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SOCIETÀ Pagina 3
Dopo l’estate fate fatica a rientrare nel ritmo? Ecco i consigli di April Rinne, teorica del fluxing
Una co-presidenza in arrivo per il PLR svizzero. Obiettivo: frenare l’emorragia di consensi
ATTUALITÀ Pagina 12
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SOCIETÀ Pagina 3
Dopo l’estate fate fatica a rientrare nel ritmo? Ecco i consigli di April Rinne, teorica del fluxing
Una co-presidenza in arrivo per il PLR svizzero. Obiettivo: frenare l’emorragia di consensi
ATTUALITÀ Pagina 12
È comprensibile che i media si concentrino sull’incandescente presente di Gaza, sulla flottiglia di imbarcazioni che cerca di raggiungere la Striscia (ne parla anche Elisabeth Sassi a pag. 16), sui cingoli dei carrarmati con la Stella di David che mordono il terreno e sull’inesorabile conta delle ultime vittime provocate dal piano strategico israeliano, noto come «Carri di Gedeone».
Ma è importante non perdere di vista il suo futuro. Israele respinge qualsiasi proposta che preveda la nascita di uno Stato palestinese. L’unica opzione esterna che non scarta è quella del video creato dall’intelligenza artificiale in febbraio, dove Gaza è un resort di lusso, Donald Trump e Benjamin Netanyahu parlottano a bordo piscina, Elon Musk mangia hummus sotto una pioggia di dollari, e una statua dorata di Trump troneggia al centro di una metropoli pullulante di grattacieli, yacht, spiagge e fuochi d’artificio.
Sembrava una farsa pacchiana e invece esprime in modo grossolano un progetto di 38 pagine elaborato da ambienti vicini a Trump e dai medesimi imprenditori israeliani che hanno generato la Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione americana che gestisce, in modo a dir poco controverso, i quattro centri di distribuzione per il cibo nella Striscia. Il progetto è stato pubblicato nei giorni scorsi dal «Washington Post». Ne ho letto una sintesi sul «Corriere della Sera» scoprendo che il piano non smentisce la megalomania dell’ispiratore. Si chiama GREAT Trust (acronimo di Gaza Reconstruction, Economic Acceleration and Transformation), e prevede scenari che ricordano le torri curvilinee e scintillanti di Doha e Dubai, profumano di riccanza e disegnano una Disneyland per milionari sulle macerie di Gaza.
Insomma, una metropoli florida e tecnologicamente avanzata costruita sopra un cimitero. Ma, soprattutto, senza palestinesi. Il GREAT prevede infatti che Gaza venga amministrata per almeno dieci anni dall’America, mentre gli oltre due milioni di abitanti dovrebbero trasferirsi «temporaneamente» in altri Paesi o in zone «delimitate e sicure» dentro la Striscia fino alla fine dei lavori. Perché niente dà più fastidio dei legittimi proprietari di quelle terre che circolano nei cantieri governati da terzi, magari addirittura pretendendo di dire la loro sulla ricostruzione. Il documento assicura che si tratterebbe di spostamenti «volontari» anche se fortemente consigliati e sussidiati nella misura di 5 mila dollari per ogni palestinese che se ne va, aiuti per l’affitto per quattro anni e di un anno per il cibo. Ai proprietari di terra verrebbe invece offerto un «portafoglio digitale» per andarsene o acquistare un appartamento in una delle misteriose otto città «intelligenti, gestite dall’intelligenza artificiale» che a quanto pare verranno edificate.
Fatico a immaginare un balzo di Gaza in questa sceneggiatura da film di fantascienza, o in altre ipotesi messianiche adombrate dai coloni alleati con Netanyahu. Ma è agghiacciante l’idea di creare una «Riviera del lusso» sulla pelle di due milioni di persone costrette a lasciare le loro case, per andare a vivere non dentro fantomatiche città smart, ma trasferite in massa in Egitto, Giordania e Libano, che già ospitano in condizioni miserabili milioni di rifugiati palestinesi. Altro che sogno dorato: innescherebbe nuove ondate di antisemitismo, di radicalizzazione, di conflitti ingestibili in Medio Oriente e flussi di immigrati in Occidente.
