Catania, viene riaffermato anche nei due murales del Pianeta delle Farfalle. La prima opera risale al 2023 ed è stata realizzata con la partecipazione diretta di Sara Ruscitti che crede nel potere curativo dell’arte, molto presente nel suo studio, e che per quest’opera ha suggerito la presenza degli animali che fanno parte della sua vita privata.
Un elemento essenziale del progetto è il ruolo della manualità, messo in evidenza sia nell’ambito scolastico, sia in quello terapeutico. Bambine e bambini hanno infatti esercitato la scrittura e il disegno, tagliato e incollato, partecipando con l’artista alla realizzazione dell’opera dopo aver visto il murales nello studio OBIETTIVOErgoterapia e aver lavorato in classe.
«L’istituto scolastico di Lamone-Cadempino – spiega la direttrice
Il murales sulla canna fumaria alta dieci metri; In basso da sinistra: Samanta Cantoni Brugnetti, Direttrice dell’Istituto scolastico di Lamone-Cadempino, Yuri Catania, artista, Sara Ruscitti, fondatrice di OBIETTIVOergoterapia, Luca De Savelli, Presidente della Commissione Scolastica dei Municipi di Lamone e Cadempino.
Samanta Cantoni Brugnetti – conta sette classi di scuola elementare e una a effettivo ridotto e quattro sezioni di scuola dell’infanzia per un totale di 203 allievi, mentre i docenti sono una ventina. Il Pianeta delle Farfalle: il viaggio ha coinvolto ognuno di loro, perché lo abbiamo subito concepito come progetto interdisciplinare. Realizzare storia, disegni e murales dall’inizio dell’anno scolastico al 24 ottobre, giorno dell’inaugurazione, è stata una sfida che non poteva andare a buon fine sfruttando unicamente le ore dedicate alle arti plastiche. D’altronde immaginare la storia, scriverla, disegnarla, ritagliare e incollare le componenti del murales è un percorso che include diverse abilità volte a sviluppare non solo le competenze disciplinari, ma anche quelle trasversali. Ogni classe ha scritto e disegnato una parte della storia e passando il testimone a quella successiva la storia ha preso forma. La collaborazione tra i docenti è stata decisiva per coordinare il lavoro e arrivare al risultato finale». Inoltre, con questo progetto l’ergoterapia e i suoi principi sono entrati in tutte le classi. Due professioniste hanno infatti seguito le classi, fornendo alle docenti indicazioni utili anche per le attività future. Sara Ruscitti sottolinea l’importanza di questa collaborazione a favore dei più piccoli, oggi sempre meno allenati all’utilizzo delle mani nel tempo di svago. «Giocare con il Lego, infilare le perline, ma pure attività sco-
lastiche come scrivere alla lavagna o in corsivo, non sono capacità fini a se stesse, bensì fungono da prerequisiti per lo sviluppo di altre competenze». Per di più con questi giochi, così come con carta, colla e forbici i bambini si divertono. L’ideale, concordano le nostre interlocutrici, è sviluppare le nuove competenze tecnologiche senza sacrificare queste abilità manuali di base. Il progetto legato al Pianeta delle Farfalle raggiunge questo duplice scopo abbinando il mondo della natura, rappresentato dagli animali protagonisti della storia, a quello della tecnologia, per ampliare l’esperienza rendendola più ricca e coinvolgente. Come proseguirà ora il Progetto d’istituto? Risponde la direttrice:
«Dopo la giornata di inaugurazione, coincisa con la cerimonia di accoglienza dei nuovi allievi, è previsto un altro momento pubblico il 4 dicembre in occasione dell’accensione dell’albero di Natale sul piazzale dalla casa comunale di Cadempino. Per questa ricorrenza gli allievi realizzeranno delle bocce ispirate al tema dell’arte, che verrà poi ripreso nel corso dell’anno seguendo il calendario stagionale, ad esempio per Carnevale con i travestimenti e la decorazione del locale che ospita la festa. Il progetto culminerà a giugno con una mostra che riunirà le diverse opere realizzate da allieve e allievi nel corso dell’anno scolastico».
L’iniziativa legata al Pianeta delle
farfalle è stata sostenuta dai Comuni di Lamone e Cadempino, dalla Banca Raiffeisen Vedeggio Cassarate e dalle associazioni Sagra della costina Lamone e Zocurin da Cadempin. La direttrice della scuola non dimentica nemmeno il contributo dei genitori che grazie a questa iniziativa hanno potuto essere maggiormente coinvolti nelle attività dei loro figli. L’assemblea dei genitori ha inoltre assicurato la parte conviviale dell’inaugurazione dell’installazione.
Per Yuri Catania, che anche in altre occasioni ha concepito opere partecipative, questa caratteristica «favorisce la comprensione dell’opera attraverso il lavoro, uscendo dalla dinamica dell’osservazione». L’anno scorso ha realizzato Jazz of the wall per il 40. di Jazz Ascona sulla facciata della locale biblioteca con il contributo di residenti, turisti e semplici passanti. A Lamone-Cadempino ha invece lavorato con bambini di meno di dieci anni, con i quali ha sviluppato un progetto volto a valorizzare l’immaginazione, a trasmettere messaggi positivi, a portare meraviglia. Un compito stimolante perché – precisa Yuri Catania – «i bambini rappresentano il nostro futuro e con queste attività trasmettiamo dei valori. Non si tratta infatti da parte dell’artista di realizzare un’opera con funzione decorativa, ma di includere i principali destinatari nel processo di creazione e realizzazione, facendo comprendere anche l’aspetto effimero dell’installazione». Realizzato con carta biodegradabile, il razzo di Lamone-Cadempino, come altri lavori di Catania, è destinato a consumarsi: i colori sbiadiscono, la carta si stacca. Prima però, grazie all’approccio partecipativo, diventa identità del territorio. In effetti adesso la torre, che in precedenza gli alunni non notavano nemmeno, tanto da rispondere che nulla si differenziava sul piazzale, è un elemento vivace e intrigante che caratterizza la sede scolastica dei due Comuni luganesi.
La storia, i disegni e l’installazione del Pianeta delle Farfalle racchiudono molteplici argomenti, dagli animali all’esplorazione, dal viaggio alla collaborazione necessaria per superare situazioni difficili. Il progetto scolastico permetterà di approfondirli e declinarli nella progettazione di classe in diverse versioni nei prossimi mesi e durante le giornate a tema. Il Pianeta delle Farfalle è quindi tutto da scoprire in ogni sua forma da parte tanto dei bambini quanto degli adulti. Richiama valori educativi universali come l’armonia, la cooperazione e l’importanza dei piccoli gesti che, proprio come il battito d’ali delle farfalle, possono generare conseguenze su scala più grande.
Il ritorno dei Frontaliers
Attualità ◆ La guardia di confine Bernasconi e il frontaliere Bussenghi tornano prossimamente al cinema con Frontaliers Sabotage, una nuova e travolgente avventura ad alto tasso di comicità. Per l’occasione sono previste anche alcune iniziative alla tua Migros
Incontra i Frontaliers al Migros City Center
Lago di mercoledìLocarno 26 novembre 2025
Tra qualche settimana uscirà in anteprima nei cinema del Cantone Frontaliers Sabotage, il nuovo esilarante film con protagonisti principali la guardia di confine Bernasconi e il frontaliere Bussenghi. Dopo l’esordio di grande successo del 2017 con Frontaliers Disaster, nella nuova avventura ricca di comicità i due mitici
personaggi saranno alle prese con altre incredibili e improbabili situazioni di qua e di là della frontiera dove, tra infiltrazioni, equivoci e missioni sotto copertura, saranno chiamati a risolvere il caso di un sabotaggio che minaccia la Svizzera e il suo celebre cioccolato. Una missione che li porterà ad affrontare imprevisti, in-
Un panettone esclusivo
di
al latte Frontaliers 80 g Fr. 5.–In vendita in tutte le filiali Migros
seguimenti e strategie maldestre, che non andrà per niente come avrebbero previsto. Il film, diretto da Alberto Meroni, è stato prodotto da Immagine SA in co-produzione con la RSI e uscirà a partire dal prossimo 1. gennaio nelle sale ticinesi.
Incontra i Frontaliers al Migros City Center Lago di Locarno il 26.11.2025
Mercoledì 26 novembre 2025, dalle ore 13.00, alcuni protagonisti del nuovo film Frontaliers Sabotage saranno ospiti del rinnovato centro commerciale Migros City Center Lago di Locarno. In questa speciale circostanza i visitatori avranno la possibilità di incontrare Loris J. Bernasconi e Roberto Bussenghi, scattare selfie insieme a loro e richiedere autografi. Un appuntamento davvero imperdibile!
Una tavoletta di cioccolato dedicata
In occasione dell’imminente uscita del film Frontaliers Sabotage, è stata anche sviluppata una speciale tavoletta di cioccolato al latte personalizzata, prodotta dalla Chocolat Stella di Giubiasco, rinomata azienda attiva nella produzione di cioccolato svizzero di alta qualità. Acquistandola, con un po’ di fortuna, potresti vincere fantastici premi, come la mitica Panda di Bussenghi, una cena con i Frontaliers e tanti altri premi esclusivi. La tavoletta è in vendita per un periodo limitato alla tua Migros.
Novità ◆ Il nuovo panettone Dubai Style Chocolate Vergani piacerà a chi cerca un’esperienza di gusto raffinata ed esotica
Dal famoso cioccolato che ha conquistato milioni di golosi in tutto il mondo, nasce ora il panettone «Dubai Style», una prelibatezza a firma Vergani disponibile in edizione limitata anche alla Migros. Grazie alla lenta lievitazione naturale a cui è sottoposto, questa specialità risulta incredibilmente morbida e fragrante. Il panettone è arricchito con una deliziosa crema al pistacchio e kataifi, prendendo ispirazione dal celebre cioccolato «Dubai Style». Il perfetto matrimonio tra crema vellutata e croccantezza del kataifi regala un’esperienza di gusto raffinata unica nel suo genere, richiamando alla pasticceria mediorientale.
Anche la confezione è stata studiata nei minimi dettagli, grazie a preziosi dettagli grafici in oro a caldo che trasmettono tutta la qualità e il prestigio di questo prodotto. Insomma, un riuscito connubio tra alta pasticceria italiana e nuovi sapori esotici, perfetto per un regalo all’insegna dell’originalità.
Tavoletta
cioccolato
Panettone Dubai Style Chocolate Vergani 800 g Fr. 19.95
Raffinate selezioni di Baci Perugina
Attualità ◆ Idee regalo all’insegna della dolcezza con i prodotti del celebre marchio italiano
Il Calendario dell’Avvento e l’esclusiva Scatola regalo a firma Baci Perugina rappresentano un regalo raffinato in grado di trasmettere affetto e dolcezza, rendendo ogni occasione davvero speciale. Fin dalla loro nascita nel 1922, i Baci Peru-
gina non solo conquistano i palati con la loro inconfondibile bontà, ma trasmettono anche emozioni grazie al loro caratteristico cartiglio con i messaggini d’amore più belli. Per rendere l’attesa del Natale ancora più magica, il calendario
dell’avvento è un’idea irrinunciabile. Con il Calendario dell’Avvento
Baci Perugina , dal 1° al 24 dicembre ogni giorno ci si regala una dolce sorpresa. L’assortimento speciale è composto dal classico con copertura di cioccolato fondente Luisa e
Calendario dell’Avvento
Baci Perugina
278 g Fr. 14.90
Scatola regalo
Baci Perugina
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Il fiuto infallibile dei cani
Mondoanimale ◆ La scienza sonda la teoria secondo cui il nostro quattrozampe capisce al volo se qualcuno è «una brutta persona»
Maria Grazia Buletti
«Quando il mio ex ragazzo è entrato in casa per la prima volta il mio cane ha iniziato a ringhiare. Di solito è affettuosissimo con tutti e non l’ho mai visto comportarsi così, ma all’epoca non ci ho fatto caso. Col senno di poi, però, forse aveva capito tutto prima di me». Questa è l’esperienza di Chiara e di Gina, la sua cagnolina Border collie. Luca, invece, ha come compagno a quattro zampe Zeus, un bellissimo Pastore tedesco, e a sua volta racconta: «Ogni volta che il mio cane vede il vicino con la barba lunga e scura, diventa una statua: orecchie dritte, corpo rigido, e poi inizia ad abbaiare come se avesse visto un pericolo. Con gli altri è tranquillo, anche con sconosciuti. Ma con lui no. Non riusciamo a capire se sia l’odore, la voce… o qualcosa che solo lui percepisce».
A molti proprietari di cani sarà capitato, almeno una volta, di pensare che il proprio amico a quattro zampe possieda una sorta di sesto senso capace di riconoscere le persone cattive o potenzialmente pericolose. Non è raro, infatti, che i nostri fedeli compagni a quattro zampe reagiscano in modo insolito di fronte ad alcune persone, mostrando comportamenti che sul momento appaiono inspiegabili.
A molti proprietari è capitato di pensare che il proprio cane possieda una sorta di sesto senso capace di riconoscere le persone cattive. Sarà vero?
E questo può succedere pure quando si tratta di animali solitamente tranquilli e socievoli. Allora, quando il cane non si limita a ignorare qualcuno, ma manifesta atteggiamenti di diffidenza o addirittura ostilità, siamo di fronte a reazioni che possono mettere in imbarazzo o creare situazioni complicate, specialmente in luoghi affollati o in presenza
di estranei. Una dinamica comune a tanti proprietari, tanto che spesso la questione viene portata all’attenzione degli educatori cinofili con frasi del tipo: «Il mio cane è sempre socievole con tutti, ma con certe persone proprio non c’è verso: sembra detestarle a pelle, anche se non le ha mai viste prima. Saranno persone pericolose?». Sebbene l’istinto del cane sembri infallibile, dietro questi comportamenti ci sono spiegazioni molto più «terrene» di quanto sembri, e uno dei motivi può essere legato proprio all’aspetto fisico: un dettaglio come una barba folta (ed è il caso del cane di Luca), un cappello, o degli occhiali scuri possono ricordare al cane un’esperienza negativa vissuta in passato. In questi casi, l’animale generalizza la paura o la diffidenza verso chi presenta tratti simili, anche se si tratta di persone completamente diverse. Altre volte, dopo un’attenta valutazione del cane in questione, gli
educatori cinofili ipotizzano si tratti di una mancata socializzazione. Ad esempio, alcuni cani mostrano difficoltà con gli uomini perché non sono mai stati esposti abbastanza alla loro presenza durante i primi mesi di vita. Anche il linguaggio del corpo umano può risultare strano o minaccioso agli occhi di un cane: movimenti troppo rapidi, un tono di voce elevato, o un approccio invadente possono creare disagio. E poi c’è l’odore: un elemento spesso sottovalutato che invece bisogna considerare attentamente perché i cani leggono il mondo (e le persone) soprattutto attraverso l’olfatto. La nostra «firma olfattiva» cambia con lo stress, la paura o l’agitazione, e il cane lo percepisce immediatamente, e talvolta basta questo per metterlo in allerta. Infine, anche profumi forti, odori di altri animali o tracce chimiche legate a esperienze negative possono attivare nel cane una reazione di rifiuto. Insomma,
i nostri fedeli amici non hanno poteri magici, ma un’attenzione ai dettagli visivi, olfattivi e comportamentali che spesso sfugge a noi umani. Una forma speciale di sensibilità oggi confermata dalla scienza, come riporta una ricerca pubblicata dalla rivista «Neuroscience and Biobehavioral Reviews» a dicembre 2021. Lo studio scientifico in questione ha cercato di capire se i cani siano davvero in grado di valutare il comportamento delle persone e, in un certo senso, decidere di chi fidarsi e di chi no. Tutto è partito da un esperimento semplice ma geniale col quale i ricercatori hanno osservato come i cani reagiscono ai gesti degli esseri umani, in particolare a quelli che indicano qualcosa, come quando si punta il dito per mostrare dove si trova del cibo. Ma il vero punto era capire se il cane si fida di chi indica a prescindere, o valuta anche chi lo sta facendo. Per scoprirlo, i ricercatori hanno messo in scena una situazione con due persone: una delle due fingeva di avere difficoltà ad aprire un barattolo, mentre l’altra persona reagiva in tre modi diversi: aiutava subito, restava indifferente o si rifiutava apertamente di aiutare. Dopo aver assistito alla scena, al cane veniva offerto un dolcetto da ognuno dei partecipanti. E qui sta il risultato sorprendente perché il cane rifiutava il bocconcino da chi si era mostrato apertamente scortese o «cattivo», preferendo accettarlo solo dalle persone collaborative o neutrali. Questo studio suggerisce quindi che i cani non solo osservano il nostro comportamento, ma sono anche in grado di valutarlo. Non si fidano automaticamente di tutti, ma scelgono con attenzione, proprio come faremmo noi davanti a qualcuno che non si comporta bene con gli altri. Insomma, forse i cani non sanno parlare, ma capiscono molto più di quanto pensiamo.
Dove è bello pescare
Libri ◆ Una guida di Gianni Rei propone 23 itinerari in Ticino
C’è chi la passione per la pesca ce l’ha iscritta nel proprio dna e chi invece vorrebbe avvicinarsi a questo mondo per curiosità o per scoprire un hobby strettamente a contatto con la natura. Ed è proprio il nostro patrimonio naturale ad essere protagonista dell’ultimo libro del giornalista e pescatore Gianni Rei intitolato Girando e pescando ( Fontana edizioni) Dalla Val Lavizzara alla Val Mara, Rei propone 23 itinerari alla scoperta di tratti di torrenti, fiumi e laghi con l’obiettivo, scrive l’autore «di stimolare il pescatore così come l’escursionista a (ri)scoprire un patrimonio naturale che si trova a due passi dall’uscio di casa… un ambiente che occorre rispettare se vogliamo trasmetterlo intatto alle generazioni future». La guida dedica un primo breve capitolo alla fauna ittica e, in chiusura, alcuni capitoli alle tecniche della pesca. Le 23 escursioni sono arricchite da un bel apparato iconografico e da mappe che segnalano anche posteggi, luoghi di ristoro, capanne, punti panoramici o di interesse architettonico... insomma tutti gli elementi utili per facilitare l’organizzazione della gita e soprattutto per consigliare al meglio dove e come gettare il nostro amo.
