Azione 41 del 6 ottobre 2025

Page 1


edizione

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

SOCIETÀ Pagina 3

Mantenere un segreto è importante e si impara da bambini, come racconta Massimo Cerulo

Futuro incerto per FFS, Posta e Swisscom. Ecco come affrontano le difficoltà le «ex regie federali»

ATTUALITÀ Pagina 11

A Coira una mostra omaggia il grande talento di Diego Giacometti, fratello di Alberto

CULTURA Pagina 19

La militarizzazione dell’America

Un’escursione in terra leventinese alla ricerca di segni di fede e bellezze naturali

TEMPO LIBERO Pagine 30-31

Il vero «tesssoro» di Gollum

Non condivido le visioni apocalittiche sull’intelligenza artificiale (IA). Concordo con quanto affermava la scorsa settimana su «Azione» Maria Grazia Giuffreda, direttrice associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico: «Non credo che l’IA diventerà un’intelligenza indipendente. È uno strumento, sono metodi statistici, sono algoritmi che ci aiutano là dove la mente umana è più lenta. (…) Non c’è dubbio che l’IA possa essere usata anche con scopi nefasti. Quello che mi preoccupa di più, in realtà, è la pigrizia mentale che potrebbe generare nelle nuove generazioni». Più che per i posti di lavoro che potrebbe divorare, l’IA mi inquieta per la minaccia che rappresenta alla creatività. A Londra, ad esempio, ha sede un’agenzia chiamata Xicoia, che promuove attrici e attori generati dall’intelligenza artificiale. In pratica, crea dal nulla personaggi realistici per aspetto fisico, biografia, voce, personalità e persino arco narrativo. Questi «attori» digita-

li possono recitare in film, serie TV, podcast e sketch. Come le vere star, gestiscono profili social (TikTok, Instagram, YouTube) con video in cui ammiccano, provano abiti, salutano i fan –pardon, i follower – e si preparano con zelo ai provini. Ma almeno loro, che sono finti, non potevano risparmiarsi e risparmiarci questi stucchevoli teatrini?

Al recente Film Festival di Zurigo, la fondatrice di Xicoia ha dichiarato che diverse agenzie hollywoodiane sono interessate ai suoi affascinanti «clienti». In particolare a Tilly Norwood, creata nel ventre tecnologico di mamma IA come una prodigiosa via di mezzo tra Scarlett Johansson e Natalie Portman. Abbiamo sbirciato il suo profilo Facebook: sì, è bellissima, ma nutriamo seri dubbi sulle sue capacità attoriali. «Non è un rimpiazzo di un essere umano, ma un lavoro creativo, un’opera d’arte, un atto di immaginazione e maestria», ha scritto di recente la sua creatrice,

l’attrice olandese Eline Van Der Velden. Mentendo: Tilly non sembra un’alternativa agli attori umani, ma piuttosto la loro serial killer. Lo dice in modo più diplomatico anche l’attrice inglese Emily Blunt, secondo cui tutto questo è «terrificante, molto spaventoso». E come darle torto? Quanti bravi attori – o aspiranti tali – rischiano di essere spazzati via da queste star virtuali perfettissime?

Tilly potrà essere integrata digitalmente con facilità in scene con attori reali, risultando indistinguibile dagli umani. Non avrà problemi di memoria sul copione, ma non sarà mai fisicamente presente sul set: quante torride storie d’amore nate tra colleghi rischiamo di perderci! E non sarà mai in grado di improvvisare. Robin Williams inventava monologhi, Monica Vitti rispondeva a braccio alle battute di Alberto Sordi, Leonardo DiCaprio continuava a recitare con la mano insanguinata. Con loro, l’imprevisto di-

ventava verità. Tilly, invece, è programmata per non uscire mai dal seminato, per non sbagliare. Ogni battuta è calibrata, ogni espressione ottimizzata. Una perfezione algoritmica che sterilizza la creatività. Può un personaggio che non vive, non sente, non rischia e non sbaglia essere davvero un «interprete»? Le sue performance sono capolavori d’arte o di calcolo?

Se proprio devo scegliere il mio attore IA preferito, voto per Gollum, il personaggio della trilogia cinematografica Il Signore degli Anelli, magistralmente interpretato da Andy Serkis tramite motion capture – una tecnica che registra i movimenti reali degli attori e li trasferisce su personaggi digitali.

Nessuno, all’uscita del film, l’aveva intuito, ma forse per Gollum il vero «tesssoro» non era l’anello della saga di Tolkien, bensì l’attore umano che ha reso il suo personaggio così intenso, credibile e psicologicamente complesso.

Paola Peduzzi Pagina 17
Freepik
Carlo Silini

Migros Ticino inaugura il nono centro Activ Fitness

Info Migros ◆ L’appuntamento per gli amanti dell’attività fisica è a Biasca da venerdì 10 ottobre

A partire da venerdì 10 ottobre, la catena di centri fitness ACTIV FITNESS sarà presente anche a Biasca, a soli 200 metri dalla stazione FFS, in Via Stefano Franscini 3. Per celebrare l’apertura, fino al 16 novembre sarà possibile sottoscrivere un abbonamento annuale a un prezzo speciale: 649 franchi anziché 799. Per apprendisti, studenti e beneficiari AVS/ AI, il costo promozionale sarà di 549 franchi anziché 699.

Activ Fitness a Biasca non offre solo attrezzature di ultima generazione, ma anche circa 20 ore di corsi di gruppo alla settimana

Un centro all’avanguardia e facilmente accessibile

Situato in una posizione centrale facilmente raggiungibile dalle Valli, il nuovo centro ACTIV FITNESS di Biasca si estende su una superficie di circa 1’100 metri quadrati. Grazie a un investimento di 2,4 milioni di franchi, la palestra è stata dotata di attrezzature di ultima generazione firmate Technogym e Queenax.

Il centro offrirà un’esperienza fitness completa, basata su allenamento della forza, resistenza, coordinazione e agilità, con l’obiettivo di migliorare la forma fisica e il benessere generale. Gli iscritti avranno accesso

a un ricco programma settimanale di circa 20 ore di corsi di gruppo, che includeranno le più recenti tendenze del settore, come BodyPump, Yoga-Flex, Vital-Fit, Pilates e Step Functional.

L’abbonamento annuale comprenderà inoltre:

• L’accesso allo spazio bambini custodito, ideale per chi ha figli

• L’utilizzo della zona relax, con sauna e biosauna

• Un programma d’allenamento personalizzato, elaborato da istruttori altamente qualificati, che forni-

ranno supporto per tutta la durata dell’abbonamento

• Posteggi gratuiti

• La possibilità di allenarsi in oltre 120 centri ACTIV FITNESS in tutta la Svizzera

Una squadra competente per un servizio di qualità

Sotto la guida della Club Manager Dajana Vetro, il centro di Biasca impiegherà una quindicina di collaboratori, tra istruttori fitness e istruttori di corsi di gruppo, garantendo un’assistenza professionale e personalizzata.

• ACTIV FITNESS è aperto 365

La Sacra Terra del Ticino

Appuntamenti ◆ Uno spettacolo emozionante a Lugano

Musicata da Giovan Battista Mantegazzi su testi del professore Guido Calgari, Sacra Terra del Ticino è stata proposta la prima volta per le gior-

nate ticinesi tenutesi in occasione dell’Esposizione Nazionale del 1939 a Zurigo; fu un successo trionfale. A questa esibizione ne sono segui-

I Canterini di Lugano saranno accompagnati da I Vus da Canöbia, dai Piccoli Cantori di Pura, dalla Filarmonica di Agno e dal Gruppo Mandolinistico di Gandria.

te altre, l’ultima nel 2015, che hanno sempre raccolto un grande consenso di pubblico.

Il progetto attuale, che andrà in scena il 12 ottobre, a dieci anni dall’ultima edizione, è nato dalla volontà dei Canterini di Lugano, che, per questa nuova edizione saranno accompagnati per la parte corale da I Vus da Canöbia e dai Piccoli Cantori di Pura, e per la parte strumentale dalla Filarmonica di Agno e dal Gruppo Mandolinistico di Gandria.

Questo progetto, non solo popolare ma anche di valenza culturale, intende riproporre questa rappresentazione, molto cara e sentita dai ticinesi, facendo rivivere emozioni indimenticabili legate alle nostre tradizioni e alla vita di un popolo di emigranti come il nostro che non deve dimenticare le proprie radici.

Non perdetevi dunque questo importante appuntamento con la nostra storia!

Dove e quando Sacra Terra del Ticino, Lugano, Palazzo dei Congressi, ore 16.30 www.canterinidilugano.ch

giorni all’anno, con personale sempre presente, inclusi domeniche e festivi

ACTIV FITNESS: una storia di successo in Ticino

• ACTIV FITNESS è presente in Ticino dal 2014, anno in cui è stato inaugurato il primo centro a Losone. Da allora, la catena ha registrato un grande successo, arrivando a contare ben nove sedi sul territorio cantonale, tra cui Bellinzona, Giubiasco, Losone, Lugano, Mendrisio, Morbio Inferiore, Riazzino, Vezia e ora Biasca

• ACTIV FITNESS opera in franchising grazie a una collaborazio-

ne tra Migros Ticino e MoveMi AG, società della Cooperativa Migros Zurigo, leader del settore fitness in Svizzera con oltre 120 centri e 240’000 iscritti.

Informazioni e contatti Per maggiori informazioni e orari delle singole sedi: info@activfitnessticino.ch www.activfitness.ch

Tel. 091 850 86 00. Migros Ticino è lieta di continuare a promuovere uno stile di vita sano e attivo, offrendo ai propri clienti strutture moderne, servizi di qualità e un’esperienza fitness accessibile a tutti.

25 anni di Migros

Anniversari ◆ L’azienda si congratula e ringrazia

Gianluca Gallina

Sempre allegro e comunicativo, da molti anni Gianluca Gallina svolge il proprio lavoro di macellaio con passione. Quest’anno è tra quelli che festeggiano il quarto di secolo in azienda: congratulazioni e grazie da Migros Ticino e dalla redazione di «Azione».

Gianluca Gallina, quale è il suo ruolo all’interno di Migros Ticino? Sono impiegato in qualità di macellaio-salumiere ai banchi.

25 anni sono un quarto di secolo: cosa le piace maggiormente del suo lavoro dopo tutti questi anni?

Ciò che mi piace di più è il contatto con i clienti: sono contento quando posso dare loro dei consigli riguardo agli acquisti. Inoltre, ogni giorno ho modo di imparare qualcosa di nuovo!

Quali sono le sfide che si aspetta per i prossimi 25 anni?

A dire la verità, spero di esserci ancora, fra 25 anni (ride), perché io ne avrò 83. E spero di potermi divertire con Migros e i suoi clienti fino alla pensione che si avvicina.

Cosa augura a Migros nell’anno dell’anniversario?

Auguro a Migros di continuare a essere sempre la numero uno ed essere fedele ai suoi clienti e ai suoi collaboratori.

Cosa rappresenta Migros per lei?

Per me Migros rappresenta tre concetti molto chiari: casa, famiglia e amicizia. A Migros posso solo dire grazie per questi magnifici 25 anni trascorsi assieme... e anche per i prossimi anni.

Gianluca Gallina lavora per Migros Ticino dal 1. ottobre del 2000
Tecnologia moderna, corsi di gruppo, custodia bambini e molto altro: venite a trovarci a partire dal 10 ottobre.

SOCIETÀ

La rivoluzione di Casvegno

La storia della psichiatria nel nostro cantone raccontata in un podcast del regista Olmo Cerri

Pagina 6

25 anni di Hospice Ticino

L’importanza del servizio di cure palliative che assiste i pazienti a casa e supporta i familiari

Pagina 7

Genitori in ansia

L’ultimo libro di Stefano Rossi riconosce e affronta le preoccupazioni di mamme e papà

Pagina 8

«Mi raccomando, non dirlo a nessuno»

Intervista ◆ L’importanza di mantenere i segreti raccontata nel libro del sociologo Massimo Cerulo

Giovani e bande musicali

Le filarmoniche sono al passo coi tempi e formano molti ragazzi appassionati di musica

Pagina 9

«Non dirlo a nessuno». Una frase che abbiamo pronunciato tutti nella vita. Condividere un segreto è alla base dell’amicizia, ma è anche un’azione che si compie con un estraneo, per alleggerirsi l’animo. E quante volte abbiamo ascoltato qualcuno che ci confidava qualcosa di privato, ritrovandoci legati in un patto magari imprevisto, desiderato, e a tratti opprimente? Massimo Cerulo, professore ordinario di Sociologia all’Università Federico II di Napoli e chercheur associé al CERLIS (CNRS) dell’Université Sorbonne Paris Cité, ha dedicato al tema un libro, appena pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, intitolato proprio Segreto

Massimo Cerulo, che cos’è un segreto?

Il segreto è una forma di relazione tra due o più persone che risultano legate da un patto – di segretezza, appunto – su qualcosa che non deve essere detto, raccontato, comunicato. Qualcosa da confessare o custodire, da svilire o proteggere, da occultare o svelare. Qualcosa di cui, in quanto esseri umani e sociali, non possiamo fare a meno: nostra cura e nostro veleno. Tutti conserviamo qualche segreto. Tutti siamo stati nominati custodi da qualcun altro.

Perché i segreti sono importanti?

Perché si tratta di un concetto con cui interagire, fare i conti, vivere in società. Si tratta di un termine operativo, che genera specifici comportamenti e forme di relazione, oscillanti tra la parola e il silenzio, tra il confidare e il tenere per sé. Come chiarito dal sociologo Georg Simmel oltre un secolo fa, se l’associazione umana è condizionata dalla capacità di parlare, viene però formata dalla capacità di tacere. Il segreto si configura così come una forma di relazione che genera, inevitabilmente, inclusione ed esclusione attraverso prove di fiducia: la confessione, la testimonianza, lo svelamento, il tradimento. Gli amanti, le spie, le organizzazioni criminali vivono e fondano la loro esistenza sociale sui segreti. Così come alcune figure professionali – avvocati, medici, farmacisti – chiamate deontologicamente e normativamente a custodire i segreti confidati o svelati dai propri clienti o pazienti.

Quando e come si impara a mantenere i segreti?

Si impara da bambini. Riflettiamoci: di primo acchito, sembra che i bambini non abbiano segreti. Grazie alla loro innocenza, è come se non conoscessero la malizia, il dubbio, l’inganno. Eppure, i segreti albergano nei loro comportamenti sin dalle prime fasi della socializzazione pri-

maria. Non è un caso che, secondo Freud, la prima bugia detta a un genitore rappresenti il primo segreto di un bambino. Testimonia la capacità del piccolo di iniziare a individualizzarsi, a separarsi dal pensiero dei genitori, di incominciare a costruire il «suo» mondo, che sarà vissuto soltanto da lui e dai suoi amici coetanei, attraverso la costruzione di regole e linguaggi sconosciuti agli adulti.

Alcuni segreti possono diventare così pesanti che è meglio raccontarli?

Sì, diventa necessario raccontarli se si vuole continuare a vivere. Si pensi alla favola di Re Mida e al ragazzo che non riesce a reggere il peso del segreto che dovrebbe serbare e corre a gridarlo ai quattro venti: «Re Mida ha le orecchie d’asino!». Siamo un po’ tutti come quel ragazzo, soprattutto nella società digitale che ci invita a raccontare segreti: a postare vite proprie e altrui come se tutto dovesse essere trasparente, visibile, indagabile. Ma questa tendenza è

molto pericolosa per il mantenimento del proprio equilibrio individuale, perché soltanto chi riesce a restare in ascolto della propria interiorità, a dialogare con se stesso, a praticare quel «diritto all’opacità» di filosofica memoria avrà la capacità di affrontare il futuro della società digitale senza farsi travolgere da mode e tendenze, ma restando fedele ai propri valori e alla propria storia.

Chi svela un segreto può rimediare in qualche modo? Non esiste una regola generale. Pensiamo alla figura del custode: come l’onda del mare che lambisce e poi si ritira, chi custodisce un segreto si trova con i piedi sul bagnasciuga: mai completamente asciutti né del tutto bagnati, il custode è a metà tra il dire niente e il dire tutto, detentore di una conoscenza in attesa e vincolato al rapporto che lo lega alla persona che ha confessato il segreto. Un vincolo che potrebbe favorire sia una crescita della relazione, in termini di strutturazione dell’identità, sia una

distruzione della propria autostima. Potremmo allora domandarci quale peso abbiano i segreti confessati quando si è presi dalla follia dell’amore, della paura, della solitudine, dell’ubriachezza, della vendetta.

Nella società connessa di oggi è sempre più difficile avere segreti, in particolare per chi è bambino oppure adolescente, nei confronti dei genitori. Perché è importante lasciare a chi sta crescendo degli spazi di segretezza?

Con l’arrivo dell’adolescenza, lo spazio del segreto permette ai ragazzi, nei confronti degli adulti, di fuggire in un luogo protetto da uno sguardo controllore, oppressivo, moraleggiante, condannante. A volte, sprezzante. Ecco perché la camera degli adolescenti simboleggia, materialmente, uno spazio segreto all’interno del quale il giovane fa i conti con la sua identità in divenire. Ed ecco perché è bene che quella stanza resti chiusa, senza che i genitori perseverino in maniera ossessiva e oppres-

siva nella ricerca della scoperta dei segreti dei figli. Dovrebbero, al contrario, esserne protettori, fare in modo che l’adolescente possa diventare il custode delle condizioni per poter pensare, fantasticare, esistere.

Quali forme assumono i segreti nella società digitale?

Con la presenza sempre più preponderante e, a tratti, oppressiva dei social e dell’Intelligenza artificiale, sembra che mantenere un segreto diventi oggi un’azione quantomeno complicata e, spesso, alquanto faticosa. C’è una corsa all’ostentazione o allo svelamento di presunti segreti come forma di pubblicità personale: delle proprie capacità di conoscere, sapere, diffondere «vizi» o difetti privati in ambito digitale. In tal senso, comunicare qualcosa a un pubblico, anche violando accordi di riservatezza, può essere ritenuto vantaggioso in termini di aumento del proprio capitale reputazionale (aumento di follower e like). Salvo poi pentirsi e ritrovarsi questuanti di nuovi segreti.

Il segreto è una forma di relazione tra due o più persone che risultano legate da un patto su qualcosa che non deve essere detto, raccontato, comunicato. (Freepik.com)
Stefania Prandi

Una tentazione filante

Attualità ◆ Da oltre 50 anni il formaggio per raclette Raccard della Migros arricchisce la tavola con il suo gusto unico e

Il marchio di formaggio per raclette Raccard viene lanciato sul mercato nel 1969 dalla Mifroma, azienda del Gruppo Migros specializzata nella produzione di formaggi svizzeri di qualità. Il nome Raccard si rifà ai fienili di legno con basamento di pietra tipici delle alpi vallesane.

Se agli inizi la scelta di formaggio Raccard era limitata alle varianti al naturale in fette o a blocchi stagionate 4-5 mesi, per venire incontro alla domanda della clientela negli anni a seguire l’assortimento si amplia con altre invitanti tipologie, come surchoix (stagionatura di 6-7 mesi) e diverse proposte delicatamente aromatizzate, come pepe, aglio, paprica, porcini, chorizo e affumicato, alcune delle quali in edizione limitata.

Se alla fine degli anni Sessanta si vendevano annualmente sui 15’000 kg di formaggio Raccard, dieci anni dopo erano già quasi 2 milioni di kg, mentre oggi si superano abbondantemente i 3 milioni di kg all’anno.

Se all’origine la raclette veniva fatta fondere posizionando la forma di formaggio direttamente su una pietra accanto al fuoco, dagli anni Cinquanta appaiono i primi apparecchi elettrici per mezze forme. Negli anni Settanta arrivano sul mercato i fornelli da raclette con pentolini come li conosciamo ancora oggi, dove ognuno prepara individualmente il proprio piatto preferito. Più recentemente sono apparsi anche i fornellini senza elettricità, riscaldati con delle candeline, per un’atmosfera più inti-

ma e rilassante. Infine, esistono anche dei pentolini per il grill, per gustare la specialità svizzera per eccellenza anche d’estate.

Per un pasto a base di raclette, per 4-5 persone si calcolano ca. 7-8 fette di formaggio a testa, che corrispondono a ca. 1.3 kg di Raccard complessivi. In aggiunta non possono naturalmente mancare delle patate bollite con la buccia (ca. 1.5 kg per 4-5 persone) e a piacimento i classici cetriolini e cipolline sott’aceto. Per arricchire ulteriormente la pietanza, sul formaggio si

Croccante novità

Attualità ◆ La nuova ciabatta

Il 10 e 11 ottobre 2025, sono previste degustazioni di raclette Raccard nelle filiali Migros di Bellinzona, Serfontana, Agno e S. Antonino

Un sapore intenso e aromi complessi, unitamente ad una croccantezza senza pari, rendono ogni assaggio di questa ciabatta un’esperienza a cui è difficile rinunciare. Realizzata con farina di frumento e semola di grano duro, si distingue altresì per la lunga lievitazione dell’impasto, che dura dodici ore anziché sei, ciò che permette di ottenere una fragranza caratteristica e una migliore conservabilità del prodotto finito. La nuova ciabatta croc-

cante si presta particolarmente bene come accompagnamento della cucina invernale, come per esempio con una fumante e corroborante zuppa di verdure o un bollito misto, ma è ottima anche per la preparazione di gustosi

panini imbottiti, spalmata di burro e marmellata per una colazione all’insegna della tradizione, oppure ancora, tagliata a fette e leggermente tostata, come base per apertivi creativi e sfiziosi.

possono aggiungere anche delle verdurine miste, funghi freschi e salumi quali pancetta, carne secca o salame.
punti Cumulus
Ciabatta croccante dal forno a pietra bio 400 g Fr. 3.95
In vendita nelle maggiori filiali Migros

Mantieniti in forma con Sanactiv

Attualità ◆ Gli affidabili e convenienti prodotti della linea Sanactiv possono aiutare a contrastare diversi comuni malanni. Eccone alcuni ideali per la stagione fredda Azione

Su tutto l’assortimento Sanactiv a partire da 2 pezzi dal 7.10

Cistus-Echinacea

ImmunFIT Sanactiv

30 pezzi Fr. 7.13* invece di 9.50

Protezione naturale contro virus e batteri prima che penetrino nel corpo. Le pastiglie formano uno scudo protettivo fisico sulle mucose della faringe, riducendo il rischio di infezioni.

Sciroppo per la tosse

Sanactiv

200 ml Fr. 5.63* invece di 7.50

Lo sciroppo per la tosse con lichene islandico e miele aiuta ad alleviare la tosse secca irritante e la raucedine, calmando i sintomi del mal di gola.

D-Mannose per la cistite

Sanactiv

28 pezzi Fr. 12.71* invece di 16.95

Le temperature più fredde possono aumentare il rischio di infezioni alle vie urinarie. Questo prodotto senza antibiotici contribuisce a proteggere l’organismo dalle ricorrenti infezioni e cistiti.

Olio invernale

Sanactiv 10 ml Fr. 3.71* invece di 4.95

Una miscela di oli essenziali con mentolo ed eucalipto ideale per inalazioni, bagni caldi, bagni di vapore, saune, diffusori di aromi e umidificatori.

Spray nasale decongestionante

Sanactiv 20 ml Fr. 3.08* invece di 4.10

Per il trattamento di riniti, raffreddori e infiammazioni della mucosa nasale. Con dexpantenolo per decongestionare e liberare il naso chiuso.

Pastiglie per il mal di gola Sanactiv 24 pezzi Fr. 2.06* invece di 2.75

Al gusto di ciliegia, senza zuccheri aggiunti, arricchito con mentolo, queste pasticche da sciogliere lentamente in bocca sono indicate in caso di tosse secca, mal di gola e raucedine.

Offerte ed esperienze invitanti

Trovi tutto il mondo Cumulus su migros.ch/cumulus

In caso di domande puoi contattare l’Infoline Cumulus: 0848 85 0848

Ora con Interhome moltiplichi i punti per 5 sulle vacanze nell’Oberland bernese.

Prenota una casa o un appartamento nell’Oberland bernese con Interhome e goditi le vacanze con tanto spazio e un’atmosfera intima.

Durata dell’azione: per nuove prenotazioni dal 6.10.25 al 25.10.25 con viaggi effettuati nel periodo compreso tra l’1.12.25 e l’8.2.26

Punti moltiplicati per 5 su tutto l’assortimento online Zur Rose

Le migliori marche, i migliori prezzi: scopri online oltre 50’000 prodotti originali di alta qualità per la salute, la nutrizione e lo sport, la cura e la bellezza, dispositivi sanitari e aiuti quotidiani nel marketplace online Zur Rose Shop. Codice sconto: CMLMM41

Utilizzabile una sola volta. Non combinabile con altri codici o azioni Cumulus. Sono escluse le spese di spedizione.

Durata dell’azione: dal 6.10 al 19.10.2025

Con Migrol approfitti più volte

Offerta 1: olio combustibile

Fino al 19 ottobre 2025, per ogni nuova ordinazione* fino a 9000 litri, i clienti privati ricevono 2000 punti bonus (oltre ai consueti 100 punti Cumulus ogni 1000 litri).

Offerta 2: revisione della cisterna

Per ogni nuova ordinazione* entro il 19 ottobre 2025 i clienti privati ricevono CHF 100.– di sconto (non cumulabile) su ciascun ordine di revisione della cisterna e un accredito di 2000 punti bonus (oltre ai consueti punti Cumulus). Basta indicare il codice del buono «CU10TR25» al momento dell’ordinazione.

* Ordina ora con il tuo numero Cumulus su migrol.ch oppure chiamando lo 0800 222 555 (numero gratuito). Per ulteriori informazioni: migrol.ch

Annuncio pubblicitario

Casvegno, una rivoluzione costante e silenziosa

Podcast ◆ Sette puntate del regista Olmo Cerri ripercorrono la storia della psichiatria nel nostro cantone

Stamani, mentre ero pigramente immobile a letto, ha bussato alla porta della mia stanza il Messeri, un ex malato di mente, qui ricoverato, che mi copiava a macchina gli scritti. Già prima di vederlo l’ho riconosciuto dalla voce.

Poiché forse se l’aspettava, gli ho regalato un pacchetto di sigarette, e mi ha risposto con una gentilezza che i sani non hanno: «Non le fumerò, le terrò per ricordo».