CULTURA Pagina 23
TEMPO LIBERO
La parabola luminosa e tormentata di Maria Callas nello sguardo essenziale di una graphic novel
Il carcere di Ushuaia custodisce ancora la memoria di vite spezzate e di una città nata dalla pena
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Sponsoring ◆ Mancano poche settimane all’imperdibile e ormai tradizionale appuntamento con la StraLugano
È iniziato il countdown per la nuova edizione della più importante gara podistica delle rive del lungolago di Lugano. Arrivata alla sua XIX edizione, la StraLugano vi aspetta nel finesettimana del 27 e 28 settembre. Non perdetevi l’appuntamento con l’enorme community di podiste e podisti che si sfideranno nelle diverse gare che l’organizzazione ha messo a punto per soddisfare età, gusti e preparazione sportiva di tutti.
Il 27 e 28 settembre ritorna l’apprezzato appuntamento luganese
Il sabato (27 settembre) sarà dedicato alla 10Km CityRun – lungo un tracciato certificato e omologato da World Athletics – che dal 2022 è valida anche per la Coppa ASTi di podismo. Sarà poi la volta della 5Km FunRun, gara rapida e lineare perfetta per chi vuole cimentarsi per la prima volta con una competizione ufficiale o per chi è alla ricerca di una nuova esperienza podistica.
«Azione» mette in palio 20 iscrizioni per una gara a scelta all’interno della StraLugano tra le corse: 5 km, 10 km, 21 km e Monte Brè Run. Per partecipare all’estrazione inviare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto: «StraLugano2025») indicando i propri dati personali, la propria e -mail e la gara scelta entro domenica 14 settembre 2025. Buona fortuna!
Info Migros ◆ In occasione dei 100 anni dell’azienda a Mollis (Glarona) ha avuto luogo la festa dei dipendenti
Alcuni momenti della giornata che Migros ha organizzato per i suoi dipendenti. (Boostr GMBH)
Sono più di cento i modi in cui Migros ha voluto festeggiare clienti, collaboratrici e collaboratori in occasione dei cento anni dalla sua fondazione. Nel corso dell’anno ci sono state offerte, concorsi e «momenti amarcord». Il primo e secondo settembre è stata invece la volta di tutte e tutti coloro che lavorano per Migros, dagli impiegati amministrativi ai coach di Activ Fitness, passando per commesse, macellai, operatrici bancarie, apprendisti, e chi più ne ha più ne metta. L’appuntamento era a Mollis (GL) sul sedime della Festa federale di lotta svizzera che si è appena conclusa. Un totale di oltre 40’000 dipendenti ha festeggiato assistendo allo spettacolo nell’a-
rena, sbizzarrendosi con la ricca offerta culinaria, e assistendo a uno o più degli imperdibili concerti in programma, che hanno visto sfilare sui palchi Stephan Eicher, Vad Vuc, Hecht, gli Esteriore Brothers e molti altri. Ancora una volta un modo, da parte di Migros, per dire «Grazie», anzi Merci!
Da non dimenticare il sabato la Famigros Run&Win (dalle ore 16.00) per correre con tutta la famiglia e portare a casa fantastici premi, come buoni vacanze Hotelplan, biglietti per l’Europa Park e carte regalo Migros.
Domenica 28 settembre si comincerà con la Monte Brè Run (da quest’anno Coppa ASTi di montagna), che è possibile abbinare alla 10Km CityRun del sabato e partecipare così alla StraCombinata.
Seguirà la 21Km Half Marathon con 21’097 metri di puro fascino agonistico. Il tracciato, certificato e omologato da World Athletics, è perfetto per coloro che rincorrono il proprio record personale. La stessa partenza è prevista anche per coloro che vogliono dividersi il tracciato: la 21Km HM RelayRun, dove il motto è: «L’unione fa la forza»! Nel primo pomeriggio sarà la volta della Run4Charity di 3Km, dove l’intero ricavato sarà devoluto in beneficenza. Chiuderà l’edizione la gara per i più piccoli: la KidsRun, valida anche per la Coppa ASTi giovanile. Infine ricordiamo che per raggiungere la StraLugano, come avviene da diversi anni, vale la pena utilizzare la promozione del trasporto gratuito con Swiss Runners Ticket (bus di linea e treni) da qualsiasi regione della Svizzera e usufruibile anche dagli stranieri a partire dalla stazione di confine in entrata nel nostro Paese. Per tutti i partecipanti alle gare cronometrate sarà quindi possibile lasciare l’auto a casa e utilizzare i mezzi di trasporto pubblici da e per il proprio domicilio.