Incontriamoci alla fine del mondo
Il Castoro (Da 13 anni)
Pare che il mondo stia per finire, perché un asteroide è entrato in rotta di collisione con la terra: alla giovane Aisha, il cui punto di vista è al centro di questa storia, resta dunque poco da vivere. Sognava di entrare alla Facoltà di Medicina, di costruire una famiglia con il fidanzato Walter, sognava tante cose. Ma il mondo sta per finire. Potrebbe essere un romanzo distopico, questo, con cui la scrittrice malese Nadia Mikail esordisce nella letteratura per ragazzi, mietendo subito svariati apprezzamenti, e invece esso si smarca felicemente dagli stereotipi del genere, perché ciò che affronta è qualcosa di più profondo, di più esistenziale. Qualcosa che sta tutto in quel «poco» da vivere, un «poco» (ossia una finitezza) che riguarda noi tutti, esseri mortali, esposti inesorabilmente al fuggevole passaggio del tempo, creature d’un sol giorno, come scrisse poeticamente Pindaro: sin dall’antichità, infatti, filosofi e poeti hanno cercato di trovare un senso alla caducità delle nostre vite. Il problema, sembra dirci questo romanzo,
non è tanto quello di dover finire: a essere insopportabile è l’idea che questa consapevolezza rischia di togliere valore alla nostra esistenza. Ma è proprio la consapevolezza della sua fragilità che può aiutarci a darle valore. Ed è su questo, sul vivere pienamente la vita, in tutte le sue dolenti complicazioni, nei trambusti emotivi, negli inevitabili addii, nel coraggio del perdono, che s’incentra il romanzo. Aisha cerca ad ogni istante di dare un senso e un valore al suo tempo. E con lei i personaggi che la circondano, in questo viaggio attraverso la Malaysia alla ricerca della sorella maggiore June, andatasene da casa anni prima: il fidanzato, che le dimostra un amore
solido, vero e forte; i genitori di lui; un gatto randagio che ha scelto di fare di tutti loro la sua casa. E soprattutto sua madre, Esah, figura intensa di donna che il lutto per il marito amatissimo ha reso depressa e spenta, suscitando la rabbia di Aisha («faceva male sentire che sua madre non aveva provato niente per metà della vita della sua figlia minore…»). Ma sarà proprio lei – che cercherà faticosamente di uscire da quella stagnazione e di ritrovare forza vitale – a fornire alle proprie figlie il senso del momento presente, offrendo loro, attraverso la narrazione di storie di famiglia, la memoria del passato: se anche «quelle storie non fossero sopravvissute, vivevano in quel momento». E forse, in quel momento presente di memoria del passato, si potrà riaccendere una speranza per il futuro.
Fabian Negrin
Cappuccetti Rossi Giunti (Da 5 anni)
Le fiabe, è bene non dimenticarlo, appartengono al folktale, sono di tutti, non hanno copyright, perché nascono come racconti orali. Come tali viaggiano, nello spazio e nel tempo.
E, come i miti, anche le fiabe si disperdono in mille rivoli narrativi. Alcune di esse hanno avuto più fortuna di altre, sono state trascritte e rielaborate da autori che ne hanno fatto dei testi letterari. Cappuccetto Rosso è una di queste e noi la conosciamo principalmente nella versione di Perrault (con morale esplicita, senza Cacciatore e senza lieto fine) e in quella dei Grimm (con il Cacciatore che salva bimba e nonna). Soprattutto alla versione dei Grimm si sono ispirati, in rivisitazioni o parodie, moltissimi autori per l’infanzia. Cito almeno il Cappuccetto Rosso, Verde, Giallo, Blu e Bianco di Bruno Munari; la versione in fiaba moderna di
Roberto Innocenti; e due trascrizioni scanzonate e umoristiche: Il berretto rosso di Agostino Traini e il delizioso romanzo Lupo Due punto quindici di Ann Jungman, che speriamo torni in catalogo al più presto. Alla versione dei Grimm si è ispirato anche Fabian Negrin, pluripremiato autore e illustratore, per questo bel libro che esce ora ne Le Strenne di Giunti. Negrin ne racconta dodici, di storie sui Cappuccetti Rossi, tutte con i personaggi-cardine e tutte a lieto fine. Ma non sono variazioni su un unico tema, sono proprio racconti molto diversi tra loro. Cambia il punto di vista, cambiano le prospettive narrative, ma soprattutto cambia lo stile, che può dar vita a registri di volta in volta drammatici o comici, irriverenti o teneri. E non dimentichiamo che queste storie sono raccontate anche dalle immagini, con cui Negrin illumina magistralmente i suoi testi: illustrazioni intense, in armonia con lo stile di ogni racconto, dove le prevalenti tonalità cromatiche dei rossi e dei verdi ci portano dentro questo bosco, facendoci sentire tutti, non importa quanti anni abbiamo, un po’ Cappuccetto Rosso. E un po’ Lupo, o nonna, o mamma, o cacciatore.
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Nadia Mikail
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L’altropologo
Zumbi dos Palmares
Il 20 novembre è celebrato, in Brasile ma non solo, come giorno della Coscienza Afro-Brasiliana. La data è stata fissata per coincidere con l’anniversario dell’uccisione in battaglia del leader della resistenza dei maroons, gli schiavi fuggiaschi dalle piantagioni, passato alla storia come Zumbi dos Palmares nel 1695.
La madre di Zumbi, Sabina, era la sorella di Ganga Zumba, figlio della principessa Aqualtune, figlia a sua volta di un Re del Congo del quale non è pervenuto il nome. Zumbi era dunque di stirpe reale, nipote di Ganga Zumba, il re del quilombo di Palmares, in quello che era allora il Capitanato di Pernambuco, nel Nordest brasiliano. I quilombo erano insediamenti fondati in zone impervie e isolate da schiavi, donne e uomini, in fuga dalle piantagioni che qui riproducevano in qualche modo stili di vita e istituzioni africane, sintesi delle varie etnie fra le quali congolesi e angolani erano la
maggioranza. Uomini liberi, i maroons quilomboles tornavano spesso nelle piantagioni per persuadere altri schiavi a fuggire – quando non per rapire chi non fosse d’accordo. Un fuggiasco sarebbe vissuto da uomo libero, mentre chi veniva rapito manteneva la condizione di schiavo, alla maniera africana, fino a quando non avesse contribuito a sua volta a portare un fuggiasco al quilombo
L’insediamento di Palmares era stato fondato attorno al 1605 da una quarantina di schiavi di origini congolesi. Il terreno montuoso, impervio e ricco di palme, offriva protezione e cibo per sostenere una resistenza contro le autorità portoghesi fatta di incessanti scontri, agguati e imboscate. All’apice della sua ascesa, Quilombo dos Palmares contava più di 30’000 abitanti sparsi su un territorio vasto come il Portogallo. Era poi il centro di una sorta di federazione di regni autonomi composta da ben 11 popolosi
La stanza del dialogo
insediamenti fra gli stati di Alagoas e Pernambuco. Le frequenti scorrerie ai danni delle piantagioni e la crescente emorragia di forza-lavoro dalle stesse preoccupavano non poco le autorità portoghesi: una spina nel fianco ed una vergogna militare. La famiglia di Zumbi era arrivata in Brasile dopo la fine di un rapporto amichevole col regno del Congo durato almeno un secolo. Le mire proto-coloniali portoghesi sull’Angola avevano deteriorato i rapporti di fiducia coi re del Congo, crisi culminata nella battaglia di Mbwila (1665) che vide le forze congolesi sconfitte con una perdita di 5000 guerrieri e la schiavizzazione di buona parte dell’aristocrazia congolese. Ganga Zumba, suo fratello Zona e Sabine furono mandati schiavi nella piantagione di Santa Rita, Pernambuco. In circostanze non chiarite, i tre riuscirono a fuggire per stabilirsi poi a Palmares, dove Zumbi nacque uomo libero nel 1655. Catturato a sua volta
dai portoghesi, fu affidato a un missionario, Antonio Mélo, che lo battezzò, gli fece prendere i sacramenti e gli insegnò pure il latino, ma al latino Francisco Zumbi proprio non poteva o non riusciva ad appassionarsi. Nel 1678 suo zio materno Ganga Zumba, riconosciuto Re di Palmares per via della sua discendenza reale, stava negoziando con il governatore di Pernambuco Pedro de Almeida la fine di una defatigante guerriglia senza fine in vista. Pedro offriva la libertà a tutti gli ex-schiavi di Palmares in cambio della pace. Ganga Zumba era favorevole, ma suo nipote, che già allora era divenuto capo delle forze armate del regno, non ne volle sapere: o tutti o nessuno. Nel 1679 Zumbi era succeduto a suo zio materno Ganga Zumbo. Il dado era tratto e i portoghesi decisero di attaccare. Fra il 1680 e il 1686, per ben sei volte, uscirono sconfitti. Il 6 febbraio 1694, dopo 67 anni di conflitto coi maroons di Palmares, i signori
delle piantagioni e i coloni portoghesi finanziarono un corpo di spedizione composto da regolari, volontari e mercenari reclutati fra gli indios brasiliani. Nonostante l’uso di artiglieria, occorsero 42 giorni di battaglie per sconfiggere Palmares. Il 6 febbraio cadde Cerca do Macao, la roccaforte militare del Regno. Le resistenza continuò nelle boscaglie e nelle foreste. Era guidata da Zumbi, che guadagnò già da allora fama di guerriero immortale. Il 20 novembre 1695 Zumbi fu ucciso in battaglia. Venne decapitato e la sua testa fu esposta in cima a una picca per dimostrare che non era immortale. Immortale Zumbi dos Palmares è comunque nella cultura popolare brasiliana. Chi racconta oggi che la sua forza venisse dall’essere posseduto dagli Orixas (gli dei del pantheon Yoruba) o da Ogun, il dio della guerra Vodù… Altri gli hanno dedicato l’Aeroporto Internazionale di Maceiò, Brasile. Un santo per tutte le religioni?
«Mi sono innamorata del mio giovane medico»
Carissima dottoressa, da un po’ di tempo, per ragioni di salute, frequento uno specialista, abbiamo imparato a conoscerci, siamo in confidenza, il problema è che ho preso una cotta tremenda per lui che è molto più giovane di me, e naturalmente lui mi vede come la sua mamma, al massimo come amica. Lo so che tra noi non ci potrà essere niente se non amicizia, ma io sto male. Penso sempre a lui, neanche da adolescente mi era capitata una cosa simile. Ogni tanto gli porto dei regalini (qualcuno anche un po’più grande) che lui accetta e ringrazia. Ci siamo scambiati i numeri di telefono e ogni tanto ci mandiamo dei messaggi specialmente in occasione delle feste. Io vorrei farmi aiutare ma come faccio? Cosa dico a mio marito?
Naturalmente non ne ho parlato con nessuno (solo con lei). La prego mi dia un consiglio. Mi scusi se non mi firmo col mio vero nome. La saluto cara-
mente e aspetto una sua risposta. Grazie. / Maria
Cara Maria, la ringrazio ancora per la sincerità con cui ha voluto confidarmi un turbamento così profondo. La sua lettera ci aiuta a comprendere quanto sia facile, in certi momenti della vita, lasciarsi trasportare da una corrente emotiva che sembra più forte di noi. Quando ci sentiamo fragili, quando dipendiamo dalle cure di qualcuno che percepiamo attento, competente, gentile, può accadere che la nostra immaginazione costruisca attorno a quella figura un alone affettivo che va oltre la realtà concreta del rapporto. È importante riconoscere che ciò che lei sta vivendo non è una colpa, bensì un’esperienza umana. Il bisogno di sentirsi viste, ascoltate, considerate, può risvegliare un desiderio di protezione o di ammirazione che
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si trasforma facilmente in un sentimento amoroso. Ma proprio perché è un’esperienza umana, può essere anche compresa, regolata, trasformata. E questo è il primo passo per ritrovare la serenità. Lei stessa mostra di avere una parte della mente molto lucida: sa che non esiste una possibilità reale con questo giovane medico, sa che lui la guarda con affetto professionale, forse con simpatia, ma non certo con il coinvolgimento che il suo cuore immagina. Sa, soprattutto, che inseguire questa fantasia rischierebbe di infrangere equilibri importanti della sua vita, a cominciare dal rapporto con suo marito. Ora si tratta di fare dialogare la ragione con il desiderio, senza negare nessuno dei due, ma senza permettere che la fantasia prenda il controllo. Ciò che può aiutarla concretamente è interrompere i gesti che alimentano l’equivoco: i regali, le attenzioni e i
messaggi, seppur innocenti in apparenza, mantengono acceso un fuoco che non può portare a nulla di buono. Non deve certo «sparire» o comportarsi in modo brusco, ma ristabilire una distanza professionale rispettosa, che tuteli entrambi. Non si senta costretta a confessare a suo marito ciò che prova: non sarebbe utile né per lui né per lei. Semmai, può riflettere su ciò che questo smarrimento le sta dicendo che il suo matrimonio ha bisogno di più attenzione. Di dialogo? Di sentirsi desiderata? Di dedicare tempo a se stessa, alla sua autostima, ai suoi spazi personali? Spesso un’infatuazione nasce dove c’è un vuoto che chiede di essere ascoltato, non necessariamente colmato da un altro uomo, ma compreso. Infine, consideri la possibilità di rivolgersi a uno psicoterapeuta. Non per reprimere il suo sentimento, ma per comprenderlo meglio: da dove
nasce, cosa rappresenta, quale bisogno profondo esprime. Parlare con un professionista competente potrà offrirle un luogo sicuro in cui dare un nome alle sue emozioni e, soprattutto, ritrovare un equilibrio che ora le sembra smarrito. Con un po’ di coraggio e con l’aiuto giusto, riuscirà a trasformare questo momento di confusione affettiva in un’esperienza positiva, vitale, capace di spingerla a ridefinire i suoi bisogni e la sua attuale identità. Le sono vicina e le rinnovo la mia stima per la fiducia che ha voluto accordarmi.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni
a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a info@azione.ch (oggetto «La stanza del dialogo»)
Buongiorno Laura, ho scoperto di soffrire di endometriosi, ho dolori, stanchezza e problemi intestinali quali gonfiore e stitichezza. Mi hanno detto che l’alimentazione mi può aiutare, saprebbe darmi quindi qualche spunto per favore? Ho 44 anni, non ho problemi di sovrappeso e, a parte questo, non soffro di nessuna malattia. Cordiali saluti. / Filomena
Buongiorno Filomena, la ringrazio per avermi scritto, spero di poterle essere d’aiuto. Prima di risponderle però desidero velocemente spiegare la malattia agli altri lettori così che possano capire anche loro di cosa si tratta. Endometrio è il termine utilizzato per descrivere il rivestimento dell’utero che crea il luogo di impianto dell’ovulo fecondato. Si definisce endometriosi la crescita patologica dell’endometrio al di fuori del-
la cavità uterina, nella zona pelvica, ma anche in varie altre sedi della cavità addominale. Possono essere colpiti l’intestino o addirittura i polmoni e tutte le parti dove si trova crescono e sanguinano con il ciclo mestruale ormonale, provocando una reazione infiammatoria locale. I sintomi comuni includono dolore pelvico grave, dismenorrea, complicazioni della fertilità, stanchezza, lombalgia, gonfiore, stitichezza o diarrea. Poiché i sintomi possono essere non specifici, la diagnosi è spesso ritardata. Si tratta di una malattia cronica e le opzioni di trattamento purtroppo sono limitate. Il ruolo della nutrizione nell’endometriosi è suggerito dall’influenza della dieta sull’attività estrogenica e sui processi infiammatori ma ad oggi non c’è ancora una dieta specifica scientificamente riconosciuta. In generale si sa che gli estrogeni sono fondamen-
tali nella patogenesi della malattia e a tal proposito si è visto che ridurre la quantità dei grassi ingeriti ha un ruolo protettivo perché abbassa questi ormoni. Anche la qualità dei grassi ingeriti può avere un’influenza. In particolare, possono aumentare il rischio di sviluppare la malattia i grassi trans, che sono naturalmente presenti in piccole quantità nelle carni di manzo e agnello e carni lavorate come salsicce e hamburger, nei latticini, mentre si trovano nei prodotti industriali da forno, snack, margarine, gelati industriali, cibi surgelati, cibi fritti. Proteggono invece i grassi omega 3, che si trovano in frutta secca, semi, pesci grassi e alghe. Un altro fattore che abbassa le concentrazioni di estrogeni circolanti sono le fibre alimentari; quindi via libera a frutta, verdura, cereali integrali e leguminose.
Si consiglia invece di non esagerare col consumo di caffè poiché è stato dimostrato che aumenta la disponibilità di estrogeni nella fase follicolare del ciclo mestruale. Non dimentichiamo anche che l’esercizio fisico regolare è molto importante per la nostra salute generale e per bilanciare gli ormoni, migliorare la salute mentale e ridurre gli ormoni dello stress. Cerchi quindi di praticare regolarmente un po’ di sport: non importa quale, basta quello che le piace di più. Per riassumere, quindi, le linee guida generali consigliano di seguire un’alimentazione antinfiammatoria e la più indicata è la dieta mediterranea, perché naturalmente ricca di alimenti con queste proprietà. Visto però che ogni essere umano è diverso, magari questi consigli non l’aiutano a risolvere i problemi intestinali che lei
lamenta: un eccesso di gas nel colon può provocare effettivamente gonfiore e può peggiorare il dolore da endometriosi e magari troppe fibre non l’aiutano in questo senso. A volte una dieta povera di FODMAP (sigla per oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi fermentabili e polioli), che sono carboidrati di lunghezza diversa che possono causare questi disturbi intestinali può essere consigliata. Essendo però una dieta complessa io mi permetto di dirle di evitare il fai-date e di parlare con un/a Dietista per personalizzare al meglio la propria alimentazione.
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Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «Alimentazione»)
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ATTUALITÀ
Contro l’incubo delle mine
La Fondazione svizzera per lo sminamento in prima linea in Ucraina con squadre cinofile: vi presentiamo il suo prezioso lavoro
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Il futuro incerto di New York
Le grandi sfide che attendono il nuovo sindaco Mamdani: affitti, trasporti e dialogo con il mondo del business
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Se la guerra diventa fine a sé stessa Più studiamo i conflitti di oggi più ci accorgiamo che sfuggono assai spesso alla regola classica che li vorrebbe mezzi volti a uno scopo
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Servizio civico obbligatorio per tutti e tutte
Svizzera ◆ Un’opzione discutibile o un passo avanti? Sarà il popolo a deciderlo nelle votazioni del prossimo 30 novembre
Introdurre l’obbligo di prestare un servizio civico a beneficio della collettività e dell’ambiente per tutti i cittadini svizzeri, donne comprese. È quanto chiede l’iniziativa popolare «Per una Svizzera che si impegna (iniziativa Servizio civico)», in votazione il 30 novembre prossimo. Il progetto vuole trasformare il servizio militare in un servizio civico obbligatorio, che potrebbe essere svolto sia nell’esercito che nella protezione civile, ma anche in ambiti come la sanità, l’agricoltura, l’istruzione e la protezione dell’ambiente.
Per Governo e Parlamento l’iniziativa va troppo lontano, tra l’altro imponendo costi eccessivi per Confederazione e Cantoni. Gli oppositori sostengono che il testo è ingannevole e servirebbe soltanto a rafforzare l’esercito. Inoltre andrebbe a scapito delle donne che già svolgono quotidianamente una mole significativa di lavori non retribuiti, dalla cura familiare al volontariato in una moltitudine di ambiti, poco riconosciuti. Secondo i fautori, invece, il servizio civico rafforzerebbe il sistema di milizia e la coesione sociale. Stando a recenti sondaggi, il progetto verrebbe bocciato dal 68% degli interrogati.