L’«ex malato di mente» di cui sopra non esce dalla memoria di qualcuno transitato in una veste o un’altra da Casvegno, Mendrisio, bensì dalla penna di Mario Tobino nel suo Le libere donne di Magliano (1953). Lo psichiatra, scrittore e poeta italiano (1910-1991), autore di Il perduto amore e Gli ultimi giorni di Magliano ebbe un rapporto controverso con la legge Franco Basaglia, e cercò di opporsi alla chiusura dei manicomi. Ma se lo abbiamo citato in questa sede, per parlare di un podcast su Casvegno, è per i tratti delicati con cui Tobino illustrava i suoi personaggi (che erano poi i suoi pazienti), per la cura con cui sceglieva le parole per descriverli, per la delicatezza e l’affetto che metteva in campo di fronte alla malattia mentale. Ecco, molte volte abbiamo avuto queste sensazioni anche nel corso dell’ascolto del più recente lavoro di Olmo Cerri, sette puntate dedicate alla Rivoluzione di Casvegno, un podcast prodotto dalla RSI e sostenuto dall’Associazione REC, per raccontare la storia dell’OSC, Organizzazione sociopsichiatrica cantonale, già ONC Organizzazione neuropsichiatrica cantonale, e prima ancora, manicomio.

Proprio dal manicomio parte la ricerca durata sei mesi di Cerri, dall’immensa donazione di terreno fatta da Agostino Maspoli al Canton Ticino nel 1870, affinché vi edificasse un luogo in cui curare la malattia mentale, che aveva colpito anche sua moglie, e che, allora, veniva tutt’al più curata all’estero, per arrivare ai giorni nostri, con sfide inattese che stan-

Viale dei ciliegi

Fabrizio Altieri

Omicidio sull’Hindenburg

Pelledoca (Da 11 anni)

Un’ambientazione insolita e interessante, quella che Fabrizio Altieri, non nuovo alla scrittura di gialli per ragazzi, sceglie stavolta per il suo delitto in «spazio chiuso», ambientazione classica delle storie di indagine. Solo che qui non siamo né in una villa, né su un Orient Express, ma su un dirigibile. Per la precisione il dirigibile tedesco Zeppelin Hindenburg, il più grande oggetto volante mai costruito, che il 6 maggio 1937 concluse tragicamente negli Stati Uniti il suo ultimo volo (era partito da Francoforte tre giorni prima), incendiandosi mentre cercava di attraccare al pilone di ormeggio della Stazione Aeronavale di Lakehurst, nel New Jersey. Nel disastro – ampiamente documentato all’epoca da cinegiornali, fotografi e dalla testimonianza radiotrasmessa dal campo d’atterraggio dall’annunciatore Herbert Morrison, che Altieri inserisce nel romanzo – morirono 36 persone, ma fortunatamente non i due ragazzini protagonisti della storia immaginata da Altieri, Olmo e Astrid, i

no mettendo a dura prova l’istituzione cantonale.

Olmo Cerri, che prima di divenire cineasta ha assolto una formazione di educatore sociale ritorna sui luoghi del suo stage per un’indagine che cerchi di ripercorrere in sette tappe la storia unica di questo ospedale, soffermandosi anche sui punti oscuri che a volte fanno della psichiatria e di tutto ciò che le ruota intorno materia di controversie. Nel corso dei suoi numerosi incontri, e attraverso le testimonianze di infermiere, assistenti sociali, medici, ma anche documenti e vecchi articoli, si offre il ritratto di un luogo che ha subito ma anche dato vita a numerose trasformazioni, in modo sempre più orientato al benessere e alla dignità del paziente, o residente. Per molti anni l’istituto di cura di

Mendrisio fu contraddistinto da una gerarchizzazione estrema delle funzioni: il ruolo di chi ci lavorava e la sua importanza, spiegano bene lo psichiatra Graziano Martignoni e il già animatore del servizio di socioterapia Manolo Lacalamita, era dichiarato dal colore della divisa e dal numero di chiavi di cui un medico era in possesso. Più era grande il numero di chiavi che aprivano porte, maggiore era il potere. Varie forme di contenzione non erano estranee alla pratica di cura, così come negli anni si è ricorsi a misure come la lobotomia.

Il punto di svolta a Mendrisio (la politica psichiatrica in Svizzera non è condivisa e ogni cantone ha diritto a determinate scelte terapeutiche) arriva grazie a un doppio input accolto dagli allora psichiatri Elio Gobbi e Giu-

seppe Bosia: dall’Italia la spinta all’apertura fu di Franco Basaglia, mentre dalla Francia giungeva il vento nuovo della psicoterapia istituzionale portato da Ettore Pellandini, che aveva lavorato per molti anni nella clinica francese la Borde fondata da Jean Oury. L’avvocato Marco Borghi fece sua la causa dell’innovazione con il sostegno di un gruppo di psichiatri, sotto l’allora Consigliere di Stato, Benito Bernasconi, e ne scaturirono un’istituzione con un’umanità nuova e una legge sociopsichiatrica (LASP). Come raccolto da Cerri nelle numerose testimonianze, la vita all’interno dell’istituto cambiò, ai pazienti venne gradualmente accordata un’autodeterminazione sempre maggiore, grazie anche a una piazza di scambio importante e unica nel suo genere, attiva ancora oggi. Esattamente 51 anni or sono nasceva infatti l’Associazione Club 74, luogo aggregativo, di scambio di opinioni, sede di bar e di atelier, con un approccio terapeutico apertamente improntato sulla «suddivisione del potere tra pazienti e operatori».

La storia di Casvegno narrata nel podcast, non si riduce unicamente a un elenco cronologico di fatti che hanno portato a un’apertura tale da permettere di guardare con serenità anche a zone d’ombra appartenenti al passato (nel corso dell’ascolto si percepisce a più riprese quanto in fondo sia giovane la disciplina della psichiatria e quanto sia dovuta essere spesso sperimentale), ma offre anche una lettura del complesso contesto sociale in cui ci troviamo.

La malattia psichiatrica, per la quale si è fatto molto, riuscendo in alcuni casi anche a portarla sul territorio, grazie al sostegno offerto dai centri diurni, non è oggi più prerogativa esclusiva dell’OSC. Come in molte altre realtà, la recrudescenza del consumo di sostanze stupefacenti si riflette anche sull’ospedale: nel cantone mancano infatti centri di disintossicazione. A questa utenza, che entra in collisione con i pazienti psichiatrici, si è aggiunta anche una nuova ti-

pologia di malato, risultato di un’era come la nostra, spesso improntata alla solitudine. Senza contare le decine di adolescenti, ultima delle sfide in ordine di tempo, da anni temporaneamente parcheggiati a Mendrisio, in attesa della creazione di strutture più adeguate.

Come sottolineano alcuni degli intervistati, e come rilevato dallo stesso regista del podcast, la lotta per i diritti (dei pazienti, alla libertà, alla sicurezza), non può mai dirsi conclusa, soprattutto in un mondo come quello attuale, incline a erigere muri e costruire steccati. Per garantire una buona cura sono necessarie risorse, occorre credere al fatto che una società equa passi anche attraverso chi non sta bene, così come fa indefessamente chi, giorno dopo giorno lavora a contatto con i residenti dell’Ospedale, spesso correndo dei rischi, altre volte facendosi forte di un’empatia che va ben oltre la mera professione. Un lavoro vivace, capace di concedere momenti intensi alla riflessione, in cui il caleidoscopio di personaggi intervistati concorre a tratteggiare un universo sconosciuto, ma che non merita di esserlo, poiché a pochi passi da molti di noi, e soprattutto perché aperto. Come suggeriscono alcune descrizioni, l’OSC val bene una visita, per un tuffo in un tempo lontano, ma anche in una sorta di omaggio a chi, a modo suo e con i suoi mezzi, ha fatto un pezzo di storia del nostro cantone.

Dove e quando

Il podcast La rivoluzione di Casvegno di Olmo Cerri sarà disponibile gratuitamente a partire da venerdì 10 ottobre, Giornata mondiale della salute mentale. Potrete ascoltarlo anche con questo QR-Code

quali viaggiavano, come minori non accompagnati, per andare a trovare i loro parenti in America. A bordo, Olmo e Astrid fanno amicizia con una volitiva ed eccentrica giornalista britannica, Lady Cassandra Eastwood (ispirata al personaggio reale di Lady Grace Marguerite Hay Drummond-Hay, reporter britannica che viaggiò sia sullo Zeppelin che sull’Hindenburg) e il terzetto da loro composto costituirà la «banda» di detective determinata a scoprire il colpevole dell’assassinio di Abraham Kaufmann, un ricco commerciante di pietre preziose. Kaufmann viene trovato morto nella sala fumatori (che

esisteva realmente sull’Hindenburg ed era pressurizzata). Il dirigibile è appunto uno «spazio chiuso», quindi l’assassino si trova per forza a bordo. E a bordo varie persone avrebbero potuto volere la morte di Kaufmann: per motivi passionali, economici, o altro ancora. Ad indagare, riflettendo sulla lista dei sospettati, gli intraprendenti ragazzini con il sostegno di Lady Cassandra (peraltro anch’ella non esente da qualche sospetto) e con l’appoggio morale di Werner, il mite barman. Una detective story che ci porta dentro la Storia con la esse maiuscola, in quella fine degli Anni Trenta che segnarono il definitivo tramonto dei dirigibili e l’inquietante sorgere di venti di guerra.

Jamila Gavin

Non vi scorderò mai

Giunti (Da 12 anni)

Nata nel 1941 ai piedi dell’Himalaya, in India, da madre inglese e padre indiano, e trasferitasi dopo la guerra in Inghilterra, Jamila Gavin sa bene cosa significhi rapportarsi con diverse culture. E questa consapevolezza è di ispirazione per i suoi libri, molto amati dal pubblico anglofono, e ora, con la

traduzione di questo Never forget you, speriamo vivamente anche dal pubblico italofono. Non vi scorderò mai ci porta, all’inizio, in un collegio inglese, nel 1937, dove si incontrano le quattro ragazze protagoniste. Sono state affidate a quel collegio dai rispettivi genitori, per offrire loro una sorta di rifugio dalle ombre cupe che stanno oscurando l’Europa, e non solo. C’è Gwen, l’io narrante, inglese nata in India perché figlia di funzionari del governo inglese; c’è Noor, figlia di un principe indiano, musulmano e seguace del sufismo, indiana autentica ma vissuta in Europa, a Parigi; a Parigi aveva vissu-

to anche Vera, che è ebrea, nata in Polonia da padre polacco e madre russa; e infine l’esuberante Dodo, i cui ricchi genitori facevano la bella vita in giro per il mondo, cominciando a manifestare simpatie naziste. Non si può non essere coinvolti da questa storia, anzi da queste storie, perché dapprincipio le ragazze sono insieme e insieme vivono la loro amicizia, che è profonda, pur essendo così diverse l’una dall’altra, e qui ci troviamo in una classica atmosfera da boarding school stories, storie di collegio; poi arriva la Guerra, tutto cambia, e le quattro ragazze si ritroveranno scaraventate in varie zone di guerra, dove dovranno affrontare, ognuna a proprio modo, immensi pericoli ma anche la necessità di trovare un senso alla tragedia, facendo ciascuna la propria parte, con coraggio e con la speranza di potersi un giorno ritrovare. Un romanzo che unisce emozione e ricco affresco storico, e che inviterà i lettori a riflettere sulla ricchezza del dialogo tra culture. Una storia che si legge come un’avventura ma anche come una spy story, visto che si basa sulla storia vera di Noor Inayat Khan, agente segreta durante la Seconda Guerra Mondiale.

di Letizia Bolzani
La locandina del podcast, che sarà disponibile a partire dal 10 ottobre 2025.

Cure palliative, il valore del tempo che resta

Salute ◆ Quando la medicina non guarisce, ma continua a curare mettendo al centro la persona

«Non sapevamo nulla di cure palliative, finché mio padre si è ammalato. È stato allora che abbiamo scoperto Hospice Ticino: ci hanno accompagnati con competenza, umanità e rispetto. Senza di loro sarebbe stato tutto più difficile». Così racconta Corinne Amrein Negri, che ha vissuto in prima persona l’esperienza dell’accompagnamento palliativo a domicilio, trasformando quel periodo doloroso in un libro dal titolo Surreale, i cui proventi sono destinati in parte proprio a Hospice Ticino. Un gesto che racchiude il senso profondo del lavoro silenzioso ma fondamentale portato avanti da questa fondazione che oggi festeggia 25 anni di attività sul nostro territorio. Il termine cure palliative deriva dal latino pallium, che significa «mantello» o «copertura»: un’immagine che evoca l’idea di protezione e sollievo. Nascono negli anni 60 in Inghilterra grazie alla dottoressa Cicely Saunders, fondatrice del primo moderno hospice a Londra, con l’obiettivo non di curare la malattia, ma di prendersi cura della persona nella sua totalità, alleviando il dolore fisico e il disagio psicologico, sociale e spirituale. Le cure palliative si rivolgono quindi a chi è affetto da malattie gravi o inguaribili, offrendo dignità e qualità di vita fino alla fine del percorso. Purtroppo, ancora oggi sono spesso circondate da pregiudizi e paure; per questo, è importante sottolineare che le cure palliative non sono una «resa» o una rinuncia alla medicina. Al contrario, sono un modo di curare con attenzione e rispetto le persone affette da malattie gravi o inguaribili quando l’obiettivo non è più guarire, ma vivere nel miglior modo possibile il tempo che resta. È altresì importante sottolineare che esse non riguardano solo i malati oncologici, ma anche chi soffre di malattie croniche evolutive come Parkinson, SLA, demenze, insufficienze cardiache o respiratorie. Lo spiega molto chiaramente il direttore sanitario di Hospice Ticino dottor Brenno Galli: «Le cure palliative si prendono cura di tutto ciò che la malattia tocca: dolore fisico, ma anche sofferenza psicologica, sociale e spiri-

SERATA PUBBLICA

tuale». E aggiunge: «Quando la medicina non può più guarire, può e deve comunque lenire la sofferenza».

In Ticino, nel panorama delle cure palliative, la storia di Hospice Ticino nasce negli anni 90, da un’intuizione del professor Michele Ghielmini e dell’infermiera Sistiana Nava, che iniziarono a seguire a domicilio i pazienti oncologici dell’Ospedale di Mendrisio, esordisce il direttore Omar Vanoni, nell’illustrarne l’evoluzione: «Nel 1992 nasce l’Associazione Hospice Lugano, con il contributo di figure di spicco della sanità ticinese, come il professor Franco Cavalli, Gianmaria Solari, il dottor Hans Neuenschwander e Bea Marx. Quest’ultima è l’infermiera pioniera del progetto, e ha seguito per anni pazienti e famiglie con passione e dedizione». All’inizio i pazienti erano pochi: «18 nel 1992, diventati 38 nel 1995». Ma l’approccio era già chiaro: «Non portare l’ospedale a casa, ma portare la cura nella vita delle persone, rispettando i loro ritmi, desideri e paure». Oggi, dopo 25 anni, la Fondazione Hospice Ticino è un punto di riferimento per tutta la popolazione del Cantone: «Ogni anno segue più di 600 pazienti, grazie a team composti da medici, infermieri e consulenti spirituali che collaborano con medici curanti, servizi infermieristici, assistenti sociali, fisioterapisti, dietisti, e persino musicoterapisti. L’assistenza è garantita 24 ore su 24, con un servizio di picchetto medico notturno, nei weekend e nei festivi». Sempre secondo i dati illustrati dal direttore Omar Vanoni: «Circa il 65% dei pazienti ha una patologia oncologica, mentre gli altri soffrono principalmente di malattie neurologiche, cardiovascolari o geriatriche (come ad esempio le demenze). La maggioranza ha più di 65 anni e, con l’invecchiamento della popolazione, le richieste sono in costante aumento».

Un aspetto spesso trascurato, ma fondamentale, è il supporto ai familiari: «Chi assiste un parente gravemente malato si trova spesso impreparato e sopraffatto. Le cure palliative erogate da Hospice Ticino non solo

Curare a casa: 25 anni di Hospice Ticino, al servizio della popolazione con dignità e prossimità

Cinema Lux art house, Massagno – martedì 21.10.2025

PROGRAMMA DELL’EVENTO

Dalle 19.15

• Accoglienza con rinfresco

Dalle 20.00 alle 22.00

• Introduzione di Maria Grazia Buletti, giornalista

• Saluti istituzionali: Omar Vanoni, Direttore Fondazione Hospice Ticino Raffaele De Rosa

Consigliere di Stato, Direttore DSS

• A colloquio con Daniele Finzi Pasca, autore e regista

• Intervento di Pietro Martinelli

accompagnano anche i parenti durante la malattia, ma li sostengono anche nel lutto». La testimonianza di Elisa (nome noto alla redazione) conferma profondamente l’importanza dell’accompagnamento non solo della persona, ma di tutto il suo nucleo famigliare: «Quando mia madre ha iniziato a peggiorare per una grave forma di SLA, non sapevamo come affrontare la quotidianità. Le cure palliative a domicilio sono state un’àncora. L’équipe arrivava con delicatezza e professionalità, adattandosi ai suoi bisogni e

ai nostri tempi. Non curavano solo lei, ma anche noi: ci ascoltavano, ci spiegavano, ci alleggerivano. In casa si è creata un’atmosfera serena, quasi protetta, nonostante tutto. E quando è venuto il momento di salutarla, lo abbiamo fatto con la consapevolezza di aver fatto il possibile, accompagnati da chi sa davvero cosa vuol dire “esserci” fino alla fine». Vanoni sottolinea pure l’importanza di restare in contatto con i famigliari anche dopo la perdita: «Per aiutarli ad affrontare il dolore e, se necessa-

Protezione efficace delle gengive

rio, indirizzarli a gruppi di auto-aiuto». Grazie al contributo del Cantone e dei Comuni (e alle donazioni da parte di cittadini, fondazioni e aziende), sono gratuite tutte le prestazioni del servizio, che tra l’altro si occupa pure di formare i professionisti, di consulenza nelle case per anziani e della pianificazione anticipata delle cure. Il direttore invita a riflettere sul fatto che il bisogno di cure palliative è destinato a crescere, anche in ragione dell’invecchiamento della popolazione. L’evoluzione delle cure palliative risulta quindi cruciale e necessaria: «Dopo 25 anni, la missione non si ferma perché, dicevamo, il bisogno di cure palliative è in crescita. Per questo vogliamo esserci: più presenti, più preparati, più vicini». E come sottolinea il dottor Galli: «Anche se ogni malattia ha il suo percorso, tutte alla fine portano sofferenze simili. Quindi, sta a noi aiutare a lenirle nel miglior modo possibile». Curare a casa, curare con dignità, curare con empatia ed essere presenti fino alla fine: questo è il cuore delle cure palliative a domicilio. Vanoni conclude: «Si tratta di un lavoro fatto di ascolto, presenza e rispetto, dove la casa diventa il primo luogo di cura, e la relazione è parte della terapia». Come ricorda l’esperienza di Corinne Amrein Negri, la cura non finisce quando la medicina si ferma, ma inizia davvero quando si sceglie di esserci.

primo Presidente Associazione Hospice Ticino

• Spettacolo teatrale della compagnia Patatas Bravas diretto e interpretato da Luna Scolari, con Benedetta Iele e Athanasia Chatzigiannaki accompagnate da Andrina Hauri

• Conclusione di Riccardo Crivelli, Presidente Fondazione Hospice Ticino

È richiesta l’iscrizione all’evento utilizzando il presente codice QR oppure attraverso il sito jfcinema.ch/eventi entro il 17 ottobre 2025

Hospice Ticino ogni anno segue più di 600 pazienti presso il loro domicilio. (Freepik.com)
Annuncio pubblicitario
Pubbliredazionale

TWINT Scansionare il codice QR (a sinistra) o Conto postale 15-703233-7

IBAN CH67 0900 0000 1570 3233 7 www.prosenectute.ch

Il caffè dei genitori ◆ L’ultimo libro dello psicopedagogista Stefano Rossi riflette sulle ansie dei papà e delle mamme e offre strategie per affrontarle

«L’ansia sta diventando un problema serio sia tra i ragazzi sia tra gli adulti. I dati sulla salute mentale sono sempre più preoccupanti. Non sono in un mood allegro», esordisce la mia amica Barbara a Il caffè dei genitori Il caffè raccoglie subito il messaggio e rilancia: «Come possiamo salvare i nostri figli dall’ansia, se i primi a esserne corrosi siamo proprio noi?». È la stessa domanda che pone Stefano Rossi, psicopedagogista scolastico e conferenziere tra i più seguiti, di nuovo in libreria dal 26 settembre 2025 con Genitori in ansia (Feltrinelli). «Gli adolescenti della Generazione Z ci stanno gridando, a vari livelli, il loro dolore: dal 2016 a oggi le diagnosi di ansia e depressione sono raddoppiate – scrive Rossi –. E le cronache, così come i report delle scuole e dei servizi sanitari, raccontano sempre più spesso di accoltellamenti, pestaggi, suicidi, perfino omicidi compiuti da ragazzi sempre più giovani». Ma Rossi invita a ribaltare la prospettiva: «Quando ci chiediamo perché i bambini di oggi siano iperattivi, disattenti, reattivi e gli adolescenti ansiosi o autolesionisti, dovremmo guardare dentro di noi. […] Il cuore dei nostri figli batte dentro di noi: la nostra ansia diventa la loro».

È un contagio emotivo che s’infiltra sottotraccia nelle pieghe della quotidianità. Per questo, a Il caffè dei genitori vogliamo provare a rispondere a tre domande: le paure accompagnano da sempre i genitori, ma oggi c’è qualcosa di diverso? Mamme e papà reagiscono nello stesso modo? Quali comportamenti dovrebbero far scattare l’alert? Spoiler: qui non diamo soluzioni (quelle si trovano nel saggio di Rossi). Preferiamo stimolare la riflessione.

«Quando ci chiediamo perché i bambini di oggi siano iperattivi, disattenti, reattivi e gli adolescenti ansiosi o autolesionisti, dovremmo guardare dentro di noi»

Per Rossi i genitori di oggi sono l’esatto contrario di quelli di ieri: poche certezze e molti dubbi. La nostra generazione ha abbandonato (per fortuna) il modello autoritario del «devi obbedire» per sostituirlo con la promessa di essere madri e padri più empatici (l’abbiamo visto anche ne Il caffè dello scorso luglio dal titolo «Saper accettare il dolore dei figli»). Ma su come riuscirci siamo ancora in alto mare. I vecchi modelli li abbiamo demoliti, i nuovi non siamo ancora riusciti a costruirli. Di qui, spesso, una sete educativa senza precedenti: una corsa a manuali e corsi online per trovare la formula giusta, che però rischia di aumentare la pressione invece di placarla. Questa sete comune è la prova di una preoccupazione che madri e padri finalmente condividono. È anche il motivo per cui, come i lettori più affezionati ricorderanno, abbiamo deciso più di un anno fa di trasformare il nome della rubrica da Il caffè delle mamme a Il caffè dei genitori. Tuttavia condividere l’ansia non significa viverla allo stesso modo. Anzi, è qui che emerge una differenza fondamentale. «La fortunata metafora di John Gray degli Uomini che vengono da Marte e delle donne che vengono da Venere vale,

di più, per padri e madri – è la convinzione di Rossi –. Padri e madri hanno pari diritti e responsabilità, ma al contempo incarnano un’alterità psichica, perché pensano, sentono e guardano la genitorialità da “pianeti” differenti. […] Mentre i maschi tendono a “comunicare sul fare”, le femmine prediligono il “comunicare sul sentire”».

Così le ansie dei padri sono spesso dettate dall’assenza, mentre quelle delle madri trasudano il desiderio di troppa presenza. «Qual è il mio vero compito?», si domanda il Padre-Disorientato. Se i padri di ieri erano solidi, con poche ma assolute certezze, quelli di oggi si sentono liquidi, privi di riferimenti. «Devo essere severo?», è il dubbio del Padre-Fragile che, più che incutere timore al figlio, ne è succube in nome di una libertà che rischia di crescere un bambino-imperatore. «Non ho abbastanza tempo per stare con mio figlio», è la paura del Padre-Marinaio. E poi «Come si parla a un figlio?», è il tormento del Padre-Muto, che porta dentro di sé la reazione al silenzio dei padri che lo hanno preceduto.

Dall’altra parte, «Non posso vivere senza di te», è l’ansia che trasmette la Madre-Fusionale, che si trasforma in uno schiacciasassi e vive come un abbandono il bisogno di separazione dell’adolescente. «Non puoi farcela senza di me», è l’assillo della Madre-Ansiolitico, troppo presente, troppo crocerossina. «Non sto facendo abbastanza», è infine il pensiero che porta la Madre-Divisa a dire «Non ce la faccio più», attanagliata dalla difficoltà di essere madre senza rinunciare a essere donna. Eppure, dopo aver tracciato i profili, è lo stesso Rossi a invitarci a superarli. Ammette infatti che oggi ci sono padri che, a dispetto di una certa retorica, hanno un profondo desiderio di essere davvero padri e si pongono domande affettive. Parallelamente, ci sono mamme che, dopo l’euforia della neo maternità, iniziano a vivere la relazione coi figli come un peso, un’àncora che impedisce loro di salpare. Insomma le ansie che abbiamo descritto possono essere intercambiabili. Una su tutte: quella del genitore-vincente: «La paura universale relativa al valore di un figlio (la sua forza, la sua intelligenza, il suo splendore) si addensa da sempre nel cuore di padri e madri. Questa paura domanda

al genitore: “Ce la farà, mio figlio? E io, che cosa posso fare per lui?”».

A tutti noi, genitori perennemente in affanno, lo psicanalista Winnicott ricorderebbe che non dobbiamo essere perfetti, ma solo sufficientemente buoni: un invito a smettere di torturarsi e a ricordarsi che la cura della famiglia non può prescindere dalla cura di se stessi. Quante volte ce lo siamo detti? Forse, per farlo, bisogna stare soprattutto attenti – è il monito di Rossi – a non dare ai nostri figli il peggio di noi stessi, gli scarti, l’esaurimento, la stanchezza, l’irritabilità, l’ossessione di un figlio-trofeo come stampella su cui reggere la propria fragile autostima. Tutto fuorché l’ascolto e il tempo di cui hanno bisogno. «A essere iperattivi, esauriti, ansiosi e autolesionisti siamo prima di tutto noi – scrive senza farci sconti lo psicopedagogista –. La nostra ansia diventa la loro ansia. La nostra iperattività diventa la loro. Il nostro autolesionismo diventa il loro. La nostra rabbia diventa la loro». Per poi arrivare al senso di colpa performativo che proviamo il sabato, la domenica e perfino in vacanza.