Informazioni www.stralugano.ch
Sponsoring ◆ Il weekend in tenda al Camping Monte Generoso
Turiste «in casa» per un fine settimana in riva al lago: ecco cosa hanno vissuto le vincitrici e i vincitori del nostro concorso di luglio, che vedeva in palio (per i quattro weekend di agosto) l’usufrutto gratuito di due tende Migros (per due persone) dotate di materassino e sacco a pelo al Camping Monte Generoso di Melano. Un’avventura particolare, quella vissuta in riva al lago, diversa dal solito e indimentica-
bile, come ci ha raccontato la nostra lettrice Stefania. Insieme a un’amica, Stefania ha goduto dell’ambiente tipico dei camping: «Era la prima volta, ma rifarò senz’altro l’esperienza del campeggio».
Grazie ai numerosi partecipanti, e al prossimo concorso!
Informazioni www.montegeneroso.ch
Affrontare la menopausa
Miti da sfatare, strategie preventive e possibilità terapeutiche per vivere al meglio una fase di vita delicata
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Gatti neri e specchi rotti
L’incredibile ricchezza del mondo delle superstizioni nel saggio di Elisabetta Moro e Marino Niola
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Natura e storia in Onsernone
Da Loco a Comologno sono diversi i progetti di conservazione e valorizzazione
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Diario scolastico I testi dell’edizione di quest’anno sono stati curati dall’associazione Fabbrica di Ospitalità
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Il caffè dei genitori ◆ A settembre tornare nel ritmo della routine scolastica e lavorativa può essere faticoso: scopriamo i consigli di April Rinne per trovare un equilibrio nel caos della vita moderna
«Laddove il caos è la norma, l’obiettivo diventa quello di imparare a navigare in questo flusso senza esserne travolti». A Il caffè dei genitori, mai come in questo periodo, con le vacanze archiviate, la ripresa della scuola, le malefiche chat di classe che parlano di compiti come se fossero i nostri, le attività sportive dei figli che occupano anche i fine settimana e la routine che incombe tra nuove scadenze di lavoro e perenni bucati da fare, queste parole di April Rinne ci sembrano un’àncora a cui aggrapparci. È possibile farcela! Laureata alla Harvard Law School, indicata da «Forbes» tra le 50 principali «futuriste» al mondo e nominata Young Global Leader dal World Economic Forum, Rinne è la teorica del fluxing : la capacità di adattarsi. Anche quando l’incertezza la fa da padrona. Flux è sia un sostantivo che un verbo: come sostantivo significa «cambiamento continuo»; come verbo «imparare a diventare fluidi». Rinne parla anche per esperienza vissuta e, al confronto, le nostre giornate caotiche diventano poca cosa. A Il caffè dei genitori ci prendiamo il tempo per leggere tutta la sua storia di vita, perché sarà utile per dare valore ai suoi insegnamenti. «Mio padre, geografo culturale, mi ha insegnato a orientarmi (e a uscire dai sentieri battuti) non appena ho imparato a camminare. Amava la diversità, mi incoraggiava a spingermi oltre la mia zona di comfort e mi ricordava ogni giorno: “Il mondo è un posto meraviglioso: andate a scoprirlo!”. Mia madre, nel frattempo, decise di voler crescere una figlia indipendente. Così, quando avevo 7 anni, mi affidò la gestione del mio budget (per tutto, dal materiale scolastico alla biancheria intima). Non avevamo molto in termini di beni materiali, ma investivamo tutto ciò che potevamo nell’istruzione e nei viaggi, e ho imparato fin da piccola come far durare un dollaro per sempre». Poi la vita l’ha messa di fronte a una prova terribile. «Mentre ero all’università, entrambi i miei genitori morirono in un incidente d’auto. In un istante, il mio mondo si capovolse completamente. Dovevo crescere in fretta e capire cosa contasse davvero: i soldi o il senso della vita, cosa pensavano gli altri che dovessi fare o cosa mi suggeriva la mia anima?». Uscendo da questa tragedia, poco più che ventenne, Rinne era piena di dolore e di domande. La sua reazione a questo evento devastante è diventata la base della sua filosofia di vita e del suo lavoro. «Sapevo che il mondo era ingiusto, che la vita era breve e che gli imprevisti potevano sventare anche i piani migliori. Desideravo anche disperatamente sfruttare al meglio il tempo limitato che
avevo a disposizione su questa biglia blu e forgiare un percorso di vita che avesse senso per me. Qualcosa dentro di me – posso solo definirlo il mio sesto senso – decise di non preoccuparmi del mio CV e di evitare qualsiasi cosa che assomigliasse a una carriera tipica. Invece, con uno zaino, un budget limitato e senza un indirizzo fisso né la responsabilità genitoriale, sono partita. Il mio obiettivo era vedere come viveva il resto del mondo, così da poter capire come aiutare e quindi cosa fare dopo».