Per i contrari la proposta penalizzerebbe le imprese e avrebbe un impatto molto negativo sulla vita delle donne
L’iniziativa è stata lanciata da un comitato diretto da Noémie Roten, soldata e giudice militare. Ha ricevuto l’appoggio di vari deputati federali, sia di sinistra che di destra, che nel progetto vedono una risposta concreta alle difficoltà di reclutamento per l’esercito e la protezione civile. Sono favorevoli anche il Partito verde-liberale (PVL), il Partito evangelico (PEV), il Partito pirata e i giovani del Centro.
L’iniziativa Servizio civico va dunque oltre l’attuale obbligo di prestare servizio nell’esercito (per motivi di coscienza, si può optare per il servizio civile, con una durata pari a 1,5 volte quella del servizio militare) o nella protezione civile. Ogni anno attualmente sono circa 35’000 le persone che sottostanno all’obbligo di servire. Circa 28’000 militano nell’esercito, nella protezione civile o nel servizio civile. In totale si registrano annualmente circa 8 milioni di giorni di servizio, con costi per le indennità di perdita di guadagno che ammontano a 800 milioni di franchi e oneri provocati dall’assicurazione militare per 160 milioni. Le persone che non prestano alcun servizio – circa 7000 – devono versare una tassa d’esenzione, che frutta circa 170 milioni di franchi all’anno.
Se l’iniziativa fosse accolta, il numero delle persone sottoposte all’obbligo di prestare servizio raddoppierebbe a 70’000 e, di conseguenza, si moltiplicherebbero per due anche i costi annui per le indennità di perdita di guadagno (1,6 miliardi) e quelli per l’assicurazione militare (320 milioni). L’iniziativa esige che gli effettivi dell’esercito e della protezione civile siano garantiti, senza tuttavia precisare la strategia per raggiungere questo obiettivo.
Le persone che non possono essere arruolate nell’esercito e nella pro-
tezione civile dovrebbero svolgere un servizio di milizia equivalente, ciò che comporterebbe la creazione di nuovi posti d’impiego. Al riguardo il comitato d’iniziativa cita alcune possibilità in vari ambiti: prevenzione delle catastrofi, assistenza o sicurezza alimentare. Spetterebbe poi al Parlamento fissare in una legge quali servizi di milizia sarebbero riconosciuti, con i relativi investimenti e la struttura amministrativa. Per i sostenitori della proposta si tratta di una riforma equilibrata dell’obbligo di servire. Attualmen-
te solo un giovane su tre presta servizio. Con l’approvazione dell’iniziativa – ricordano – i giovani di ambo i sessi potranno acquisire competenze pratiche che rappresentano un prezioso complemento alla loro formazione scolastica e professionale.
Il Servizio civico – sostengono sempre i fautori – consentirebbe di mettere donne e uomini sullo stesso piano. L’accesso all’esercito aprirebbe alle donne le porte di settori per loro finora inaccessibili. Si tratterebbe di un cambiamento radicale in seno all’esercito, dove le donne
non sarebbero più l’eccezione e dove le condizioni sarebbero per loro probabilmente più favorevoli. Tuttavia il comitato d’iniziativa garantisce che, per le donne, non vi sarebbe un obbligo esplicito di servire nell’esercito. Qual è la posizione degli oppositori? Oltre che dalla maggioranza parlamentare e dal Consiglio federale, l’iniziativa è avversata da un comitato che raggruppa membri dell’intero spettro politico elvetico. In sostanza, per loro questo progetto causerebbe danni all’esercito come pure all’economia e rafforzerebbe le inuguaglianze tra uomini e donne. Il capo del Dipartimento federale della difesa Martin Pfister sostiene che l’iniziativa è «eccessiva». L’attuale obbligo di prestare servizio si prefigge di fornire abbastanza personale alle due organizzazioni di sicurezza, ossia l’esercito e la protezione civile. Tuttavia, con il reclutamento di 70’000 persone all’anno, il servizio civico supererebbe nettamente il fabbisogno delle citate due organizzazioni di sicurezza.
Secondo i fautori il servizio civico rafforzerebbe il sistema di milizia (oggi mancano effettivi) e la coesione sociale
Gli oppositori rilevano pure la contraddizione tra libera scelta del servizio e la garanzia degli effettivi dell’esercito. Risultato: al posto di rafforzare il sistema di milizia, l’iniziativa tenderebbe ad indebolirlo. Inoltre il servizio obbligatorio avrebbe non poche conseguenze per la società, ai livelli familiare, scolastico, sanitario, agricolo e aziendale. Ne risentirebbero soprattutto le imprese. Infatti circa il doppio di persone rispetto a oggi si assenterebbe dal posto di lavoro per espletare il servizio obbligatorio. I partiti di sinistra temono poi che l’iniziativa possa favorire il dumping salariale, in particolare nei settori delle cure o del sociale.
Oltre al raddoppio dei costi che il servizio civico comporterebbe, a suscitare critiche è soprattutto il suo impatto sull’esistenza delle donne. Esse già oggi sostengono gran parte del lavoro domestico, educativo e di cura, contribuendo in modo decisivo al bene comune, senza che questo venga adeguatamente riconosciuto e valorizzato. Con l’introduzione di un servizio civico obbligatorio, le donne si vedrebbero costrette ad assumere ulteriori mansioni nei settori delle cure, della scuola, dell’ambiente e dell’agricoltura. Secondo il Consiglio federale, imporre loro nuovi compiti significherebbe andare decisamente contro il principio di uguaglianza di genere.
Per Governo e Parlamento l’iniziativa va troppo lontano, tra l’altro imponendo costi eccessivi per Confederazione e Cantoni. (Keystone)
Alessandro Carli
Avena leggera per un caffè forte
Oatly presenta Barista Edition Lighter Taste, una nuova variante per gli amanti del caffè. La bevanda contiene meno grassi rispetto alla versione Barista Edition Original e, grazie al suo sapore neutro, si abbina perfettamente a qualsiasi tostatura di caffè. L’aroma del caffè rimane sempre in primo piano. Barista Edition Lighter Taste è stato sviluppato insieme ai baristi di tutto il mondo e combina cremosità con consumo sostenibile. In Svizzera, la bevanda all’avena Barista Lighter Taste di Oatly ha un impatto sul clima inferiore del 61% rispetto al latte vaccino medio*. Questo la rende una scelta sostenibile: buona per il tuo caffè e ancora più buona per il nostro pianeta.
*Fonte: ecobilancio (LCA) della bevanda all’avena Barista Lighter Taste di Oatly, prodotta nei Paesi Bassi e venduta in Svizzera, confrontata con l’ecobilancio medio di tre tipi di latte vaccino UHT prodotti e venduti in Svizzera. Le fasi comprendono le materie prime fino al punto vendita e i rifiuti d’imballaggio. Blonk Consultants (2025): LCA of Oatly Barista variants, and comparison with cow’s milk.
Oatly Barista
Fiuto e coraggio tra i campi minati
Conflitti
◆ Parlano uomini e donne della Fondazione svizzera per lo sminamento attivi in Ucraina insieme ai loro cani
Dimitri Singenberger
Nelle zone orientali dell’Ucraina, in un campo agricolo, gli sminatori della Fondation suisse de déminage (FSD), Yevhenii e Yuliia, avanzano con cautela alla ricerca di ordigni nascosti. Ad ogni passo il rischio di un’esplosione è concreto. Ad aiutarli ci sono i pastori belga malinois, Dodo e Zara, addestrati a fiutare esplosivi. Questi cani anti-mine della FSD individuano le bombe sottoterra, restituendo sicurezza ai villaggi dell’Oblast di Kharkiv, nel frattempo la guerra continua a seminare mine. Yuliia ha 29 anni ed è laureata in medicina veterinaria; prima addestrava cavalli mentre ora si occupa di cani impegnati nelle missioni di sminamento. Yevhenii, come lei ucraino, ha 42 anni, faceva il falegname a Kharkiv. Ma la guerra gli ha tolto tutto: casa, lavoro, sogni. «Un giorno ho visto degli operatori anti-mine lavorare sotto il fuoco nemico, calmi e concentrati. Mi sono detto: anche io posso essere utile». Così è entrato nella FSD.
I cani riescono a controllare in pochi minuti sette metri quadrati di terreno, uno spazio che a una persona richiederebbe ore
Dal 24 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa, è difficile tenere la conta dei civili uccisi o feriti. E il conflitto «contamina» anche i campi agricoli, impedendo ai contadini di tornare a coltivare le terre. Sherii Zemlyn, zootecnico e collaboratore di una fattoria collettiva, racconta: «La nostra casa è stata spazzata via. Per salvarci ci siamo riparati sotto lastre di ardesia. Quando abbiamo tentato di ricostruire il villaggio, i campi erano già pieni di ordigni». Oggi 138 mila chilometri quadrati – quasi un quarto del Paese, quanto la superficie della Grecia o due volte la Repubblica Ceca – sono «contaminati». La Banca mondiale stima che bonificarli completamente nei prossimi trent’anni costerà 34 miliardi di dollari. Per milioni di ucraini il pericolo di morte è quotidiano. Per far fronte a questa emergenza, Kiev collabora con numerose Ong internazionali. Come la Fondazione svizzera per lo sminamento di Ginevra, alla quale il Consiglio federale ha destinato 30 dei 100 milioni di franchi previsti per il periodo 2024–2027 a sostegno delle operazioni di sminamento in Ucraina.
Gravi danni alle persone
«La priorità è mettere in sicurezza le aree orientali», spiega Alex Van Roy, responsabile regionale FSD in Ucraina, con esperienze in Sudan, Iraq, Pakistan, Afghanistan e Colombia. Attiva dal 1998 – quando «ripulì» il villaggio olimpico di Dobrinja, in Bosnia-Erzegovina – l’organizzazione conta oggi oltre 560 operatori in Ucraina, di cui quasi 540 ucraini, distribuiti in 56 squadre che operano nelle regioni di Černihiv, Kharkiv, Donetsk, Kryvyj Rih e nel nord-est di Cherson.
Dal 2022 FSD ha bonificato 3,5 km² e ispezionato altri 127 km² di terreni ucraini. Nonostante questi risultati, gran parte del territorio rimane contaminato dalle bombe: i combattimenti si concentrano spesso nelle stesse aree, vanificando ogni progresso. «È una guerra di trincea, lenta e statica», osserva Van Roy. «Gli stes-
si territori si riempiono ci continuo di mine di ogni tipo: ad esempio TM62, una mina anti-veicolo di origine sovietica progettata per distruggere mezzi pesanti come carri armati e veicoli corazzati. Oppure le mine anti-uomo OZM-72 a frammentazione che, quando esplodono, scagliano schegge in tutte le direzioni, causando gravi danni alle persone nel suo raggio d’azione».
Metal detector «impazziti»
Sotto i piedi le bombe accumulate rendono il suolo saturo di metalli e i metal detector della FSD «impazziscono», incapaci di distinguere gli ordigni dai frammenti metallici residui. È qui che entrano in azione gli sniffer dogs della FSD. Lontani dall’essere guidati dai metalli, i cani sono addestrati a percepire anche le più piccole tracce di TNT o RDX. Questi composti chimici esplosivi, anche se solidi, rilasciano nell’ambiente microscopiche molecole volatili che l’olfatto dei cani riesce a percepire. La loro abilità è preziosa soprattutto nei casi più insidiosi, come le PFM-1 –le famigerate mine «a farfalla» di fabbricazione sovietica – il cui involucro
mimetico di plastica rende difficili da individuare e poco rilevabili con gli strumenti tradizionali. «Le mine a farfalla vengono inoltre sganciate come munizioni a grappolo e affondano in profondità nel terreno, rendendo ancora più difficile la loro rilevazione coi metal detector» spiega Van Roy. Grazie al loro fiuto, i cani riescono a controllare in pochi minuti sette metri quadrati di terreno, uno spazio che a una persona richiederebbe ore.
Addestramento e dedizione
Ma come è iniziata «l’avventura»? Nel 2024 otto cani anti-esplosivo arrivano in Ucraina, vicini ai loro conduttori ucraini, pronti a iniziare un percorso che si rivelerà più lungo e complesso del previsto. Gli animali e i loro compagni vengono addestrati da esperti provenienti da Colombia, Svezia e Norvegia, un programma pensato inizialmente per durare pochi mesi. Ma corsi obbligatori aggiuntivi e inverni gelidi trasformano quei mesi in quasi due anni di prove e sacrifici. «Volevamo formare cittadini ucraini che un giorno potessero continuare da soli lo sminamento», racconta Van Roy. Tuttavia, prima di diven-
tare conduttori di cani anti-esplosivo, ogni candidato ha dovuto qualificarsi come sminatore a tutti gli effetti. A complicare ulteriormente i tempi ha contribuito anche il rigido inverno ucraino. «Sotto i cinque gradi il vapore esplosivo non si libera dal terreno e i cani non possono lavorare», spiega il nostro interlocutore.
Finalmente, l’8 settembre 2025, a Pryshyb, nell’Oblast di Kharkiv, il progetto prende il via: nove mesi di missione sul campo, dieci giorni di lavoro intenso intervallati da quattro di riposo, tra la polvere dei campi minati e il costante silenzio dei cani che fiutano la terra alla ricerca di bombe nascoste.
Missili sopra la testa
Il progetto è un successo, ma il rischio resta altissimo. Per tutelare le vari Ong presenti sul territorio, il Governo vieta di operare entro venti chilometri dal fronte, ma la sicurezza non è mai garantita. «Vent’anni fa si sminava a conflitti finiti, come in Libano nel 2006», ricorda Van Roy. «Oggi dobbiamo farlo mentre i missili ci volano sopra la testa». A luglio 2024 sei veicoli della fondazione ginevrina sono stati distrutti da attacchi russi, nessuna vittima per fortuna. Ma il 4 settembre di quest’anno un altro raid ha colpito un’organizzazione consorella, uccidendo due sminatori e ferendone cinque.
Un lavoro infinito
Van Roy, australiano di nascita e cittadino statunitense, dedica la vita a questo lavoro dal 1999. «Vorrei che le guerre non esistessero, ma finché ci saranno continuerò a bonificare le terre dei Paesi in conflitto». Secondo sue stime, serviranno dai dieci ai vent’anni per rendere sicura l’Ucraina. «Il conflitto è ancora in corso: da una parte bonifichiamo, dall’altra vengono posate nuove mine. È un la-
voro infinito». Nota bene: ancora oggi, in diversi Paesi europei, si trovano ordigni del Primo e del Secondo conflitto mondiale. E una terra sicura è il primo passo per restituire vita – e futuro – a un Paese che ha conosciuto la guerra.
Bombe vietate, leggi violate La Convenzione di Ottawa del 1997 vieta l’uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento delle mine anti-persona e impone la distruzione degli stock e l’assistenza alle vittime. Ratificata dall’Ucraina nel 2005 ma mai dalla Russia, la Convenzione è violata nel conflitto in corso: vengono impiegate mine vietate, in particolare le PFM-1. Nell’estate 2025 Kiev ha annunciato l’intenzione di ritirarsi dall’accordo per motivi difensivi. La Svizzera, informata dall’ONU, ha dichiarato il 17 ottobre scorso che la sospensione della Convenzione durante un conflitto non è prevista e che un ritiro in tempo di guerra avrebbe effetto solo al termine dello stesso. Berna ha quindi formalizzato la propria obiezione, sottolineando la violazione del diritto internazionale e il rischio di compromettere gli sforzi globali di disarmo.
Fondata anch’essa nel 1997, la Fondation suisse de déminage affronta ogni giorno le conseguenze di queste violazioni. «Molte Ong internazionali come la nostra sono nate proprio in quegli anni», racconta il direttore Hansjörg Eberle. «Eravamo sensibili al tema delle mine anti-persona e ancora oggi ci occupiamo di munizioni che rappresentano un pericolo per la popolazione civile». Nel 2024 la FSD ha distrutto migliaia di ordigni nel mondo, assistito oltre 300 vittime e bonificato più 6 milioni di metri quadrati di terreno. Con più di 700 collaboratori – oltre il 90% locali – la fondazione è
in
Afghanistan, Iraq, Filippine, Tagikistan.
attiva
una trentina di Paesi tra cui Ucraina appunto,
Yuliia e il pastore belga Zara in azione e, in basso, diversi ordigni esplosivi rilevati dalla Fondation suisse de déminage. (FSD)
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New York sospesa tra sogno e incertezza
Stati Uniti ◆ Le grandi sfide che attendono il nuovo sindaco Mamdani: affitti, trasporti e dialogo con il mondo del business Donatella Mulvoni e Manuela Cavalieri
I treni sopraelevati della linea gialla sfrecciano nel frastuono della ferraglia, collegando Astoria, nel Queens, a Manhattan. Sotto, palazzine basse, ristoranti greci e caffè arabi. A una ventina di giorni dalla vittoria, nel quartiere di Zohran Mamdani l’energia è ancora palpabile. La avvertiamo parlando con studenti, pendolari e lavoratori che ogni giorno lottano con affitti impossibili e salari che non bastano più. È tra loro che si è consumato il «miracolo socialista» di questo trentaquattrenne musulmano, nato in Uganda da genitori indiani, che dopo aver polverizzato un mostro sacro come Andrew Cuomo, promette di restituirgli Gotham City rinnovata.
L’epicentro della rivoluzione politica è qui, nel palazzone grigio dove ha vissuto gli ultimi sette anni con la moglie artista Rama Duwaji, in un mini appartamento a canone calmierato da 2300 dollari al mese. Prezzo stracciato per la città più cara del mondo. Ma il neoeletto lascerà presto Astoria per trasferirsi nella patrizia Gracie Mansion, la residenza ufficiale.
Si insedierà il primo gennaio alla City Hall, ma nel frattempo ha mobilitato tutti i volontari: occorrono quattro milioni di dollari per finanziare la transizione, il passaggio di consegne tra l’amministrazione di Eric Adams e la sua. Per ora in cassa ce n’è appena uno. Mamdani conta soprattutto su microdonatori, e questo significa che servirà uno sforzo in più. Quelle risorse sono indispensabili per coprire le spese della squadra e definire la sua agenda di Governo.
Sempre più persone temono di essere spinte fuori dalla metropoli, cacciate da una città carissima che per molti resta il centro del mondo
A New York c’è ancora molta eccitazione tra chi lo ha votato, convinto che la sua vittoria dimostri l’esistenza di un’alternativa al mondo MAGA. Pur essendo «solo» un sindaco, il giovane viene ormai percepito come un antagonista di Donald Trump, al punto che le rispettive first ladies sono già messe a confronto per carisma e stile. Tra i supporter, durante un appuntamento dedicato al nuovo primo cittadino, incontriamo un entusiasta Bruno, esperto di marketing e originario del Perù. «La classe lavoratrice sembra essersi finalmente risvegliata, non accadeva da anni». Per lui Mamdani parla la lingua del popolo. «A New York vivere è proibitivo. Trovare un appartamento è come vincere alla lotteria. Sempre più persone temono di essere spinte fuori da una città che per molti resta il centro del mondo. Potersi permettere di restare è fondamentale ed è esattamente ciò per cui Zohran si batte».