Ci siamo ripromessi, in questo caso, di non offrire soluzioni. L’antidoto all’ansia ognuno lo deve trovare a modo suo. Già riconoscere quali sono le nostre paure è il primo passo per superarle. Sappiamo però quello che non vogliamo essere: madri e padri che arrancano, soffrono e si disperano perché non riescono a farsi ascoltare da figli, i quali, a loro volta, chiedono solo di essere ascoltati. Riflettiamoci quando non riusciamo a staccarci da mail, progetti, WhatsApp e deadline. Postilla finale: «Spesso, i genitori ansiosi sono i più inclini a una pedagogia del divieto, proprio perché sentono di non riuscire a staccarsi dai figli: nello smartphone di oggi, come nel motorino di ieri, intravedono l’orrore della separazione. Da baluardo di una buona educazione, il divieto del cellulare diventa così un nuovo “cordone ombelicale” per tenere i figli attaccati a sé». Lo stesso fa chi al contrario concede il cellulare, ma per esaudire il proprio perenne bisogno di geolocalizzazione! Ma il controllo nell’assenza, per tenere a bada la propria ansia, in entrambi i casi non fa che scavare una voragine di sfiducia nei figli e, ancora una volta, aumentare la loro ansia. Nello scomposto – e inutile – tentativo di placare la nostra.

ancor
L’immagine di copertina del libro di Stefano Rossi Genitori in ansia edito da Feltrinelli.

La filarmonica al passo coi tempi

Bande musicali ◆ La Federazione bandistica ticinese raggruppa 46 società, che si occupano della formazione musicale di molti giovani: l’esempio della Filarmonica di Monte Carasso – Sementina

La musica, in misura variabile, fa parte della vita di tutti e ha la capacità di assecondare, ma anche il potere di invertire, le emozioni che viviamo in un determinato momento. Praticarla in modo attivo – per esempio suonando uno strumento – è un’attività piacevole e coinvolgente, capace, oltre che di sviluppare contemporaneamente tutte le aree del cervello, di stimolare la fantasia, e farlo insieme ad altri è ancora meglio. Fattori, questi, probabilmente alla base del successo costante delle bande musicali.

In Svizzera, infatti, il movimento di queste formazioni che ancora oggi accompagnano eventi istituzionali e religiosi è molto diffuso e radicato nella tradizione locale: circa 2mila sono le società affiliate all’Associazione Bandistica Svizzera (ABS), 46 quelle affiliate alla Federazione bandistica ticinese (FEBATI), nata nel 1910 con l’intento di garantire la qualità della formazione e dare unità ai gruppi presenti sul territorio. Di fatto, ognuna di queste società promuove una scuola di musica per offrire una formazione di base ai suonatori di domani, nonché la possibilità per i ragazzi di occupare in modo sano e proficuo il proprio tempo libero, in un settore che coniuga solide radici storiche a un ambiente associativo stimolante. Un mix che sembra funzionare, se si considera che queste scuole continuano ad essere frequentate da diverse centinaia di allievi.

«In questo ambito, la Scuola bandistica regionale del Bellinzonese (SBR) costituisce un unicum, in quanto accentra sotto un tetto comune la formazione dei ragazzi delle quattro bande della regione, e cioè la Civica Filarmonica di Bellinzona, quella di Giubiasco, la Filarmonica di Monte Carasso – Sementina e la Filarmonica Carasso Daro Gorduno, a cui dà inoltre la possibilità di suonare tutti assieme, in occasione per esempio dei concerti di gala delle varie filarmoniche», spiega Roberta Togni, presidente della Filarmonica di Monte Carasso – Sementina e responsabile marketing della SBR. Questo percorso contribuisce a mantenere in vita la musica bandistica svizzera, la quale fa parte delle «Tradizioni viventi» del nostro Paese.

Una formazione aperta a tutti

La completezza dell’offerta formativa, lo spirito comunitario e il valore di solidarietà sono intrinsecamente legati alle società filarmoniche, ma emerge anche un altro aspetto su cui soffermarsi, quello cioè dell’accessibilità. Fare parte di una formazione bandistica offre, infatti, la possibilità di avvicinarsi alla musica a un costo sensibilmente inferiore in confronto ad un altro tipo di scuola di questo genere. «Ciò è reso possibile dal fatto che i ragazzi che intraprendono il percorso di scuola si affiliano a una banda, la quale sovvenziona parte della formazione, nel nostro caso assumendosi la metà del costo – afferma Roberta Togni, da otto anni membro di comitato della SBR – per quel che riguarda gli strumenti, stiamo lavorando per averne alcuni da poter mettere a disposizione di allievi che hanno meno disponibilità economica». L’offerta di questo tipo di scuole parte spesso dall’età prescolare. «Per il secondo anno, proponiamo un corso

pensato per avvicinare i più piccoli (45 anni) alla musica», racconta Roberta Togni. Denominato L’allegra tribù, il corso aiuta a sviluppare il senso ritmico e melodico attraverso attività ludiche ed esercizi di esplorazione musicale e introduce i piccoli ai vari strumenti a fiato. «Per i bambini si tratta di un modo diverso e divertente di stare insieme, che va al di là del gioco fine a sé stesso», continua la nostra interlocutrice. Più in generale, l’importanza di questo genere di corsi è da ricondurre agli effetti della musica sullo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo dei bambini, i quali, attraverso ritmo, canto e movimento, migliorano, per esempio, memoria, attenzione e capacità di coordinazione. La musica favorisce poi la creatività, l’espressione delle emozioni e la socializzazione.

L’offerta formativa della scuola bellinzonese continua con Note spensierate, corso rivolto ai bambini di 6-7 anni, che prevede un approccio pratico e, di nuovo, ludico alla musica per mezzo di attività quali canto, ascolto, movimento, nonché la prova degli strumenti bandistici, terminato il quale i partecipanti che lo vorranno saranno pronti per proseguire il loro percorso nella formazione di base. Accessibile a partire dagli 8 anni e dalla durata di 4 anni, questa formazione è offerta da tutte le scuole di musica del Cantone e consente di imparare a suonare lo strumento scelto e sviluppare una solida base musicale. Essa si conclude con un esame centralizzato organizzato dalla FEBATI, superato il quale il candidato è promosso «socio attivo» della Filarmonica d’appartenenza, nonché socio dell’ABS. Il superamento dell’esame apre inoltre le porte ai corsi di perfezionamento, sia della FEBATI che dei conservatori e di scuole di musica a livello universitario.

La formazione di base si compone di solfeggio, strumento e musica d’assieme. «Ogni settimana i ragazzi hanno un’ora di solfeggio in gruppi da 5, mezz’ora di strumento con il maestro in forma privata, e, a partire dal secondo anno, un’ora e mezza di prove di Minibanda, che è l’occasione per mettere in pratica quanto appreso in un progetto d’insieme, come pure per socializzare e instaurare legami che spesso proseguono anche al termine della formazione», precisa Roberta Togni. Un aspetto, quest’ultimo, sentito come prioritario dai ragazzi. Interrogato sul perché abbia scelto di entrare a far parte di una banda musicale, Florio, che ha 10 anni, suona la tromba nella Filarmonica di Monte Carasso – Sementina e a cui l’hobby scelto in una parola dà «felicità», ha risposto: «Perché si suona in gruppo e conosco tanti che suonano già; e perché mi piace fare la pausa»; analogamente, il suo compagno, di banda e di strumento, il tredicenne Jacopo, ha risposto: «Perché conosco tante persone della banda e per divertirmi».

Una passione intergenerazionale

La Filarmonica di Monte Carasso – Sementina è una banda di piccole dimensioni, con un buon numero di giovani: «Su 24 suonatori, 8 hanno meno di 20 anni e, negli ultimi due anni siamo stati contenti di assistere

a un ulteriore aumento dell’interesse da parte dei ragazzi, sul quale potrebbe aver influito la presenza attiva della scuola sui social, Instagram e Facebook in particolare». Le scelte del maestro – che al repertorio tradizionale affianca musiche da film e brani di musica leggera – possono invece aver contribuito a fidelizzare i giovani musicisti già presenti. Due prove, queste, del fatto che, seppur ancorate alla tradizione, le organizzazioni bandistiche sono capaci di restare al passo coi tempi. Non capita di rado poi che

suonare in banda sia una vera e propria tradizione di famiglia, come nel caso di Marta che ha 18 anni e suona il flauto traverso da quando ne aveva 10, che afferma: «Entrambi i miei genitori suonano in banda e mi hanno trasmesso la passione per la musica». «Nella nostra Filarmonica per esempio abbiamo una famiglia rappresentata da un ragazzo di 12 anni, suo papà e suo nonno, che ne ha quasi 80, oltre a zii e cugini», racconta Roberta Togni. D’altra parte, tramandare ai giovani la passione per la musica

da banda è uno degli scopi delle società filarmoniche, che ha a sua volta la conseguenza di avvicinare più generazioni. «Durante le pause, per esempio, i musicanti stanno insieme e questo, oltre a rinsaldare la coesione del gruppo, porta ad uno scambio intergenerazionale che per i ragazzi può avere un grande valore», commenta la presidente della Filarmonica di Monte Carasso – Sementina. Più in generale poi ogni banda è uno «spaccato della società», all’interno della quale le differenze non riguardano solo l’età, ma pure il genere, la formazione, l’estrazione sociale, la professione; una sorta di «palestra» per le relazioni dove svolgere un «allenamento» utile, nonché arricchente, per i giovani. «Io sono da poco tempo in banda, ma ho capito da subito che ci si aiuta a vicenda e quindi quando ci vado sono sicuro che mi divertirò», afferma al riguardo il quattordicenne Norberto Iago, che nella Filarmonica di Monte Carasso – Sementina suona l’euphonium e aggiunge di essere entrato in banda anche per trovare nuovi amici e stare in compagnia di persone che condividono la sua passione per la musica.

Informazioni www.scuolabandistica.ch www.febati.ch

Annuncio

CIÒ CHE VIENE TRASMESSO NON È UN PATRIMONIO, È UNA TRACCIA DI SÉ

Yasmine Lamot, responsabile dei lasciti presso la fondazione Switzerland for UNHCR, parla di quel gesto profondamente umano che è la donazione testamentaria. Un passo spesso più semplice – e più personale – di quanto si possa immaginare.

«Si tende a credere che un lascito sia necessariamente un gesto importante, riservato a persone molto facoltose o a situazioni complesse. In realtà, spesso si tratta di una decisione intima, profondamente radicata in ciò che si desidera lasciare di sé. E non è una questione di importo.»

Molti rimangono sorpresi quando scoprono che non esiste una soglia minima da rispettare, né formalità insormontabili. «Un testamento scritto a mano, datato e firmato, è sufficiente nella maggior parte dei casi. E ciò che vi si scrive non deve essere definitivo. Un lascito è una libertà che ci si concede: quella di scegliere, di modificare, di trasmettere a modo proprio.»

Alcune persone scelgono di pensare a una causa insieme ai propri cari. Altre non hanno eredi legittimi. A volte è la storia personale che risuona. Per Yasmine Lamot, ciò che colpisce è la semplicità e la sincerità di queste decisioni. «Non si tratta di spogliarsi di tutto. Non è mai ‹tutto o niente›. Il lascito spesso arriva come un complemento, un modo per scrivere un‘ultima pagina che ci assomiglia.»

Un argomento ancora troppo spesso tabù

Sebbene l‘argomento rimanga delicato, Yasmine nota un cambiamento. «Non è più così tabù come prima. Molte persone desiderano sinceramente comprendere meglio cosa comporti un testamento e come affrontarlo con serenità. È una questione di significato, non di fine.»

La redazione di un testamento può sembrare intimidatoria a prima vista. «Molti temono che sia un processo lungo, complesso e oneroso, che richiede necessariamente l‘intervento di un notaio. Tuttavia, l’essenziale è la chiarezza: definire i propri desideri, conoscere le opzioni offerte

dal quadro giuridico svizzero e sapere come esprimerli correttamente.»

Una guida per chiarire tutti i dubbi

Per rispondere alle numerose domande, Yasmine e il suo team hanno realizzato un opuscolo gratuito, chiaro e accessibile a tutti. «Questa guida non ha lo scopo di convincere, ma di aiutare tutti a capire meglio. Spiega in modo semplice come funziona un testamento, cosa è possibile fare e a cosa bisogna pensare.»

I riscontri sono molto positivi. «Molti ci dicono che questo ha permesso loro di porsi le domande giuste, con calma. Non c’è un‘età giusta per riflettere su questi argomenti. E non è mai troppo presto per sentirsi in sintonia con i propri valori.»

Un gesto di fiducia

Trasferire parte dei propri beni a un’organizzazione umanitaria è un gesto significativo. «Si basa su una grande fiducia. È un legame che va oltre il tempo. Per me è sempre molto commovente vedere qualcuno che sceglie di continuare a sostenere dei valori anche dopo la propria vita.»

Presso Switzerland for UNHCR, i lasciti consentono di intervenire rapidamente a favore dei rifugiati in situazioni di emergenza. «È un sostegno che diventa concreto. Grazie a questo, possiamo fornire riparo, cure, un futuro, a volte in luoghi dove non è rimasto più nulla.»

Trasmettere significa anche costruire

Per Yasmine, un lascito incarna soprattutto una continuità. «Non si tratta della fine della vita, ma di perpetuare ciò che ci ha guidato: l’empatia, la solidarietà, il senso di giustizia. Trasmettere non significa chiudere un capitolo, ma aggiungere un nuovo mattone all’edificio.»

Per saperne di più

Scarichi gratuitamente la brochure informativa sulle donazioni testamentarie: unrefugees.ch/brochure-gratuita oppure scansioni il codice QR.

ATTUALITÀ

Focus sulla Turchia

La prova per Ankara sarà Israele, l’antico compagno di viaggio trasformatosi in nemico assoluto

Pagina 12

Bisogna indignarsi!

Le proposte rivolte ai/alle giovani delle scuole ticinesi dal Film Festival Diritti Umani Lugano

Pagina 13

Una valchiria al Governo

La premier islandese Kristún Mjöll Frostadóttir è capace di unire rigore economico e sensibilità sociale

Pagina 14

«È un momento difficile»

Abbiamo intervistato a New York la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter

Pagina 15

Tutte le fragilità delle «ex regie federali»

Svizzera ◆ Futuro incerto per le FFS, la Posta e Swisscom. Ecco come affrontano le crescenti difficoltà e le critiche

Non è un buon momento per quelle che vengono chiamate «ex regie federali», in particolare per le tre principali aziende che fanno parte di questa categoria: Ferrovie federali, Posta e Swisscom. Imprese di proprietà dello Stato che da oltre un quarto di secolo sono chiamate a muoversi in un contesto di mercato liberalizzato, pur potendo qua e là ancora far leva su qualche residuo monopolistico. Imprese che devono badare alla salute dei loro bilanci, pur dovendo per legge continuare a fornire un servizio pubblico al Paese, anche in ambiti e regioni in cui questo sforzo non è redditizio. Una sorta di quadratura del cerchio che sta creando parecchi mal di pancia, a livello politico ma anche all’interno di queste «ex regie», con tensioni crescenti tra le loro dirigenze e il personale. Ma andiamo con ordine.

FFS, sempre più viaggiatori ma non basta

Alla fine di agosto le Ferrovie federali hanno pubblicato i risultati del primo semestre di questo 2025. Sei mesi da record per il numero di viaggiatori trasportati, salito a un milione e 400 mila persone al giorno. Con un incremento di quasi il 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Numeri da primato anche per la puntualità, con il 94,5% dei treni che non ha fatto registrare ritardi. Incoraggiante anche l’andamento del settore che amministra gli immobili. Buone notizie su cui però aleggia l’ombra di diverse fragilità aziendali. La prima riguarda senza dubbio FFS Cargo, un settore che nella prima metà di quest’anno ha fatto segnare una perdita di 47 milioni di franchi, 4 milioni in più rispetto a un anno fa. Cifre rosse a cui l’azienda ha risposto con una ristrutturazione interna e con il taglio di diverse decine di posti di lavoro, colpito anche il Sud delle Alpi.

FFS Cargo è un settore che nella prima metà di quest’anno ha fatto segnare una perdita di 47 milioni di franchi

In Ticino FFS si è comunque detta pronta a trovare un nuovo impiego alle persone coinvolte da queste misure, in tutto poco meno di 60 dipendenti. Rassicurazioni che non sono bastate a calmare i sindacati, più volte scesi in piazza in difesa di questi impieghi. Un fronte su cui si sta muovendo anche il Parlamento ticinese, pronto a sottoporre al Consiglio federale una risoluzione per convincere FFS Cargo a tornare sui suoi passi. Ma i problemi per le Ferrovie non finiscono qui. Ne citiamo ancora un paio: scar-

seggiano anche i fondi destinati alla manutenzione della rete ferroviaria mentre aumentano le aggressioni verbali, e anche fisiche, a danno del personale delle FFS. Una media di dieci casi al giorno, hanno fatto sapere di recente le stesse Ferrovie, che definiscono questi episodi sempre più gravi.

La Posta svizzera e i lacci della politica

Anche nel 2025, e per la nona volta, questa «ex regia» ha ricevuto un riconoscimento di tutto rispetto, continua ad essere la miglior Posta del mondo. Un primato che però non basta a calmare le acque. Anno dopo anno cala, in media del 5%, il volume di lettere spedite. E diminuisce anche il numero delle persone che si rivolgono agli sportelli postali (che tra l’altro si riducono nel tempo). La spedizione di pacchi è invece in crescita, del 4% all’anno. La Posta è chiamata a svolgere questi compiti su tutto il territorio del nostro Paese, anche nelle zone più discoste, con conseguenze dirette sulla tenuta dei propri bilanci. E così, per far quadrare i conti, il «Gi-

gante giallo» si muove sempre più anche in altri settori, ad esempio quello della digitalizzazione e della logistica. E qui va detto che in questi ultimi anni la Posta ha acquisito diverse società estere, con sede in una quindicina di Paesi, diventando così un gruppo multinazionale a tutti gli effetti. Una scelta strategica che le permette di finanziarie il servizio pubblico, ormai deficitario. Il guaio, a detta dei vertici aziendali, sta nel fatto che la politica, in particolare il Parlamento federale, vuole ora mettere un freno a queste attività più redditizie. Di recente il direttore ad interim della Posta, Alex Glanzmann, ha lanciato un allarme: avanti di questo passo il suo gruppo avrà bisogno di aiuti pubblici pari a circa 300 milioni di franchi all’anno. In altre parole, la Posta non sarà più in grado di auto-finanziarsi. E questo a causa delle limitazioni a cui anela una parte del mondo politico. Ma al di là di questo braccio di ferro, va detto che c’è nervosismo anche con i sindacati. Basti dire che nel settore informatico la Posta prevede di creare 200 nuovi posti di lavoro in Portogallo e di tagliarne altrettanti in Svizzera, senza però ricorrere

a licenziamenti. Una misura adottata per ridurre i costi e per far fronte alla crescente mancanza di personale qualificato, così almeno ha fatto sapere l’azienda. Parole che non sono bastate a placare gli animi, se ne è avuta una prova durante la recente sessione del Parlamento federale in cui il tema è stato al centro di un acceso dibattito nell’ambito della tradizionale «ora delle domande». Tensioni che torneranno presto a farsi sentire, la partita tra mondo politico e Posta è tutt’altro che conclusa.

Swisscom e quegli impieghi all’estero

Tra queste tre «ex regie», Swisscom è l’unica a non essere interamente nelle mani della Confederazione, che ad oggi detiene il 51% delle azioni di questa azienda. Come la Posta, anche Swisscom sta facendo ora parlare di sé soprattutto per un ulteriore sviluppo di alcune sue filiali all’estero, con la creazione, nel settore informatico, di diverse centinaia di nuovi posti di lavoro, ripartiti tra la Lettonia e i Paesi Bassi. Una delocalizzazione che va

ad aggiungersi ad altri trasferimenti emersi negli scorsi anni, ad esempio in Kosovo, Polonia e Bulgaria, e che è dovuta a motivi di risparmio e alla necessità di trovare personale specializzato. Uno scenario simile a quello della Posta. A far discutere di recente è stato anche l’acquisto di Vodafone Italia. Un passo che a detta dell’azienda «rafforza Swisscom» e che le permette di issarsi al secondo posto nel mercato italiano delle telecomunicazioni, alle spalle di TIM. Un’acquisizione costata 8 miliardi di euro e che, a detta dei sindacati del settore, rischia ora di pesare a lungo sui bilanci dell’azienda. Da qualche tempo Swisscom si ritrova anche coinvolta in una procedura di ricorso per l’annullamento della votazione popolare che lo scorso 28 settembre ha dato il via libera all’introduzione di una identità elettronica. Un sì di stretta misura, pari al 50,4% delle preferenze. L’azienda è accusata di aver finanziato il fronte del sì, pur essendo chiamata alla neutralità politica, visto che è in mano pubblica. Una grana e un problema di immagine da non sottovalutare, c’è pur sempre di mezzo la democrazia diretta del nostro Paese.

Nel settore informatico la Posta prevede di creare 200 nuovi posti di lavoro in Portogallo e di tagliarne altrettanti in Svizzera. (Keystone)
Roberto Porta

Turchia: un drone, un logo, un capo

L’analisi ◆ La vera prova per Ankara sarà Israele, l’antico compagno di viaggio trasformatosi in nemico assoluto Lucio Caracciolo

Nella rivoluzione geopolitica mondiale c’è un nuovo protagonista: la Turchia. Fino a ieri trattata dagli occidentali da media potenza. Non troppo affidabile per gli alleati atlantici. Anzitutto per il carattere del regime, spurio agli occhi degli europei, con Mario Draghi che tre anni fa bollava il carismatico e accentratore presidente Recep Tayyip Erdogan come «dittatore». E i frequenti colpi di Stato che a cavallo dei due millenni segnalavano l’indisponibilità della classe militare, autoproclamata custode del laicismo intitolato al padre fondatore Kemal Atatürk, a permettere derive islamiste. Per tacere della tendenza di fare di testa propria, in aperto conflitto con l’«alleato» greco, cui da sempre si contrappone nell’Egeo. Soprattutto nella questione di Cipro, di cui Ankara controlla pienamente la Repubblica settentrionale, non riconosciuta dal resto del mondo, separata dalla porzione greca.

C’è chi pronostica entro massimo dieci anni una guerra turco-israeliana con epicentro Cipro, chiave del Mediterraneo orientale

Oggi Erdogan che dal mondo islamista sunnita proviene – per la precisione dalla galassia dei Fratelli musulmani, la stessa di Hamas – è l’affermato centro del sistema, aspramente criticato dalle opposizioni, con quasi metà del Paese che non lo vota, ma di cui pochi contestano l’autorità. Né sul piano internazionale qualcuno nega la centralità che la Turchia ha acquistato nel suo vasto spazio di elezione, esaltato dal proverbiale patriottismo turco, con risvolti persino fanatici.

La Turchia sta riscoprendo le sue radici imperiali. Ottomane. L’impero distrutto nella Prima guerra mondiale resta riferimento identitario per Ankara. Non perché intenda ricostituirlo – impossibile. Ma perché trac-

cia il nucleo essenziale della Repubblica attuale, costretta nella penisola anatolica dagli «iniqui» trattati seguiti alla Grande guerra, mai digeriti dal popolo e dalle élite locali. Non solo Anatolia e dintorni, ma Balcani musulmani o meno, Levante, Nordafrica. Da cui Ankara punta verso il Corno d’Africa, piantando tenda a Mogadiscio, financo nell’Africa occidentale ex francese.

Sul fronte asiatico orientale la rinascente potenza turca recupera le sue fondazioni in area sino-mongola. Con epicentro nel Xinjiang, strategica regione autonoma della Repubblica popolare, collocata alla periferia nord-occidentale dell’impero di Pechino. E dal regime comunista tenuta sotto stretta sorveglianza per le tentazioni separatiste tuttora vive in parte della popolazione autoctona:

gli uiguri, di religione e cultura musulmana, e di lingua turchesca. Vista dall’Anatolia si chiama infatti Turkestan Orientale, con tanto di pseudo Governo in esilio (turco, s’intende). Per tacere dell’Asia centrale postsovietica, dove i turchi sono secondi solo ai cinesi nella penetrazione del cortile di casa russo. A proposito: la guerra di Ucraina ha offerto alla Turchia l’occasione di far valere il suo privilegio di padrona degli Stretti che ostacolano le velleità mediterranee della Russia. Allo stesso tempo ne ha elevato il ruolo di mediatrice fidabile, ad esempio nei negoziati russo-ucraini che nel marzo-aprile 2022 sembravano destinati a por fine alla guerra.

Erdogan cura personalmente la crescita delle sue Forze armate, temprate nella repressione delle rivol-

te curde, riconosciute in ambito Nato come assai battagliere. Più efficaci di qualsiasi esercito europeo. I droni turchi, poi, commerciati in tutto il mondo, sono ormai leggendari. Essere in vetta alla classifica nello sviluppo dell’arma del momento, che ha rovesciato i princìpi dell’arte bellica decretando la superiorità del mezzo più economico su quello più costoso – un drone Baykar Bayraktar Tb 2, estremamente affidabile, costa una frazione di un missile deputato a funzioni analoghe – segna il salto di qualità del marchio Türkiye, internazionalmente imposto da Ankara come proprio nome ufficiale.

Un drone, un logo, un capo: trittico che da solo giustifica le ambizioni – le manie – di grandezza del presidente dalla personalità dominante. Uno di quegli uomini, come ama-

Carta di credito per le persone anziane, a quali aspetti prestare attenzione?

va dire Henry Kissinger, che quando entrano in una stanza l’inclinano verso di lui.

Sarebbe errato però identificare la Turchia con Erdogan. Lui ne è figlio almeno quanto se ne rappresenta padre. Il suo imperialismo che attinge alla fede islamica e venera i grandi sultani del passato affascina il suo popolo, compresi molti di coloro che non ne apprezzano le tendenze politico-ideologiche.

Dove può inciampare il colosso turco in versione moderna? Molti ricorderanno l’economia, in particolare l’iperinflazione che da tempo taglia salari e stipendi. Importante, ma non decisiva. No, la vera prova per Ankara, almeno per i prossimi anni, sarà Israele. Suo antico compagno di viaggio, da socio occulto insieme all’Iran nei primi decenni del dopoguerra. Con l’avvento di Khomeini il filo che legava Persia e Stato ebraico si è spezzato. Mentre la questione palestinese è stata la pietra di inciampo che ha rovesciato da amichevole a tempestoso il rapporto con Gerusalemme. Oggi Erdogan paragona Netanyahu a Hitler. E da Israele il suo espansionismo è trattato quale minaccia strategica di taglio islamista. Ora che l’Iran è in crisi, la Turchia ne sta prendendo il posto di anatema assoluto per lo Stato ebraico.