Tra i consigli della consulente strategica di aziende, istituti e organizzazioni c’è quello di coltivare la fiducia cognitiva ed emotiva
Oggi, come consulente strategico di start-up, aziende, istituti finanziari e organizzazioni non profit in mezzo mondo, l’obiettivo di Rinne è aiutare gli altri a trovare un equilibrio nel caos della vita moderna. I suoi consigli fondamentali sono almeno tre, e a Il caffè dei genitori ci sembrano perfetti per iniziare. Il primo è correre più lentamente.
«In un mondo in cui i ritmi sono incessanti, impara a rallentare il tuo ritmo interiore per dare il meglio di te stesso. Non solo aiuta a combattere il burnout e l’ansia, ma ti permette anche di prendere decisioni migliori». Il secondo è coltivare la fiducia. «Hai qualcuno su cui puoi contare, qualcuno con cui puoi parlare nella tua vita? Questo è direttamente correlato alla propria felicità. Significa avere qualcuno di cui ti fidi». I tipi di fiducia a cui Rinne si riferisce sono due: quella cognitiva e quella emotiva. «La fiducia cognitiva significa sapere che le persone sono affidabili, ossia che faranno quello che dicono di fare: arriverò in orario, farò un lavoro di alta qualità, rispetterò una scadenza. La fiducia emotiva, o affettiva, significa che qualcuno si prenderà cura di te e ti proteggerà e che tu farai lo stesso per l’altro. La fiducia emotiva viene dal cuore. Mi sento visto? Ho un posto? Ho un senso di appartenenza?». Collaborare con gli altri in questo contesto è indispensabile. Il terzo consiglio è conoscere il nostro abbastanza. «Nel XXI secolo viviamo in una società in cui più è l’obiettivo: più soldi, più potere, più like, più click, più auto, vestiti, cose. Ed è più di tutto. E infatti sta ren-
dendo molte persone piuttosto infelici. Quando sai che sei abbastanza, invece, inizi immediatamente a vedere l’abbondanza e capisci che la felicità non è qualcosa fuori di te che devi ottenere in qualche momento futuro. Non è più “sarò felice quando”, ma è la comprensione che in realtà posso essere felice proprio ora con abbastanza, proprio come sono». La lezione di Rinne sul fluxing è pubblicata sul sito turistico della Finlandia (www.visitfinland.com), che riconosce proprio nella capacità di adattarsi al cambiamento uno dei segreti della felicità del Paese – che anche nel 2025 si è classificato come il più felice al mondo per l’ottavo anno consecutivo. Il Rapporto mondiale sulla felicità (World Happiness Report) è stilato dall’Università di Oxford in collaborazione con la società internazionale di sondaggi Gallup e la Rete delle Nazioni Unite per le soluzioni di sviluppo sostenibile. La classifica si basa su una singola domanda: «Immagina una scala con gradini numerati da 0, in basso, a 10, in alto. La cima della scala rappresenta la migliore vita possibile per te, mentre la base rappresenta la peggiore vita possibile per te. Personalmente, su quale gradino della scala ti senti in questo mo-
mento?». La Svizzera è al 13° posto su 147 nazioni.
E allora, proviamo a salire nella nostra personale classifica di felicità seguendo i consigli di Rinne. Del resto, l’idea che la felicità sia una competenza da allenare non è nuova. Lo diceva già Epicuro nel III secolo avanti Cristo nella sua Lettera a Meneceo: «Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è, tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla». Essere in grado di gioire del quotidiano per Il caffè dei genitori è, forse, quanto di più vicino possa esserci alla felicità.