Il costo della vita, infatti, fa rabbrividire anche chi guadagna bene come Molly, che incrociamo alla stessa iniziativa. Ha una spilla sul petto: «Congelare gli affitti». Lei chiama casa Astoria da 12 anni. Ha creduto in Mamdani sin da quando si era candidato a rappresentante statale. «Sono dirigente in un’azienda e persino per me a volte è difficile pagare il canone. Non riesco nemmeno a immaginare cosa significhi per i lavoratori». Secondo lei Mamdani non chiede nulla di assurdo. «Vuole semplicemente una città in cui tutti possano vivere, in cui esistano una classe media e al contempo tutte le classi sociali». Aggiunge anche un altro tema,
quello che ha attirato sul nuovo sindaco le critiche più dure, compresa l’accusa, smentita dai fatti, di antisemitismo per il suo appoggio alla causa palestinese. «Per molti di noi l’elezione del primo musulmano ha enorme valore».
Mamdani ha vinto con una piattaforma progressista che punta a rendere più accessibile la vita: vuole congelare gli affitti degli appartamenti stabilizzati, costruire case a canone abbordabile e creare servizi pubblici a basso costo o gratuiti, dagli autobus agli asili fino ai supermercati gestiti dal comune. Intende finanziare tutto questo aumentando le tasse sulle corporation e sui redditi più alti. Sul fronte del-
la sicurezza e dell’immigrazione vuole ampliare lo status di città santuario, rafforzando i diritti degli immigrati. Difficile che tutte queste proposte vedano la luce. Il primo ostacolo è la governatrice democratica Kathy Hochul: molte delle idee di Mamdani potranno prendere forma solo se Albany aprirà i rubinetti. La collega di partito ha già messo le mani avanti, chiedendo a Wall Street di aiutarla a convincere Trump a rinunciare all’ipotesi di inviare la guardia nazionale a New York, cosa che il tycoon aveva minacciato all’indomani della vittoria. Chissà cos’è scaturito dall’incontro di venerdì 21 novembre tra il presidente degli Stati Uniti e Mamdani
(quando il giornale andava in stampa, settimana scorsa, non lo sapevamo ancora)...
Intanto a New York gli umori oscillano tra aspettativa e paura: da un lato la speranza che il radicalismo di Mamdani spezzi un ciclo ormai logoro, dall’altro il timore che una sterzata troppo a sinistra possa destabilizzare la città. Di certo, rispetto al profilo radicale mostrato in campagna elettorale, ora che è eletto, il politico ha già avviato un dialogo con i poteri forti, cercando margini di intesa.
«Il sentore è che molti contribuenti di fascia alta stiano pensando di andarsene, magari in Florida. C’è molta attesa a Miami»
A riassumere lo scetticismo diffuso soprattutto nel mondo del business è Dean Galasso, imprenditore immobiliare. «Le politiche di Mamdani faranno male», denuncia. Soprattutto quelle legate agli affitti. «Se li congelerà, molti proprietari preferiranno non afittare più gli appartamenti a canone stabilizzato o non ristrutturarli, perché non avrebbero alcun ritorno economico. È una misura sbagliata: chi pagherà la differenza dovuta all’aumento delle utenze?», si interroga. Perplessità che condivide anche Alex Carini, analista e agente immobiliare, fondatore e CEO del Carini Group: «Non ha un profilo pro-business, né per il settore immobiliare né per l’imprenditoria in generale». La questione più impellente, ora, è l’incubo di una fuga di massa dei capitali. «Il sentore è che molti contribuenti di fascia alta stiano pensando di andarsene, magari in Florida. Sono stato di recente a Miami e c’è molto fermento per un possibile flusso da New York». Ma non solo. «Anche i mercati suburbani, ovvero Connecticut, New Jersey e Long Island, stanno registrando un aumento delle richieste da parte di chi si sposta fuori città, soprattutto dalle aree più benestanti. È un fenomeno che avevamo già visto durante la pandemia: negli ultimi due anni si era attenuato, ma ora sta tornando». Carini, però, conta sul contrappeso che Stato e Governo federale eserciteranno. «Mamdani dovrà vedersela con Albany e con Washington per i fondi di cui la città ha bisogno. Trump ha una linea diametralmente opposta rispetto alle sue politiche e la governatrice centrista Hochul si è già esposta come forza di equilibrio». Per l’imprenditore sarà essenziale rassicurare i grandi contribuenti: «Non dimentichiamo che l’1% più ricco paga oltre il 50% delle tasse della città». Ed è proprio da quelle entrate che dipende la possibilità stessa di continuare a far girare gli ingranaggi di New York.
Zohran Mamdani e, sotto, una veduta di New York. (Keystone e Freepik)
Le nostre ultime creazioni
L’epoca delle guerre fini a se stesse
L’analisi ◆ Dall’eredità coloniale agli enormi interessi economici in gioco, ecco perché la rivoluzione geopolitica in corso accelera la destrutturazione a mano armata dell’ordine precedente mentre non ne annuncia uno nuovo
Lucio Caracciolo
Il termine «geopolitica» è oggi diffuso fino alla banalità. Lo si usa nei media come in accademia, ma corre anche nelle chiacchiere da bar. La sua sfera semantica è alquanto dilatata. Abbiamo così una geopolitica del calcio e una della cucina, per dire. Insomma, questa parola oggi è raramente usata con rigore. Va bene per qualsiasi discorso, quindi per nessuna funzione euristica, esplicativa.
Non era così fino agli anni Novanta del Novecento, quando il termine era proscritto, soprattutto in Italia e in Germania, perché annesso (abusivamente) al fascismo e al nazismo. Quasi sinonimo di volontà espansionista, imperialista. Legato al bellicismo, incompatibile con i regimi liberal democratici. Imploso il sistema della Guerra fredda, ovvero della pace in Europa, sono saltati anche i freni inibitori. Non per questo il senso del lemma «geopolitica» è diventato chiaro e univoco. Anzi.
I Grandi giocano indirettamente attori minori gli uni contro gli altri ma a un certo punto ne perdono il controllo
Per chi come il sottoscritto per passione e professione tratta di geopolitica come analisi dei conflitti di potere in spazi e tempi determinati, dunque come strumento potenzialmente utile a sedare le guerre con le armi del dialogo e della diplomazia, emerge un paradosso: più studiamo le guerre di oggi più ci accorgiamo che sfuggono assai spesso alla regola classica che le vorrebbe mezzi volti a uno scopo. Guerre per una pace. Il clima del tempo tende a renderle invece fini a sé stesse. Dunque interminabili. Meglio: da non terminare. Perché? Tre ordini di ragioni.
La prima è che la grandissima maggioranza dei conflitti si svolge in territori già coloniali. Ovvero a
debole se non inesistente tradizione statuale, in quanto a lungo governati da imperi esterni che solo di recente e mai completamente sono rientrati a casa. Le guerre africane e mediorientali – diverse dozzine, ormai se ne perde il conto – coinvolgono soggetti informali prima che statuali. Sono dispute intorno a spazi evacuati dagli imperi europei a partire dalla metà del Novecento. Le carte politiche che disegnano frontiere formali in quei territori mentono sapendo di mentire. Quei confini esistono sulla carta, raramente nella realtà. Corrispondono a partizioni coloniali che poco hanno a che vedere con Nazioni o altre comunità, capaci di istituire organizzazioni statuali sufficientemente riconosciute e stabili.
La seconda è che le massime potenze raramente si scontrano fra loro. L’ultima volta fu durante le due guerre mondiali che segnarono la fine del mondo eurocentrico. Oggi molto si parla di un futuro conflitto fra Cina e Stati Uniti intorno a Taiwan, tutt’altro che scontato. Quanto alla guerra di Ucraina, oltre a essere uno scontro fra un impero e una Nazione che vorrebbe emanciparsene, è anche un conflitto indiretto fra Russia e America, o meglio Paesi euroatlantici. Entrambi oggi interessati a uscirne il meno peggio possibile. E anche se in Germania e in Francia, oltre che nelle avanguardie antirusse del Nord e dell’Est Europa, molti danno per scontato il prossimo scontro diretto con la Russia, non ci siamo (ancora?). Il rovescio di questa medaglia è che i Grandi giocano indirettamente attori minori gli uni contro gli altri. Ma a un certo punto ne perdono il controllo. Perché se la guerra debba finire o continuare lo decide chi la fa.
La terza concerne l’economia. Non però nel senso banale dell’interesse economico a conquistare un territorio, ad esempio per le sue materie prime. C’è molto di più. E di
più importante. I conflitti moderni generano interessi economici tali da produrre sempre nuova benzina, utile ad alimentarli per lungo tempo. Il rischio è che si diffonda così l’idea che le guerre sono e saranno fenomeni naturali, irreversibili, come pioggia, sole e vento
Ne sono esempio le compagnie di mercenari che si impegnano nei combattimenti per conto terzi (pensiamo a Wagner/Afrika Korps per la Russia, Blackwater per gli Stati Uniti eccetera) e ne traggono lucrosi profitti.
Di qui l’interesse a continuare, fi-
no a istituire reti di traffico persino con i nemici o loro gruppi armati di riferimento. Paradossali i casi delle guerre balcaniche, dove capitava che serbi, croati, bosniaci si affittassero carri armati a tempo determinato; oppure, per restare all’attualità, il commercio delle armi ricevute dall’estero da parte di soldati e combattenti ucraini, che renderà fra l’altro estremamente incerto e pericoloso il dopoguerra (quando mai arriverà) in una regione contigua ai Balcani già iperarmati.
Regolare per via negoziale questo genere di guerre che appaiono e scompaiono con andamento carsico, ma difficilmente si estinguono, eccede energie e risorse delle migliori diplomazie. Da quando poi l’im-
pero globale americano ha cessato di fungere da parametro quasi universalmente riconosciuto degli equilibri di potere, la sedazione dei conflitti si riduce in termini di spazi e tempi pacificati.
La rivoluzione geopolitica in corso accelera la destrutturazione a mano armata dell’ordine precedente mentre non ne annuncia uno nuovo. Comunque sarà molto più relativo di quelli che studiamo sui libri di storia (ma li studiamo ancora?). Il rischio è che si diffonda così l’idea che le guerre sono e saranno fenomeni naturali, irreversibili, come pioggia, sole e vento. Concezione davvero disumana della realtà. Dunque irrealistica, finché saremo e ci riconosceremo reciprocamente umani.
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CULTURA
Dal mondo arabo e persiano, grandi letterature
A colloquio con il curatore e traduttore Giacomo Longhi, esperto di letteratura persiana e araba: racconto di un mondo fervido e poco conosciuto
Gabriele Lavia porta Re Lear al LAC
Interpreti solidi e scenografia scarna che dominano il testo, sono gli elementi della messa in scena essenziale e di una prova attoriale magistrale per il classico shakespeariano
Impeto e rigore, Pablo Picasso e Markus Raetz
Mostre ◆ Le incisioni dei due grandi maestri del Novecento in mostra al Museo d’Arte di Mendrisio
Non potevano essere più differenti tra loro Pablo Picasso e Markus Raetz. Il primo, spagnolo dal temperamento indocile e dall’animo vorace, era puro istinto, vigore, pulsione. Il secondo, elvetico dall’animo contemplativo e dall’indole riflessiva, era quieta meditazione, pazienza, minuziosità. Turbolenza e veemenza da una parte. Lentezza e diligenza dall’altra.
Sebbene agli antipodi sia nell’approccio alla creazione sia nello stile, Picasso e Raetz erano però accomunati dal medesimo profondo interesse per la grafica, un linguaggio che entrambi non hanno mai reputato una forma d’arte secondaria, bensì un campo di sperimentazione fondamentale nella loro ricerca, strettamente legato alla pittura e alla scultura. I due artisti, difatti, sono sempre stati mossi da un costante bisogno di saggiare le potenzialità della tecnica incisoria per estendere la loro indagine formale e contenutistica, ben consapevoli che essa, a dispetto delle sue radici antiche, mantenesse ancora una grande vitalità espressiva.
Se le opere di Picasso sono contraddistinte dai temi di eros e morte, Raetz spicca per il suo universo rigoroso, poetico e ironico
Picasso, capace di realizzare fino a sette stampe al giorno, e Raetz, capace di lavorare a una lastra anche per dieci anni, si trovano uno accanto all’altro in due rassegne complementari allestite al Museo d’Arte di Mendrisio, a sottolinearne la condivisione dell’idea di arte grafica quale affascinante ambito attraverso cui dar vita a inedite connessioni tra passato e contemporaneità. Quanto per Picasso l’attività incisoria sia stata importante è dimostrato dai numeri: l’artista ha realizzato circa duemilacinquecento opere grafiche, muovendosi, con la disinvoltura che lo ha sempre contraddistinto, dall’acquaforte all’acquatinta, dalla puntasecca alla litografia, dal bulino alla linoleografia. I lavori esposti a Mendrisio riflettono non solo l’insaziabile voglia di sperimentare del maestro spagnolo ma anche la sua abilità (che, va sottolineato, non è mai stata sostenuta da una formazione specifica) nel potenziare queste tecniche per raccontare con immediatezza il proprio universo poliedrico.
Le opere in mostra provengono dalla donazione fatta alla Fondazione Gottfried Keller da Georges Bloch, grande amico ed estimatore di Picasso. Il collezionista zurighese ha incominciato ad acquistare le incisioni dell’artista sin dagli anni Venti del Novecento e si è assicurato i suoi pezzi migliori dopo averlo conosciuto personalmente nel 1953, lasciandone poi una
buona parte alla suddetta Fondazione affinché la produzione grafica del maestro fosse ben rappresentata anche in Svizzera.
Ciò che colpisce osservando i lavori esposti è come in essi ritornino le medesime tematiche presenti nei dipinti e nelle sculture picassiane, a rimarcare come l’incisione si intersecasse con le altre forme espressive dell’artista, anticipandone a volte soluzioni compositive.
Il procedere per nuclei tematici del percorso della rassegna rivela in maniera molto chiara questo aspetto. Dai ritratti delle persone più vicine a Picasso, tra cui i figli e le tante donne della sua vita (queste ultime spesso effigiate con uno stile che muta progressivamente seguendo l’andamento della loro relazione con l’artista, come nelle litografie che hanno per soggetto Françoise Gilot), si passa ai temi mitologici, con la figura drammaticamente deformata del Minotauro a campeggiare quale emblema dell’eterno dissidio tra ragione e istinto.
Fra le opere dedicate alla tauromachia, tema a cui Picasso è stato profondamente legato, ci sono due acquetinte del 1937 dal titolo Sueño y Mentira de Franco in cui l’artista sbeffeggia il dittatore spagnolo rappresentandolo
in pose grottesche e in cui compaiono alcuni motivi, come il volto femminile urlante, presenti anche in Guernica Dopo una serie di d’après che testimoniano l’ammirazione di Picasso per alcuni maestri (Lucas Cranach il Vecchio, Poussin, Degas, Manet) e la sua straordinaria capacità di rivisitare alcuni dei loro capolavori, troviamo grafiche che hanno per soggetto gli animali, riprodotti spesso con uno stile evocativo dell’arte di Rembrandt e Goya, le «nature morte», raffigurate con spensierata leggerezza o con grande drammaticità, e il tema «dell’artista e della modella», motivo rielaborato di continuo dal pittore spagnolo per sviscerare il suo rapporto con le donne e con lo scorrere del tempo. Eros e morte difatti hanno permeato l’intera opera di Picasso e sono diventati contenuti ancor più pregnanti nella sua grafica tarda, quando il ritmo di lavoro dell’artista si è fatto a dir poco forsennato proprio per resistere all’imminente conclusione della sua esistenza. Suite 347, una delle imprese più colossali del maestro, è composta da trecentoquarantasette incisioni eseguite nel 1968 in soli sette mesi. Al suo interno è racchiusa tutta la vita di Picasso, che, ormai ottantasettenne, vi ha fatto confluire la sua sconfinata im-
maginazione, i temi che lo hanno accompagnato lungo tutto il suo fantasmagorico cammino e, soprattutto, il suo bisogno di esorcizzare la morte. Attraverso una ricca selezione di opere a bulino, in gran parte inedite, ci immergiamo poi nel mondo di Markus Raetz, artista svizzero noto principalmente per le sue sculture e installazioni, la cui ricerca non può essere però compresa appieno senza conoscerne l’espressione grafica. I lavori esposti, realizzati tra il 1994 e il 2017, costituiscono difatti un capitolo specifico all’interno della vastissima produzione dell’artista, che all’incisione si è dedicato con una certa reverenza, quasi con apprensione, consapevole di avere a che fare con una pratica che richiedeva grande perizia e totale padronanza delle procedure.
Al bulino, la più antica e nobile tra le prassi incisorie, Raetz si è avvicinato proprio nel 1994, quando, con alle spalle già più di trent’anni di esperienza nell’ambito della grafica, viene invitato a realizzare un’opera per la Chalcographie du Louvre. Il rapporto di Raetz con questa tecnica raffinata si è fatto sempre più intenso nel corso del tempo, dando vita a esiti artistici che hanno combinato con maestria metodo e immaginazione.
È nella dimensione incisoria che l’artista ha approfondito le questioni che hanno costantemente caratterizzato la sua indagine. E lo ha fatto padroneggiando un segno in grado di creare superfici che paiono fluttuare davanti al nostro sguardo, descrivendo volti, figure geometriche e composizioni astratte.
Sin dalla prima prova a bulino, dalla cui accurata vicinanza dei tratti emerge il delicato profilo della moglie, fino all’ultima lastra, popolata da parole, oggetti bizzarri e ghirigori flessuosi, Raetz ha evocato l’idea a lui tanto cara di un dinamismo palpitante, di una metamorfosi ininterrotta che percorre la trama dell’esistenza umana.
Da qui la scelta dell’artista di adottare una linea dall’andamento sinuoso e di rappresentare motivi che rimandano al fluire di un’energia vitale, come l’onda, ad esempio, uno dei soggetti presenti nell’opera di Raetz fin dagli anni Settanta. Grazie all’accostamento di segni ricurvi l’artista ha esplorato inoltre una delle questioni principali della sua pratica creativa, l’ambivalenza delle immagini. Per raggiungere questo obiettivo anche nell’incisione a bulino egli ha utilizzato l’espediente di inchiostrare la stessa lastra in due modi diversi, come in Gekämmt, Wellen e Ondulation del 1994-95, rafforzando così il movimento serpeggiante della raffigurazione. La continuità della ricerca di Raetz da un medium all’altro emerge molto bene in mostra dalla presenza di alcuni lavori tridimensionali esposti insieme alle opere calcografiche. È così che Doppelprofil (1993), scultura in bronzo dalla natura ingannevole, si trova accanto al mutevole arabesco di Flugfigur (2016), e che nell’installazione Ohne Titel (2017) si colgono molte affinità formali con le immagini del portfolio Das dünnste Loch (2014-2017). Con la sfida alla percezione come obiettivo primario, Raetz ha saputo far confluire nella grafica tutto il suo universo rigoroso e al contempo poetico, ironico e al contempo profondo nello svelare quanto sia labile il confine tra la realtà e il nostro modo di vederla.