C’è chi pronostica entro massimo dieci anni una guerra turco-israeliana con epicentro Cipro, chiave del Mediterraneo orientale ricco di risorse energetiche e di memorie non condivise. Per ora turchi e israeliani si scrutano attorno a Damasco, conquistata da jihadisti ripuliti dalla Turchia e da alcune potenze occidentali, e avvicinata dalle avanguardie di Tsahal discese dal Golan. La guerra con Hamas può essere per Tel Aviv l’antipasto in vista del risolutivo duello con Ankara. Sempre che lo Stato ebraico non soccomba prima alla vena suicidaria che sembra marcarne la terrificante replica al massacro del 7 ottobre.

La consulenza della Banca Migros ◆ Il vantaggio principale è una buona protezione in caso di smarrimento o furto del denaro, ma occorre ricordare alcuni importanti dettagli: eccoli

Con l’avanzare dell’età l’utilizzo quotidiano di una carta di credito offre spesso dei vantaggi garantendo, ad esempio, una buona protezione in caso di smarrimento o furto. Mentre il denaro contante perso è sparito per sempre, la carta di credito può essere bloccata in caso di smarrimento e le transazioni non autorizzate vengono rimborsate dalla banca, a condizione che si sia agito con la dovuta diligenza e che l’accaduto sia stato segnalato immediatamente.

Per una maggiore sicurezza e un miglior controllo dei costi nell’utilizzo di una carta di credito, le persone anziane dovrebbero tenere presenti i seguenti aspetti.

Scelta della carta adatta: le commissioni applicate alle carte di credito possono variare notevolmente a seconda dell’offerente. Per non appe-

santire il proprio budget con costi inutili, vale la pena confrontare le offerte sul mercato. Bisognerebbe scegliere una carta di credito adatta alla propria situazione di vita. Chi viaggia poco, ad esempio, non ha bisogno di una carta di credito costosa con diverse coperture assicurative di viaggio incluse.

Controllo del budget: in pensione o con un grado di occupazione ridotto, il reddito regolare diminuisce. È quindi ancora più importante tenere costantemente sotto controllo il budget per adeguare le uscite al reddito attuale. Con un limite di prelievo è possibile stabilire l’importo massimo che può essere speso ogni mese con la carta. Molte banche offrono app speciali per le loro carte di credito che ordinano le spese per periodi e categorie,

facilitando così la visione d’insieme. Con l’«app one» della Banca Migros i clienti ricevono informazioni dettagliate su tutte le transazioni effettuate.

Ulteriori funzioni di protezione: chi utilizza una carta di credito dovrebbe attivare funzioni di protezione aggiuntive, come la cosiddetta autenticazione a due fattori. Si tratta di una procedura che richiede due prove indipendenti (ad esempio password e codice via SMS) per confermare la propria identità e avviare un pagamento.

La maggior parte dei fornitori di carte di credito richiede che gli acquisti online vengano autorizzati tramite un’app dedicata. Le notifiche per ogni transazione offrono una protezione aggiuntiva. Visto che le persone anziane sono spesso bersaglio di tentativi di frode,

è importante che acquisiscano familiarità con le più recenti funzioni di sicurezza della loro carta di credito. Importante: non comunicare mai i dati della propria carta in caso di richiesta tramite telefono, e-mail o SMS! In caso di richieste di pagamento sospette, è meglio chiamare la helpline una volta di troppo piuttosto che una volta di meno.

La carta di credito più ambita in Svizzera Scoprite i vantaggi della carta di credito Cumulus: Pubblicità di un servizio finanziario secondo la LSerFi.

Barbara Russo, consulente alla clientela della Banca Migros.
Keystone

Indignatevi davanti alle ingiustizie!

Dal 12 al 19 ottobre ◆ Il Film Festival Diritti Umani Lugano offre occasioni di crescita anche ai/alle giovani delle scuole ticinesi

Seguiamo Irvin che dopo vent’anni torna a Srebrenica, in Bosnia-Erzegovina, per affrontare il trauma della guerra e superarlo, ricostruendo un villaggio con le sue mani (Il ragazzo della Drina). Mentre a Bruxelles incontriamo Hazem, fuggito da Gaza, ed Elettra, studentessa di cinema, che si scoprono attraverso la videocamera, abbattendo confini (The roller, the life, the fight). In Giappone conosciamo invece Shiori Ito, giornalista che denuncia l’aggressione sessuale subita e la sua battaglia per ottenere giustizia (Black Box Diaries). Infine, in Svizzera, celebriamo la vittoria delle Anziane per il clima: la CEDU nel 2024 stabilisce che gli Stati hanno l’obbligo di proteggere i/le cittadini/e dagli effetti del cambiamento climatico.

Queste sono solo alcune tappe del giro del mondo che il Film Festival Diritti Umani Lugano (FFDUL) propone ai giovani delle scuole ticinesi. Ma la manifestazione, giunta ormai alla sua dodicesima edizione, è rivolta a tutti/e: otto giorni di programmazione (12-19 ottobre) e 25 film, tra cui 12 anteprime svizzere e 8 anteprime ticinesi, il Concorso internazionale di lungometraggi, dibattiti, incontri e una moltitudine di eventi collaterali (più informazioni su www.festivaldirittiumani.ch). Senza dimenticare il workshop di produzione audiovisiva dedicato a studentesse e studenti del Pretirocinio di orientamento. Ci interessiamo in queste pagine in particolare alla programmazione per le scuole, uno dei momenti più importanti del Festival, con proposte pensate per avvicinare gli allievi ai temi caldi dell’attualità e alle questioni legate ai diritti umani (proiezioni a cui si possono iscrivere istituti e docenti con le loro classi).

«Si avverte il loro desiderio di comprendere, ma soprattutto la capacità di immedesimarsi nella storia che hanno appena vissuto»

Ma ragazzi e ragazze si interessano a ciò che accade nel mondo? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Martignoni, docente e membro della Commissione scuole del FFDUL. «Spesso si sente dire che sono distratti e indifferenti. Invece di giudicare, bisognerebbe ricordare che hanno una spiccata curiosità e chiedono di essere stimolati e guidati. Di sicuro conta il clima famigliare: ci sono contesti dove si discute molto e la sensibilità su certi temi è alta. Inoltre, quando il docente li considera e li ascolta, offrendo spunti per approfondire e stimolare la curiosità, i giovani rispondono positivamente». Non è sempre facile, ammette l’intervistato, tante volte ci si sente sotto pressione, pensiamo ai tempi dettati dal programma scolastico... Ma è l’unica via: l’interesse si costruisce insieme. «Magari gli studenti, per timore, non chiedono direttamente di parlare della Palestina o del conflitto in Ucraina, ma se il mondo entra in aula dimostrano tutta la loro volontà di capire, accompagnata da una certa preoccupazione». Martignoni evidenzia due aspetti importanti: «Ragazzi e ragazze hanno oggi a disposizione una moltitudine di strumenti per raccogliere informazioni, e ricevono un flusso continuo di notizie che a volte li travolge. Così spesso faticano a leggere o ad approfondire l’argomento. Per loro diventa difficile scegliere a cosa prestare attenzione. A quale cau-

sa dare priorità? Guerre, povertà, clima?». Il docente sottolinea anche la difficoltà dei giovani di comprendere un mondo tanto complesso che cambia velocemente, oltre alle fake news e alla disinformazione che generano incertezza e confusione.

In questo senso il FFDUL è un’occasione preziosa, che invita a porsi domande e aiuta a costruire una comprensione del mondo più consapevole e lucida, affrontando di petto la questione dei diritti umani ancora troppo spesso calpestati.

Come vengono scelte le opere che possono stimolare questa riflessione?

La Commissione scuole fa da tramite tra il FFDUL e gli istituti scolastici appunto. «In pratica riceviamo una serie di proposte e abbiamo il compito di selezionarne all’incirca otto adatte a un giovane pubblico», spiega il nostro interlocutore. «Cerchiamo film e documentari che portino gli studen-

ti nel mondo (oltre che in Svizzera, spesso presente nella programmazione). Consideriamo anche la durata di quanto proposto: optiamo per format non troppo lunghi, così disponiamo di tempo per il dibattito dopo la proiezione». «Prepariamo una scheda didattica per ogni film o documentario selezionato», continua Martignoni. «Contiene la trama; la spiegazione del contesto geopolitico e storico in cui si inserisce la narrazione; il collegamento con il tema dei diritti umani; una bibliografia e delle domande-guida. La scheda vuole essere uno strumento di lavoro fondamentale sia per gli allievi sia per i docenti».

Ci sono diversi temi che colpiscono particolarmente i giovani oggi: i conflitti e le ingiustizie globali, la limitazione dei diritti e delle libertà personali (soprattutto quando si parla di persone imprigionate o uccise per le loro idee), il cambiamento cli-

Al di fuori delle sale cinematografiche

Oltrefestival è un contenitore nato in occasione della decima edizione del Film Festival Diritti Umani Lugano, nel 2023. Il festival è riuscito a concretizzare un’esigenza crescente e necessaria per un evento che tratta tematiche impegnative come quelle legate ai diritti umani: moltiplicare gli spazi di riflessione, creare nuove occasioni meno frontali della sala cinematografica per dialogare, coinvolgere luoghi alternativi e realtà culturali della città. Il programma è così cresciuto e in questa edizione le proposte sono molte e par ticolarmente intense.

Teatro e libri

Degli spazi sono dedicati ai più piccoli grazie alla collaborazione con la storica rassegna Il Cinema dei Ragazzi e lo spettacolo NAT, Nuvole a tratti, prodotto da Teatro Danzabile (compagnia di teatro e danza inclusiva), mentre, sempre per il pubblico di giovanissimi, la libreria Voltapagina propone una selezione di titoli sui diritti umani. Al ci -

nema Corso saranno acquistabili molti di questi libri insieme alla selezione per i più grandi della libreria Il Segnalibro. Oltrefestival vuole appunto dare valore a questo tipo di collaborazioni con realtà del territorio che si occupano di cultura o hanno intenti particolarmente vicini a quelli del FFDUL. Ciclofficina Miao Lugano, ad esempio, mette a disposizione degli ospiti e dello staff del festival delle biciclette rimesse a nuovo. Un altro luogo importante di Oltrefestival è il Caffè dei Diritti, organizzato al Mamitas Caffè & Bar da lunedì 13 ottobre, che ospiterà appuntamenti informali con la giuria del Concorso internazionale di lungometraggi, lo staff del festival, Ong, Radio Gwen e altre realtà locali. Tra gli appuntamenti citiamo un evento prefestival, l’11 ottobre, allo spazio Fuoriluga, dove ci sarà occasione di stare insieme per discutere e vedere i cortometraggi del festival itinerante Nazra Palestine Short Film Festival, un progetto collettivo che si

matico (sono preoccupati per il futuro del pianeta), l’educazione e la formazione (il diritto a un’istruzione di qualità, accessibile a tutti, rappresenta una chiave per il loro futuro e un elemento di speranza e riscatto sociale). Questi argomenti non solo attirano la loro attenzione, ma spesso diventano veri e propri motori di impegno e partecipazione. Gli studenti non apprezzano eventi «calati dall’alto» che finiscono con un punto e basta, afferma Martignoni. «Facciamo il possibile affinché l’esperienza sia accompagnata da un percorso strutturato: dovrebbe esserci un “prima” che si svolge a scuola, con momenti di lettura e riflessione collettiva». Poi la proiezione al cinema – un momento magico di grande coinvolgimento – a seguire un dibattito con un ospite (rappresentante di un’Ong, un giornalista, uno storico o una figura esperta). «È importante che ci sia

Pubbliredazionale

avvicina molto allo spirito degli spazi alternativi della nostra città. Sempre pensando a realtà in un certo senso militanti, lunedì 13 ottobre, lo Spazio L’Ove di Viganello, in collaborazione con i giovani dell’associazione nazionale #Cine, propone la proiezione di Donna: Women in Revolt (ottant’anni di resistenza femminile in Italia) di Yvonne Scholten, che sarà presente. Il film si inserisce in uno straordinario progetto di restauro e valorizzazione di artiste e artisti del 20.esimo secolo appartenenti a comunità sottorappresentate.

Ascoltando «Arab’nB» Invitandovi a scorrere tutto il programma del festival, concludiamo segnalando un momento di Oltrefestival che si prospetta particolarmente speciale: il concerto di martedì 14 ottobre allo Studio Foce con TÄRA, giovane cantante italo palestinese che si sta facendo conoscere al grande pubblico grazie al suo «Arab’nB».

Nelle opere proposte al FFDUL convivono dolore e speranza. Nella foto: Gaza, dove non c’è quasi più niente. (Keystone)

anche un “dopo”, lasciato alla responsabilità degli insegnanti, dove continuare la discussione consolidando così l’esperienza e trasformandola in un momento di crescita condivisa e formativa».

Come reagiscono i giovani spettatori ai temi trattati? «Sono coraggiosi», osserva l’intervistato. «Non è affatto semplice prendere la parola davanti a 400 persone, soprattutto dopo aver visto un film che spesso è un pugno nello stomaco, dove convivono violenza e speranza. Reagiscono con spontaneità e sensibilità. Si affidano più degli adulti all’istinto, parlando con il cuore e sorprendendo con domande inaspettate e profonde. Si percepisce chiaramente che quell’esperienza li ha toccati. Si avverte il loro desiderio di comprendere, ma soprattutto la capacità di immedesimarsi nella vicenda che hanno appena vissuto. In questo li aiuta l’esperienza cinematografica: il cinema non racconta solo storie, ma fa vedere come dietro la geopolitica, i conflitti, le catastrofi ci sono vite umane. Oggi più che mai c’è un bisogno reale di festival come questo, che pongono la tutela dei diritti umani al centro dell’attenzione». Da qualche anno – aggiunge il nostro interlocutore – il FFDUL si propone di aprirsi ad un pubblico ancora più giovane. Ad esempio collaborando con Il Cinema dei Ragazzi (domenica 12 ottobre all’Iride verrà proiettato La bicicletta verde, la storia di una ragazza saudita che sogna di comprarsi una bicicletta verde, simbolo di libertà ed emancipazione). Mentre il sogno di Martignoni è quello di portare maggiormente il festival nelle scuole: proiettare film e documentari, stimolare discussioni e riflessioni nelle aule tutto l’anno, incontrare attori e registi che lottano, con la loro arte, per la giustizia, la pace, il rispetto e il diritto ad una vita degna. «Di fronte alle ingiustizie, alle guerre, alla sofferenza bisogna indignarsi, come sosteneva anche Stéphane Hessel nel saggio Indignez-vous! (2010). Indignarsi e poi riconoscere che ognuno di noi può fare la differenza per cambiare il mondo. Cominciando da giovanissimo».

Islanda, una valchiria a capo del Governo

Potentissime ◆ La premier Kristún Mjöll Frostadóttir è una giovane leader capace di unire rigore economico e sensibilità sociale Cristina Marconi

Uso moderato dei social media, comunicazione diretta, meno giudizi, più tentativi di capire le ragioni degli elettori: sono queste le strategie con cui Kristún Mjöll Frostadóttir sta cercando di tenere a bada il populismo e gli estremismi nella piccola isola di cui è premier, l’Islanda, 400mila abitanti di cui un quinto di provenienza straniera. Finora ha funzionato, e se è vero che sembra facile parlare da un contesto così protetto, ricco – il Pil pro capite è tra i più alti al mondo – c’è qualcosa nell’atteggiamento della leader (tra le più giovani premier al mondo), 37.enne economista di Yale, che dovrebbe far riflettere chi – con qualche decennio in più e un ricorso tutt’altro che moderato ai social e alla polemica – si stupisce che seminando vento si raccolga l’inevitabile tempesta. «Come società dobbiamo farci avanti. E questo, credo, sia l’antidoto più forte che ci sia per questa situazione polarizzata in cui ci sono persone di estrema destra e poi partiti di sinistra che dicono alle persone che dovrebbero votarli come si devono sentire, come devono pensare e che sono cattive persone», ha detto in una delle tante interviste che le fanno, perché il centrosinistra di ogni latitudine è alla disperata ricerca di modelli e la premier islandese sembra avere delle idee.

In carica dal dicembre del 2024, Fostadóttir ha un viso sorridente e un piglio sereno nel definire la sua visio-

ne: «Una social democratica che capisce come si gestiscono i conti pubblici». Figlia di una dottoressa e di un etnografo, ha studiato economia a Reykjavik e poi negli Stati Uniti, ha lavorato per Morgan Stanley prima a New York e poi a Londra. Dopo aver ottenuto molta visibilità come commentatrice televisiva e radiofonica durante la pandemia, si è candidata per la prima volta nel 2021, vincendo uno dei 63 seggi all’Althing, il Parlamento unicamerale islandese, e poi di nuovo nel 2024, quando il partito di cui era diventata leader due anni prima con il 94% dei voti è emerso dalle urne come il più forte, con un raddoppio dei voti a 20,8%. La presidente Halla Tómasdóttir le ha dato l’incarico di formare un Governo e lei ha chiamato a raccolta i liberal-riformisti e il Partito del popolo, tutti partiti guidati da donne: è soprannominato Valkyrjustjórnin, il Governo delle valchirie. E gli uomini sono rimasti all’opposizione, dopo che la coalizione precedente, che teneva insieme le anime molto diverse di conservatori e verdi, è finita vittima dell’instabilità che dalla crisi del 2008 domina la politica islandese. Motivi principali: immigrazione e alloggi.

Ci sono stati anni turbolenti e l’Islanda non è più solo l’isoletta remota dell’Artico che nel 2010 ha bloccato il trasporto aereo internazionale per via dei fumi del vulcano Eyjafjallajökull. Ora gli aerei diretti a Reykjavik sono

aumentati, il turismo è diventato uno dei settori principali dell’economia e gli anni della disoccupazione al 9% e di Björk come unico elemento cool del Paese sono un ricordo.

La premier vuole che Reykjavik entri nell’Ue nel 2027, dopo che dieci anni fa il tentativo si è arenato sulla questione dei diritti di pesca. «Vogliamo che l’Islanda e gli altri Paesi dell’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio, siano considerati Paesi del mercato interno, perché siamo preoccupati dai dazi», ha affermato Frostadottir. «Sono parte di una piattaforma pro-Ue e sono pro-Ue», dice, ma non vuole che sia un voto dettato dalla paura bensì che rifletta «speranza, aspirazione e un’agenda positiva». Da brava economista prende i

Praline di Lindt ora in azione.

conti pubblici molto sul serio, punta al pareggio di bilancio nel 2027 e vuole coinvolgere i cittadini, chiede idee per il risanamento. «Un grande motivo di instabilità è quando la gente pensa di non essere ascoltata», ha spiegato, raccontando di quanto sia importante per lei far capire di credere nel sistema e incoraggiare la gente a fare altrettanto, attraverso cambiamenti di lungo termine, che richiedono tempo, ma anche iniziative più immediate, che diano il senso di aver votato per qualcosa. «La gente ti vota per governare, apprezza se dici che è difficile», sostiene. «È vero, sono molto giovane, ma sono anche la terza donna in questa posizione», ha ammesso, felice di aver saputo dare al suo Governo un’aura di concretezza, anche se è solo la seconda volta

che i socialdemocratici sono al potere. Finora lo scandalo più grave è stato quando la ministra dell’Infanzia ha rivelato di aver avuto, a 22 anni, un figlio con un suo allievo quindicenne. Il fatto è accaduto 36 anni fa e Ásthildur Lóa Thórsdóttir si è dovuta dimettere. L’Islanda, indipendente dalla Danimarca dal 1918, è geograficamente e politicamente vicina alla Groenlandia, e Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato alla Casa Bianca parlando di annettere quest’ultima, per ribadire quanto l’Artico sia nella sfera d’influenza americana e sottrarlo alla Cina. L’Islanda, che non ha un esercito, è nella Nato e per Frostadóttir è cruciale mantenersi attenti alle evoluzioni nel rapporto con gli Stati Uniti, realtà che la premier conosce benissimo. I dazi al momento sono al 15%, sebbene gli Usa esportino più di quello che importano, e per Reykjavik questo è un problema enorme. Tutto deve essere oggetto di un ripensamento, è quello che il Paese le chiede, compreso l’utilizzo delle risorse naturali e un overtourism che, oltre ad affollare le città, mette sotto pressione il delicato equilibrio dell’isola: da quando il vulcano ha fatto sentire la sua voce, quindici anni fa, il Paese è passato da 500mila a 2,3 milioni di turisti all’anno. Vittima del suo successo, ha dato mandato a una giovane donna con le idee chiare di immaginare un futuro.

Annuncio pubblicitario

«L’ora più difficile dalla Seconda guerra mondiale»

L’intervista ◆ La presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter è la donna che deve superare una crisi dopo l’altra per la Svizzera. Come fa? La stampa Migros l’ha incontrata a New York per scoprirlo

Christian Dorer

Le Nazioni Unite festeggiano il loro 80° anniversario. Ma non c’è molto da festeggiare di fronte a guerre, conflitti e mancanza di consenso. Ben 150 capi di Stato e di Governo hanno partecipato all’apertura dell’Assemblea generale dell’ONU a New York lo scorso settembre, tra cui Karin Keller-Sutter.

Karin Keller-Sutter, New York che ricordi le suscita?

«Qualche tempo fa con degli amici ho fatto un viaggio in barca negli Stati Uniti. Quando si entra nel porto di New York si vede la Statua della libertà, è uno spettacolo travolgente. Ho capito cosa hanno provato tante generazioni: eccoci arrivati nel mondo libero!»

La Svizzera deve essere ligia ai suoi doveri, anche a livello finanziario. Dobbiamo prenderci cura delle nostre istituzioni

Secondo esperti e storici gli Stati Uniti si stanno rapidamente avviando verso l’autocrazia. Questa affermazione la preoccupa?

Gli Stati Uniti hanno fondamentalmente delle istituzioni forti. Ma in generale la democrazia non va data per scontata, bisogna impegnarsi per mantenerla. E anche il fatto che ci sia un dibattito simile fa parte di questo impegno.

A questo si aggiunge la Russia, che sta violando sempre più spesso lo spazio aereo della NATO e si sta armando lungo i confini. Qual è la situazione mondiale? Molte cose stanno cambiando e non è ancora chiaro quale sarà la nuova configurazione. Stiamo parlando della situazione più fragile e difficile che si sia verificata dalla Seconda guerra mondiale. Forse abbiamo dato la pace troppo per scontata. Come molti altri, credevo che con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 ci sarebbe stato un nuovo ordine

Ecco chi è

Karin Keller-Sutter, 61 anni, è cresciuta a Wil (SG), dove vive tuttora con il marito. La coppia non ha figli. I suoi genitori gestivano un ristorante e ha tre fratelli. Ha studiato alla scuola per interpreti a Zurigo e Montréal; si è formata come docente di scuola professionale. Dal 1992 al 2000 ha fatto parte del Consiglio comunale di Wil. Granconsigliera dal 1996, nel 2000 è stata eletta nel Consiglio di Stato di San Gallo. È nel Consiglio federale dal 2019, prima come ministra della Giustizia e ora come ministra delle Finanze.

funzionante in cui anche la Russia sarebbe stata integrata. Ma questa calma era ingannevole.

Cosa significa per la Svizzera?

Che dobbiamo essere ligi ai nostri doveri, anche a livello finanziario. La Svizzera deve sfruttare i suoi punti di forza. Non dobbiamo piegarci e dobbiamo prenderci cura delle nostre istituzioni.

La sua telefonata riguardo ai dazi con Donald Trump ha fatto scalpore. Lo ha sottovalutato perché in precedenza ha detto di aver «trovato un qualche modo per trattare con lui»?

Assolutamente no. La prima conversazione è stata aperta e costruttiva. Tuttavia il presidente non era d’accordo con l’esito dei negoziati e ha preso una decisione diversa. Non bisogna prenderla sul personale.

Eppure è stata presa di mira. Quanto l’ha colpita?

La critica è parte integrante della carica politica. Bisogna saperla gestire. Ma quando i media diventano troppo severi, le persone reagiscono spesso in modo personale, con lettere, fiori e piccoli gesti. L’ho vissuto già diverse volte.

Dal 2019 ha vissuto diverse crisi: la pandemia, Credit Suisse, i dazi doganali. Si teme già la prossima crisi con il possibile allontanamento di UBS dalla Svizzera?

La decisione spetta a UBS. Il Consiglio federale propone quanto segue: la banca dovrebbe finanziare le sue attività estere in modo tale che i contribuenti non debbano intervenire nuovamente in caso di una nuova crisi dopo quelle del 2008 e del 2023. La popolazione si aspetta giustamente che facciamo tutto il possibile per evitarlo. Il Consiglio federale privilegia la stabilità a lungo termine rispetto ai rendimenti a breve termine.

L’allontanamento è uno scenario reale o solo un mezzo per esercitare pressione?

Naturalmente il trasferimento sarebbe molto spiacevole. Ma non vedo alcun motivo per cui UBS debba andarsene: la proposta del Consiglio federale è ragionevole e accettabile per UBS. Inoltre la stabilità e la certezza giuridica della sede svizzera offrono alla banca numerosi vantaggi.

Qual è il suo obiettivo qui a New York?

Quest’anno è speciale perché l’ONU celebra il suo 80° anniversario. Tra una cerimonia e l’altra, nei corridoi e durante i brevi incontri, si stabiliscono spesso contatti interessanti. A volte bastano pochi minuti per affrontare un argomento.

Ci sono ancora interessi comuni nel mondo?

Non esiste un consenso assoluto. Ovviamente la pace e la sicurezza sono l’obiettivo delle Nazioni Unite, oggi come 80 anni fa. Ma ci sono notevoli conflitti di interesse tra gli Stati. Sono proprio questi gli sviluppi che stanno portando a un’alleanza tra gli Stati che sostengono la democrazia, lo Stato di diritto e il libero commercio. Si tratta di valori centrali per la Svizzera. Siamo uno Stato piccolo, che dipende dal libero mercato e dall’affidabilità.

Come ricarica le energie quando si sente sopraffatta?

Con serie TV, allenamenti di boxe, passeggiate nel bosco o leggendo discorsi storici. A volte c’è bisogno di

prendere le distanze per poter vedere le cose di nuovo con lucidità. Churchill ricorda a tutti noi che una posizione chiara e le parole giuste sono fondamentali nei momenti difficili.

È in politica da quando aveva 28 anni. Cosa la motiva?