Foto di Flavia Leuenberger
Attualità ◆ Le settimane dei Nostrani del Ticino tornano fino al prossimo 22 settembre 2025. Un’occasione perfetta per scoprire i prodotti di casa nostra, approfittare di offerte imperdibili e partecipare a un grande concorso con in palio un’auto elettrica del valore di Fr. 25’000.–. Inoltre, fino al 13 settembre, il Centro S. Antonino ospita un mercatino ticinese con diverse specialità da degustare. In queste pagine ti proponiamo tre pasti a base di prodotti al 100% locali, per dei momenti di pura genuinità e tradizione
«Nel 1972 è stato inaugurato lo stabilimento regionale di produzione del panificio Migros di S. Antonino, originariamente con il nome di JOWA SA e oggi conosciuto come Fresh Food & Beverage Group. Ciò che ci distingue è la produzione di specialità nostrane realizzate con ingredienti del territorio, come farina, burro, miele, frutta candita, tutti provenienti da fornitori locali. La nostra azienda è inoltre orgogliosa di creare prodotti della tradizione ticinese utilizzando il lievito madre fatto in casa, rinfrescato da oltre 50 anni, per offrire ai clienti panettoni, pandori e colombe di alta qualità. I nostri prodotti riflettono la tradizione ticinese e sono sempre disponibili nei negozi nella massima freschezza possibile, con un’attenzione particolare al rapporto qualità-prezzo. Inoltre, la dedizione alla qualità e al legame con il territorio rende ogni acquisto un’esperienza autentica e genuina».
1 Pane Val Morobbia
Fondazione La Fonte, Vaglio
«La Fondazione La Fonte nasce poco più di 40 anni fa e nel tempo si è sviluppata in una dinamica organizzazione impegnata a fornire servizi alla comunità insieme a più di 150 persone con disabilità che lavorano e/o abitano nelle sue otto strutture. Curiamo con molto piacere collaborazioni con partner di rilevo, come nel caso di Migros Ticino: questo ci offre la possibilità di condividere con un ampio pubblico i risultati di qualità che è possibile realizzare grazie all’impegno
e al senso di responsabilità delle persone con disabilità da noi accompagnate. I prodotti realizzati dalla Fonte sono di qualità e unici, elaborati artigianalmente nella nostra Fattoria di Vaglio e presso Il Fornaio ad Agno, a partire in misura sempre maggiore da materie prime da noi coltivate. Sono prodotti “fatti da noi”, nei quali si assaporano tutto l’impegno e le capacità degli utenti-collaboratori che partecipano al raggiungimento del risultato finale: non un processo di produzione industriale, ma l’espressione di un vivo legame e scambio con la regione e la comunità».
2 Marmellata di zucca
Agroval, Airolo
«La nostra azienda di Airolo trasforma il latte vaccino di montagna della regione del Gottardo – proveniente da mucche nutrite con erba e fieno, senza insilatinon solo in saporiti formaggi, ma anche in cremoso iogurt, quest’ultimo nato del 2011 grazie alla collaborazione con Migros che lo lanciò sotto la sua consolidata linea dei «Nostrani del Ticino» e oggi presente sugli scaffali in una quindicina di gusti. Per quanto concerne i nostri formaggi a firma Agroval, Migros offre la Formaggella Leventina, il San Gottardo Prealpi, il Caseificio Leventina, il Caseificio Canaria e i formaggi d’alpe Fieudo DOP e Manegorio DOP, questi ultimi prodotti sull’omonimo alpeggio durante il periodo estivo e affinati in quota per almeno sessanta giorni».
3 Yogurt di montagna
4 Formaggio San Gottardo Prealpi
L’Oste Cucina Mediterranea, Quartino
«L’Oste Cucina Mediterranea prende vita nel 2006 grazie a Davide Mitolo, chef lucano trasferitosi in Ticino, dove le cucine delle nonne hanno acceso la sua passione per i sapori autentici. Da una piccola bottega ad Ascona, il nostro Pastificio L’Oste è cresciuto, specializzandosi in pasta fresca, ripiena e lievitati, con ravioli che nascono dall’amore per le materie prime locali. Questa connessione con la terra ticinese guida ogni nostra fase, dalla selezione stagionale degli ingredienti alla cura artigianale, bilanciata da una produzione industriale per assicurare uniformità. Scegliere i nostri prodotti significa portare in tavola l’essenza di un territorio che vive nelle sue colline e nei suoi sapori, esaltati da ingredienti raccolti al loro apice. Nonostante le sfide, come la disponibilità limitata di materie prime e la dipendenza dal clima, Davide testa personalmente ogni ricetta, assicurando qualità e innovazione».
5 Ravioli al brasato e ricotta e spinaci
Sicas, Chiasso
«La nostra azienda familiare è attiva sul territorio da oltre 60 anni nella produ-
zione di succhi di frutta e bibite gassate. Nel corso degli anni abbiamo sviluppato quanto dal mercato ci veniva richiesto a seguito dei cambiamenti delle esigenze ed aspettative della clientela, attrezzandoci anche con impianti adeguati: siamo passati dagli imballaggi in tetrapak a quelli in pet senza mai trascurare il vetro, vero protagonista del nostro assortimento di bevande gassate. Abbiamo sempre puntato sulla qualità dei prodotti, ricercando gli ingredienti migliori e più naturali possibili».