Dove e quando Pablo Picasso, maestro dell’incisione. Opere dalla Fondazione Gottfried Keller, donazione Georges Bloch, a cura di Barbara Paltenghi Malacrida e Matthias Frehner, e Markus Raetz. Le incisioni a bulino 1994–2017, a cura di Francesca Bernasconi e Rainer Michael Mason. Museo d’Arte Mendrisio. Fino al 25 gennaio 2026. Orari: da ma a ve 10-12 / 14-17; sa, do e festivi 10-18. museo.mendrisio.ch
Incontri ◆ A colloquio con il traduttore e curatore Giacomo Longhi, costruttore di ponti tra le culture
Simona Sala
I tempi di ostilità finiscono in un modo o nell’altro per riverberarsi sulla cultura, offuscandola o mettendola in secondo piano. Negli squarci di mondo arabo che ci sono stati consegnati dai mass media e dai social negli ultimi mesi, la disperazione di chi scappava dalle bombe si è legittimamente presa lo spazio della narrazione, creando il ritratto di un popolo perseguitato sicuramente veritiero, ma non completo, poiché non ci racconta chi è quella gente che scappa.
Giacomo Longhi, laureato in letteratura araba e persiana, traduttore da entrambe le lingue, collabora con Bompiani e dirige la collana «Disorientanti» per Polidoro, dedicata alle letterature del Vicino Oriente. In oltre dieci anni di attività si è spostato tra Aleppo, Beirut e Teheran, passando per il Cairo, Baghdad e Dubai. Il prossimo 4 dicembre sarà a Grono, ospite di Calanca Biennale insieme ad Atef Abu Saif, scrittore palestinese ed ex ministro della cultura in Palestina. Al suo ritorno da Sharja, una delle maggiori fiere librarie del mondo arabo, ci racconta lo stato dell’arte della letteratura araba e persiana.
Giacomo Longhi, nonostante il mondo arabo sia spesso protagonista della politica internazionale, della sua letteratura, o meglio, delle sue letterature, sappiamo poco.
Credo esista tutta una serie di cliché, che però io, lavorando da vicino con questo mondo, non vedo più. Alla fiera del libro di Sharja, ad esempio, ho visto più scrittrici che scrittori, infatti, nel 2026 con l’editore Polidoro pubblicherò le opere di tre donne. La presenza femminile è importante anche tra agenti letterarie ed editrici, ma ciò non deve stupire: nel mondo delle lettere arabo, e non solo, la presenza femminile non è messa in discussione.
La letteratura araba e quella persiana soffrono di una serie di cliché che ci impediscono di apprezzarla come meriterebbe
Una fiera del libro internazionale in un Paese di cui si sa davvero poco. Come dobbiamo immaginarla?
Sharja è un piccolo emirato accanto a Dubai, più conservatore, ma che investe molto nella cultura, e ospita forse la più importante fiera del libro arabo.
A Sharja si trova anche la Casa della saggezza (House of Wisdom), una biblioteca che ospita eventi culturali, mostre e un grande archivio.
È difficile percepire tanto fermento. Perché questa nostra mancanza di interesse?
Le traduzioni dall’arabo non mancano, ogni anno escono almeno dieci titoli, se non di più, alcuni anche per grandi editori come Feltrinelli, Sellerio, Bompiani, e/o. Sta poi ai nostri lettori e ai nostri intellettuali avere la curiosità di scoprirli. Non mancano anche gli esempi virtuosi: di recente, su «Venerdì» di Repubblica ho trovato un bell’approfondimento di Paolo Di Paolo sulla letteratura palestinese. In fondo, stiamo parlando dei nostri dirimpettai sull’altra sponda del Mediterraneo, non si tratta di una cultura lontana.
Come si è avvicinato al mondo arabo?
A 19 anni, ma un po’ per esclusione. Avevo letto soltanto La patria delle
visioni celesti (e/o), del libico Ibrahim al-Koni, una raccolta di racconti ambientati nel deserto, e nonostante la bella scrittura, percepivo quella araba come una realtà lontana, che non capivo. Uno spunto è arrivato anche dalla madre di una mia amica, che leggeva Nagib Mahfuz. E poi mi sono appassionato sempre di più, leggendo i grandi scrittori libanesi, come Hoda Barakat, Elias Khoury, Jabbour Douaihy.
Negli ultimi anni il Golfo Arabo, grazie alla propria disponibilità economica, si è ritagliato uno spazio di prestigio in molti ambiti, come quello del calcio. È un fenomeno che tocca anche la cultura?
Un tempo il centro culturale arabo era in Egitto e nel Levante, soprattutto in Libano, ma da una quindicina di anni si è decisamente spostato nel Golfo. Nel 2008 ad Abu Dhabi è stato istituito il Premio Internazionale per la narrativa araba (International Prize of Arabic Fiction) che nel giro di un decennio è diventato il più importante premio per il romanzo arabo. Prima la capitale del libro era Beirut, e a questo proposito consiglio il bel Il libro e la città (Mesogea) dello studioso francese Franck Mermier. Purtroppo il Libano ha avuto una serie di problemi gravi, tra cui la crisi economica e non da ultimo l’esplosione del porto, vicino a dove si svolgeva la fiera.
Come funziona il mercato della letteratura araba?
Si tratta di un mercato esteso su ben ventidue Paesi, realtà che comporta problemi endemici di distribuzione: se una casa editrice libanese o egiziana pubblica un libro, non riesce a distribuirlo dappertutto. Per questo, nel mondo arabo è importante il sistema di vendita delle fiere: gli stand delle case editrici diventano dei negozi itineranti, e sono sempre affollatissimi. A Sharja ho visto molta gente con carrelli pieni di libri. Le fiere cominciano a fine estate fino alla primavera dell’anno dopo, spostandosi tra Casablanca, Tunisi, Algeri, Tripoli, Il Cairo, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati…
In Occidente, però, questa tradizione editoriale giunge solo in parte. Come dicevo, traduciamo anche parecchio, ma non dobbiamo mettere al centro le nostre aspettative. La letteratura araba non va incontro ai nostri orizzonti di attesa, ma ci invita a varcare tanti confini e non porci al centro: è condivisa da ventidue Paesi, dunque con un immenso bacino di lettori, ed è normale che non parli in prima battuta al pubblico europeo, senza perdere tuttavia la capacità di essere universale. Sta però nascendo una nuova diplomazia culturale, soprattutto dal Golfo, con molte istituzioni che sostengono la diffusione della letteratura araba nelle lingue europee attraverso il finanziamento di traduzioni. Si tratta di un appoggio concreto all’editoria europea. Come descriverebbe la letteratura araba contemporanea? È una letteratura impegnata, che si interroga sul presente e non è politicizzata in senso ideologico. È legata alla sua prima urgenza, che è quella di raccontare storie. Inevitabilmente, però, veicola anche dei messaggi politici. Non siamo più nell’epoca in cui intellettuali e politici si parlavano, come succedeva con Mahmoud Darwish e Arafat, ma è ancora una letteratura di grande spessore. Oltre al palestinese Mahmoud Darwish, penso al Nobel egiziano Nagib Mahfuz con la sua trilogia oggi ripubblicata da Crocetti, ma anche al libanese Elias Khoury, autore del bellissimo La porta del sole (Feltrinelli), che rappresenta un testo di riferimento per la Palestina, poiché ne registra la memoria. Per scriverlo Khoury si è basato su interviste raccolte nei campi profughi palestinesi alla periferia dei Beirut. Per Bompiani ora ho tradotto Corpi celesti di Jokha Alharthi, vincitore del Booker Prize. È la prima volta che vince un libro arabo, e l’ha scritto una donna omanita: un libro di una delicatezza particolare.
Lei si occupa anche di letteratura iraniana… … una letteratura millenaria, fra le
Interno della libreria indipendente Halabi di Beirut (halabibookshop); sotto la copertina del libro di Atef Abu Saif, che sarà ospite a Grono, insieme a Longhi, di Calanca Biennale 2025 il 4 dicembre.
Queste autrici vengono lasciate in pace da chi è al potere? Nessuno viene lasciato in pace in Iran, né le autrici né gli autori. Esporsi, sia in letteratura sia nel cinema, comporta sempre e comunque l’attenzione da parte delle autorità. Gli artisti iraniani devono purtroppo fare i conti con questo, eppure la vita culturale è molto vivace. C’è un mondo che ruota attorno ai libri, con librerie, caffè letterari e premi, e la letteratura rappresenta un motivo di aggregazione.
È anche una forma di resistenza?
più raffinate e prestigiose dell’Asia, che ha come base capolavori come Il libro dei re di Firdusi, le poesie di Hafez o di Omar Khayyam, Il roseto di Sa’di. Nella sua forma moderna la letteratura iraniana si è sviluppata a partire dagli anni 20 del 900, e in cento anni ha bruciato le tappe, se pensiamo che negli anni Trenta esce La civetta cieca di Sadegh Hedayat, apprezzato dai surrealisti francesi. Oggi è una letteratura a maggioranza femminile, ma già alla fine degli anni 60 usciva Suvashun. Una storia persiana di Simin Daneshvar (Brioschi): il primo romanzo scritto da una donna, e che raccontava un’epopea femminile in ambiente domestico; diventò immediatamente un bestseller e da allora l’aumento delle scrittrici è esponenziale. Nel 1982 uscì poi lo spiazzante Donne senza uomini di Shahrnush Parsipur, dove si parla di adulterio e aborto. Queste due autrici hanno dato vita a due filoni letterari, e quindi sono seguiti romanzi come Un uccello in volo di Fariba Vafi (Ponte 33), o Spengo io le luci di Zoya Pirzad (Brioschi), ma anche Teheran Girl (Bompiani) o Non ti preoccupare (Ponte 33) di Mahsa Mohebali e Probabilmente mi sono persa di Sara Salar. Alcuni romanzi femminili sono molto forti, e hanno avuto degli ostacoli o sono stati ritirati. Teheran Girl, ad esempio, è stato stampato in Afghanistan prima del ritorno dei talebani.
Io non amo parlare di resistenza, perché è un cliché attraverso cui tendiamo a leggere tutto. Lavorando su un’antologia di racconti di giovani autori, Iran Under 30 (Polidoro), negli anni di «Donna Vita Libertà», mi sono reso conto di come le proteste non siano al centro. Pur essendoci un costante elemento di tensione, al centro degli interessi ci sono vita personale, affetti e amicizie, ma anche la pressione del lavoro, della scuola e delle aspettative sociali. Trovo forzata la lettura secondo cui tutto quanto nasca nel mondo arabo o iraniano a livello culturale debba essere letto attraverso la chiave della resistenza. Ciò non significa che non vi sia spazio per la critica al sistema, anche perché la letteratura è sempre una critica.
Cosa pensa di importanti rappresentanti della letteratura dell’esilio iraniani come Kader Abdollah o Kaveh Akbar?
Quando li si legge è importante avere la consapevolezza che non si tratti del riflesso dell’Iran di oggi, ma di libri scritti per un pubblico europeo. Ricordiamo che la lingua non è un mezzo neutrale o innocente. Scrivere in olandese come fa Abdollah significa che il pubblico di riferimento non è iraniano; per contro, leggere letteratura tradotta dal persiano è diverso, poiché è stata scritta dagli iraniani per gli iraniani, quindi senza l’urgenza della mediazione e della spiegazione. Se scrivo in persiano, scrivo principalmente per chi vive in Iran ed è iraniano; cosa devo spiegare a quel punto? che se una donna esce deve mettersi il velo? che a Teheran ci sono autostrade dove la gente si fa le vasche per rimorchiare?
Ci consiglia di aprirci a questa potente letteratura anche per capire meglio la contemporaneità? Certo, anche perché attraverso la narrazione che fanno i media, ci raggiunge spesso un’immagine negativa. Pensiamo a Gaza: non la si dovrebbe raccontare solo attraverso la tragedia, i morti e la distruzione, ma anche per quello che è stata. Leggere Vita appesa di Atef Abu Saif (Polidoro) ci permette di capire veramente cosa sta succedendo lì, allontanandoci dalla nostra immagine miserabilista di quella realtà. Peccato che ancora raramente il nostro mondo intellettuale, penso soprattutto a quello italiano, colga l’occasione per interfacciarsi con gli autori palestinesi, arabi in genere iraniani o provenienti da letterature non scritte nelle lingue occidentali. Su questo noto ancora molta chiusura, forse inconsapevole. Soprattutto del mondo arabo parliamo solo attraverso la prospettiva del migrante, ma forse ciò è il risultato della nostra visione eurocentrica: ci interessa soprattutto chi viene a vivere da noi.
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Rappresentazione del non-essere
Teatro ◆ Al LAC è andato in scena il Re Lear di Lavia cha ha saputo mettere a nudo il punto in cui la parola devia, disorienta, sovverte
Laura Di Corcia
Prendiamo un grande attore, con una recitazione classica, squisitamente novecentesca, ma di altissimo livello, capace di un’altezza tale da permettergli di incarnare la tragedia, le punte liriche, mescolandole sapientemente con la commedia e le discese più prosaiche; aggiungiamoci una messa in scena possente, una scenografia materica, essenziale ma al contempo capace di una presenza tale da assumere il profilo e la statura del personaggio; e aggiungiamoci un testo enorme, intramontabile, che è una storia di profondo disincanto sulle relazioni umane, sulla sete di potere e su come questa faccia precipitare ruinosamente ogni impianto di tipo etico. Questo è il Re Lear di e con Gabriele Lavia, una coproduzione LAC (insieme a Fondazione Teatro di Roma), che nelle tre sere in cui è stato proposto a Lugano (da mercoledì, anche se non è andato in scena a causa di un malore dello stesso Lavia, a venerdì) ha registrato un enorme successo di pubblico, sfociato – per quanto riguarda l’ultima sera, perlomeno, quella in cui era presente chi scrive – nella standing ovation finale.
La storia è questa: Re Lear decide di dividere il regno fra le sue tre figlie, ma la terza, l’unica autentica, rifiuta di adulare il padre, che quindi la disereda e la mette al bando. Nel frattempo Edmund, figlio illegittimo del conte di Gloucester, per assicurarsi privilegi e terre crea zizzania fra il padre e il fratello, costringendo quest’ultimo a scappare e a riparare nella foresta; i due padri si accorgeranno presto di essere stati ingiusti verso gli unici figli che davvero li amavano.
Il tema più importante che emerge in queste relazioni malate fra padri e figli è quello della parola che circuisce e inganna, accanto a quello del mondo come teatro di inganni e vendette. Una storia di perdite, come sottolinea Lavia stesso, che a Re Lear torna cinquantatré anni dopo, da regista e attore navigato, dopo averlo interpretato nel ruolo di Edgar sotto la regia di Strehler. Una storia, anche, di equilibri precari, dove tutto precipita facilmente, dove i ricchi diventano poveri e i felici tristi: per questo lo sfondo utilizzato per costruire la narrazione rispecchia quello di un teatro abbandonato, con un gusto un po’ grotowskiano da scena povera, dove la vita è vista come una sequenza di azioni «raccontate da un idiota», per citare un altro grande dramma shakespeariano, il Macbeth. E centrale risulta il ruolo del fool, che giudica, commenta, gioca, ricordando che è tutta una messa in scena, che quello che accade non è davvero
importante, che veloce ed eracliteo è il gioco dei ruoli su questa Terra e che la vita è in fondo sogno, teatro in cui le comparse recitano una parte per poi finire dimenticate dal tempo che tutto cancella.
Si scivola, attraverso questo lavoro, che è forte e possente, grazie soprattutto alla recitazione ricca di sfumature, di altezze e discese, di velocizzazioni e rallentamenti di quell’animale da palcoscenico che si conferma ancora Lavia, uno fra i pochissimi in Italia a vantare una tenuta di questo tipo e a portare un teatro di parola classico, vibrante, che pulsa. E grazie a tutto il gruppo di attori, capaci di tenere il ritmo e la temperatura dettata dal maestro – nella squadra vanno sicuramente segnalati per bravura Ian Gualdani, che interpreta magnificamente, con forza e audacia il cinico ma in fondo bisognoso di amore e riconoscimento Edmund, e Andrea Nicolini, straordinario nel ruolo del fool, lo sguardo estraneo e straniante che in realtà interpreta meglio la realtà degli altri.
Una nota di merito anche ai costumi, che giocano un ruolo decisivo nel tratteggiare la scala emotiva di questo testo: dalle tuniche dorate e sfarzose si passa a vesti stracciate fino alle brache, l’unica cosa che copra l’essere umano quando rimane a contatto con la sua verità più essenziale, quella della nuda vita (Agamben). Il Re Lear è un testo dai toni cupi che ci ricorda come le nostre identità si puntellino sui costumi che decidiamo di indossare su quella scena che è la vita.
Dopo l’amletiano quesito, «Essere o non essere», questo dramma si interroga su cosa si basi questo nostro esserci, su quanto tengano i nostri ruoli e su cosa vi sia al di là di essi. «Essere o non essere» sono certamente le parole più importanti di tutto il teatro occidentale» precisa Lavia. «Come se la vita di ogni uomo, non solo di Amleto, non fosse altro che porsi questa domanda. Re Lear, invece, nega questa domanda e decide per il non essere, non essere più re. Nel momento in cui Re Lear non è più re è solo Lear, non è che un uomo, uno come tanti che non conta nulla. “Sono io Lear?”, si domanda disperato. Travolto dalla tempesta del non-essere, Lear la attraverserà fino alla fine, fino all’ultimo dolore».
Una messa in scena davvero magistrale, che avrebbe potuto benissimo aprire la stagione teatrale del LAC. E la dimostrazione che un certo teatro classico, se fatto ad altissimi livelli e quando non teme il confronto con la lirica e la tragedia, può diventare addirittura popolare.
Gabriele Lavia, protagonista e regista di Re Lear, ed Eleonora Bernazza, nei panni della più giovane delle tre sorelle, Cordelia.
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Essere consapevoli della scarica di dopamina. Le azioni sono eventi esterni che attivano il centro della ricompensa nel cervello. Il nostro sistema biochimico rilascia quindi l’ormone della felicità, la dopamina, che ci fa sentire bene e soddisfatti. Tuttavia, questo stato non dura a lungo e presto sentiamo il bisogno di una nuova scarica. Questo può portare a una caccia all’affare sconsiderata, in cui si acquista più di quanto si voglia davvero.
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In fin della fiera
di Bruno Gambarotta
Il complotto del braccialetto e la sartoria domestica
Avete presente l’aria che si respira quando i vostri famigliari congiurano per farvi una sorpresa? Capita anche sotto Natale, e in questi casi conviene fingere, fare i tonti per non deludere figli e nipoti. Gli indizi che qualcosa si sta preparando alle mie spalle si infittiscono. Entro in cucina e i presenti iniziano a parlare del clima: si prevedono tempeste di neve sui Carpazi e bora a Trieste.