Mi interessano le persone e gli sviluppi sociali. Nel Consiglio federale posso contribuire attivamente, assumermi responsabilità e far parte di un sistema che sostiene la Svizzera. Continua a persistere l’idea che il Consiglio federale sia potente, ma non è così. Il nostro ruolo è quello di contribuire a plasmare il Paese, non semplicemente di prendere decisioni.

Le aspettative nei confronti delle donne in politica sono spesso di-

verse da quelle degli uomini. Qual è la sua impressione?

Purtroppo persiste ancora il luogo comune secondo cui le donne non sono analitiche e non sono in grado di dirigere. Se le donne sono forti, vengono etichettate come «troppo dure» o «fredde». Quando da giovane mi sono candidata al Consiglio di Stato del Canton San Gallo, la gente diceva ad esempio che quel ruolo era adatto a un uomo, un ufficiale. Ma non mi sono lasciata scoraggiare.

Quali sogni e obiettivi ha ancora? Mi piace essere consigliera federale. Dopo sarò in grado di passare ad altro, ne sono certa. La cosa importante è rimanere attivi ed evitare di ritrovarsi a non far più nulla da un giorno all’altro.

Karin Keller-Sutter è in politica da quando aveva 28 anni. (Peter Lueders)

Il Mercato e la Piazza

Ticino urbano: Bellinzona supererà Lugano?

L’espansione demografica ed economica del Ticino mostra, da un sessantennio, una tendenza alla concentrazione nelle zone urbane. Le politiche territoriali del Cantone hanno faticato a prendere atto del trend. Per fare un esempio: che dalla metà degli anni Sessanta dello scorso secolo, con la terziarizzazione dell’economia ticinese, Lugano stava affermandosi come il polo demografico ed economico del Cantone cominciò ad essere riconosciuto solo negli anni Ottanta, quando il Cantone avviò i lavori di preparazione del suo primo piano direttore. I fattori che spiegano questo ritardo sono diversi. Secondo noi, però, il più importante è che la città di Lugano, prima delle tre ondate di fusione dei Comuni suburbani era, territorialmente parlando, veramente poca cosa. Ma dalla fine del secolo ventesimo all’apertura della NEAT nel 2016 (ovvero l’inaugurazione della Galleria

Affari Esteri

di base del San Gottardo, elemento centrale di Alptransit) gli addetti ai lavori, grazie tra l’altro al colpo di acceleratore che venne dato al processo di aggregazione dei Comuni suburbani, recuperarono molto del loro ritardo e promossero una visione del Ticino che si incentrava sulle 4 città di Mendrisio, Lugano, Bellinzona e Locarno con le loro zone di influenza.

A Lugano fu riconosciuto allora il ruolo di città prima inter pares. Con i progressi nel trasporto pubblico regionale che si poterono poi fare grazie all’apertura della galleria di base del Monteceneri, sembra ora che questa visione di equilibrio tra zone urbane, con Lugano in capo alla gerarchia, non regga più il confronto con quanto sta accadendo nella realtà. Questo perché, nel corso degli anni più recenti, il processo di concentrazione urbana ha favorito lo sviluppo di Bellin-

zona e Mendrisio, a scapito di quello di Lugano e Locarno. Le due destinazioni principali del turismo ticinese sono entrate in un periodo di stabilizzazione della loro popolazione e della loro economia. Lo provano i tassi di variazione annuale della popolazione e dei posti di lavoro.

Si poteva pensare che la riduzione dei tempi di spostamento, consentita dalla nuova rete dei trasporti ferroviari regionali, avrebbe favorito un’ulteriore concentrazione dei posti di lavoro nelle quattro città ticinesi e, in particolare a Lugano. Parallelamente si sarebbe dovuto constatare una deconcentrazione della popolazione residente che avrebbe favorito la crescita demografica di Mendrisio, Bellinzona e Locarno e sfavorito quella di Lugano. Lugano insomma avrebbe perso peso nel confronto demografico mentre ne avrebbe guadagnato in quello econo-

Nemmeno i militari applaudono Trump

La grande riunione dei militari americani convocata il 30 settembre a Quantico, in Virginia, da Pete Hegseth, e «deliziata» dalla presenza di Donald Trump, sembrava un film di Sacha Baron Cohen, con i generali immobili e zitti ad ascoltare, i leader a straparlare, i commentatori ad allibire. Restare seri era impossibile, salvo poi ricordarsi che Hegseth guida il ministero della Difesa più potente del mondo e che Trump è il commander in chief di quell’America da cui dipende la sicurezza di mezzo mondo, il nostro… Quando si è saputo della riunione, grazie al «Washington Post», si è cominciato a discutere di quali potessero essere le ragioni di una convocazione inedita e poco sicura: licenziamenti in conformità con i tagli alla cosa pubblica applicati più per ragioni ideologiche che di efficienza? La presentazione di una nuova strategia del Pentagono? Annunci rivoluzionari

sulle guerre in corso? Militarizzazione dell’America? Quando la riunione è cominciata nella base della Marina di Quantico, con molti giornalisti che solitamente seguono la Difesa americana lasciati senza accredito, s’è capito subito che le previsioni erano tutte al ribasso: pareva di stare a una convention di partito, con gli slogan, gli obiettivi di politica interna, i riferimenti all’opposizione, solo che il pubblico di 800 persone era in uniforme e non c’erano i palloncini.

Hegseth ha ribadito la sua campagna «anti woke», aggiungendo per l’occasione dettagli sulla richiesta ai generali di maggiore igiene personale e di diete: è così che questa Amministrazione vuole riparare decenni di decadenza, di diversity ecc., restaurando un «ethos guerriero» perduto in inutili battaglie culturali condotte dagli altri, cioè la sinistra. I militari ascoltavano impassibili, alcuni sembravano addor-

mentati, probabilmente tutti si chiedevano: che cosa sono venuto a fare? Poi è arrivato Trump, che si è offeso perché il pubblico era silenzioso e ha detto – come una battuta, ma chissà, per il presidente ogni cosa è un test di lealtà – che i militari erano liberi di andarsene se non condividevano le sue parole, ma certo avrebbero perso stellette e carriera. Poi, per 45 minuti circa, ha ripetuto quel che dice in tutte le occasioni pubbliche, dal comizio all’incontro nello studio ovale con un leader straniero: tutti i presidenti prima di lui sono stati un disastro (spiccano Joe Biden per la sua inettitudine e Barack Obama, al quale forse Trump invidia il Nobel per la pace a cui lui ambisce) e solo lui salverà l’America, preparandosi a una grande guerra non si sa bene con o contro chi, mentre al contempo ripete di essere l’unico a saper fare la pace. Ha usato parole dure nei confronti di Putin ed

Un’orazione civile per una Svizzera aperta

Il rabbioso rialzo dei dazi deciso dagli Stati Uniti ha terremotato il circuito commerciale internazionale, abbattendosi anche sulla piccola Svizzera, agli occhi di Trump non così candida e incolpevole come ha sempre preteso di essere. Il colpo di maglio trumpiano ha scatenato un’infinità di reazioni, perlopiù di condanna nei confronti dell’editto emanato dal gabelliere in capo. Ma ha anche risvegliato un’opinione pubblica che si riteneva al riparo da ogni ritorsione, rannicchiata in un biotopo protetto nel cuore delle Alpi, laborioso e diligente, rispettoso degli accordi presi e perciò eticamente irreprensibile. Si era insomma certi che alla fine avrebbero prevalso le normative fin qui concordate e i princìpi della razionalità, e non la prepotenza e l’arbitrio.

Ora sappiamo che non è andata così, anzi che andrà sempre peggio, e non solo per l’economia e il commercio. Eppure da tutto questo si può ricava-

mico. L’evoluzione reale, nel periodo succeduto all’apertura della NEAT è stata invece un’altra. Lugano continua ad essere la città più importante del Cantone, ma non è certamente più la città maggiormente dinamica. Sia per quel che riguarda la crescita della popolazione che per quel che riguarda l’aumento dei posti di lavoro, Lugano è diventata il fanalino di coda del Cantone. La città del Ceresio cresce più lentamente non soltanto delle altre tre città ma anche nei confronti del resto del Cantone. In termini di dinamismo al primo posto troviamo Mendrisio e Bellinzona con tassi di crescita annuali medi della popolazione superiori all’1% e tassi di crescita dei posti di lavoro incredibilmente elevati, vicini al 3%. A Lugano e Locarno la popolazione ristagna mentre i posti di lavoro, nonostante il ricorso alla manodopera

frontaliera, non soltanto sono aumentati a tassi inferiori all’1%, ma inferiori anche al tasso di aumento dei posti di lavoro nei Comuni non urbani del resto del Ticino.

Non è facile dare un giudizio su questa evoluzione. Quel che è certo è che la recente affermazione del sindaco di Lugano, stando alla quale senza Lugano il Ticino sarebbe morto, non corrisponde più alla realtà delle dinamiche demografiche ed economiche che hanno fatto la loro apparizione nel corso degli ultimi anni. Estrapolando con i tassi di variazione medi del periodo succeduto all’apertura della NEAT possiamo costatare che, nel 2050, alla testa della gerarchia urbana ticinese ci saranno due centri: Lugano e Bellinzona. Lugano continuerà comunque a primeggiare ma Bellinzona la seguirà sui tacchi e potrebbe superarla prima della fine del secolo.

espresso un maggiore attivismo militare a favore di Kiev, ma le sanzioni alla Russia non le ha ancora approvate. Infine Trump è arrivato al punto, il suo punto, l’unica questione che gli interessa: il nemico è interno, è la criminalità, i migranti illegali (per lui sono sinonimi), la sinistra. «Voi non lascerete che la situazione vada fuori controllo come in passato», ha detto Trump ai militari; «le città americane diventeranno un campo di addestramento per l’esercito». Ne ha citate alcune – San Francisco, Chicago, New York, Los Angeles – ha osservato che sono luoghi insicuri e che sarà compito dei militari rimetterle a posto, «una per una».

A quel punto lo scopo della riunione è risultato chiaro: la battaglia culturale contro la sinistra si fonde con la militarizzazione dell’America, l’esercito pensato per combattere regimi e terroristi all’estero in nome della sicurez-

za collettiva, che fino all’arrivo di questo Trump coincideva con la sicurezza nazionale, diventa uno strumento per garantire l’accentramento dei poteri del presidente, assecondando le sue fissazioni. Il piano di erosione democratica che questa Amministrazione sta mettendo in pratica riguarda tutte le istituzioni: s’accanisce sul Congresso, spolpato delle sue prerogative, utilizza i tribunali per perseguire i nemici personali del presidente, spazza via la competenza nei ministeri in nome di una lotta al politicamente corretto e utilizza arbitrariamente le forze dell’ordine, mentre gli agenti dell’agenzia anti immigrati, l’Ice, sempre più pieni di fondi, s’aggirano indisturbati a fare rastrellamenti a volto coperto. E l’esercito americano, che nella sua storia è sempre stato un motore dei cambiamenti sociali del Paese, ora diventa il suo contrario: nemmeno i militari applaudono.

re una lezione, ovvero trasformare lo sdegno in un’opportunità per riprendere una riflessione sullo «stato del Paese», sui sentimenti che lo percorrono, sulla volontà o meno di affrontare riforme sempre rimandate a vantaggio di un anchilosato conservatorismo. Tre sono stati, nella storia recente, i momenti che hanno movimentato il dibattito interno: il 1991, l’anno del settecentenario della Confederazione; il 1996 con l’istituzione della Commissione Bergier per far luce sull’atteggiamento della Svizzera nei confronti del regime nazista; il 2002, con la sesta esposizione nazionale allestita dopo vari incagli intorno ai laghi neocastellani. Sono state occasioni in cui tutto il Paese ha potuto ritrovarsi non solo per celebrare i fasti di un tempo, ma anche per cercare di definire l’area di un progetto comune. Agli occhi di alcuni intellettuali era addirittura giunta l’ora di «re-inventare la Svizzera», spogliandola della panoplia che

le impediva di immaginare il futuro. Un’ambizione probabilmente velleitaria, esagerata (ma lo scriviamo con il senno di poi). Fatto sta che ogni volta si è discusso e litigato; c’è stato chi ha partecipato con entusiasmo e chi si è chiamato fuori, invitando a boicottare le iniziative ufficiali; c’è chi esigeva l’abolizione dell’esercito e chi la soppressione degli uffici federali preposti alla sorveglianza della cittadinanza (scandalo delle schedature); chi invocava riforme profonde delle istituzioni (alcune delle quali risalenti al 1848) e chi chiedeva una revisione incisiva dell’impianto federalistico; chi rimaneva aggrappato al «Sonderfall» e chi perorava un’apertura verso la Comunità europea (poi Unione). Ora siamo nuovamente a uno di questi fondamentali punti di svolta. Una nuova, imponente esposizione nazionale non è alle viste. Probabilmente nei prossimi anni si opterà per una serie di manifestazioni decentrate in

tutte e quattro le regioni linguistiche, con le città nel ruolo di forza trainante. Ma intanto bisognerà riprendere in qualche modo il filo del discorso tenendo presente i mutamenti intervenuti nel frattempo, nel nuovo mondo che la rivoluzione tecnologica sta apparecchiando perlopiù a nostra insaputa, assieme alle politiche perseguite dall’Ue e alla mutazione genetica che sta attraversando gli Stati Uniti. Un primo assaggio di una riflessione appena iniziata lo si può trovare nel libro recentemente pubblicato dalla casa editrice Hier und Jetzt di Baden: si intitola Plädoyer für eine offene Schweiz e raccoglie testi di René Rhinow, un politico liberale di lungo corso, professore universitario e già presidente della Croce Rossa. Apre il volume un dialogo tra l’autore e due interlocutori qualificati: l’imprenditrice Nadine Jürgensen e l’ex direttore della SSR Roger de Weck. «Plädoyer» è termine del linguaggio giuridico che si può rendere in italiano con arringa o appello, in questo caso con perorazione o, meglio ancora, con orazione civile. Ed è proprio questo che si propone l’autore sostenendo la causa di una «Svizzera aperta», un paese che di fronte alle sfide che l’attendono non eriga muri (materiali e mentali) alla frontiera, ma abbia il coraggio di spezzare le catene che lo tengono prigioniero, impedendogli ogni movimento riformatore, si tratti delle istituzioni, dell’amministrazione, dei rapporti con l’Unione europea e con la Nato, dell’immigrazione, della difesa nazionale, della neutralità. Le forze nazional-populiste amano celebrare il passato come una specie di eden perduto, ma non può essere questa la via da imboccare per farsi ascoltare dalla comunità internazionale. Come diceva Peter von Matt, il critico letterario e saggista scomparso lo scorso 21 aprile: «la nostra patria è la Svizzera; la patria della Svizzera è l’Europa».

di Angelo Rossi
di Orazio Martinetti
di Paola Peduzzi

CULTURA

Artisti ticinesi in mostra Alla Kromya Gallery di Lugano un prezioso e curato dialogo tra artisti del territorio

Pagina 21

Una storia umana e politica La ConsArc di Chiasso propone una doppia mostra fotografica di Fabio Tasca e Giuseppe Chietera

Pagina 23

Il fascino della sparizione Weapons non è solo un film horror, ma anche un’occasione di riflessione sulla scomparsa

Pagina 25

Una poesia silenziosa e senza tempo

Mostre ◆ Tutto il talento di Diego Giacometti al Museo d’arte dei Grigioni di Coira

Nel firmamento della storia dell’arte del XX secolo non esiste una costellazione famigliare che brilli con la stessa intensità di quella dei Giacometti. Paragonabile forse unicamente a quella dei Duchamp-Villon, la dinastia artistica dei Giacometti prende avvio con il capostipite Giovanni, figura di spicco, assieme a Cuno Amiet, delle sperimentazioni postimpressioniste in Svizzera tra Otto e Novecento. A lui si affianca ben presto il cugino di secondo grado Augusto, tra i pionieri dell’astrazione nel nostro Paese. Nei decenni successivi è invece la figura di Alberto a conquistare un posto di assoluta preminenza nel panorama dell’arte moderna sul filo di una traiettoria che partendo dall’esperienza paterna si avvicina dapprima al surrealismo per poi approdare a una personalissima forma di realismo esistenzialista.

Proprio il grande successo internazionale ottenuto da Alberto nella seconda metà del Novecento ha finito tuttavia per eclissare almeno in parte l’opera dei suoi due fratelli minori: Bruno, architetto a cui si devono, tra gli altri, il padiglione svizzero nei Giardini della Biennale di Venezia e l’Hallenstadion a Zurigo e Diego che all’ombra del più rinomato fratello ha vissuto schivo e silenzioso per oltre quarant’anni, contribuendo in modo decisivo alla produzione materiale delle sue opere.

La mostra in corso a Coira fino al 9 novembre cerca di sottrarre Diego Giacometti al cono d’ombra del fratello Alberto

Proprio a Diego, il Bündner Kunstmuseum di Coira dedica ora una mostra che cerca di sottrarlo al cono d’ombra del fratello e che soprattutto vuole affrancare la sua opera da quella minorità a cui le arti applicate sono state condannate fin dal Rinascimento rispetto alle arti cosiddette maggiori o belle. L’intento è quello di far germogliare anche tra il grande pubblico l’interesse e la considerazione di cui l’opera di Diego gode da molti decenni tra le ricche ma ristrette cerchie del collezionismo internazionale. Una considerazione che negli ultimi anni è andata crescendo in maniera esponenziale, tanto che alcuni suoi mobili battuti in asta hanno sfiorato la soglia dei dieci milioni.

Nato nel 1902, appena un anno dopo Alberto, il giovane Diego appare meno deciso riguardo al proprio destino rispetto al fratello maggiore, che negli anni della formazione lo utilizza spesso come modello per le sue opere. A differenza di Alberto, Diego non si sente travolto dall’urgenza della vocazione artistica. Dopo gli studi il suo percorso è ondivago, fatto di attività disparate e di spostamen-

La musica di Marianne A colloquio con la cantautrice Marianne Mirage, che quest’anno ha dato alle stampe il disco Teatro

Pagina 29

ti continui, che inquietano non poco i suoi genitori riguardo al suo futuro. La stabilità arriva solo sul finire degli anni Venti, quando Alberto, ormai avviato a una carriera di successo come esponente di spicco del Surrealismo, lo invita a raggiungerlo a Parigi, per affiancarlo nella produzione delle sue opere. Da quel momento Diego, diventa una sorta di alter ego del fratello. Così mentre Alberto lenisce la propria inquietudine esistenziale e nutre la propria creatività con una vita febbrile e sregolata fatta di ore piccole, di sigarette, di alcool e di caffè, Diego segue i ritmi monotoni e regolari di un impiegato che ogni giorno si reca al mattino presto in atelier per contribuire con sapiente manualità e competenza artigianale a dare concretezza agli schizzi e ai bozzetti del fratello, diventando rapidamente un maestro dei calchi in gesso e delle patine. Accanto ai lavori per Alberto, Diego inizia a realizzare anche oggetti e sculture in proprio. Tuttavia per evitare ogni confusione e per non dare l’impressione di voler approfittare della fama raggiunta dal fratello, a partire dal 1938 decide di firmare i

suoi lavori semplicemente con il proprio nome, omettendo il cognome. L’indirizzarsi della sua attività nell’ambito delle arti applicate si spiega con le numerose commissioni che Alberto riceve in quegli anni da Jean-Michel Frank, il più richiesto arredatore d’interni degli anni Trenta, per il quale realizza lampade, vasi e consoles. Le competenze tecniche acquisite e la possibilità di una maggior libertà e autonomia che lo stesso Alberto incoraggia portano così Diego a inoltrarsi sempre di più nel territorio delle arti decorative, anche perché in questo modo non è costretto a confrontarsi con l’ingombrante figura del fratello scultore. La sua produzione degli anni Trenta è però oggi difficile da ricostruire e nella maggior parte dei casi è quasi impossibile stabilire con certezza quale sia stato il suo apporto agli oggetti d’arredo realizzati da Alberto per Frank.

A liberare finalmente la vena creativa di Diego e a favorire lo sviluppo della sua produzione personale saranno paradossalmente gli anni della guerra. Recatosi a Ginevra nel 1942 per incontrare la madre, Alber-

to non potrà più rientrare in Francia in seguito alla chiusura delle frontiere. Nei tre anni in cui rimane da solo a Parigi, oltre a presidiare l’atelier del fratello, Diego, libero da compiti esecutivi, approfondisce sempre di più la propria ricerca in ambito scultoreo, concentrandosi in particolare sul mondo animale. Sono di questi anni le quattro sculture degli Uccelli realizzate per il salone dell’amico pittore Francois Gruber, mentre altri animali, tra cui una Pantera, sono al centro della sua prima esposizione personale alla Galerie Barreiro nel 1944. Nel 1945, dopo il rientro a Parigi di Alberto, Diego riprende il suo posto a fianco del fratello e il suo ruolo di factotum. Ma ormai il suo lavoro come decoratore ha cominciato a essere notato. A notarlo per primi sono stati alcuni degli amici e dei collezionisti di Alberto: Pierre Matisse, Aimé Maeght, Heinz Berggruen, Jean Cocteau, Daniel Henry Kahnweiler, Gustav Zumsteg. Sono loro ad affidargli, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la commissione di mobili e arredi per le loro raffinate abitazioni o per luoghi pubblici iconici come la se-

de della Fondazione Maeght a SaintPaul-de-Vence o il bar del ristorante Kronenhalle a Zurigo. La riscoperta della civiltà etrusca a metà degli anni Cinquanta, con la grande mostra ospitata a Zurigo, Milano e Parigi, rappresenta un momento importante per la definizione dello stile di Diego, nel quale semplicità rurale e arcaismi primitivi si mescolano per dar vita a uno linguaggio scultoreo personalissimo in perfetto equilibrio tra antichità e modernità. Percorrendo le sale del Museo di Coira, nelle quali le opere di Diego sono spesso affiancate a quelle del padre e del fratello, appare chiaro che i suoi mobili, soprattutto le sue splendide consoles dalle linee filiformi popolate di forme animali e vegetali, non sono solo pezzi di arredo, ma sono vere e proprie sculture. Sculture intrise di una poesia silenziosa e senza tempo.

Dove e quando

Diego Giacometti, Coira, Museo d’arte dei Grigioni. Fino al 9 novembre 2025. Orari: ma-do 10-17; gio 10-20; lu chiuso. kunstmuseum.gr.ch

Diego Giacometti, console «La Promenade des Amis», 1976 ca. (©Pro Litteris, Zürich)
Elio Schenini

Novità

Su prodotti Kneipp® scelti (escluse le confezioni multiple e confezioni da viaggio) per es. Roll-on all’arnica ad azione riscaldante, 50ml, 7.95

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti.
valide dal 7.10. al 20.10.2025, fino
dello stock.

L’opera d’arte come narrazione condivisa

Mostre ◆ La Kromya Art Gallery di Lugano si dedica alla scena artistica contemporanea svizzera

Se c’è un aspetto che caratterizza l’arte contemporanea in tutti i suoi molteplici esiti espressivi, questo è sicuramente la capacità di farsi veicolo di riflessione attiva. In tale ottica il significato di un’opera risiede nella sua attitudine allo stimolo e alla provocazione, in un’incalzante correlazione tra le intenzioni dell’artista, il contesto storico e la percezione dello spettatore. Mediante un linguaggio stratificato che racchiude simboli e codici differenti, le tendenze artistiche più attuali si fanno specchio della complessità della nostra epoca, lasciando che la creazione diventi uno strumento in grado di schiudersi al nostro sguardo non tanto per imporre concetti già definiti quanto per sollevare quesiti che contribuiscono alla piena manifestazione del senso stesso dell’opera.

L’arte contemporanea, intrisa delle incongruenze e dei repentini cambiamenti odierni, combina indagine estetica e ricerca speculativa attraverso lavori eterogenei il cui principio condiviso è rintracciabile proprio nella fluidità del contenuto. Microcosmi volutamente insoluti, essi cercano nell’interazione tra autore e fruitore l’edificazione di un’identità compiuta.

Questa visione dell’opera d’arte come elemento di apertura e di connessione si coglie molto bene nel-

la mostra allestita negli spazi della Kromya Art Gallery di Lugano, la prima di un ciclo di rassegne che ha l’obiettivo di documentare la ricchezza del panorama artistico contemporaneo svizzero.

I quattro artisti chiamati dal curatore Marco Franciolli a partecipare a questo appuntamento iniziale, pur nella diversità delle modalità espressive adottate, percorrono difatti la medesima traiettoria che li conduce a coinvolgere lo spettatore avvalendosi di narrazioni non lineari, capaci di pungolare spirito critico, intuizione ed empatia. Gli autori presenti a Lugano intessono così dissonanze concettuali e sensoriali, sempre alla ricerca di un rapporto inedito tra materia, segno e significato.

È ciò che accade nelle opere di Miki Tallone, artista nata a Bellinzona la cui indagine si fonda proprio sull’idea di creazione come esperienza che innesca svariate possibilità interpretative. I suoi lavori sono accenni, incipit di racconti sinestetici che spronano a misurarsi con la loro ambiguità di forma e di accezione. Suono visivo, del 2025, esemplifica bene tale pensiero: la trascrizione in braille di alcuni componimenti del poeta russo Velimir Chlebnikov attraverso la serigrafia su vetro dà vita a spazi evocativi che nel legame nitido tra luce e ombra attuano un ribalta-

mento fisico e mentale di questo codice, mostrando come ogni tipo di linguaggio possa diventare equivoco ed enigmatico. Quanto la pittura, mezzo espressivo tradizionale per eccellenza, sia ancora oggi un terreno di sperimentazione feconda, è testimoniato dalla produzione di Marco Scorti, artista luganese che vive e lavora a Gland. Il suo approccio a questa tecnica, e al genere del paesaggio in particolare, non prevede l’imitazione del dato reale, bensì una sua trasfigurazione in chiave simbolica. Le nature di Scorti divengono luoghi dell’interiorità che accolgono il sedimentarsi di ricordi, emozioni e tracce di vita. Il progetto dal titolo m.s.l.m. è costituito da grandi tele articolate in elementi modulari che vengono ridipinti a ogni mostra in dialogo con il curatore. Rielaborata per la sesta volta in occasione della rassegna luganese, quest’opera è una struttura in fieri, sempre pronta a recepire nuovi impulsi e a ridefinire le proprie coordinate compositive. Una visione metaforica della natura appartiene anche a Lisa Lurati, classe 1989, artista che attraverso la pratica scultorea e quella fotografica, nello specifico la cianotipia, antico processo da cui si ricavano manufatti nel caratteristico blu di Prussia, dà origine a forme dalle sembianze

La gravità del ritratto

primordiali che sembrano emergere da una dimensione ancestrale sospesa tra realtà e immaginazione. Nelle sue stampe su tessuto, dove reinventa liricamente dettagli naturali accostando elementi vegetali e animali a una figurazione fittizia, così come nella sua ricerca plastica, dove utilizza perlopiù materiali grezzi legati alla terra per poterne svisce-

rare le intrinseche qualità arcaiche, l’artista esplora il creato, svelandone con leggiadra sensibilità l’ermetismo conturbante.