6 Gazosa al mandarino e limone
7 Aperitivo ticinese
Farina Bona, Vergeletto
«La Farina Bona è un pregiato e antico prodotto tradizionale della Valle Onsernone ricavato da granella di granoturco ticinese tostata e finemente macinata. Il mais proviene dal Piano di Magadino e viene lavorato in Valle, all’interno dei mulini di Vergeletto e Loco, strutture completamente restaurate negli ultimi anni. La Farina Bona si distingue per la sua versatilità, dal momento che viene utilizzata nella preparazione di innumerevoli specialità, dalle paste ai biscotti, dalle farine pure fino alle gallette».
8 Gallette di farina di mais
Cofti.ch Erbe Ticino, Chiasso
«Erbe Ticino nasce nel 2015 nel Mendrisiotto con l’obiettivo di valorizzare le erbe officinali e i sapori del territorio. Coltiviamo e trasformiamo erbe aromatiche, peperoncini e fiori edibili secondo i principi del biologico, realizzando tisane, sali aromatici e specialità che uniscono tradizione e creatività. La filiera corta, la lavorazione artigianale e l’attenzione alla sostenibilità sono al centro del nostro lavoro. Chi acquista Erbe Ticino porta a casa il gusto autentico del territorio, frutto di ingredienti selezionati e di un processo produttivo rispettoso dell’ambiente. Offriamo prodotti locali, biologici e di alta qualità, pensati per regalare un’esperienza di benessere e sapore in ogni tazza o piatto».
9 Sale alle erbe e fiori
10 Tisana Generoso
I Salumi del Pin, Mendrisio
«Dal 1996 nel salumificio del Pin (I Salumi del Pin) vengono prodotti salumi rigorosamente ticinesi, basati su carni di prima scelta, lavorate secondo ricette gelosamente conservate e tramandate per tre generazioni. Offriamo salumi di puro suino di produzione artigianale, insaccati in budello naturale e legati manualmente. Inoltre, i nostri esperti macellai si occupano con cura e passione della sezionatura di pezzi interi di maiale, manzo e vitello. Chi sceglie i nostri salumi nostrani si porta a casa dei prodotti genuini, realizzati con spezie naturali e pochi conservanti. Prestiamo molta attenzione alla qualità e alla provenienza della carne, tutta di origine svizzera con un approccio che privilegia il benessere animale e la sostenibilità».
11 Salametti al Merlot
12 Coppa
«Il nostro Caseificio dimostrativo del Gottardo, con sede ad Airolo, riceve il prezioso latte due volte al giorno. Dopo i controlli di qualità e la separazione nelle varie cisterne, secondo la provenienza e l’utilizzazione, si procede alla produzione artigianale dei vari formaggi. Fra questi anche l’apprezzatissimo “El Noè”, formaggio
maturo grasso a pasta molle prodotto con 100% latte vaccino ticinese pastorizzato. Ad Airolo produciamo anche la pasta dei Büscion Nostrani disponibili nelle versioni naturale, alle erbe e naturale senza lattosio. Queste due specialità e gli altri conosciuti formaggi ticinesi sono poi consegnati a Cetra Alimentari che li confeziona e li fornisce più volte alla settimana alla Centrale di Migros Ticino a S. Antonino. Oltre ad essere un’importante realtà casearia della nostra regio-
ne, siamo pure un’azienda formatrice che contribuisce a tramandare l’arte di produrre del buon formaggio. Per molti, il Caseificio del Gottardo rappresenta una rinomata struttura turistica con un’ampia offerta gastronomica».
13 Burro ticinese di montagna
14 El Noè
15 Büscion alle erbe
Salute ◆ Come vivere al meglio ogni fase del cambiamento femminile dalla pre alla post-menopausa
Maria Grazia Buletti
«Avevo 49 anni quando sono cominciate le prime vampate, poi è arrivata l’insonnia e un’irritabilità che non mi riconoscevo. Ho deciso di parlarne con il mio ginecologo che mi ha spiegato cosa stava accadendo. Ho iniziato un percorso personale che non era solo medico: ho cambiato dieta, mi sono iscritta a yoga e ho iniziato a dormire di nuovo. Oggi ho 54 anni e mi sento più in equilibrio di quando ne avevo 40. Dico alle donne più giovani di non aspettare il disastro: informatevi e prendetevi cura di voi». Amelia (nome noto alla redazione) spiega che, per molte donne, la menopausa arriva come un evento scomodo di cui si parla ancora poco, e spesso in modo impreciso. Eppure, è un passaggio fisiologico cruciale nella vita femminile che, se affrontato con le giuste informazioni e il supporto di professionisti competenti, può essere vissuto con equilibrio, consapevolezza e anche serenità.