In soggiorno mio nipote che è al computer, non appena avverte la mia presenza, cambia sito; mi era parso di vedere immagini di manette e catene, ma forse mi sbaglio. Verso sera, sfoglio il quotidiano e scopro che qualcuno ne ha già staccato una pagina. Mi accorgo di aver dimenticato in bagno il mio orologio da polso. «Qualcuno ha visto il mio orologio?». «È qui – risponde mia moglie –, l’avevi lasciato in cucina». Me lo porge. Nell’altra mano regge un metro da sarta. A ta-
Voti d’aria
Lettere
«Cara Elsa, ti penso sempre, sotto il peso della tua tragica vitalità intellettuale e della poesia, come nei nostri ultimi incontri. Devo sempre ringraziarti di aver potuto vedere nei tuoi occhi, la compiutezza assoluta della poesia e del dolore». Chi scrive? È
Goffredo Parise, lo scrittore dei Sillabari, che parla (5+) del dolore proprio e di quello della sua corrispondente, Elsa Morante. La quale è morta il 25 novembre 1985, dunque esattamente quarant’anni fa. E ogni volta che ricordiamo un grande scrittore, per un anniversario o semplicemente perché vogliamo farlo rivivere in qualche modo, possiamo non solo andare a leggerne le opere che ha pubblicato in vita, ma cercare le lettere che scrisse, in modo da sentirlo o sentirla ancora più presente e viva nei rapporti di amicizia che ebbe con i suoi contemporanei.
Ecco, dunque, Parise e Morante, che
vola conversiamo. Gli argomenti sono forniti dall’attualità. Nessuno di noi rischia di finire in prigione ma non mi stupisce che si parli dell’affollamento nelle carceri e del bracciale elettronico. «Avete visto?», ci domanda nostro nipote. «Gli stilisti hanno già fiutato la novità. Fanno sfilare gli indossatori con un vistoso braccialetto di cuoio». «Diventerà un must », prevede l’altro nipote. Interviene una figlia: «Se fossi un maschio farei follie per avere un braccialetto del genere. Completa l’eleganza e nello stesso tempo smagrisce».
Che siano diventati tutti pazzi? Non mi trattengo: «L’uomo col braccialetto di cuoio fa tanto playboy della terza età». Sconcerto unanime: «Ma tu dove vivi?». «A proposito – chiede il primo nipote –, sulla prepagata per gli acquisti online è rimasto qualcosa?». A proposito? Devo scoprire cosa c’era sulla pagina sottratta. Telefono all’amico
Francesco: «Per favore, leggimi i titoli di pagina 21». L’amico esegue. Parlano di compravendita di giocatori. «Sei sicuro? Guarda bene». «Beh, sì, in basso ce n’è un altro che non c’entra niente». «Leggimelo, per favore». «New Jersey, alunni obesi col braccialetto elettronico. Così mangiano meno». Ecco. È quello. Sarà perché ho tre gilet fantasia che non riesco più ad abbottonare: possibile che sia tanto ingrassato? Ma perché dimagrire, se posso scucirli sulla schiena e poi collegare i due lembi con un pezzo di stoffa fermato con la pinzatrice? L’ho visto fare dal costumista del Regio con Pavarotti. Pensavo di tenerlo nascosto. Ma ora che gli stilisti mi hanno sdoganato, posso agire senza vergogna. Titolo del servizio: «Lo shopping lo faccio nell’armadio». E vai! Ho accumulato tanta di quella roba che posso andare avanti per altri dieci anni. L’importante, si raccomandano gli stilisti,
è scomporre gli elementi dei vari capi e ricombinarli con fantasia e buon gusto. Per dire: posseggo una giacca da camera di velluto marrone a coste, con le tasche laterali, il taschino per la pipa e la cintura, come quelle usate dai costumisti delle fiction per far credere che quel figurante morto di fame è un vero Lord inglese a casa sua, davanti al caminetto. Non l’ho mai messa. È giunto il suo momento: l’abbino con i pantaloni della tuta che mi hanno regalato per convincermi a fare il tedoforo nelle Olimpiadi di Torino del 2006. I pantaloni bianchi con strisce verticali gialle e arancione s’intonano benissimo con la giacca. Se qualcuno si permette di criticare l’accostamento, ho pronta la definizione che gli tapperà la bocca: è vintage! Un altro stilista sostiene che «si deve costumizzare il paltò con una fodera di seta colorata». Bene: prendo il loden blu comprato quando c’era il go-
verno Draghi («per coniugare equità e rigore») e lo fodero con la stoffa coloratissima di due camicioni comprati venti anni or sono in Malesia a un banco del mercato quando ho scoperto che in Italia nessuna banca mi avrebbe cambiato la moneta locale. Mai indossati neanche per carnevale. Volevo regalarli per una pesca di beneficenza ma gli organizzatori si sono offesi. È l’etno-couture, dicono gli stilisti che profetizzano un imminente boom per il kimono. Sul kimono sono carente, mai stato in Giappone. Il maggior numero di capi nel mio guardaroba va sotto la categoria «grembiuli da cucina». Quando non sanno cosa regalarmi, amici e parenti arrivano con un grembiule, mai con un pigiama di seta da seduttore seriale. E se incominciassi a uscire indossando un grembiule al posto della giacca? Impreziosendo la pettorina con qualche cristallo Swarovski?
parlano di poesia e di dolore e di nulla come se fossero vivi tra noi. Oppure, sempre per restare a Elsa Morante, ecco una epistola-confessione del 1938 al suo Alberto (Moravia) in cui mette in chiaro i propri sentimenti e risentimenti (5+). Cominciando così: «Ho un tale desiderio di parlarti ogni momento, che dovrei sempre scriverti. Ma questo non è possibile come non sono possibili tante altre cose». Esordio che lascia intendere senza dire tutto (ci si può sbizzarrire a immaginare quali sono le «tante altre cose» che non sono possibili a distanza). E poi Elsa passa a trattare dei suoi rimorsi nei confronti dell’amato: «e il più grande di tutti è che non mi riesce di essere per te quello che vorrei», ammette le ombre del proprio carattere, riconosce di essere «piena di gelosie e di disperazione». Sentimenti che tanti della nostra generazione conoscono meglio
A video spento
per averli comunicati per lettera (se abbiamo più di cinquant’anni) alle persone amate. Fatto sta che non leggeremo mai più (né forse scriveremo) lettere come quelle di Parise e di Elsa Morante: e non solo perché non è facile scrivere lettere così belle; e non solo perché non abbiamo tempo di soffermarci sui nostri sentimenti e risentimenti; e non solo perché è difficile anche trovare interlocutori pronti a leggere pensieri più lunghi di due righe. Ma soprattutto perché l’oggetto in sé va dritto verso la cancellazione, come è accaduto per i gettoni telefonici, le cabine, i cerini e, appunto, come sta accadendo per i francobolli. La Danimarca (2) è il primo Paese ad avere decretato la fine della corrispondenza cartacea, gli altri Paesi, inevitabilmente, seguiranno l’esempio (1). E va bene per le bollette e per le multe, va bene per la pubblicità e per i precet-
Quella leggerezza presa troppo alla leggera
«Non credo che sia peggior cosa al mondo che la leggerezza, perché gli uomini leggieri sono strumenti atti a pigliare ogni partito, per tristo». Così, Francesco Guicciardini nei suoi Ricordi
Per anni la parola «leggerezza» ha avuto una connotazione negativa: prendere una decisione con leggerezza, commettere una leggerezza, una imperdonabile leggerezza, un uomo o una donna di grande leggerezza. Del resto con l’etimo non si discute: «leggerezza» deriva da «leggero», che a sua volta proviene dal latino levis (lieve), attraverso l’antico francese legier Questa radice latina collega la parola al concetto di scarso peso, ma anche a un significato figurato di facilità o talvolta di superficialità. Nel dialetto milanese la «ligera» – così veniva chiamata la microcriminalità locale, fatta di ladruncoli, piccoli rapinatori, ricettatori – ha un’origine dibattuta: la prima fa risalire il nome al fatto che i componenti delle bande agivano non armati, quindi «leggeri»; la seconda invece sostiene che gli orfani, i miserabili, i vagabondi che spesso ingrossavano le fila della ligera, indossavano indumenti leggeri rispetto alla media della popolazione. Poi è successo un rovesciamento di senso che ha le sue radici in quel campione della leggerezza che è il Barone rampante, il protagonista dell’omonimo romanzo di Italo Calvino che sceglie di passare tutta la vita sugli alberi. Non che la terra non lo interessi, al contrario. Ma si rende conto che, per poter intervenire nel modo giusto, occorre saper esercitare una certa levità, una visione lucida delle cose, anziché lasciarsi guidare dagli impulsi del momento. Era il 1985 quando l’Università di Harvard, in Massachusetts, si preparava a ospitare lo scrittore italiano
Italo Calvino (1923-1985) all’interno del progetto Poetry Lectures, un ciclo di lezioni intitolate a un noto storico dell’arte e studioso di Dante di nome Charles Eliot Norton. Nascono così le cosiddette Lezioni americane, che alla fine non vennero mai tenute di fronte alla platea dell’ateneo di Cambridge, perché Calvino si spense il 19 settembre dello stesso anno, prima degli incontri previsti nel corso dell’autunno successivo. Una di queste lezioni era dedicata alla leggerezza (prossimamente su «Azione», un approfondimento). Da allora, ogni volta che qualcuno pronuncia la fatidica parola, sente il bisogno di dire «come la intendeva Calvino», magari senza neanche averlo letto. Ma cosa intendeva Calvino per leggerezza? «Spero innanzitutto di avere dimostrato che esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della
ti esecutivi, ma le lettere d’amore, di amicizia e di dolore? Certo, c’è sempre la posta elettronica, ma vuoi mettere il frusciare del pennino sul foglio e il profumo della carta (6)? Personalmente, ho perduto tante di quelle lettere ricevute e inviate via mail, anni interi di corrispondenza evaporati nel cyberspazio, che non credo più nella memoria digitale. E ringrazio il dio della carta di poter leggere oggi in un bel volume rilegato una lettera come quella che Enrico Palandri, giovane amico di Elsa Morante, scrisse alla scrittrice il 12 maggio 1983: «Cara Elsa, ho saputo del tuo tentato suicidio. Ho pensato a lungo di scriverti ma non sapevo che dirti. Pensavo: ma allora non crede più che l’anima dei suicidi se ne resta vagabonda sulla terra e non trova riposo? Oppure è tale il dolore e la fatica di vivere che preferisce quel vagabondaggio a questo? Poi pensavo che ti pensavo sem-
pre, e che ti voglio bene. So che non ti do che monetine senza valore con le mie parole, che se ancora pensi di morire che io ti voglia bene ha tanta poca importanza per te quanta ne ha il fatto che in questo momento piove in Giappone» (5+ alle monetine e alla pioggia in Giappone). Qualche anno prima che provasse a togliersi la vita (fu salvata dalla domestica), un altro amico di Elsa, il critico Cesare Garboli, le aveva scritto: «Io credo che la vita ti abbia dato molto; e nello stesso tempo ti abbia offeso in un modo misterioso a te stessa» (6- all’offesa misteriosa). Del resto, «tutte le vite sono, in un senso o nell’altro, delle vite mancate: l’arte è lì per soccorrere a queste mancanze». Bello, no (6)? Chi l’ha scritto? Umberto Saba. A chi? All’amica Elsa. In una lettera, con carta e penna. C’erano ancora i francobolli anche in Danimarca.
frivolezza; anzi la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca». Calvino unisce e contrappone leggerezza e peso come due aspetti complementari. «La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso». La leggerezza non è sinonimo di superficialità. Al contrario, rappresenta una forma di prevenzione naturale contro il rancore, l’odio e altri sentimenti negativi che possono facilmente prendere il sopravvento. Come suggerito da Italo Calvino, vivere con leggerezza significa affrontare la vita senza lasciare che le preoccupazioni diventino un peso e mantenere uno sguardo attento e profondo sulla realtà. Poi, a poco a poco, la leggerezza di Calvino si è trasformata in una sorta di mantra per life coach. Cos’è successo?
La frase sulla leggerezza più citata di Calvino è questa: «Prendete la vita
con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Si trova su tutti i motori di ricerca alla voce «leggerezza calviniana», l’ha pronunciata Sabrina Ferilli in un monologo del Festival di Sanremo 2022, ma Calvino non l’ha mai scritta. L’ha scritta infatti Mattea Rolfo, insegnante, scrittrice e blogger di Cuneo, nel 2007. L’ha scritta come parafrasi personale della lezione calviniana; ma, postato sul suo blog, l’aforisma è stato condiviso da qualche utente che, con un bel paio di virgolette, gli ha messo le ali ai piedi: da allora ha viaggiato in lungo e in largo, è comparso in esergo a saggi di autori blasonati, è stato rilanciato da case editrici serissime, con la firma di Italo Calvino. La leggerezza, «come la intendeva Calvino», non va dunque presa con molta leggerezza. Anche lei vuole il suo peso.
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Passione, visione e una gestione familiare appassionata sono alla base di Splash&Spa Tamaro, il parco acquatico aperto tutto l’anno che rappresenta oggi un simbolo di innovazione turistica in Ticino. Diretto da Anna Celio, Splash&Spa Tamaro è molto più di un centro di benessere: è una risposta concreta alle sfide del turismo moderno, capace di offrire divertimento e relax in ogni stagione, indipendentemente dal meteo.
Il centro, inaugurato nel 2013 dopo tre anni di lavori affidati all’architetto Giussani di Bironico, è stato pensato per accogliere famiglie e visitatori di ogni età, con un’ampia offerta di piscine vasche termali, scivoli, aree wellness e servizi di alta qualità. Oggi Splash&Spa Tamaro accoglie circa 300 mila persone all’anno e si distingue per i suoi standard internazionali: è l’unico parco acquatico in Europa certificato QAS – Qualità, Ambiente, Sicurezza sia per i clienti che per i dipendenti, e vanta anche il «family score» di Pro Familia Svizzera, che premia l’equilibrio tra lavoro e vita familiare.
La sostenibilità è un pilastro fondamentale: il centro funziona a energia verde e a chilometro zero, grazie al riscaldamento con cippato fornito da un’azienda locale di Rivera. L’80% del calore viene recuperato internamente, mentre il restante 20% è riciclato per es. per irrogare il giardino. Da tre anni, Splash&Spa dispone anche di un depuratore d’acqua conforme alla legge federale sulle acque. «Tutti ne parlano, noi lo facciamo», sottolinea con orgoglio Anna Celio.
Gestire una realtà così complessa richiede impegno e formazione continua, ma la gestione familiare resta il vero segreto del successo: «Gestiamo tutto nel vero senso della parola. Ci mettiamo il cuore, il nome e la faccia», conclude Anna Celio.
Dalle piste da sci al parco acquatico
La nascita di Splash&Spa Tamaro affonda le sue radici nella storia della famiglia Cattaneo, pioniera del turismo invernale in Ticino. Negli anni Cinquanta e Sessanta, Egidio e Mariangela Cattaneo – genitori di Rocco Cattaneo, marito di Anna Celio e co-fondatore del progetto Splash&Spa – sognavano di rendere lo sci accessibile a tutti, senza dover affrontare lunghi viaggi e costi elevati. Così, alla fine degli anni Sessanta, ottennero l’autorizzazione dai patriziati di Rivera e Mezzovico per costruire
Splash&Spa Tamaro, innovazione, benessere e sostenibilità tutto l’anno
un impianto di risalita sul Monte Tamaro. Nel 1972 si aprì la prima stagione sciistica, frequentata da ticinesi e lombardi, attratti dalla vicinanza e dai prezzi accessibili. Ma negli anni Novanta, con il progressivo
I numeri del Centro
• L’investimento per il Centro Splash&Spa Tamaro è stato di 100 milioni di franchi, sostenuto prima da un fondo immobiliare privato e ora di proprietà di Anna Celio e del marito Rocco Cattaneo, e in parte dai detentori del marchio Alpamare.
• Ci sono circa ottanta dipendenti. Il 60% sono donne. La media di età dei collaboratori è 32 anni.
• Il centro è aperto 365 giorni l’anno dalle 11 alle 21.
surriscaldamento e la mancanza di neve, l’impianto cominciò a soffrire. Nel 1996, Egidio fece costruire la chiesa di Santa Maria degli Angeli, progettata da Mario Botta, come omaggio alla moglie Mariangela e come simbolo eter-
no del loro sogno. Dopo la morte di Egidio nel 2002, i figli decisero di riconvertire l’offerta turistica: nacquero così il Parco Avventura, la slittovia, i percorsi di Mountain Bike e altre attività estive. L’inverno però restava un punto
• Molti gli eventi privati: dai compleanni alle assemblee associative, fino ai meeting e pranzi/cene aziendali.
• Tra ospiti e abbonati, ci sono 300 mila visitatori l’anno. Il 50% viene dalla Svizzera italiana, il 25% dalla Svizzera tedesca e il 23% dall’Italia (Lombardia e Piemonte) e il 2% da altri Paesi.
• Sono poi stati investiti diversi altri milioni, anche per la palestra e si prevede di ampliare la zona trattamenti e benessere.
• Per i dieci anni dell’impianto sono stati aggiunti due nuovi scivoli e un bagno turco per le famiglie, oltre a un impianto di depurazione
• La Spa punta a diventare una struttura di “longevity”, non nel senso di allungare la vita, ma di viverla meglio.
• Annualmente viene alimentato un fondo destinato a nuovi investimenti. Il 10% del fatturato è investito nei costi di comunicazione e di marketing.
debole, e la famiglia cercava una soluzione che garantisse continuità e indipendenza dal meteo. Fu allora che prese forma l’idea di un centro acquatico e benessere aperto tutto l’anno, anticipando il concetto oggi molto in voga di destagionalizzazione del turismo. L’assenza di concorrenza nella regione e la crescente domanda di Spa resero il progetto ancora più promettente.
La notizia più recente: proprio quest’anno, il Monte Tamaro ha investito molto nella completa sostituzione nel rinnovo dell’impianto di risalita, che è stato riaperto il 15 settembre, confermando la volontà della famiglia di continuare a innovare e investire nel territorio, sia per l’estate che per l’inverno. Molte cose sono cambiate dagli inizi di questa brillante avventura imprenditoriale ticinese, ma una cosa è sempre rimasta uguale: la gestione familiare, la passione e la capacità di reinventarsi di fronte alle sfide.
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San Nicolao
Una rivisitazione del sacchetto di San Nicolao
Le tradizioni sono belle, ma ogni tanto un cambiamento fa bene. Ecco alcune idee per un sacchetto di San Nicolao che farà brillare gli occhi dei bambini
Testo: Kian Ramezani
Da bere
Con tutto quel cibo si rischia di avere sete. Per fortuna, ci sono bevande che vanno bene con (e dentro) il sacchetto di San Nicolao.