Un’approfondita analisi sulle fonti è invece alla base del lavoro del luganese Davide Cascio, le cui opere presentano un intreccio di iconografie e simboli storici rimessi in circolazione allo scopo di creare configurazioni aggiornate al contesto attuale. Per l’artista la citazione diventa un modo per rivitalizzare il passato in un gioco di accostamenti e sovrapposizioni dalle inconsuete potenzialità espressive. Se per Cascio l’assemblaggio ha come punto di partenza il collage, egli riesce poi a sviluppare ed estendere questa prassi nella tridimensionalità della scultura e dell’installazione. Nascono così opere che, nella combinazione di frammenti diversi, ognuno con la propria precisa connotazione storica e culturale, definiscono spazi narrativi aperti al fascino della mutevolezza di senso come presupposto per generare nuovi approdi del pensiero.

Dove e quando Orizzonti 1. Kromya Art Gallery, Lugano (Via Franscini 11). Fino al 21 ottobre 2025. Orari: ma-ve 13.00-18.00, sa su appuntamento. www.kromyartgallery.com

Pubblicazioni ◆ Philippe Halsman, dal processo per parricidio alla leggerezza della Jumpology nel libro di Corrado De Rosa

Il ritratto triste, con lo sguardo dal basso verso l’alto di Albert Einstein, il corvo appoggiato al lungo sigaro in bocca a Alfred Hitchcock e una meravigliosa Audrey Hepburn davanti a due colombe, in camicia fucsia, che guarda alle sue spalle accennando un sorriso: sono immagini divenute icone del Novecento e sono opere di Philippe Halsman (1902-1979), fotografo al centro del nuovo libro di Corrado De Rosa (1975).

Ma il nodo narrativo del libro è precedente a questi felici episodi. Durante una gita in montagna nella regione del Tirolo con il padre Murdoch, medico lettone di origine ebraica, quest’ultimo cade e muore. È il settembre 1928: agli occhi delle autorità austriache, anche se le prove sono labili, il figlio Philippe è colpevole, viene accusato di parricidio e incarcerato. Non sono esenti dall’accusa motivazioni di carattere politico, in un clima e in una cultura impregnati di antisemitismo; ricordiamo che siamo a pochi anni dall’ascesa al potere di Adolf Hitler in Germania, austriaco di origine. Si tratta

di una sorta di riedizione dell’affare Dreyfus, a trent’anni di distanza, con grande clamore nelle pagine dei giornali dell’epoca: a sostegno del ragazzo si mobilitano gli intellettuali del tempo quali Sigmund Freud,

Erich Fromm e Thomas Mann. Due anni dopo il processo, Philippe Halsman esce dal carcere: innocente ma non riabilitato. Provato dall’esperienza si rifugia nella Parigi negli anni Trenta. Qui inizia la sua

carriera di fotografo, portando con sé la sua vasta cultura umanistica e tecnica – essendo anche ingegnere di formazione. Si distingue come ritrattista ma il tempo stringe, e presto dovrà fuggire di nuovo: grazie all’appoggio di Albert Einstein riesce a raggiunge gli Stati Uniti poco prima dell’occupazione tedesca della Francia.

A New York ricomincia da zero, per l’ennesima volta. Passo dopo passo costruisce una carriera di successo: il suo stile brillante e disincantato, come risposta alla durezza dei giorni della guerra, conquista le pagine dei settimanali dell’epoca. A suo attivo ci sono infatti più di cento copertine del settimanale «Life», che stampava milioni di copie e, prima della televisione, fu uno dei media più diffusi al mondo.

E qui nasce la teoria del salto, dall’inglese Jumpology: l’invito a togliere ogni formalità al ritratto commissionato attraverso un gesto gioioso e infantile, ovvero saltare. Sarà il flash della macchina fotografica a congelare l’attimo in cui i personag-

gi ritratti non saranno più a contatto con la terra, leggeri e senza peso, e spesso sorridenti. Producendo immagini senza formalità, e anche oltre le consuete pose. Tra le figure ritratte in modo così poco ortodosso troviamo Marilyn Monroe, Fred Astaire e Sofia Loren – ma anche Richard Nixon, Robert Oppenheimer e John Steinbeck. Ma il rapporto più proficuo, ed è anche l’inizio del libro, sarà con l’artista Salvador Dalì, con il quale costruirà quadri fotografici complessi e inquietanti.

Il bel libro di Corrado De Rosa, scrittore e psichiatra, con esattezza storica e una vasta documentazione alla base, immerge il lettore nelle vicende drammatiche, lontane dalla leggerezza che spesso veniva imputata alle fotografie di Halsman. Saltare è un piccolo atto rivoluzionario, e qui funge da metafora dell’atto di prendere coraggio e lanciarsi, perdendo per un attimo il contatto con il terreno.

Bibliografia

Corrado De Rosa, La teoria del salto, Minimum Fax, 2025.

Opere di Lisa Lurati alla mostra Orizzonti 1 (Court. Kromya Art Gallery Lugano e Lisa Lurati Foto: A. Maniscalco)
Particolare della copertina del libro di Corrado De Rosa
Annuncio pubblicitario

Come il moto delle maree

Letteratura ◆ Ne La finestra sul porto, romanzo più recente di Claudio Piersanti, la storia di un’esistenza come tante

Angelo Ferracuti

Come pochi scrittori Claudio Piersanti è capace di creare da sempre una lingua naturale in grado di aderire ai movimenti esistenziali dei personaggi che racconta, di rara e plastica efficacia. Una lingua «semplice», in senso letterario, che ci ricorda il solfeggio esatto di quelle di Silvio D’Arzo e Romano Bilenchi, cioè spogliata di ogni orpello o esibita acrobazia di stile. La trama non è artificiosa come quella della fiction, bensì è quella imprevedibile e caotica dell’esistenza, e la lingua di Piersanti come poche serve il racconto della vita ordinaria, della routine; essa vive nel suo farsi nostalgia per una oralità perduta, racconto ad alta voce, rivelando come pochi e con pudore quel tratto comune e zona grigia dell’universale classe media così inafferrabile e difficile da raccontare.

Claudio Piersanti è considerato uno degli autori più originali e letterari della narrativa italiana contemporanea

Come i sentimenti segreti, quelli inconfessabili, le affinità elettive muovono anche la narrazione di La finestra sul porto, dove entra in scena un altro dei personaggi di Piersanti, solitario e disilluso, pigro e malinconico, l’avvocato Roberto Clemente, legale del foro di una città di mare del centro Italia, verosimilmente Ancona. Egli commisera i suoi clienti, le storie di separazioni, eredità, «tutte le meschinità della città arrivavano sulla sua scrivania», percepisce intorno a sé «un mondo incurabile» dominato dai mediocri, un mondo che partoriva «una repulsione di massa per le persone intelligenti». Ha 40 anni e al contrario del padre perso prematuramente quarantasei giorni prima della sua nascita, che ha vissuto da protagonista gli anni della militanza politica dalla parte degli anarchici, invaghito del pensiero di Bakunin, non crede più a niente: «Tra tutte le illusioni del mondo la più patetica gli sembrava quella di chi credeva di cambiarlo». Pensa con spietato cinismo che «i poveri erano orribili come i ricchi, soltanto meno furbi. Se solo avessero potuto si sarebbero trasformati volentieri in pescecani anche loro». Dello Stato addirittura è certo che fosse «un baraccone, un’enorme associazione per delinquere». Come in molti romanzi dello scrittore di Luisa e il silenzio, della raccolta di racconti L’amore degli adulti e dell’ultimo Quel maledetto Vronskij, finalista al Premio Strega 2021, una delle voci più originali e letterarie della narrativa italiana contemporanea, è il narratore onnisciente e personaggio centrale che in un libro scritto in terza

Un dramma sfiorato

Mostre ◆ Luoghi che raccontano una storia umana e politica alla ConsArc di Chiasso

Giovanni Medolago

persona muove i piccoli, labili eventi della storia, portandoci nei misteri di vite ordinarie, nelle loro meccaniche esistenziali e morali, quella che in un passo del libro l’autore definisce «l’arte del segreto». Sono moventi minimi, piccole avvisaglie che, come nei movimenti tellurici, preludono a uno svelamento. Nei libri di Piersanti, però, grazie all’arte del racconto quegli eventi ordinari diventano memorabili, e ci riguardano. Quando il romanzo inizia la vita solitaria di Roberto pendolareggia tra il risiedere in una casa in centro e la vecchia dimora di famiglia che si affaccia sul mare dove ha vissuto da ragazzo, dove «si riposava e si sentiva irraggiungibile». Egli ha da poco chiuso una storia sentimentale con Giovanna, «una donna in gamba, ma eravamo troppo diversi». Poi un invito a cena compie un vero e proprio deragliamento di prospettiva, aprendo all’imprevedibile. L’invito arriva da Maria, una archeologa posseduta dalla storia dell’arte e da Piero, compagno di scuola e amico di tutta la vita di Roberto, ex attore frustrato e rancoroso, operatore culturale vittima del proprio cattivo carattere ma anche dai meccanismi clientelari e perversi della provincia italiana. Come ne Le affinità elettive di Goethe, di cui il romanzo di Piersanti potrebbe essere la versione contemporanea, a un certo punto della serata Roberto si dichiara e con Maria nei giorni successivi nasce miracolosamente un amore che scombina i piani, un sentimento – quello sì,

davvero rivoluzionario – che travolge completamente non solo i due protagonisti, ma anche Piero in un triangolo di sentimenti umani e troppo umani che toccano in profondità i rimorsi, i sensi di colpa, gli atti mancati, ma soprattutto le corde sensibili delle passioni.

Per certi aspetti il suo romanzo potrebbe essere la versione contemporanea de Le affinità elettive di Goethe

Piersanti è forse lo scrittore italiano contemporaneo che meglio sa raccontare i sentimenti amorosi, i movimenti simbiotici dei corpi, quell’armonia che sposa l’incanto della bellezza come nel disegno di copertina di Lorenzo Mattotti, «un’onda di energia, come un dono insperato, un miracolo», così il protagonista del libro immagina quei momenti. Un fatto tragico, doloroso irromperà all’improvviso nella vita di Roberto e Maria, un altro evento felice gli farà da controcanto, perché gli accadimenti di ogni vita si accavallano, arrivano a volte a spazzare via tutto ciò che di certo e apparentemente immutabile c’era prima. Perché, ci dice questo libro, la forza dell’amore è inspiegabile, come il moto segreto delle maree.

Bibliografia

Claudio Piersanti, La finestra sul porto, Milano, Feltrinelli, 2025.

È un filo lungo ormai 149 esposizioni quello che la ConsArc (Conservazione&Archivio) di Chiasso – una delle poche gallerie della Svizzera italiana dedicate esclusivamente alla fotografia – cominciò a dipanare nel lontano giugno del 1990, ospitando un grande nome della grafica elvetica e internazionale come Max Huber, il quale per l’occasione mise a disposizione il suo talento – e il proprio archivio – di fotografo. I coniugi Daniela e Guido Giudici, lasciato un tranquillo lavoro in un istituto bancario, si buttarono coraggiosamente in un’avventura cultural/commerciale scegliendo subito la «fine art» fotografica piuttosto che il fotogiornalismo e le immagini per così dire classiche (e più volte viste e riviste). «Volevo diventare fotografo, ma mi resi subito conto che fosse meglio dirottarmi sul mestiere di gallerista!», confessa Guido; il quale, dopo la prematura scomparsa della moglie Daniela nel gennaio 2024, ha ri/preso da solo il testimone della ConsArc. Fedele allo spirito originario della Galleria, e cioè quello di presentare una «fotografia altra», propone adesso il lavoro di una coppia di artisti. Fabio Tasca, classe 1965, laureato in filologia slava, il quale svolge la propria professione di traduttore e fotografo a Como; e Giuseppe Chietera, diplomato all’istituto R. Bauer di Milano, nato a Schmerikon (Canton San Gallo) nel 1966 e oramai locarnese d’adozione. Soliti a lavorare autonomamente, dopo però aver scelto insieme un argomento sul quale riflettere, eccoli proporci un’expo dal titolo criptico: F-1386 /N 1387. Era l’intestazione di due treni di cui il primo, per decenni, ha portato in Svizzera, Germania o Belgio migliaia di emigranti dall’estremo sud d’Italia. Il secondo era invece quello che riportava verso il Meridione i cosiddetti Gastarbaiter Vocabolo in apparenza gentile (letteralmente: «ospiti lavoratori»), dietro il quale tuttavia si nascondeva un marcato razzismo. Dopo aver già

subìto per anni l’oltraggio dello Statuto dello stagionale (che permetteva agli emigranti italiani di venire a lavorare in Svizzera, ma solo per nove mesi consecutivi, e per di più senza moglie e/o figli), oltre 300mila Gastarbeiter vissero l’angoscia di dover lasciare la Svizzera a causa dell’iniziativa anti-inforestierimento di James Schwarzenbach, che fu poi respinta il sei giugno del 1970 per un soffio (52 a 48, con una partecipazione record del 76%); il clima, tuttavia, per loro si fece pesante.

Tasca con la sua Hassenblad e Chietera con una Polaroïd («non professionale», ci tiene a precisare) rievocano quei momenti terribili e, attraverso i loro scatti, immaginano il nostro Paese senza più operai stranieri.

Le loro foto catturano la solitudine, le speranze e le difficoltà di un’epoca in cui l’emigrazione nasceva da una necessità, non una scelta. Capannoni industriali abbandonati, saracinesche abbassate davanti a parecchi negozi, legni e mattoni dimenticati ai piedi di un palazzo in costruzione; in assenza di giardinieri erbacce altissime di fronte agli edifici già portati a tetto. Nessuna presenza umana, nemmeno un volto, nelle opere presentate a Chiasso: un invito a riflettere sul dramma di quelle persone che si voleva semplicemente espellere in 24 o 48 ore. La mostra rappresenta dunque un’occasione importante, trasformando la fotografia (e di conseguenza la storia in essa contenuta) in magistra vitae, come già ammoniva il vecchio e saggio Cicerone, troppe volte rimasto inascoltato.

Dove e quando F-1386 N-1387, Fabio Tasca (I) – Giuseppe Chietera (CH), Chiasso, ConsArc. Orari: me-gio-ve 10-12 / 15-18; sa su appuntamento. Fino al 16 novembre 2025. galleriaconsarc.ch

Immagine di copertina a opera di Lorenzo Mattotti.
Fabio Tasca, Lizzano (TA – I) #06

Il mini yogurt riducente il colesterolo.

da 12

Tutti i prodotti Emmi Benecol p. es. Benecol Fragola, 12 × 65 ml, Benecol lampone, 12 × 65 ml, Benecol mirtillo, 12 × 65 ml, 9.20 invece di 11.50

Incorreggibile

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti.
valide dal 7.10 al 13.10.2025, fino a esaurimento dello stock.
Tutti i prodotti Ragusa in multipack Ad es. Ragusa Classique, 3x100g 7.40 invece di 9.30

L’arte di far sparire i personaggi

Trame ◆ Da Picnic a Hanging Rock al nuovo film di Zach Cregger, una breve genealogia di storie dove i personaggi sembrano letteralmente svanire nel nulla, come suggerisce un romanzo di Tom Perrotta

Nel XVIII secolo, il chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier pronunciò la formula secondo cui nulla si crea e nulla si distrugge, esprimendo il principio fondamentale della conservazione della massa. L’intuizione di Lavoisier ha delle ricadute pratiche tali che, ancora oggi, non riuscendo a ricordare dove abbiamo lasciato un oggetto, ci capita di pensare che quell’oggetto debba pur essere da qualche parte, che non possa essere semplicemente sparito. Il principio di conservazione della massa ci orienta anche quando, leggendo un libro o guardando un film, ci imbattiamo nella scomparsa di qualche personaggio. Tanto più enigmatica sarà la sparizione, quanto più naturale sarà appellarsi al principio di Lavoisier. Weapons (2025), per esempio, recente lungometraggio scritto e diretto da Zach Cregger, già regista di Barbarian (2022) e co-produttore di Companion (2025), è interamente costruito attorno alla sparizione improvvisa di un gruppo di alunni, e instilla una tensione narrativa tale da dettare i ritmi e i contenuti dell’intera vicenda. Brillantemente girato ed esteticamente pregevole, Weapons (visibile su diverse piattaforme fra cui anche Apple TV, Amazon Video, Mediaset Infinity, e YouTube) si inserisce in una genealogia di storie che si fondano sull’idea secondo la quale, quando i personaggi spariscono, i lettori e gli spettatori si aspettano di ritrovarli. Autore e regista, allora, devono essere bravi a gestire questo inevitabile fardello di attese.

Nei libri e nei film, quando qualcuno scompare, nulla si crea o si distrugge, ma a trasformarsi è soprattutto la vita degli altri

Diverso è il caso di quelle telenovelas o sceneggiati televisivi che possono andare avanti per anni, ed è quindi inevitabile che ci siano dei personaggi che escono dalla storia e altri che vi entrano per la prima volta. In questi casi non si tratta tanto di una sparizione, ma di una vera e propria uscita di scena. A volte un personaggio esaurisce la sua funzione, diventa inutile, ingombrante, e allora si trova un modo per evacuarlo dalla narrazione. Ciò si verifica anche quando un attore o un’attrice non è più in grado, o non vuole più, interpretare un ruolo. In quei casi si sostituisce l’interprete mantenendo il personaggio, oppure si ammortizza la perdita ricorrendo a un espediente narrativo: il personaggio in questione ha cambiato vita e si è trasferito in un altro Paese, è tornato in patria a soccorrere una madre bisognosa o, più drasticamente, ha avuto un incidente ed è venuto a mancare. La storia della televisione moderna ci insegna, poi, che a volte anche il pubblico ci mette lo zampino. Nell’era dei reality show, l’indice di gradimento diventa il criterio per decidere chi esce e chi rimane.

Nei casi riportati sopra, l’uscita di scena corrisponde all’uscita dalla narrazione come sistema. Il principio di Lavoisier, tuttavia, si applica principalmente a dei sistemi chiusi, quando il personaggio non sparisce dalla storia, ma all’interno della storia. Allora la scomparsa è una faccenda dannatamente seria, che non si riduce a un imbarazzante buco da ricucire, a un

banale incidente di percorso, o a un motivo di godimento da parte di telespettatori narcotizzati. Un esempio recente in cui la sparizione improvvisa e misteriosa di alcuni personaggi determina l’intera trama è, come detto, Weapons (2025) di Zach Cregger. Il film si apre con la voce narrante di un bambino che ci racconta che due anni prima a Maybrook, una piccola comunità della Pennsylvania, in un giorno imprecisato gli allievi di una classe elementare si svegliano alle 2.17 del mattino e lasciano le loro abitazioni. Poi corrono, senza un motivo apparente, in linea retta e con le braccia aperte, e spariscono nel nulla. La mattina seguente, quando la maestra entra in classe, vede solo banchi vuoti, e attonita scopre che diciassette dei suoi diciotto alunni sono assenti. La comunità locale e le forze dell’ordine non hanno alcuna idea di cosa sia successo o di dove siano finiti gli alunni. L’unico indizio di cui dispongono sono le registrazioni di telecamere di sorveglianza installate in alcune case che mostrano l’allontanamento dei bambini: registrazioni che rimandano alla scena iniziale, dove la voce narrante del bambino è abbinata alle immagini, esteticamente pregevoli e inquietanti al tempo stesso, dei bambini che corrono con le braccia aperte. Per quanto Weapons sia decisamente sopra la media in fatto di eleganza e originalità, tanto nella trama che nello stile, l’idea della scomparsa improvvisa di un gruppo di alunni in circostanze misteriose trova un importante antecedente nel romanzo Picnic at Hanging Rock della scrittrice australiana Joan Lindsey, pubblicato nel 1967 e poi trasposto al cinema nel 1975 da Peter Weir, allora astro nascente del cinema australiano. Qui la vicenda è incentrata attorno a un gruppo di studentesse australiane dell’Appleyard College, un college femminile rinomato, che svaniscono a Hanging Rock durante un picnic il giorno di San Valentino.

Sia in Weapons sia in Picnic a Hanging Rock la sparizione è collocata all’inizio della vicenda, e provoca effetti scompaginanti che si ripercuotono tanto sulla scuola quanto sulla comunità locale. Lo stesso schema, ma con alcune varianti, si ritrova anche in The Leftovers (Svaniti nel nulla, Edizioni e/o, 2012), romanzo del 2011 firmato dal talentuoso scrittore americano Tom Perrotta. Anche nel romanzo

di Perrotta – trasformato, fra il 2014 e il 2017, in serie televisiva da HBO –, la sparizione è avvolta da un alone di mistero assoluto ma, differentemente da Weapons e Picnic a Hanging Rock, in Svaniti nel nulla il fenomeno non coinvolge solo una scolaresca, ma colpisce addirittura su scala globale. Inoltre, come suo solito Perrotta pre-

dilige la comicità brillante mentre, negli altri due casi, a prevalere sono di gran lunga le atmosfere inquietanti intrise di soprannaturale. Per concludere, due precisazioni.

La prima è che letteratura e il cinema, per buona pace di Lavoisier, spesso e volentieri trascendono il realismo convenzionale, e quindi non bisogna

stupirsi se i personaggi che spariscono non sempre poi ricompaiono. La seconda è che il chimico francese non si limitò a dire che nulla si crea e nulla si distrugge, ma aggiunse che tutto si trasforma. Nei libri, nei film, ma anche nella vita, quando qualcuno scompare a essere trasformata è soprattutto la vita degli altri.

La locandina del film Weapons di Zach Cregger.
Annuncio pubblicitario

ATTUALITÀ

«Vogliamo rendere tutto più semplice»

La Migros fa ordine nel segmento delle marche proprie. Il responsabile del marketing Rémy Müller spiega perché alla fine tutti trarranno vantaggio da questa nuova semplificazione

Testo: Kian Ramezani Immagini: Julius Hatt

Rémy Müller, cosa caratterizza una buona marca?

Le marche promettono le massime prestazioni, ma ciò comporta anche un prezzo maggiore. In generale, una marca può definirsi buona se la clientela crede a questa promessa ed è quindi effettivamente disposta a pagare di più.

Questo vale anche per le marche proprie della Migros? Non proprio: anche queste sono sinonimo di massime prestazioni, ma a un prezzo decisamente inferiore. Tuttavia, abbiamo riscontrato che non tutte le nostre marche mantengono questa promessa allo stesso modo. La Migros ha quindi iniziato a riorganizzare l’assortimento e a eliminare 80 delle sue circa 250 marche proprie.

Sembra una cifra molto elevata

Sono convinto che anche i clienti Migros più fedeli non riuscirebbero a elencare 50 delle nostre marche proprie. Probabilmente tutti conoscono Frey, Farmer e Blévita, e queste marche ovviamente rimarranno. Chi, invece, ha mai sentito parlare di «Oh!», la nostra marca ad alto contenuto proteico? Chi compra la ricotta o uno shampoo e si rende conto che sono della marca «M-Classic»? Tutto ciò è ormai superfluo. Proprio per questo motivo, da adesso questi prodotti riportano semplicemente la dicitura «Migros». Così risparmiamo denaro che possiamo investire nella qualità dei nostri articoli. Ogni marca in più comporta costi aggiuntivi, perché deve essere gestita, pubblicizzata e rivista periodicamente.

Cosa rappresenta la marca propria Migros?

La percezione della marca propria Migros va presumibilmente al di là della mera marca, si tratta più di una garanzia di qualità. Ed è per questo che funziona bene anche per il caffè, lo shampoo e lo yogurt. Ci dà la libertà di sviluppare il packaging

migliore e più accattivante per ognuno di questi prodotti. Nel caso della carne, ciò significa che sotto la pellicola trasparente si vede principalmente solo la fettina, con una piccola etichetta bianca. Nulla deve attirare l’attenzione se non il prodotto stesso, e il logo Migros è subito riconoscibile da tutti.

Quanto di questa trasformazione si vede già quando si fa la spesa alla Migros?

Alcuni prodotti sono già stati convertiti, ad esempio le olive in vaso. Poi seguiranno le bevande e le conserve. Quest’anno convertiremo migliaia di prodotti. Gli imballaggi precedenti rimarranno in vendita ancora per un po’, soprattutto per gli articoli con una maggiore conservabilità, perché sono già stati prodotti e non vogliamo produrre inutili rifiuti. Un tale cambiamento è molto complesso e richiede tempo. Probabilmente ci vorranno circa due anni prima che l’ultima delle «vecchie» confezioni sparisca dagli scaffali.

Tuttavia, cosa dire ai clienti che sentono la mancanza delle «loro» marche?

Siamo ben consapevoli che ogni cambiamento significa anche abituarsi a qualcosa di nuovo e che, inizialmente, questo può tradursi in un’esperienza di acquisto più complicata. Per questo motivo stiamo sostenendo da vicino i nostri clienti durante questa trasformazione. I prodotti più venduti, la cui nuova confezione è molto diversa da quella precedente, sono contrassegnati da un adesivo corrispondente. Indichiamo chiaramente che si tratta di un cambio di packaging, il contenuto rimane invariato, così come il prezzo. In alcuni casi miglioriamo addirittura la qualità, ad esempio riducendo il contenuto di zucchero.

Come si andrà avanti per quanto riguarda la marca «M-Budget»?

Trasferiremo molti prodotti della linea M-Budget alla nuova marca

Nuovo abito, contenuto collaudato

Una selezione di prodotti a marchio proprio nel vecchio e nel nuovo look

Olive in vaso

Una foto delle olive non serve sull’etichetta, dato che si vedono già nel vaso

Olive verdi Migros 170 g Fr. –.90

Citro La cosa più importante per una buon citro? L’etichetta lo mostra subito: aroma di limone e bollicine

Citro Migros 1,5 l Fr. –.50

Prima
Nuovo
Nuovo
Prima

ATTUALITÀ

«Restiamo al fianco della nostra clientela durante questa fase di cambiamento»

Lamate Migros

La nuova stella nel cielo delle bevande Migros: Lamate, l’Energy Drink a base di mate

Lamate Migros 330 ml Fr. 1.–

Migros. Per me il sapone liquido per le mani è un buon esempio: difficilmente qualcuno lo comprerebbe e lo metterebbe in bella vista nel bagno di casa perché la confezione ci fa subito pensare che qualcuno stia scendendo a compromessi. Il sapone è tuttavia ottimo, quindi, modificandone la confezione, riusciamo a trasmettere meglio proprio questa idea di qualità. Lo stesso vale per la maionese, che grazie al suo nuovo design può essere messa in tavola anche quando si hanno ospiti. O le patatine alla festa di compleanno dei bambini. Ciò che resta invariato è il prezzo basso.