Oggi più che mai è fondamentale affrontare apertamente questo tema, per superare il tabù che ancora circonda una fase della vita femminile spesso complessa, con ricadute non solo sul piano personale, ma anche su quello professionale. A questo proposito, per la prima volta, è stato commissionato uno studio a livello nazionale dal quale emerge che ben un terzo delle donne interrompe l’attività lavorativa durante questo periodo della vita. Lo studio, presentato a inizio settembre e promosso dalla professoressa Petra Stute (responsabile della clinica ginecologica dell’Inselspital di Berna) in collaborazione con la società Women Circle, si basa sull’esperienza diretta di quasi 2300 donne lavoratrici già in menopausa o nella fase che la precede. Ne emerge che, per molte, i disturbi legati alla menopausa sono talmente significativi da avere un impatto diretto sulla vita professionale. Nel dettaglio oltre una su cinque riduce il proprio orario di lavoro, quasi una su otto si prende una pausa, mentre alcune arrivano a cambiare professione o a uscire del tutto dal mondo del lavoro.
Il dottor Giovanni De Luca, specialista in ginecologia e ostetricia alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, ci ha guidato tra miti da sfatare, strategie preventive e possibilità terapeutiche che permettono di affrontare menopausa e post-menopausa in modo positivo e personalizzato. Una fase che inizia ben prima della scomparsa del ciclo e che può trasformarsi in una vera occasione di rinascita. Lo specialista fa appello alle domande più frequenti delle sue pazienti, fra cui: «“Sono in pre o post menopausa?”. Spiego loro che la menopausa non è un giorno preciso, bensì un processo: è il momento in cui tipicamente finisce il ciclo mestruale e, quindi, si conclude la fase fertile della vita di una donna. Ma non possiamo aspettarci un evento puntiforme da identificare per darne una definizione “didattica”, perché per parlare di menopausa dobbiamo aspettare che sia finito il ciclo
mestruale da almeno un anno». Non è un cambiamento on/off dall’oggi al domani: «La produzione di ormoni come progesterone, estrogeni e anche testosterone diminuisce in modo graduale. Un calo che avviene nel tempo, ed è proprio questo processo di progressivo esaurimento ormonale che definisce la perimenopausa». E pure il termine premenopausa non si riferisce a un breve periodo a ridosso di questo naturale processo nel corpo della donna: «La premenopausa, in senso ampio, comprende tutto il periodo che va dalla nascita fino all’inizio della transizione menopausale. Infatti, già dalla pubertà il ciclo mestruale non è regolare: nelle adolescenti può essere abbondante, ravvicinato o molto lungo. Poi segue la fase fertile, tra i 20 e i 40 anni circa, ma anche lì il corpo si adatta continuamente, influenza-
to da gravidanze, allattamento e stile di vita».