Esperienze da vivere
Il miglior regalo è e rimane fare qualcosa insieme. Idee per un buono regalo scritto a mano per trascorrere del tempo insieme:
Andare al cinema
• Un pomeriggio nella palestra con trampolini
• Creazione di candele
• Pattinaggio su ghiaccio 1
Da mangiare
La cosa più importante per il sacchetto di San Nicolao sono le prelibatezze natalizie. Qui si consiglia una combinazione di classici, novità e qualcosa fatto in casa.
Per giocare o fare lavoretti creativi
Il sacchetto di Natale contiene soprattutto cibo delizioso. Tuttavia, uno o due oggetti di lunga durata con cui giocare o dedicarsi al fai da te non sono una cattiva idea.
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TEMPO LIBERO
Lungo il margine ventoso d’Europa
Un reportage che attraversa Tarifa, Cadice e le loro coste mobili, seguendo surfisti, tonnare antiche, fari monumentali e una luce che muta il paesaggio
FC26 rompe il patto con la simulazione
Ultimate Team implode sotto un gameplay sbilanciato, smettendo di assomigliare al calcio per abbracciare un modello arcade, mentre Pro Club trova nuova profondità
Dal ping pong al tennistavolo paralimpico
Altri campioni ◆ Incontro con Fabrice Descloux, allenatore della nazionale svizzera e attivo in questa disciplina dal 2013
Tennistavolo paralimpico: così viene comunemente chiamato questo sport. Uno dei giochi preferiti dai bambini durante le pause scolastiche o nei pomeriggi d’estate in piscina. Il suono è sempre lo stesso: ping pong È quel medesimo ritmo che accompagna anche la nostra intervista a Fabrice Descloux, nella palestra del Centro paraplegici di Nottwil. Qui, però, a colpire la pallina non sono bambini, ma atleti adulti. Il suono resta identico, solo più intenso e veloce. Attorno a noi domina il verde dei tavoli da tennistavolo – così si chiama ufficialmente quando il gioco diventa sport. A praticarlo oggi è la squadra paralimpica svizzera, guidata proprio dal suo allenatore nazionale, Descloux.
Condurre l’intervista in palestra, però, si rivela presto un’impresa. La cadenza del «ping-pong» è costante, quasi ipnotica. Racchetta, pallina, tavolo, racchetta, pallina, tavolo… un ritmo incessante che ci costringe a cercare un luogo più tranquillo. Ci spostiamo in una sala del Centro medico di Swiss Olympic, che gli atleti conoscono bene, poiché vi si recano ogni anno per i test fisici di routine.
Obiettivo di Swiss Table Tennis e di Sport
Svizzero in Carrozzella è la diffusione del tennistavolo paralimpico
Da questa prospettiva sopraelevata possiamo osservare l’intera palestra. Colpisce subito la presenza di numerosi atleti in carrozzella, accanto ad altri con disabilità diverse. È il punto di partenza perfetto per comprendere meglio il mondo del tennistavolo paralimpico.
«Come puoi vedere – spiega Descloux – esistono diverse categorie nel para tennistavolo, che è uno degli sport paralimpici più importanti sin dal 1960. Gli atleti sono divisi tra chi gioca in carrozzella e chi gioca in piedi con disabilità.»
Le categorie sono undici, suddivise in base al grado di disabilità. Categorie 1–5 per atleti in carrozzella. Più il numero è basso, maggiore è l’impatto della disabilità sul gioco. Nelle classi 1 e 2 sono coinvolti anche gli arti superiori. Categorie 6–10: per atleti in piedi. Anche qui, più il numero è basso, più la disabilità limita i movimenti. Le classi 6, 7 e 8 interessano almeno un arto inferiore, mentre le classi 9 e 10 riguardano disabilità più lievi o meno visibili. Categoria 11: riservata ad atleti con disabilità intellettiva.
«Inoltre – aggiunge Descloux – esistono competizioni organizzate da Special Olympics per atleti con disabilità mentale, mentre la PingPon-
gParkinson promuove attività e tornei per persone affette dal morbo di Parkinson.»
La maggior parte degli atleti della nazionale svizzera paralimpica gioca in carrozzella. «Il regolamento è praticamente iden-
Chi è Fabrice Descloux
Nato nel 1986 e appassionato di tennistavolo fin da giovanissimo, Fabrice Descloux lavora in questo mondo dal 2013, soprattutto come allenatore. Oggi ricopre diversi ruoli: allenatore nazionale di para tennistavolo, responsabile giovanile dell’Associazione Vaud-Valais-Fribourg di tennistavolo, responsabile dello sport ricreativo e dell’inclusione presso Swiss Table Tennis, allenatore nei club di Bulle, Matran e Rossens. Grazie a queste esperienze, Descloux possiede una visione completa del tennistavolo in Svizzera, sia a livello d’élite sia nel campo della disabilità e dell’inclusione.
tico a quello del tennistavolo per persone normodotate – spiega Descloux. Le uniche differenze riguardano il servizio: è vietato l’effetto retroattivo (la palla che torna verso la rete) e non si può servire dai lati corti del tavolo. Nel doppio, i giocatori in carrozzella non devono colpire la palla a turno, come avviene nel tennis. È inoltre permesso adattare la presa della racchetta con un’ortesi o una fascia, se necessario. Tutti i giocatori in carrozzella, indipendentemente dal tipo di lesione, colpiscono la palla molto presto dopo il rimbalzo, generando scambi brevi e veloci. I paraplegici, grazie alla maggiore forza nella parte superiore del corpo, riescono a imprimere potenza e rapidità; per i tetraplegici, invece, tattica e posizionamento sono fondamentali. Esiste anche un colpo tecnico tipico: la chandelle rétro, una palla altissima che ricade appena dietro la rete e torna indietro nel proprio campo. Difficile da eseguire, ma molto efficace». Lasciamo per un momento il campo da gioco e concentriamoci sulla figura dell’allenatore. Il ruolo di Fabrice Descloux si articola in tre compiti principali.
«Il primo è l’allenamento e il coaching – spiega Descloux. Pianifico, dirigo gli allenamenti e seguo gli atleti in gara. Segue la parte amministrativa, in cui Descloux si occupa di tutta l’organizzazione necessaria per garantire agli atleti le migliori condizioni possibili. Infine, la terza area riguarda il reclutamento: «Cerco nuovi sportivi motivati, con l’obiettivo di far crescere il numero di atleti della squadra nazionale.»
Una nazionale svizzera che è oggi di fatto in piena crescita, trainata da uno dei suoi atleti di punta, Silvio Keller, tre volte paralimpico e medaglia di bronzo agli Europei del 2019. Attualmente è tra i migliori 20 al mondo nella sua categoria. «Oltre a Silvio Keller, nella squadra nazionale abbiamo anche Dirk Kretschmar e Philipp Bregy. Tutti e tre sono tetraplegici. Infine, c’è Leon Schüep, che gioca in categoria 6 (in piedi) con un’amputazione congenita dei quattro arti.»
L’obiettivo di Descloux è chiaro: portare più atleti svizzeri nella top 20 mondiale nei prossimi anni. «In Svizzera il tennistavolo paralimpico è ancora poco sviluppato – spiega
Descloux. Alcuni club in carrozzella affiliati all’Associazione Svizzera dei Paraplegici organizzano allenamenti specifici, ma l’obiettivo di Swiss Table Tennis e di Sport Svizzero in Carrozzella è di diffonderlo ancora di più, rendendolo popolare e inclusivo. In Svizzera ci sono oltre 250 club di tennistavolo, e un atleta in carrozzella può tranquillamente allenarsi con un giocatore “normodotato”. Sviluppare lo sport di base è la chiave per far crescere anche l’élite». E questo vale anche per il Ticino, dove oggi il tennistavolo è praticato in modo inclusivo e non competitivo, da persone normodotate e atleti in carrozzella. E forse a motivare ulteriormente gli sportivi ticinesi saranno proprio i Campionati svizzeri Elite e Para, in programma il 21 e 22 marzo 2026 al Centro Sportivo di Tenero: un evento inclusivo che riunirà i migliori atleti, con e senza disabilità. Un sogno che si realizza: quella di una competizione davvero aperta a tutti. E a proposito di sogni, Fabrice Descloux ne coltiva uno in particolare: vedere la Svizzera conquistare più medaglie ai Giochi Paralimpici del 2028 o del 2032.
Silvio Keller, atleta in nazionale, tetraplegico. (Copyright: Sport svizzero in carrozzella)
Davide Bogiani
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Storie di un litorale affacciato sull’Africa
Reportage ◆ A Tarifa, all’estremità meridionale dell’Andalusia nella provincia di Cadice, il vento ha trasformato un antico borgo di pescatori nella capitale europea del kitesurf
Qui finisce la Spagna e inizia il vento. Spazza ogni giorno uno strano paradiso per surfers e pescatori di tonno dove depurarsi dalle atmosfere testosteroniche, turisticamente parlando, della vicina Costa del Sol. In questa Andalusia atlantica sospesa tra due continenti l’intensità di una luce già quasi africana usa il mare come specchio riflettente lungo quella che molti hanno chiamato la spiaggia più lunga d’Europa. In realtà è un luogo di storie travolte, più che accarezzate, da venti impetuosi che hanno gonfiato le vele delle caravelle di Colombo e Magellano. Oltre un centinaio di chilometri scanditi da fari tra cui uno che si è guadagnato una fama mondiale grazie alla più celebre vittoria navale inglese, Trafalgar.
A vederlo da lontano questo basso promontorio non ha decisamente un physique du rôle degno di tanta gloria, ma quando le scogliere sotto il faro scompaiano nel buio, l’immaginazione si accende insieme alla lama di luce che si perde nel mare dove, in quel 21 ottobre del 1805, è morto Nelson, riportato in Inghilterra in una botte piena di rum, come testimoniano burocraticamente gli archivi della Royal Navy.
La danza dei surfisti
Secondo alcuni storici in questo estremo occidente i greci avrebbero collocato il mitico giardino delle Esperidi dove cresceva un melo dai frutti d’oro, ma i surfers contemporanei si accontentano del festival quotidiano di venti che danzano davanti a Tarifa. Sono stati loro a farne una capitale europea del windsurf, soprattutto nella sua versione più adrenalinica, il kitesurf, trasformando un passato bohemien in un presente più modaiolo di chiringuitos, i bar in riva al mare dove tirar tardi davanti alle tremolanti luci del Rif marocchino che si accendono a soli quattordici chilometri di distanza, così vicine che sembra di poterle toccare con un dito.
La storia di Tarifa iniziò molti secoli prima, nel 710 d.C. con lo sbarco di Tarif Ibn Malluk, alle quali lasciò in eredità il nome e iniziò da qui la conquista musulmana della penisola iberica. Una posizione strategica confermata dal massiccio castello di Guzmàn el Bueno, «il Coraggioso», che nel 1296 rifiutò di arrendersi lanciando un coltello agli assedianti come sfida a sgozzare il figlio prigioniero, cosa che si affrettarono a fare. Oggi fortunatamente a Tarifa basta un più pacifico soffio di vento per riempire l’orizzonte di stormi di improbabili pappagalli colorati, le vele dei kitesurfers che si sfidano ogni giorno su spiagge mitiche come Los Lances o Valdevaqueros.
«Sono arrivato qui per cambiare vita e alla fine ho aperto anch’io una scuola di surf» confessa Javier Muñoz, un passato in una banca di investimenti. «Ce ne sono altre settanta perché il vento perfetto attira gente molto passionale che spesso ha lasciato tutto per volare su queste onde sognando l’eterna giovinezza, come i ragazzi che vanno a Hollywood sperando di fare l’attore. Una competizione spietata dato che il kitesurf è molto più competitivo del surf. Ma un conto è avere venticinque anni, quando sei giovane e il tuo corpo è forte, un’altra faccenda è quando poi ti ritrovi a cinquant’an-
ni senza opportunità, dopo una vita in un camper. Qui è nata una cultura del surf mondiale. I primi ad arrivare sono stati i tedeschi, ma ormai nessuno si ricorda più quando».
È cambiata Tarifa dai tempi in cui sembrava un accampamento hippie, ma i surfers sono sempre lì, un po’ sdruciti e in stato catalettico come insetti che si animano al primo soffio di vento che porta lontano la sirena del traghetto per Tangeri e rimbalza sui muri bianchi delle stradine intorno al castello. Un luogo di indefinito confine che può diventare un’ossessione, o un rifugio dal mondo come affermava il pescatore di Voices of the Old Sea, libro cult di Norman Lewis, «… qui siamo sempre stati e qui resteremo, qualunque cosa accada, ad ascoltare le voci del vecchio mare».
Forse le ascoltano anche le colonne delle rovine di Baelo Claudia romana nella vicina Bolonia, davanti a una duna mobile alta trenta metri che scivola in mare, o le mura sbrecciate dell’Almadraba, dall’arabo «il luogo dove si lotta», di Zahara de los Atunes. Una Macondo andalusa di pescatori, così innamorati dei loro tonni da essere stati persino satireggiati da Cervantes ne La ilustre fregona,
oggi spazzati via da un’esplosione di pale eoliche e seconde case di devoti dell’abbronzatura e del tonno rosso, l’«iberico del mar». La versione spagnola della tonnara resiste solo nella vicina Barbate dove gli almadraberos, i pescatori, ripetono ogni primavera con tecniche meno cruente un rituale millenario iniziato ai tempi dei fenici.
Cadice, sogno proibito dei pirati
Storie di mare ne hanno da raccontare anche i palazzi di Cadice impregnati di salsedine che ricordano l’Havana situata proprio di fronte, sull’altro lato dell’oceano. Fondata dai fenici nel 1104 a.C. è considerata la città abitata più antica dell’Europa occidentale, base di Annibale per preparare l’invasione dell’Italia, occupata da romani e arabi ma soprattutto porto delle Flotte del Tesoro spagnole che ogni anno arrivavano dalle colonie americane cariche d’oro e ricchezze. Un sogno proibito per pirati e corsari, dai barbareschi a sir Francis Drake che nel 1587 «bruciò la barba del re di Spagna» come ironizzarono in Inghilterra, con una devastante incursione che
ritardò di un anno la partenza dell’Invincible Armada.
Sulle orme di Cristoforo Colombo
C’è molta storia legata alla scoperta delle Americhe anche nel Puerto de Santa Maria dove Colombo conobbe Juan de la Cosa proprietario della sua futura ammiraglia, la Santa Maria. A El Puerto, come lo chiamano tutti, nel 1500 venne realizzata la prima mappa del Nuevo Mundo per poi diventare la base di molte spedizioni e il quartier generale della Capitanìa General del Mar Ocèano y Costas de Andalucìa. I suoi grandi commercianti, i cargadores a Indias che controllavano i traffici con l’altra sponda dell’oceano la trasformarono nella Ciudad de los Cien Palacios, ma dopo la perdita delle colonie la città si raggrinzì in una dignitosa decadenza sopravvivendo grazie al commercio dello sherry. Colombo lo ritroviamo nella vicina San Lucar de Barrameda dove comprò una rara copia de Il Milione di Marco Polo dal mercante inglese John Day per cercare nuove informazioni sull’Asia che era fermamente
convinto di avere appena raggiunto. Da qui, nel 1519 salpò anche Magellano con cinque navi e 237 uomini, lui fu ucciso su una spiaggia delle Filippine ma il 6 settembre 1522 riapparve a San Lucar l’unica nave superstite, la Victoria, che aveva compiuto la prima circumnavigazione del mondo, con diciotto sopravvissuti ridotti a fantasmi, tra cui Antonio Pigafetta, cronista della spedizione.
Spedizioni e ricchezze perdute sono svanite, resta un mare di sogni spazzati ogni notte dal faro di Chipiona, il più alto di Spagna con i suoi sessantadue metri e una storia antica iniziata con la Turris Caepionis costruita nel 140 a. C. dal proconsole romano Quinto Servilio Cepione, che il geografo Strabone paragonava a una delle Sette Meraviglie del mondo classico, il faro di Alessandria. Una sentinella di pietra che scandisce con rassicurante continuità le onde dirette verso Las Americas e custodisce le storie di questo mondo di acqua, di sabbia e di vento oltre le Colonne d’Ercole.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Tarifa. La nuova città; sotto da sinistra a destra: Cadice, vista della città vecchia dalla torre Tavira, sullo sfondo la cattedrale; Costa de la Luz, Tarifa: Kitesurf a Playa de los Lanches.
Enrico Martino, testo e foto
Ricetta della settimana - Alberelli alle noci
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Ingredienti
Ingredienti per circa 35 pezzi
Impasto
250 g di frutta secca a guscio macinata, ad esempio mandorle, nocciole e noci
150 g di zucchero greggio
1 presa di sale
150 g di burro freddo
150 g di farina
1 presa di lievito in polvere
2 uova piccole di circa 50 g
Glassa
1 busta di glassa scura per torte, da 125 g perle di zucchero, nonpareilles per guarnire
Preparazione
1. Mischiate noci, zucchero e sale. Lavorate il burro a pezzetti con la farina e il lievito sfregandoli. Incorporate la miscela di noci. Sbattete le uova e unitele all’impasto. Lavorate velocemente, coprite e mettete l’impasto in frigo per 1 ora.
2. Scaldate il forno statico a 170 °C. Con l’impasto, formate delle sfere di circa 250 g e spianatele tra 2 fogli di carta da forno a rondelle spesse 7 mm. Ritagliate i pini come se fossero fette di torta, ossia tagliate in quattro le rondelle e poi dimezzate ogni parte ottenuta. Raddrizzate il lato esterno curvo con un taglio diritto.
3. Accomodate i pini in una teglia ricoperta di carta da forno. Cuoceteli al centro del forno per circa 15 minuti. Sfornate, lasciate intiepidire. Toglieteli dalla teglia e fateli raffreddare completamente su una griglia.
4. Sciogliete la glassa come indicato sulla confezione, versatela in una piccola tasca da pasticciere e tagliate di un poco il beccuccio.
5 Decorate i biscotti con la glassa, le perle di zucchero e le nonpareilles.
Consigli utili
Se l’impasto risulta troppo colloso nonostante la refrigerazione, aggiungete poca farina. Invece della glassa per torte, utilizzate 50 g di cioccolata da cucina. Fatela sciogliere a bagnomaria in acqua molto calda, ma non bollente. Mentre decorate con la cioccolata, lavorate velocemente affinché non si solidifichi. Per applicare con facilità la glassa al cioccolato, capovolgete i triangoli in modo che il lato lungo sia in alto e la punta in basso. Lavorate dall’alto verso il basso, ossia dalla superficie maggiore verso la punta.
Preparazione: circa 50 minuti; refrigerazione: 60 minuti; cottura in forno per teglia: 15 minuti.