Insomma, il prezzo e il contenuto non cambiano. Cos’altro ottiene il cliente da questa trasformazione? Vogliamo rendere tutto più semplice. Per noi della Migros e soprattut-

to per i nostri clienti: attraverso un migliore orientamento sugli scaffali e una maggiore chiarezza in merito alle confezioni. Allo stesso tempo, stiamo rivedendo i nostri assortimenti di prodotti e smaltendo numerosi doppioni. In linea di massima, fare la spesa alla Migros sarà molto più intuitivo: un vantaggio non indifferente viste le decine di migliaia di prodotti disponibili.

Personalmente, qual è il nuovo prodotto che le piace di più? Mi piace molto la nuova maionese che arriverà sugli scaffali tra qualche settimana. Trovo che anche il nuovo tè mate «Lamate» sia davvero ben riuscito. Ciò che mi piace ancora di più dei singoli prodotti è il risultato complessivo: il miglior assortimento per la nostra clientela con prodotti che, grazie al nuovo packaging, riflettono tutto il nostro orgoglio.

Nuovo
Rémy Müller (43) dirige la direzione Marketing & Comunicazione presso Migros.

Prodotti per la cura del viso e corpo in azione

Musica e silenzio secondo Marianne Mirage

Incontri ◆ A colloquio con la cantautrice italiana, di cui è appena uscito il disco Teatro

Quando la raggiungo nel giardino interno di un grazioso caffè di Milano, Marianne Mirage (all’anagrafe Giovanna Gardelli, classe 1989) sta prendendo appunti su un quadernetto elegante che porta sempre con sé. Mi mostra le sue pagine, piene di parole e disegni. E mi spiega che questo è il modo che utilizza per coltivare il ricordo del passato. Nel suo passato, Marianne Mirage di cose belle ne ha collezionate parecchie. Naturalmente naïf ed elegante, è una cantautrice che ha già conquistato il cuore di molti, a partire dalla sua partecipazione tra le Nuove Proposte del Festival di Sanremo 2017 con Le Canzoni fanno male. Grazie a quell’esperienza le sono arrivate molte occasioni speciali, che – in alcuni casi – le hanno permesso di unire il suo amore per la musica a quello per il cinema. Un esempio? Paolo Genovese le ha affidato la scrittura della canzone The Place per l’omonimo film, che le è valsa una candidatura ai David di Donatello come «Migliore Canzone Originale» e la vittoria di un Nastro d’Argento nella stessa categoria.

Il suo ultimo singolo, invece, è Il Campo: la fotografia dolcissima di una vita e di persone semplici. Come ci ha raccontato, è dedicato ad Anna, «la signora che vive vicino alla mia casa di nascita».

Come l’ha presa?

Si è quasi vergognata: per lei era troppo. Non è abituata a stare sotto i riflettori. Anzi… Si sveglia alle quattro, quando inizia a fare i suoi lavori.

Quando le dico «Domattina passo a salutarti» si mette a ridere perché per me vuol dire arrivare alle 13».

Scrive da sempre sui suoi diari?

Quando avevo dieci anni mio padre mi ha detto: «Scriviti tutto perché la mente non ha ricordi». Mi aveva sconvolto. «Ma come? Non avremo più niente?». E quindi ho iniziato a scrivermi tutto: cosa penso, dove sono, cosa faccio...

È anche insegnante di arti olistiche…

Questa parte di me fa sì che io sia la persona che sono oggi. Nel silenzio c’è musica e la musica può creare silenzio. La meditazione e la musica vanno nello stesso punto, dove si sospendono tutte le attività e finalmente ti centri dentro te stesso. Quando lo fai trovi gli altri. Ho iniziato a praticare yoga tredici anni fa, perché stavo vivendo un lutto. Stare sul tappetino mi ha ancorato: mi ha fatto vivere nel presente.

Il suo primo ricordo legato alla musica?

Grazie a mio padre. Lui dipingeva nel suo laboratorio e teneva la porta

Grandepotere

socchiusa. Ascoltava il jazz. Io volevo entrare lì dentro e vedere cosa succedeva, così spiavo e vedevo che prendeva i pennelli, che colorava. E intanto sentivo questa voce maestosa dietro. Lì ho scoperto la magia della musica e da allora ho sempre sentito la sacralità della musica.

Che adolescenza ha passato in Romagna? Tormentata. Sono cresciuta con i Nirvana. Quindi ho unito il lato jazz di Billie Holiday alla veracità di Kurt Cobain, leggendomi i suoi diari. Poi ho letto Bob Dylan e Il giovane Holden, che viaggiava e si metteva nei casini… Ho voluto farlo anch’io.

E cos’ha fatto?

A 16 anni sono andata in Irlanda da sola. Dormivo su divani e suonavo per strada facendo la busker. Non volevo che mi prendesse la noia della

Marianne Mirage è nata a Cesena nel 1989. (Michele Rossetti)

provincia. Così sono andata a Berlino, Londra e Parigi. Fino a quando i miei genitori non sono venuti a prendermi: «Adesso basta. Ti devi prendere una laurea». Così ho fatto Lettere e filosofia a Bologna.

Il momento più bello della sua carriera?

Quando Patti Smith (a cui ha aperto le date italiane del tour nel 2017, ndr) mi ha chiesto di salire con lei sul palco a cantare People Have The Power. Lei è una donna che trasforma; spero di imparare da lei quest’arte.

Il suo quarto disco Teatro è molto evocativo. Cosa vi ha inserito di sé?

Tutto. Ero totalmente immersa. Quando scrivi un disco cambia tutto e cambi anche tu, come un dipinto che prende forma. Volevo che attingesse più all’inconscio che alla realtà, così come un diamante. La mia ami-

ca esperta di cristalloterapia considera Teatro come l’ossidiana: una pietra vulcanica, nera, lucidissima. Ti trascina alla terra e ti spara nel cielo, come se connettesse cielo e terra. I cristalli parlano all’inconscio: non parlano alla realtà. E anche il mio disco lo fa.

Cosa la commuove?

Tutto. In questo mi sento molto simile a Monica Vitti quando passa dal tragico al comico in quattro secondi. In più io nasco come attrice: penso che mi abbia molto provato il corso d’attrice (al Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano, ndr). Per uscire ed entrare dalle storie devi essere capace a piangere in trenta secondi. Ma per farlo devi subito connetterti con l’emozione più grande che hai dentro. Io sono sempre lì, vicina a una crisi di pianto.

Nel suo ultimo disco c’è l’emozionante La canzone del vampiro. Di cosa parla?

Io sono figlia di un padre molto più grande. Ora non sono più la figlia accudita ma la figlia che accudisce. Quindi questa canzone è una ninna nanna al contrario: anziché farmela cantare, sono io che la canto a lui. Canto la gratitudine per la presenza di un padre. E parlo dell’ultimo momento in cui ci si saluta e ci si dice: «Ti ho voluto bene. Se dovesse essere l’ultimo giorno, sono felice di passarlo con te».

Annuncio pubblicitario

TEMPO LIBERO

Un cerbiatto e un elfo per giocare

Un simpatico lavoretto per realizzare due buffi animali che in modo divertente sapranno stimolare la sensorialità di bambine e bambini

Un turismo per ogni stagione

Nel mondo del turismo prendono piede nuove abitudini, non ci si muove più solamente in alta stagione, con evidenti vantaggi per tutte le parti coinvolte

Il «Bèrgom» e la croce del Pettine

Itinerario ◆ L’escursione in terra leventinese di un viandante curioso della storia dei segni di fede e non solo

All’alba, il minuscolo nucleo di Sompréi è ancora immerso nel silenzio. Non si vede anima viva, solo un impalpabile filo di fumo esce da un comignolo a indicare che qualcuno vi ha passato la notte. Immagino che, quel qualcuno, se ne stia lì dietro una finestra con una tazza di caffè caldo in mano a osservare l’ignaro viandante, il quale, messosi lo zaino in spalla, s’incammina lungo il sentiero che sale verso l’alpe di Chièra. Muovo i primi passi nell’erba umida. Sono passi morbidi, quasi timidi, come se non volessi intaccare la quiete del luogo. Ma in realtà cammino sempre così, in montagna, con lentezza, assaporando tutto ciò che mi offre la natura, la sua intima bellezza, i vasti orizzonti, l’incontro inaspettato con un animale, che, fiducioso, si allontana senza fretta, oppure scompare come un lampo nella boscaglia. Amo della montagna la vastità e la potenza dei suoi paesaggi, la smisurata dimensione del silenzio, divenuto al piano ormai merce rara, e l’aria frizzante, che a ogni respiro sembra pulirti l’anima. Il sentiero si lascia alle spalle i tetti di Somprei e sale sui prati macchiati da una rada vegetazione. Addossata a una roccia, una cappella che non ha niente di antico, fatta erigere da privati nel 1993, custodisce dietro un’inferriata, che la protegge, la statua lignea di una Madonna con bambino opera di Raffaello Calgari.

Poco più su, inizia un bosco odoroso di resina, che mi accompagna senza fatica al vasto pianoro dell’alpe di Chièra. Un lungo edificio dal tetto in lamiera sbuca al margine dei pascoli. È circondato da muretti a secco un po’

sbilenchi, che delimitano piccoli prati ricoperti da spessi tappeti di romice alpino, i lavàzz, l’immancabile malerba, verde e coriacea, che affolla con la sua ostinata vitalità gli spazi attorno alle stalle, nutrita generosamente dal concime lasciato dalle bestie in alpeggio.

Faido e la sua Belle Époque

Gli anni a cavallo di Otto e Novecento rappresentano per Faido la Belle Époque, che vede lo sviluppo di un promettente turismo alpino, destinato però a durare lo spazio di poche estati. Nel 1824 viene aperto il primo hotel, quello dell’Angelo, che accoglie i ricchi viaggiatori, che percorrono la Via delle Genti. È un timido inizio, perché la clientela è di passaggio, pernotta nel villaggio leventinese e riparte l’indomani per il sud o per il nord. Mentre sulle sponde dei laghi di Lugano e di Locarno, sono già cominciati a fiorire ville e hotel, sarà solo con l’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, nel 1882, che il cuore delle montagne si aprirà davvero al mondo.

Per Faido inizia l’epoca d’oro. Da semplice luogo di passaggio per viandanti e mercanti, diventa una «stazione climatica» molto ambita dai villeggianti in cerca di frescura, paesaggi naturali e tranquillità.

A frequentarla è soprattutto la borghesia milanese. Bastano infatti cinque ore da Milano per trovarsi immersi nell’aria fine della Leventina, dove le giornate scorrono tra passeggiate, serate in musica e respiri profondi e tonificanti. E dove si parla italiano. Uno dopo l’altro nascono gli alberghi, l’Hotel Faido nel 1882, l’Hotel Pension Faido due anni dopo, l’Hotel Pension Fransioli nel 1886, l’Hotel Milano nel 1904, piccoli gioielli architettonici sbocciati come fiori d’alta quota attorno alla stazione – edificata stranamente proprio lì, lontana dal paese, come se i binari (o, meglio, qualche intraprendente imprenditore) sapessero già dove il futuro avrebbe preso casa.

La borghesia milanese arriva in treno e porta con sé famiglia, bauli e personale di servizio. Ogni estate, Faido si riempie di gentiluomini ben vestiti, di bambini in corsa tra i prati, di signore che leggono romanzi all’ombra e di conversazioni intorno a una tavola im-

L’alpe di Chièra, oggi proprietà della Degagna generale di Osco 1), era sfruttato nei secoli passati come pascolo per le bestie da soma, con cui le comunità leventinesi assicuravano il trasporto delle merci sull’asse del San Gottardo.

Come a voler evocare la memoria antica di quell’attività così importante per l’economia della valle, un paio di cavalli pascolano tranquilli accanto al sentiero, indifferenti al mio passaggio. Da una fontana zampilla acqua chiara e gelida: ne bevo un sorso, grato per il fresco regalo. In altre stagioni l’avevo trovata vuota, muta, con quella tristezza discreta delle cose dimenticate. Mi era rimasta appiccicata addosso, allora, una malinconia leggera, che solo la grandiosità del paesaggio era riuscita piano piano a sciogliere.

bandita. L’aria pulita, il silenzio dei boschi, il ritmo lento della villeggiatura: tutto sembra fatto apposta per guarire l’anima e alleggerire il cuore.

Nel 1889, Faido è il primo comune ticinese a dotarsi di luce elettrica, grazie a una centrale (la prima del Cantone) costruita proprio per favorire il settore turistico, ormai linfa vitale per l’economia dell’intera valle, e rendere più piacevole il soggiorno ai suoi ospiti.

Nel 1913 si contano oltre 300 posti letto in albergo e quasi 500 in case e appartamenti di vacanza.

La «stazione climatica» leventinese diventa il terzo polo turistico del Canton Ticino, dopo Lugano e Locarno. E con Airolo raggiunge la cifra straordinaria di 20/25’000 pernottamenti all’anno. Un piccolo regno dell’aria buona, incastonato tra le montagne, dove si sogna in grande.

Ma poi, come accade ai sogni più belli, anche questo si infrange.

Arrivano gli anni duri: la crisi ban-

caria ticinese del 1914, con il crollo delle due grandi istituzioni finanziarie – il Credito Ticinese e la Banca Cantonale – e la Prima guerra mondiale. La presenza di numerosi alberghi, se poteva andar bene al momento del boom turistico, non può reggere all’arrivo di un periodo di crisi.

La clientela sparisce con la guerra e non torna dopo il conflitto. I borghesi lombardi se ne vanno verso le nuove strutture ricettive nate nel Trentino-Alto Adige, territorio recentemente annesso all’Italia.

Le camere rimangono vuote, i saloni si fanno silenziosi, le luci si spengono adagio, una dopo l’altra.

L’Albergo dell’Angelo e l’Hotel Pension Suisse non riescono a superare il calo di clientela e chiudono già durante la guerra. Nel 1932, stessa sorte per l’Hotel Pension Faido, che termina l’attività dopo la morte dei proprietari. La struttura viene donata all’Associazione culla di San

Marco e diventa casa per bambini abbandonati e ragazze-madri. L’Hotel Milano, dopo varie ristrutturazioni, chiude i battenti negli anni 80 del secolo scorso.

Solo l’Hotel Pension Fransioli, diventato Hotel Faido, riesce a traghettare la sua storia fino ai giorni nostri. Oggi, camminando per le vie del paese, si possono ancora scorgere le tracce di quel passato elegante: vecchi edifici liberty, un’insegna scolorita, una terrazza che guarda verso la valle come chi aspetta ancora il ritorno di un ospite. E allora si capisce che la Belle Époque non è svanita del tutto. Vive nei muri, nei ricordi, nei racconti. E in libri come quello di Ludovico Zappa –da cui traggo queste notizie – che con cura e passione ha riportato alla luce un capitolo prezioso della nostra storia (Ludovico Zappa, «Faido nella Belle Époque. Storia dimenticata della stazione climatica leventinese», Fontana Edizioni, 2022).

Illustrazione del percorso descritto. (Romano Venziani)
Romano Venziani, testo e foto
Pagina 35
Pagina 33

L’alpe di Chièra giace su un vasto terrazzo glaciale, da cui si gode uno straordinario panorama delle montagne leventinesi. Al di là della valle, il massiccio del Campo Tencia, con la cima omonima, che veglia dall’alto sui miseri resti del suo ghiacciaio, il Pizzo Penca, il Poncione dei Laghetti e il Pizzo Croslina. Un po’ più su, la conca in cui si nasconde il lago del Tremorgio, con, alle spalle, il Pizzo del Prévat e il Pizzo Meda, immobili custodi del Passo Campolungo, riconoscibile per quel suo sinuoso e candido affioramento di marmi dolomitici, che raccontano la storia geologica di quest’angolo di catena alpina. Da lì passava, nei primi anni Cinquanta, la lunga teleferica, che traghettava dalla Leventina all’alta Lavizzara il materiale da costruzione per la diga del Sambuco. Un’opera ardita, che ha ispirato ai nostri giorni il progetto di un collegamento turistico tra Ambrì e Fusio. Una funivia rimasta, per ora, nel cassetto colmo di quelle idee che forse non vedranno mai la luce.

Basta uno sguardo per rendersi conto che l’ampio terrazzo che sto attraversando è un ambiente eccezionale e unico nel suo genere, incluso a giusto titolo in vari inventari cantonali e federali. Oltre i pascoli dell’alpe si estende infatti una vasta brughiera ricoperta da una vegetazione inconsueta, in cui convivono, su un tappeto di mirtilli, ginepri e rododendri, il pino silvestre e il contorto pino mugo, abituato a sfidare il vento restando abbracciato alla montagna. L’assortimento di essenze ha colonizzato la distesa di rocce montonate che formano il pianoro, spesso celandone la singolare morfologia, fatta di anfratti scavati nei millenni dal lavorìo del ghiacciaio. L’acqua raccolta nelle depressioni ha formato stagni e zone paludose, habitat di tritoni alpestri e altre minuscole creature acquatiche e alate, preziosi biotopi animati dal contorcersi del coltellaccio natante e dal nervoso vibrare dei bianchi pennacchi dell’erioforo.

Il sentiero si arrampica ora, deciso, sul pendio scosceso che conduce ai laghi di Chièra. Della loro presenza non avverto, al momento, che qual-

che indizio sottile: ruscelletti vivaci che scorrono tra l’erba alta, svelandosi a tratti con un mormorio limpido e giocoso. Quei due specchi d’acqua incantevoli, incastonati tra le montagne, che ho imparato a conoscere nelle loro mille metamorfosi, oggi non sono però la mia meta.

Stavolta mi attira un’altra forma, più austera e misteriosa: una sorta di solitaria piramide naturale, che si staglia un poco più a nord. Un declivio spoglio e severo, coperto solo da un manto erboso punteggiato di rocce e inciso dalle linee regolari dei ripari antivalangari: il Monte Pettine. Sul la cima, l’imponente croce d’acciaio, visibile da tutto il fondovalle, si erge luminosa e verticale, come se cercas se il cielo, trafiggendone le profondità con la sua presenza silenziosa. Costru ita dalla ferriera Cattaneo di Faido, è la più grande del Ticino e se ne sta lì, sulla vetta, dal 1901, eretta dai cattoli ci leventinesi in risposta all’appello di Papa Leone XIII, il quale all’alba del nuovo secolo dà inizio a una corsa alla sacralizzazione delle montagne, invi tando i fedeli a coronarle con un segno della Redenzione.2)

«Ti racconto un aneddoto»– mi aveva detto una volta Edo Tagliabue mentre ce ne stavamo seduti ai piedi della croce a contemplare il paesaggio.

«Avevano incaricato un Bergamasco di portare quassù tutto il cemento neces sario alla costruzione del piedistallo, per 6 centesimi il chilo. E ne ha dovuto portare una grande quantità, poiché in occasione della riattazione ne abbiamo trovato un blocco enorme. Gli esponenti della “Faido bene”, che finanziavano l’opera, volevano assicurarsi che il Bèrgom facesse un buon lavoro e dal fondovalle, con un potente cannocchiale, ne controllavano la salita».

A osservare quel curioso concilia bolo, non sarà mancato qualche villeg giante sorpreso e divertito; dopotutto, siamo nel cuore del fervore turistico di Faido, località divenuta, a cavallo del nuovo secolo, un rinomato e vivace centro di villeggiatura, animato da vacanzieri in cerca d’aria buona e contatto con la natura (vedi articolo correlato).

tratto, il più aspro e severo. Il sentiero si arrampica a zigzag lungo il costone, che precipita vertiginoso nell’occhio blu profondo dei laghi. A scandire la salita, il ritmo irregolare dei ripari antivalangari: muretti a secco ben squadrati, incrostati di licheni – i più antichi risalgono alla fine dell’Ottocento – alternati a gabbie di ferro colme di pietre, segno di interventi più recenti. Un ultimo sforzo… ed eccomi in vetta. Davanti a me, la grande croce, tredici metri e mezzo per sei, svetta come

gnora e mi dice: “Da quando avete levato la croce, i fulmini sembrano più vicini. Riportatela su al più presto, che continui a proteggerci anche dalle tempeste peggiori!”». A quel ricordo, impensierito, alzo gli occhi al cielo. È limpido e azzurro, rigato appena da morbidi ciuffi di nuvole. Per fortuna.

E poi, all’improvviso, un profondo silenzio. Stranamente, tutti i rumori della valle sembrano ammutoliti e anche il tempo pare essersi fermato.

tagne: con i suoi villaggi, la striscia grigia dell’aeroporto, il serpente lucido dell’autostrada, la nuova via delle genti, su cui passa tutta l’Europa.

Note

1) La degagna, ente presente soprattutto in Leventina, era una parte della vicinanza (Comune) e si occupava della gestione degli alpeggi e dei boschi, dei diritti di soma e della manutenzione delle strade. 2) «È opportuno che con qualche segno sensibile e duraturo si trasmetta ai posteri il sacro entusiasmo col quale si è prestato omaggio a Gesù Cristo Redentore. Sarà bella cosa che sulla cima delle nostre montagne, s’alzi gigante, quasi a tutelare le sottoposte regioni, il segno della Redenzione. Veggendolo il nostro cuore si sentirà attratto verso Dio e Dio misericordioso dilaterà il cuor suo sopra di noi, perché nella croce è la nostra salute, la nostra vita, la nostra Resurrezione».

3) Edo Tagliabue, allora, era presidente del Patriziato di Faido e grande appassionato delle testimonianze storiche

Ma non è il momento di perdersi in chiacchiere. Mi attende l’ultimo

Annuncio pubblicitario
La croce più grande del Ticino.
Rocce montonate sul terrazzo di Chièra.
L’acqua raccolta negli anfratti scavati dal ghiacciaio ha formato stagni e zone paludose.

Si scioglie proprio come piace

Divertirsi con un elfo e un cerbiatto

Crea con noi ◆ Un simpatico progetto che unisce il riciclo creativo al gioco sensoriale

Con materiali di recupero e un pizzico di fantasia è possibile trasformare semplici contenitori di tetra pack in personaggi simpatici e giocosi. Questo progetto unisce il riciclo creativo al gioco sensoriale: i bambini si divertiranno a nutrire un elfo e un cerbiatto e a osservare come la loro pancia si riempie, sviluppando manualità, coordinazione e immaginazione. Un’attività facile, sostenibile e perfetta per trascorrere del tempo insieme.

Procedimento per entrambi i personaggi

Preparare i tetra pack. Tagliate la par-

te superiore di entrambi i contenitori.

Asportate la pellicola stampata fino a ottenere il cartone grezzo. Stampate il cartamodello, ritagliate il personaggio e riportatelo su un pezzo di cartone. Con il taglierino aprite la bocca, che servirà come punto di ingresso per i legumi, e la pancia. Anche sul tetra pack ritagliate la bocca e la pancia in corrispondenza delle stesse zone. Nella finestra della pancia, applicate all’interno un pezzo di plastica trasparente: in questo modo, mentre i bambini nutriranno i personaggi, sarà possibile osservare la pancia che si riempie poco a poco.

Giochi e passatempi

Cruciverba

Molti studiosi credono che... Termina la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate.

(Frase: 4, 3, 4, 2, 9)

Dipingete il personaggio sul cartone con gli acquarelli o con la tecnica che preferite. Lasciate asciugare.

Incollate il personaggio dipinto sul fronte del tetra pack. Prendete un secondo contenitore e ricavate una vaschetta in cui inserire il personaggio: basterà disporlo orizzontalmente (vedi foto) e tagliare con le forbici la parte superiore, lasciando solo un margine di circa 1 cm sulla parte che resterà davanti al personaggio.

Decorate con orecchie, corna o cappellini ricavati da cartone o stoffa. Riempite poi la vaschetta con legumi, cereali oppure, se l’età dei bambini lo consente e non c’è il rischio che portino oggetti alla bocca, con nocciole e ghiande raccolte nel bosco. Mettete a disposizione dei bambini dei cucchiai adatti all’età e buon divertimento!

Consiglio pratico: sistemate i personaggi all’interno di una grande cassetta o di un vassoio ampio: in questo mo-

• 2 tetra pack vuoti e puliti per ognun personaggio (da latte o succhi)

• Car tone di recupero

• Forbici e taglierino, righello

• Acquarelli e pennelli

• Colla a caldo

• Foglio di plastica trasparente (da imballaggi o mappette)

• Calzini per realizzare i copricapi

• Cucchiaio, legumi secchi o cereali per i travasi

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage)

do i legumi resteranno contenuti e sarà più facile raccoglierli dopo il gioco. www.lostiledigio.ch Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

ORIZZONTALI

1. Particelle cromosomiche

5. Preposizione

7. A volte calza alla perfezione

9. Gli attrezzi per il carving

10. Abbreviazione ecclesiastica

11. Tua in francese

12. Manca al basco

13. Un combustibile liquido

17. Ultimo a Londra

18. Suffisso in chimica

19. Dipingere in Spagna

21. A te

22 . Fratello del nonno

24. Mezzo greco...

26. Marsina

27. Pronome personale

28. Privo di eccessi, parco

29. Fiume dell’Australia e della Gran Bretagna

VERTICALI

1. Fat ti memorabili

2. Cibo nella trappola

3. Preposizione

4. Le separa la «L»

5. Sonnellino pomeridiano

6. Sono molto fragili

8. Con sollecitudine

12. Recipiente per liquidi 13. Può chiuderlo un elastico 14. Si ripete incoraggiando 15. Le iniziali dell’attore Insinna

16. Vertice, cima

17. L’attrice Minnelli

19. Quello delle foglie

si chiama stoma

20. Niente a Parigi

23. Rete Ferroviaria Italiana

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
Materiale

Pura bontà italiana

Viaggiatori d’Occidente

Il tempo di una volta

«The weather is not what it used to be» lamentano gli inglesi; «Il n’y a plus de saisons» rincalzano i francesi; «Non ci sono più le mezze stagioni» è stato anche un tormentone di alcuni comici degli anni Cinquanta, per esempio Walter Chiari. Divenuti presto luoghi comuni, ripetuti all’infinito, questi proverbi più che il clima prendono di mira i cambiamenti della società, rimpiangendo il tempo andato. Comunque sia, nel campo del turismo l’assenza delle stagioni di mezzo è stata per lungo tempo una verità. Infatti le stagioni erano solo due: l’estate, da passare in spiaggia sotto l’ombrellone e poi l’inverno sulle piste da sci. Anche i ritmi della scuola e del lavoro contribuivano a questo orientamento, tra ferie immancabilmente in agosto e calendario scolastico senza pause nei primi mesi di lezione. Alcuni certo partivano comunque in autunno, ma

solo per risparmiare ed evitare la folla, quindi più per opportunismo che per passione. Da qualche tempo invece nuove abitudini di viaggio prendono piede. Si fugge da estati sempre più calde, sia privilegiando destinazioni fresche (Coolcation), sia anticipando o ritardando la partenza. Secondo un rapporto della European Travel Commission, il 77% per cento degli intervistati ha confermato di avere in programma partenze fino a novembre. Aiuta anche la nuova organizzazione del lavoro, spesso da remoto, così come il maggior numero di pensionati. Svizzera Turismo ci crede. I suoi ricercatori hanno notato una crescita dei pernottamenti alberghieri autunnali del 10,3% negli ultimi cinque anni e per sostenere questa tendenza hanno proposto una nuova campagna ‒ Beautiful Autumn! ‒ con un video

Cammino per Milano

Torre Velasca

L’ultima volta che l’ho vista, in lontananza, la torre il cui nome similgaddiano deriva da un cinquecentesco governatore spagnolo del Ducato di Milano al quale hanno dedicato una via che non c’è più e una piazza che c’è ancora, veleggiava come un miraggio. Ma soprattutto laggiù, quasi come in un diorama emerso dalla nebbiolina, vista dalla torre della Fondazione Prada, con le lucine in cima stile torre aeroportuale, tra le gru di un ex terreno vago, ho capito che dialogava, lì vicino, con le guglie-fatamorgana del Duomo.