Per pezzo: circa 2 g di proteine, 9 g di grassi, 11 g di carboidrati, 140 kcal
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Benvenuti al Roland Garros del calcio
Videogiochi ◆ EA Sports FC26 scambia il pallone per una pallina: ogni azione è un match point, ogni gol un colpo di rimbalzo, soprattutto nella modalità «Ultimate Team»
Kevin Smeraldi
Nuovo anno e nuovo titolo calcistico a firma di EA Sports, ma siamo sicuri che si tratti davvero di una simulazione calcistica? Ce lo siamo chiesti dopo qualche ora di gioco passata sulla modalità «Ultimate Team» di EA Sports FC26, vale a dire quella principale del videogioco EA Sports, non solo dal punto di vista redditizio (visto che porta i consumatori a spendere soldi per poter aprire i pacchetti di figurine e ottenere i giocatori da utilizzare nella propria rosa), ma anche perché l’esperienza manageriale e il feeling che questa offre sono veramente divertenti e appaganti. Visto che EA Sports ha capito la tendenza, è la modalità più ricca e sviluppata dell’intero gioco. Da qui, la nostra curiosità in merito alle differenze rispetto all’anno precedente.
A primo impatto, i menu e le varie impostazioni sono rimaste le stesse; questo, fortunatamente, permette una facile navigazione senza perdere tempo nel capire che cosa fare e dove andare. Al contrario, dal punto di vista del gameplay, questo titolo è completamente diverso rispetto all’anno scorso. Oltre ad aver trovato grande difficoltà nella difesa dagli attacchi avversari, abbiamo anche riscontrato la grande facilità nel mettere a segno i gol, da ambo le parti.
Dopo qualche ora di gioco ci sia-
mo resi conto che la maggior parte degli avversari che abbiamo sfidato giocano tutti nella stessa identica maniera, e cioè: si muovono e si girano su loro stessi (questa azione, infatti, rende impossibile rubare la palla); successivamente parte la corsa speciale con l’R1 (i giocatori agili con il «Technical +» sono praticamente inarrestabili); e per finire, il tiro forte rasoterra, che per qualche motivo quest’anno i portieri non riescono proprio a parare.
Questa combinazione di fattori porta quasi ogni partita a risultati tennistici quali 6-4, 9-8, 10-5, e via dicendo, trasformando quella che sarebbe dovuta essere una simulazione calcistica in un gioco arcade (rapido e basato sul punteggio). Peraltro, date le divisioni proposte, giochiamo sempre contro avversari del nostro livello; quindi, i risultati a fine partita non sono dovuti all’abilità del videogiocatore, ma alle caratteristiche che EA Sports ha voluto adottare nel gameplay di questo titolo.
A noi questa formula non è piaciuta per niente: in primis, perché non ha nulla a che vedere con il calcio realmente giocato e, in secondo luogo, perché è estremamente frustrante. Nessuna partita è davvero mai chiusa: è possibile vincere 6 a 0 al primo tempo e perdere 6 a 8 nel secondo. A
Giochi e passatempi
Cruciverba
«Caro non puoi arrabbiarti sempre con tutti, a volte dovresti chiudere un occhio!» troverai la risposta del marito a cruciverba ultimato leggendo nelle caselle evidenziate.
(Frase: 5, 2, 4, 3, 8, 2, 4)
ORIZZONTALI
1. Chiavi in francese
4. Ruzzolare
11. Poggiano sullo scalmo
13. Atmosfera poetica
14. Un numero
15. Parte affusolata del proiettile
17. Si lega in reste
19. Sapore aspro e pungente
21. Il cortile della fattoria
23. È di famiglia
24. Un plurale dell’indicativo imperfetto di essere
26. Le iniziali di un noto Ruffini
27. Me medesimo
28. Leopardi e Carducci
29. Il padre di Sem e Cam
30. Immersione, tuffo in inglese
31. Lo cura il dermatologo
33. Ernest storico delle religioni e scrittore francese
35. Salto…La cascata più alta del mondo
36. La memoria del PC
37. Fissa i capelli...
39. Aiuto a Londra
40. L’industria dei giornali
41. Pronome personale
VERTICALI
1. L a sua capitale è Zagabria
2. Sostiene lo spartito
3. Nobile musulmano
5. Due vocali
6. Pallida rosa
7. Materia di cui sono fatti gli esseri viventi
8. Dagli Urali al Giappone
9. Se si pesca si mette al fresco...
10. Pronome poetico
12. Nome maschile
ogni «kick-off» il gioco dà l’opportunità di creare un’azione chiara e nitida che sei volte su dieci si trasforma in gol. Situazioni talmente ridicole che ci hanno fatto letteralmente saltare i nervi.
Se la modalità «Ultimate Team» risulta disastrosa, diverso è il discorso per la modalità «Pro Club», che a distanza di molti anni dalla sua prima introduzione vede finalmente una rispolverata interessante, che la ren-
de più attrattiva e profonda. In realtà, non ci ritroveremo più a migliorare il nostro alter ego tramite l’albero delle abilità. Da quest’anno la personalizzazione è molto più profonda e dà l’opportunità al videogiocatore di migliorare il proprio personaggio come meglio crede, potendo aumentare ogni singolo parametro con i punti esperienza guadagnati in gioco.
Anche la composizione della squadra ora è pensata meglio. Se gli
anni scorsi ogni personaggio poteva cambiare ruolo in qualsiasi momento, da quest’anno non è più così. Infatti, la composizione della squadra e dei suoi membri va studiata in precedenza, partendo dal modulo di gioco che si vuole utilizzare lungo il campionato e proseguendo con i ruoli che ogni videogiocatore dovrà ricoprire in campo. Una volta scelto, ci saranno pochi ruoli da poter utilizzare, ed è quindi importante organizzarsi di conseguenza per avere una squadra completa, in cui ogni videogiocatore ricopre un ruolo diverso, con una crescita basata su come si gioca sia nella posizione sia con i compagni.
In conclusione: se abbiamo trovato una bella ventata d’aria fresca per la modalità «Pro Club», con diverse nuove migliorie manageriali e di giocabilità, non possiamo dire lo stesso per la modalità principale, «Ultimate Team». Per quanto ci riguarda, quest’anno «Ultimate Team» è un vero e proprio buco nell’acqua e ne sconsigliamo l’acquisto a chi è intenzionato a giocare unicamente a questa modalità. Allo stesso tempo, acquistare questo gioco solo per la modalità «Pro Club» sarebbe esagerato. Lo consigliamo unicamente ai fan della serie e a chi vuole giocare un gioco di calcio senza passare dalla modalità «Ultimate Team». Voto: 5/10
una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una
regalo da 50 franchi con il sudoku
Sudoku Scoprite i
16. L’antico tribunale Atene
18. Prefisso di parole composte che significa «sciogliere»
20. Desinenza verbale
22. Alture della Lombardia
25. Fu cacciata dall’Olimpo
26. Agrume del sud-est asiatico
28. Un codice d’accesso
29. Deserto di Israele
30. Mezzo a Parigi
32. C on 2 è la formula dell’idruro di zinco
33. Royal Academy of Dance
34. Nel per Brignano
36. Una nota... nobiliare 38. Il suo opposto è qui
della settimana
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Vinci
carta
Hit della settimana
25. 11 – 1. 12. 2025
Settimana Migros Approfittane e gusta
Finocchi Svizzera/Italia, al kg 35%
1.90
invece di 2.95
Chips Zweifel
280 g e 175 g, per es. alla paprica, 280 g, 4.17 invece di 5.95, (100 g = 1.49) 30%
5.50
invece di 9.54
Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix Svizzera, 120 g, in self-service, (100 g = 4.58) 42%
1.95
Cordon bleu di maiale IP-SUISSE 4 pezzi, per 100 g, in self-service 33%
invece di 2.95
Quando l’inverno
arriva in tavola
Per tutto il periodo dell’Avvento: punti Cumulus 5x durante le aperture domenicali. Tutte le filiali Migros aperte concederanno punti Cumulus moltiplicati per 5 sull'assortimento di prodotti in occasione delle aperture domenicali durante l'Avvento 2025.
PUNTI MOLTIPLICATI PER 5 LA DOMENICA 3.70 invece di 4.95
Trova subito le filiali aperte e approfittane:
Polpa soda e dolce
3.95
Migros Ticino
Extra mango
Cachi Persimon Extra Spagna, al kg
Tutte le mele e le pere, Migros Bio e Demeter per es. mele Gala Migros Bio, Svizzera, al kg, 3.92 invece di 4.90
Clementine Spagna, sacco di iuta da 1,5 kg, (1 kg = 2.63)
4.25 invece di 5.–Mirtilli Perù/Sudafrica, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.85) 15%
19.95 invece di 31.–Cappesante oceaniche crude Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 200 g, (100 g = 4.99)
20%
Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 4 pezzi, 500 g, in self-service, (100 g = 1.87)
6.95
invece di 8.70
Filetti di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 300 g, in self-service, (100 g = 2.32)
40%
3.70
invece di 6.22
Gamberetti crudi Migros Bio, sgusciati d'allevamento, Vietnam, per 100 g, in self-service
Piccoli prodotti da forno, grande gusto
25%
5.95
Torta Foresta Nera Ø 16 cm, 500 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.19)
invece di 7.95
Tutti i cake Generoso
380 g, 140 g e ai lamponi, per es. 380 g, 4.16 invece di 5.20, prodotto confezionato, (100 g = 1.09) 20%
Pain Sarment M-Classic, IP-SUISSE chiaro o rustico, per es. chiaro, 3 x 2 pezzi, 900 g, 7.95 invece di 9.45, (100 g = 0.88) conf. da 3 15%
20%
Fagottini alle pere Petit Bonheur e fagottini di spelta alle pere Migros Bio per es. Petit Bonheur, 3 pezzi, 225 g, 2.72 invece di 3.40, prodotto confezionato, (100 g = 1.21)
21%
7.–
invece di 8.89
Mini Biberli Petit Bonheur con ripieno di mandorle
634 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.10)
Soffici dolci con ripieno di spezie per panpepato
5.75
Gingerbread Gifflar
260 g, prodotto confezionato, (100 g = 2.21)
Formaggi e latticini
Prodotti a base di latte che mettono di buon umore
20%
Formaggio per raclette a fette aromatizzato e gusti assortiti, Raccard disponibile in diversi gusti (al naturale escl.), per es. gusti assortiti, IP-SUISSE, 900 g, 18.80 invece di 23.50, prodotto confezionato, (100 g = 2.09)
Champignon Migros Bio marroni e bianchi, Svizzera, per es. marroni, vaschetta da 250 g, 3.15 invece di 3.95, (100 g = 1.26) 20%
4.95 invece di 6.70
Pancetta a dadini IP-SUISSE 4 x 60 g, in self-service, (100 g = 2.06) 26%
a partire da 2 pezzi
conf. da 4 1.–di riduzione
5.80
invece di 6.80
16%
Creme Dessert Tradition Vanille, Caramel o Chocolat au lait, 4 x 175 g, (100 g = 0.83)
1.75
invece di 2.10
Formaggella ticinese 1/4 grassa per 100 g
Yogurt Pur Emmi disponibili in diverse varietà, 150 g, (100 g = 0.63) 15%
6.95 invece di 7.90 Il Burro 2 x 250 g, (100 g = 1.39) conf. da 2 –.95 di riduzione
7.60 invece di 8.95
Raclette Gottardo a fette, 300 g, prodotto confezionato, (100 g = 2.53) 15%
1.20
Emmentaler dolce circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 21%
invece di 1.55
2.65
Raclette Mini Babybel retina da 6 x 20 g, (100 g = 2.21) Hit
da 3 30% –.90 invece di 1.10
2.60
invece di 3.25
Tutte le fondue Caquelon Noir per es. Moitié-Moitié, Le Gruyère AOP e Vacherin Fribourgeois AOP, 400 g, 7.64 invece di 9.55, (100 g = 1.91) 20%
6.40 invece di 9.15
Grana Padano grattugiato Da Emilio 3 x 120 g, (100 g = 1.78)
San Gottardo Prealpi per 100 g, prodotto confezionato 20% Tantepochiproteine, grassi pochi
Philadelphia Balance, Original o alle erbe, per es. Balance, 2 x 200 g, 4.45 invece di 5.60, (100 g = 1.11) conf. da 2 20%
Migros Ticino
Prodotti freschi e pronti
Pronti in un battibaleno
33%
Ravioli Anna's Best, refrigerati (confezioni multiple escluse), ricotta e spinaci, alla carne di manzo d'Hérens del Vallese oppure mozzarella e pomodoro, per es. ricotta e spinaci, 250 g, 3.18 invece di 4.75, (100 g = 1.27)
Ravioli Anna's Best, refrigerati ricotta e spinaci, alla carne di manzo d'Hérens del Vallese oppure mozzarella e pomodoro, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 9.50 invece di 14.25, (100 g = 1.27)
Intero assortimento Planted. per es. Nature, 175 g, 3.96 invece di 4.95, (100 g = 2.62) 20% 9.50
Snack o menu, refrigerati, Anna's Best Dim Sum Sea Treasure, Vegetable Spring Rolls o Chicken Satay, per es. Dim Sum Sea Treasure, ASC, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80, (100 g = 2.20)
8.50 Fried rice con verdure e uova Daily da riscaldare oppure hot to go, 350 g, (100 g = 2.43) 20x CUMULUS
8.95 Chili con carne Daily da riscaldare oppure
Tutti i sushi refrigerati e tutte le specialità giapponesi refrigerate (articoli fatti in casa esclusi), per es. Smoked Salmon Wrap, 240 g, 6.– invece di 7.50, (100 g = 2.50) 20%
conf. da 3
a partire da 3 pezzi
Una festa di bollicine Bevande
Tante novità per la dispensa
Pizze
20x CUMULUS
Novità
4.50 Mix per insalate con erbe o con fiori Migros
140 g, (100 g = 3.21)
g, (100 g = 1.20)
20x CUMULUS
Novità
3.50
Barretta proteica Be Kind Caramel Nuts
50 g, (10 g = 0.70)
20x CUMULUS
Novità
Barretta proteica e polvere proteica ESN disponibili in diverse varietà, per es. barretta Fudge & Brownie, 45 g, 3.25, (100 g = 6.56)
20x CUMULUS
Pesto e salsa di pomodoro Alnatura, bio disponibili in diverse varietà, per es. pesto alla calabrese, 120 g, 2.70, (100 g = 2.25)
20x CUMULUS
Novità
20x CUMULUS
Novità
More
Chunky Flavour, Zerup, barretta proteica e polvere proteica, per es. Zerup Lemon, 65 ml, 5.90, (100 ml = 9.08), in vendita nelle maggiori filiali
1.25 Olive greche Kalamon Migros
200 g, (100 g = 0.63)
3.40 Penne e spaghetti ad alto contenuto proteico Garofalo
20x
CUMULUS
Novità
proteica Chiefs Wafer Kägi Fret e Soft Peanut Caramel, per es. Wafer Kägi Fret, 50 g, 3.25, (100 g = 6.50)
g, (100 g = 1.64)
Provviste invernali Scorta
2.95
20%
Tutti i tè e le tisane Messmer per es. melagrana egiziana, 50 g, 2.56 invece di 3.20, (100 g = 5.12)
20x CUMULUS
Novità
Tè benessere bio Klostergarten per es. Buona notte, 20 bustine, 2.50, (100 g = 8.33)
Mandorle e nocciole, Migros Bio, tritate
200 g, per es. mandorle, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 1.58) 20%
20x CUMULUS
Novità
4.95 Farmer Nuts & Seeds semi, datteri e mandorle 6 x 30 g, (100 g = 2.75)
Pane croccante Migros
Pumpkin Seeds e Pretzel Style, per es. Pumpkin Seeds, 150 g, 2.50, (100 g = 1.67), in vendita nelle maggiori filiali
20x CUMULUS Novità
4.50 Crema spalmabile di arachidi e datteri Alnatura Bio
250 g, (100 g = 1.80), in vendita nelle maggiori filiali
2.95 Spelta Alnatura, bio
40%
Pistacchi, miscela di noci o noci al miele, Party in conf. speciale, per es. pistacchi, 750 g, 6.45 invece di 10.80, (100 g = 0.86)
20%
Mandorle o noci miste tostate, Sun Queen in conf. speciale, per es. mandorle, 500 g, 5.90 invece di 7.38, (100 g = 1.17)
20x CUMULUS
Novità
Popcorn Sweet & Salty Zweifel, Joy Lentil alla paprika o Joy Lentil alla panna acida per es. Popcorn Sweet & Salty, 100 g, 1.95
a partire da 2 pezzi
Biancheria intima confortevole
Completo termico da donna Essentials con maglia e pantaloni, disponibile in nero, taglie S–XXL, il pezzo
Pigiama da donna Essentials disponibile in blu marino, tg. S-XXL, il pezzo
29.95 Pigiama da uomo Essentials disponibile in blu marino, tg. S-XXL, il pezzo
L’ideale per il corpo e per il portafoglio
conf. da 4 40%
Salviettine cosmetiche e fazzoletti, Linsoft, FSC® in confezioni multiple o speciali, per es. salviettine cosmetiche, 4 x 100 pezzi, 5.50 invece di 9.20
conf. da 3
Salviettine cosmetiche Linsoft in scatola quadrata, FSC® 3 x 90 pezzi
in lavatrice
a partire da 2 pezzi 40%
Tutto l'assortimento Tempo per es. salviettine umidificate Sanft & Sensitive Aloe Vera, 42 pezzi, 2.04 invece di 3.40
a partire da 2 pezzi 25%
Tutto l'assortimento Tetesept per es. Vitamina C+ e zinco, 17 compresse effervescenti, 5.21 invece di 6.95
conf. da 3 25%
Docciaschiuma, lozioni per il corpo o creme per le mani, Kneipp in confezioni multiple, per es. balsamo doccia ai fiori di mandorlo, 3 x 200 ml, 11.– invece di 14.85, (100 ml = 1.83)
a partire da 2 pezzi 25%
Tutto l'assortimento Kneipp (confezioni multiple, tè e tisane e confezioni da viaggio esclusi), per es. balsamo doccia delicato ai fiori di mandorlo Hautzart, 200 ml, 3.71 invece di 4.95, (100 ml = 1.86)
Di tutto un po’
30%
Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Wool & Silk in conf. di ricarica, 2 litri, 8.37 invece di 11.95, (1 l = 4.19)
24.95
invece di 99.95
Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in conf. di ricarica, 1,5 litri, 3.57 invece di 5.95, (1 l = 2.38)
Macchina per caffè in capsule Delizio Carina Midnight Black il pezzo 75.–di riduzione
24.95
invece di 139.95
Macchina da caffè CoffeeB Horizon disponibile in grigio o rosso, il pezzo 115.–di riduzione
Detersivi Total in confezioni speciali XXL, per es. 1 for all, 5 litri, 19.90 invece di 39.88, (1 l = 3.98) 50%
4.50
Carta da forno per friggitrice ad aria calda Kitchen & Co., FSC® 16 x 16 x 4.5 cm, 50 pezzi
14.95 Set di pantofole per ospiti Essentials con 6 paia di misure e colori diversi, il pezzo
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
Tutto l’assortimento di abbigliamento per adulti incl. biancheria, calzetteria, scarpe, borse, accessori e cinture (articoli da viaggio e prodotti hit esclusi)
Tutte le capsule di caffè a partire da 2 pezzi (Starbucks escluso)
Tutto l’assortimento di giocattoli
Fino a esaurimento dello stock.
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