L’intonazione alle «preesistenze ambientali» teorizzate da Ernesto Nathan Rogers, era forse dunque lì da vedere, in quel panorama indistinto l’inverno scorso. Verso il tramonto di una splendida giornata di fine settembre invece, cercherò di studiare come meglio posso, da più ravvicinati scorci, l’ardito e controverso edificio

a torre per uffici, abitazioni, negozi, progettato negli anni cinquanta dai BBPR. Acronimo di un gruppo di architetti più o meno coetanei composto da Gian Luigi Banfi (1910-1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909-2004), Enrico Peressutti (19081976), Ernesto Nathan Rogers (19091969): già tirato in ballo prima e per anni direttore di «Casabella». È in uno squarcio di città distrutto dai bombardamenti alleati che sorge, nel 1958, la torre Velasca. E nello scorcio prescelto, all’angolo di piazza Missori con Corso di Porta Romana, alzando lo sguardo, di colpo, alle 18:07 contro un cielo ancora azzurro e che più azzurro di così si muore, il grattacielo all’epoca più discusso d’Europa, «ci appare – così si espresse l’architetto-urbanista Giuseppe Samonà – come l’esplosione di un magma». Il punto di svolta è lo sbalzo post-neogotico per passare, con stupore assoluto, dal

Sport in Azione

interpretato dall’immancabile Roger Federer e dall’attrice Halle Berry. Il tono della promozione è leggero e divertente: Halle Berry cerca di dilatare il suo soggiorno di lavoro in Svizzera con sempre nuovi pretesti, perché è affascinata dai colori del paesaggio, dai trasporti pubblici, dalla fonduta, dalla vita quotidiana. Da diversi punti di vista insomma c’è un nuovo e sincero apprezzamento per l’autunno, valorizzando la sua specifica identità. Per cominciare è il tempo dei raccolti, dei funghi, dei tartufi, delle castagne, della vendemmia: tutte opportunità per il turismo enogastronomico in forte ascesa. Viene poi il poetico foliage, ovvero l’osservazione del mutare dei colori delle foglie degli alberi, dal verde, al giallo, all’arancione, al rosso e al marrone. Praticato dapprima nel New England (soprattutto nel Vermont), il foliage si è diffu-

so anche in altri Stati americani, poi in Asia (in Giappone riagganciandosi alla tradizione del momijigari, «caccia alle foglie rosse»), sino alle porte di casa nostra (la ferrovia delle Centovalli ne fa un suo punto di forza). Numerose manifestazioni e sagre scandiscono il calendario autunnale, a cominciare dall’Oktoberfest, il più grande festival popolare del mondo, con oltre duecento anni di storia e sette milioni di visitatori. E poi ancora il turismo culturale nelle città d’arte, terme e benessere, cammini storici e viaggi in bicicletta (quasi impensabili in estate). Certo in questi mesi il clima può fare brutti scherzi, come le piogge torrenziali delle scorse settimane. Per questo alcuni alberghi di lusso (a Creta per esempio) hanno cominciato a offrire il soggiorno gratuito ai turisti che si ritrovano sotto la pioggia: una soluzione costosa, ma anche semplice e intelli-

gente. Altre se ne possono immaginare. E poi questa stagione molto varia propone diverse alternative, e non tutte dipendenti dal clima, quando capita un giorno di tempo sfavorevole. Se dunque la stagione turistica risale verso la primavera e si estende poi all’autunno, possiamo già immaginare una stagione unica o, come sempre più spesso si dice, il «turismo tutto l’anno». Ovviamente servirebbe qualche aggiustamento e soprattutto un cambio di mentalità, con l’abbandono di vecchie abitudini. Ma i vantaggi sarebbero evidenti: un utilizzo più regolare di hotel, ristoranti e impianti, più occupazione stabile con contratti annuali, riduzione dell’overtourism, gestione sostenibile delle risorse (acqua, energia, rifiuti), migliore qualità della vita per i residenti, soprattutto esperienze più vere per i viaggiatori. Ci proviamo?

diciottesimo al diciannovesimo piano. È lì, con quell’innesto diagonale di pilastri e tiranti che avviene la trasformazione in moderna torre medievale. Corrispondenze forti ci sono con la torre del Filarete al Castello Sforzesco, il cui museo, tra l’altro, è stato proprio allestito con estrema innovazione dai BBPR nel 1956. Il rosa della graniglia di marmo veronese, mischiato al cemento, per l’intonaco poi, è il colpo di classe che la rende, con questa luce autunnale onesta e sognante ancora di più, irreale. Eppure eccomi qui, nella piazza che porta il nome, declinato al femminile, di Juan Fernandez de Velasco (15501613), sotto la torre «neo-art-nouveau» – come la definì il critico d’arte Nikolaus Pevsner – che si erge per novantanove metri. Rigenerata di fresco da un restauro sopraffino, va detto, a opera di Asti Architetti. Nella piazza ora ci sono nuove panchine di le-

gno, alberi, lampioni originali tornati all’antico rigore e una pace insperata. Sushisamba: il nome-crasi di un ristorante che verrà, nell’avancorpo di «sapore vagamente brasiliano», scrivono, prefigurandone il destino, Bonfanti e Porta in Città, museo e architettura (1973): un po’ la bibbia dei BBPR dove la Velasca è «magnifica presenza». Le uscite del metrò Missori anni novanta, noto con sorpresa, sono diverse qui: marmo rosa intonato alla torre che negli intenti dei BBPR doveva riassumere l’atmosfera sfuggente della città. Sbircio il dettaglio del marmo di Baveno nella hall e poi via, ritorno al punto di vista privilegiato di piazza Missori. Per vedere la torre Velasca che «mi ricorda qualche cosa, costruzioni che ho già visto ma che non mi ricordo più». Scrive Enrico Filippini, intellettuale di Cevio trapiantato qui a Milano, in un racconto-saggio (1963).

Ruanda e Qatar: due storie profondamente diverse

Quando nel 2021 l’Unione Ciclistica Internazionale decise di attribuire al Ruanda l’organizzazione dei Mondiali del 2025, accanto alle reazioni di soddisfazione per la prima edizione africana della storia, si elevarono anche quelle di coloro che temevano un flop. Sia per questioni organizzative, sia per ragioni politiche. L’UCI ci ha creduto fino in fondo e, a complemento del processo di mondializzazione iniziato negli anni 90 dall’allora presidente Hein Verbruggen, ha accettato la sfida. A ruote ferme, ha avuto pienamente ragione. È stato un grande mondiale dal punto di vista tecnico e logistico. Baciato dall’entusiasmo danzante degli spettatori. Nobilitato da un percorso molto impegnativo che ha inevitabilmente messo in risalto gli uomini e le donne più forti.

Marlen Reusser e Remco Evenepoel nelle cronometro. Re Tadej Pogacar nella prova regina.

Di dubbi sul buon esito ne avevo pochissimi. Gli echi del terribile genocidio messo in atto dalle forze estremiste Hutu ai danni dei Tutsi erano già spenti da un trentennio. Il Fronte patriottico, guidato da Paul Kagame, attuale presidente della repubblica ruandese, aveva avviato un processo di ricostruzione che ha traghettato un Paese dilaniato verso la modernizzazione. Kagame è un personaggio chiacchierato per il suo piglio, diciamo così, eccessivamente decisionista, ma ha saputo proporre un modello di sviluppo africano riconosciuto anche dall’Occidente.

L’Africa, prima del Mondiale conclusosi otto giorni fa, non era proprio a digiuno di ciclismo. Già nel 1910, tre corridori algerini avevano preso parte al Tour de France. Ma a quell’epoca, gli algerini erano, a tutti gli effetti, cittadini francesi. Tre anni più tardi, un corridore africano de jure e de facto si iscrisse alla Grande Boucle.

Alì Nefati era tunisino. Aveva solo 18 anni. In un contesto in cui il Tour de France era già di per sé durissimo per le star che disponevano di assistenza tecnica e medica, la corsa per lui fu un autentico calvario. Ci volle tuttavia quasi un secolo per vedere una qualificata presenza africana nel mondo del pedale. Nel 2007 Robert Hunter, in gioventù tesserato per il VC Lugano, fu il primo africano a vincere una tappa al Tour de France. Impresa ripetuta nel 2019 da Daryl Impey e nel 2022 da Louis Meintjes. Tutti e tre sudafricani. Ma tutti e tre di razza caucasica. Lo scorso anno, l’eritreo Biniam Girmay, di frazioni ne ha portate a casa tre. Un trittico epocale che potrebbe aprire la via a molti altri corridori del suo continente, come aveva fatto il maratoneta etiope Abebe Bikila dopo gli ori conquistati ai Giochi Olimpici di Roma del 1960, e di Tokyo del 1964. Per correre, basta poco: panta-

loncini e scarpette. Bikila addirittura, gareggiava scalzo. Nel ciclismo servono più mezzi e più strutture. Sarà solo una questione di tempo. La predisposizione degli atleti africani per le corse di lunga durata si farà presto sentire. Per ovviare alle mancanze strutturali, tra il 2016 e il 2021 era stata creata in Sudafrica una squadra ciclistica strutturata al punto da riuscire ad accedere al World Tour. Accanto agli aspetti competitivi, sotto il marchio Qhubeka, che nella lingua Zulu significa «procedere», era stata avviata una campagna di raccolta di vecchie biciclette da distribuire ai bambini dei quartieri periferici affinché le potessero utilizzare per recarsi a scuola. Dopo il Mondiale, l’Africa guarda avanti. Non si esclude che presto il Ruanda possa ospitare un Gran Premio di Formula 1. Stefano Domenicali, CEO della Formula One Group, pare intenzionato a considerare molto seriamente il progetto.

Appoggiato al corrimano del palazzo di Piacentini, tre gradini sopra il viavai di gente una domenica di sole, ora (18:50) lo scorcio è ideale, con il rosa accresciuto dalla luce dolce e malinconica verso il tramonto. Un flash: assonanza, dissepolta in un baleno, delle falconature angolari sul tetto del Duomo e l’angolatura dei costoloni che portano al corpo superiore della Velasca con più spazio per gli appartamenti. In uno di questi viveva la cinica milanesissima Elvira (Franca Valeri) con suo marito buonoanulla-fanfarone (Alberto Sordi) che trama un piano, con l’ascensore e due complici non sveglissimi, per farla fuori ed ereditare una fortuna. Ma la torre-cruciverba, come la immagina Pino Zac per via delle sue «spettinature» come le chiama l’autorevole Portoghesi, nel film Il vedovo (1959) di Dino Risi, è protagonista, sullo sfondo, in primo piano, fin dai titoli di testa.

Nello sport, molto spesso, «C’est l’argent qui fait la guerre». Ne sa qualcosa il Qatar, che in pochi anni ha avuto l’opportunità di «acquistare» tutti i massimi eventi sportivi del pianeta, a cominciare proprio dai Mondiali di ciclismo del 2016. In Ruanda, nonostante la costante crescita, i mezzi finanziari e strutturali non sono comparabili con quelli del piccolo emirato adagiato sul Golfo Persico. Ma il Mondiale appena concluso a Kigali potrebbe dare nuovi impulsi. Nel 2016, Peter Sagan conquistò la seconda delle sue tre maglie iridate attraversando per chilometri un deserto che teneva fede al suo nome, e alzando le braccia al cielo, a Doha, davanti a una folla sparuta, prevalentemente pagata per essere lì. Lo scenario che si è presentato davanti agli occhi di Tadej Pogacar era decisamente più caldo e stimolante. Si sa, lo spettatore è anche un consumatore, quindi cominciamo a scaldare i motori.

di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf
di Claudio Visentin

Hitdella settimana

7.10–13.10.2025

RaclettealnaturaleRaccard,IP-SUISSE inbloccoextraoafette,inconfezionispeciali, peres.inbloccoextra,per100g, 1.35 invecedi2.25 40%

6.50 invecedi12.–Castagne Italia,reteda1kg

30%

2.50 invecedi3.60

ManghiMigrosBio Spagna,ilpezzo,offertavalida dal9.10al12.10.2025

Finoaesaurimentodellostock.

7.70 invecedi11.–

apartireda2pezzi 40%

TuttelecapsuleNescafé DolceGusto,30pezzi peres.Lungo, 7.14 invecedi11.90, (100g=4.25)

Filettidisalmonecon pelleM-Classic,ASC d'allevamento,Norvegia, 4pezzi,500g,inself-service, (100g=1.54) 30%

Tuttol’assortimentoditèetisanebio (prodottiAlnaturaesclusi), peres.infusodimentapiperitaMigrosBio, 20bustine, –.70 invecedi1.–,(100g=2.50)

3.30 invecedi5.–

Entrecôtedimanzo BlackAngusM-Classic Uruguay,2pezzi,per100g, inself-service 34%

Validigio.–dom.

Prezzi

imbattibili weekend del

1.20 invecedi2.25

Collodimaialetagliato ametàIP-SUISSE per100g,inself-service, offertavalida dal9.10al12.10.2025 46%

Pipe,penneotrivelli,M-Classic inconf.speciale,1kg,peres.pipe, 1.75 invecedi3.50,(100g=0.18), offertavalidadal9.10al12.10.2025 50%

Settimana Migros Approfittane e gusta

6.50

7.70 invece di 11.–Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 4 pezzi, 500 g, in self-service, (100 g = 1.54)

di 5.–Entrecôte di manzo Black Angus M-Classic Uruguay, 2 pezzi, per 100 g, in self-service

Colorata varietà a un super prezzo

3.45

Migros Ticino

Zucca butternut Svizzera, al kg 33%

2.–

invece di 3.–

polpa, 6.95 invece di 8.69 Carne secca Migros Bio Svizzera, 100 g, in self-service 20%

2.– Kiwi Gold Nuova Zelanda, il pezzo

6.25 Mirtilli

Perù/Africa del Sud/Namibia, vaschetta da 500 g, (100 g = 1.25)

1.80 Lattuga foglia di quercia rossa Svizzera, il pezzo

3.60 Fagioli Svizzera, sacchetto da 500 g, (100 g = 0.72)

4.50 Cavolfiore Svizzera, al kg

2.50 Sedano rapa Svizzera, al kg 1.80 Patate dolci Egitto, rete da 1 kg

1.40 Carote Svizzera, al kg

2.25

Scaloppine di pollo Migros Svizzera, per 100 g, in self-service

2.15

Prosciutto crudo Serrano M-Classic Spagna, per 100 g, in self-service

2.50

Pancetta da arrostire IP-SUISSE per 100 g, in self-service

3.95

2.95

Nuggets di pollo Migros Brasile, 250 g, in self-service, (100 g = 1.58)

Petto di pollo con bordo arrostito Don Pollo, affettato finemente 150 g, in self-service, (100 g = 1.97)

2.– Party Sticks Malbuner Svizzera, 40 g, (100 g = 5.00)

1.30

Fleischkäse affettato finemente IP-SUISSE per 100 g, in self-service

3.50

Cipollata IP-SUISSE 8 pezzi, 200 g, in self-service, (100 g = 1.75)

Prodotti freschi e pronti Omega 3 nella loro

forma più pura

Filetti di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 300 g, in self-service, (100 g = 2.32) 20%

6.95 invece di 8.70

20%

Filetti di limanda, filetti di pollack e filetti di pangasio in pastella, Anna's Best per es. filetti di limanda, pesca selvatica, Pacifico nordorientale, MSC, 200 g, 3.96 invece di 4.95, in self-service, (100 g = 1.98)

conf. da 2 20%

12.70 invece di 15.90

Bastoncini di merluzzo Pelican, MSC prodotto surgelato, 2 x 720 g, (100 g = 0.88)

A base di filetto di merluzzo

3.44

invece di 4.30 Tofu nature bio Demeter 200 g, (100 g = 1.72) 20%

conf. da 3

20%

Pasta Migros Bio, refrigerata fiori zucca e salvia o spätzli all'uovo, per es. fiori, Limited Edition, 3 x 250 g, 12.95 invece di 16.20, (100 g = 1.73)

conf. da 2

20%

Cornatur nuggets o scaloppine mozzarella e pesto, per es. nuggets vegane, 2 x 225 g, 6.– invece di 7.50, (100 g = 1.33)

conf. da 2 4.–di riduzione

Pizze dal forno a legna Anna's Best, refrigerate prosciutto, lardo & cipolle o raclette, per es. prosciutto, lardo & cipolle, 2 x 430 g, 9.90 invece di 13.90, (100 g = 1.15)

Raclette per ogni gusto

1.45

2.–invece di 2.55 Formaggella Blenio per 100 g

Grana Padano e Parmigiano Reggiano, Migros Bio trancio o grattugiato, per es. Parmigiano Reggiano grattugiato, 75 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 3.15) 20%

invece di 5.–Grana Padano Da Emilio per 100 g, (100 g = 1.70)

5.40 invece di 7.20

Migros Ticino
Formaggio fresco
doppia panna Kiri o Dippi

i Cottage Cheese per es. Cottage Cheese al naturale M-Classic, 200 g, 1.48 invece di 1.85, (100 g = 0.74)

mirtillo, fragola o lampone senza zucchero cristallizzato, per es. mirtillo, 12 x 65 ml, 9.20 invece di 11.50, (100 g = 1.18)

2.20 invece di 2.60

3.50

di

Sélection 125 g, (100 g = 2.80)

Migros Ticino
Tutti
a partire da 2 pezzi
Benecol Emmi
Tutti gli yogurt Migros Bio,
Mezza panna e panna intera, Migros Bio, 250 ml pastorizzata, per es. panna intera,
Mozzarella
bufala

Irresistibili bontà

Tutte le coppette ai vermicelles per es. 95 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.11) 20%

20%

Tutti i rotoli e i mini rotoli non refrigerati, Petit Bonheur per es. rotolo ai lamponi, 330 g, 3.44 invece di 4.30, prodotto confezionato, (100 g = 1.04)

Un autunnaleclassico a base di purea di castagne

4.30

Salted Caramel Delight, Chocolate Chip Chip Hooray e Macadamian White Chocolate, 360 g, (100 g = 1.19) 20%

invece di 5.40

Dessert con pere e crema alla vaniglia

20x CUMULUS Novità

2.95 Coppetta Belle Hélène 136 g, (100 g = 2.17)

Pasta per 6 biscotti The Bitery Cookies

2.70

invece di 3.40

4 pezzi, 220 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.23) 20%

Bastoncini alle nocciole Petit Bonheur

–.50 di riduzione

2.70

invece di 3.20

Twister chiaro cotto su pietra bio 360 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.75)

Cheers and chill

3.20

8.40

Per scorte di lunga durata!

conf. da 2 30%

Tortine di spinaci o strudel al prosciutto, M-Classic surgelati, in confezioni multiple o speciali, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.70 invece di 11.–, (100 g = 0.92)

20%

Tutti i tipi di confetture e di miele, Migros Bio per es. confettura extra di fragole, 350 g, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 0.90)

Sofficini M-Classic prodotti surgelati, al formaggio, agli spinaci o ai funghi, 2 x 8 pezzi, 2 x 480 g, 8.35 invece di 10.60, (100 g = 0.87)

Couscous, quinoa, lenticchie e ceci, Migros Bio per es. couscous, 500 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 0.56) 20%

Pizze La Trattoria

surgelate, Mozzarella, Prosciutto o Tonno, in conf. speciale, per es. Mozzarella, 3 x 330 g, 4.70 invece di 5.93, (100 g = 0.47) 20%

conf. da 4 30%

conf. da 2 21% 5.–

invece di 7.20

Zucchero fino cristallizzato M-Classic Cristal, IP-SUISSE 4 x 1 kg, (100 g = 0.13)

a partire da 3 pezzi 30%

Tutte le barrette singole sport e lifestyle (prodotti Alnatura, Farmer e Ovo esclusi), per es. Protein Bar Crispy Cookie Chiefs, 55 g, 2.28 invece di 3.25, (100 g = 4.15)

Tutto l'assortimento Demeter (latte Pre e latte di tipo 1 esclusi), per es. passata, 360 g, 2.24 invece di 2.80, (100 g = 0.62) 20%

LO SAPEVI?

Demeter è un label di qualità valido in tutto il mondo per alimenti provenienti da agricoltura biodinamica. È il più antico label bio e quello con le direttive più severe. Chi acquista gli alimenti

Demeter sa che questa marca è sinonimo di un’agricoltura e una lavorazione rigorosamente rispettose della natura e sostenibili.

a partire da 2 pezzi

Offerte da paura

LO SAPEVI?

La nostra marca Crème d’Or è sinonimo di creazioni particolarmente cremose a base di gelato. Le ricette sono realizzate con ingredienti 100% naturali e con latte e panna provenienti dalla Svizzera. L’assortimento comprende i gusti classici e viene inoltre spesso arricchito da interessanti novità.

Tutti

2.60 Swizzels Squashies Squeletons

Per mani curate e una pelle morbida

Tutte le creme per le mani (confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. balsamo per mani e unghie I am, 100 ml, 2.21 invece di 2.95, (10 ml = 0.22)

LO SAPEVI?

Quando fa freddo le ghiandole sebacee producono meno grassi. Inoltre l’aria riscaldata tende a seccare la pelle. In inverno lava quindi le mani solo con acqua tiepida e usa un sapone a pH neutro. In seguito applica una crema per le mani leggera di giorno e una crema ricca prima di andare a letto.

Creme per le mani Neutrogena o Le Petit Marseillais per es. crema per le mani Neutrogena ad assorbimento rapido, 2 x 75 ml, 7.20 invece di 9.60, (100 ml = 4.80)

Prodotti per la cura del viso o del corpo o creme multiuso, Nivea per es. struccante per trucco per occhi resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60, (100 ml = 3.56)

Creme per le mani I am, Atrix, Nivea o Garnier per es. balsamo per mani e unghie I am, 2 x 100 ml, 4.40 invece di 5.90, (100 ml = 2.20)

a partire da 2

a partire da 2 pezzi

a partire da 2 pezzi 25%

Assortimento di prodotti per la cura del viso e creme multiuso, Nivea e Nivea Men (prodotti Sun, confezioni da viaggio e confezioni multiple esclusi), per es. siero antimacchie Luminous 630 Nivea, 30 ml, 24.71 invece di 32.95, (10 ml = 8.24)

20x

9.95

Latte per il corpo Kneipp Repair

200 ml, (100 ml = 4.98)

20x CUMULUS

Novità

10.95 Peeling crema-olio benessere Kneipp

200 g, (100 g = 5.48)

20x CUMULUS

Novità

7.95

20x CUMULUS

Novità

Prodotti per la doccia Kneipp Sonne im Herzen, Winterpflege, Einzigartig oppure 3 in 1 Dynamisch, 200 ml, 4.95, (100 ml = 2.48)

20x CUMULUS

Novità

Roll-on all'arnica Kneipp, rinfrescante o riscaldante 50 ml, (100 ml = 15.90)

1.95 Bagnoschiuma Kneipp contro i raffreddori «Erkältungszeit» 50 ml, (10 ml = 0.39)

20x CUMULUS

Novità

5.50

Novità raggi UV, ora da noi

Ricarica gel doccia Le Petit Marseillais latte alla vaniglia o fiori d'arancio

500 ml, (100 ml = 1.10)

Novità

Tutto l'assortimento Neonail per es. Base e top coat 2 in 1, il pezzo, 15.60

Pulizia e freschezza

Tutte le caraffe isolanti, le caffettiere e le teiere, Bialetti e Kitchen & Co. (articoli Hit, bicchieri isotermici, thermos e portavivande esclusi), per es. caffettiera Bialetti color argento, per 6 tazze, il pezzo, 20.97 invece di 29.95

Da floreale al confortevole

Tutto l'assortimento Demeter (latte Pre e latte di tipo 1 esclusi), per es. pappa di carote bio Holle, 125 g, 1.28 invece di 1.60, (100 g = 1.02) 20%

9.95

9.95

Solette termiche Essentials disponibili nei numeri 36/37–44/45, 2 paia

Piante verdi disponibili in diverse varietà, Ø 17 cm, il vaso
Rose Grande Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 10, lunghezza dello stelo 50 cm, il mazzo

Alimenti per gatti Exelcat piccoli menù con pollame, bontà in gelatina o bocconcini in salsa, in confezioni multiple, per es. piccoli menù con pollame, 2 x 15 pezzi, 2 x 750 g, 12.70 invece di 15.90, (100 g = 0.85)

Per non perderti nessuna offerta puoi abbonarti gratuitamente alle azioni Migros su WhatsApp. Per abbonarti, scansiona il codice QR e accederai direttamente alla chat WhatsApp della Migros, inserisci l'NPA e conferma di voler ricevere i messaggi. Per disdire l'abbonamento basta scrivere «Stopp» nella chat.

Prezzi imbattibili del weekend

30%

2.50

50%

1.20

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.