La perimenopausa si contestualizza in quel periodo di «cambiamento naturale» nella vita di una donna che va circa dai quarant’anni in poi quando, spiega il ginecologo, molte donne iniziano a sperimentare i sintomi legati alle variazioni ormonali: «Accade perché si va incontro a un naturale esaurimento della riserva ovarica: gli ovociti rappresentano un patrimonio già presente alla nascita e diminuiscono fino ad esaurirsi completamente in menopausa; ciò si accompagna alla progressiva riduzione di ormoni sessuali (in particolare gli estrogeni) che non sono più sufficienti a sostenere adeguatamente le funzioni di molti organi e tessuti. Nella donna, infatti, un gran numero di tessuti è fortemente dipendente dagli ormo-
Le donne possono prepararsi alla transizione menopausale adottando uno stile di vita sano: attività fisica almeno tre volte a settimana, riduzione di fumo e alcol, alimentazione equilibrata (Freepik.com)
ni». Questo processo fisiologico espone il corpo della donna a una nuova «vulnerabilità» dei tessuti fino a quel momento in un certo senso «protetti» dagli estrogeni. Un esempio su tutti: la maggiore attenzione che bisogna riservare al sistema cardiocircolatorio, capitolo che De Luca stesso definisce «molto ampio, merita ulteriore approfondimento». Per le possibili conseguenze delle vulnerabilità, entriamo nel discorso della terapia ormonale sostitutiva e dei pregiudizi ad essa correlati, soprattutto in passato: «Negli anni 2000, la terapia ormonale sostitutiva è stata spesso demonizzata, focalizzando quasi esclusivamente sul rischio oncologico senza considerare i suoi reali benefici. Bastava pronunciare la parola “ormoni” e ci si spaventava, anche a causa di alcuni studi spesso mal interpreta-
Pubbliredazionale
Prevenzione al femminile: menopausa & screening di densitometria ossea per l’osteoporosi
Rete Sant’Anna, la prima rete di cure integrate in Ticino, è lieta di proporre un calendario di appuntamenti regolari, gratuiti e aperti a tutti sul tema della prevenzione come accompagnamento al paziente nel percorso di c ura: non solo della malattia, ma in primis per la conservazione della sua salute, incoraggiando prese a carico sempre più personalizzate e focalizzate al bisogno individuale, per mezzo di un approccio multidisciplinare integrato.
In questo senso, Rete Sant’Anna poggia sulla sinergia tra medici, cliniche e ospedali, servizi a domicilio, per ottimizzare le cure, garantendo un’as sistenza migliore e più sostenibile: un’opportunità di cambiamento culturale e sociale che mette al centro la responsabilità e la libertà del pa -
ziente e del medico. Rete Sant’Anna e i suoi professionisti sottolineano l’ importanza della prevenzione e della diagnosi precoce, unitamente a un corretto stile di vita. Le conferenze aperte al pubblico si terranno ogni giovedì alle 18.00 nella Sala Conferenze della Clinica Sant’Anna di Sorengo (Stabile Villa Anna 2) e saranno guidate dagli specialisti, disponibili poi per domande e chiarimenti. Il tema della conferenza del 18 settembre sarà: Prevenzione al femminile: menopausa & screening di densitometria ossea per l’osteoporosi Cosa comporta la menopausa per il corpo e la qualità della vita della donna? Quali sono i principali sintomi e come possono essere gestiti? Quando è utile eseguire una densitometria ossea? Qual è il legame tra menopau -
sa e osteoporosi, e quali strategie di prevenzione e cura si possono adottare? Sono alcuni degli argomenti che saranno sviluppati.
Segue un rinfresco nella hall principale della Clinica dove potrete ammirare delle splendide fotografie di elefanti africani realizzate da Gabriel Haering. Le stampe sono in vendita a scopo benefico (maggiori informazioni: https://atkye.africa-photo graphy.ch/it).
Ingresso libero previa registrazione.
ti che hanno creato un allarme sproporzionato. Ma oggi, con una popolazione femminile che vive sempre più a lungo in postmenopausa (una fase che in passato era marginale) è fondamentale riconsiderare l’importanza di questa terapia». Per fortuna, negli ultimi anni nuove evidenze scientifiche hanno riportato equilibrio nel dibattito: «E anche noi medici stiamo finalmente superando il pregiudizio che ha a lungo permeato la terapia ormonale sostitutiva». Il tema del cancro va certamente affrontato e contestualizzato, ma prima è fondamentale parlare dei benefici di questa terapia: «Sul sistema cardiovascolare, sulla salute ossea, sulle capacità cognitive, sul benessere generale e sulla qualità della vita. In medicina esiste il principio chiave dell’omeostasi, cioè il mantenimento dell’equilibrio e dello stare bene. Anche in menopausa, se la donna non sta bene e la qualità della vita si riduce, è nostro dovere intervenire e, come ogni trattamento medico, la terapia ormonale sostitutiva ha benefici e potenziali rischi, però da valutare sempre nel giusto contesto clinico e individuale». Fondamentale il ruolo del medico e le relative scelte terapeutiche condivise, includendo pure terapie naturali come l’agopuntura e altre, se necessarie: «Nella fitoterapia esistono rimedi per i sintomi della menopausa, con beneficio minore rispetto alla classica terapia ormonale. Perciò, è fondamentale un follow-up medico, anche quando si opta per terapie naturali». L’essenziale accompagnamento del medico aiuta la donna a superare vecchi retaggi culturali, permettendole di riposizionarsi in modo più consapevole rispetto a questa fase della vita: «La menopausa è un evento naturale, ma anche un infarto o un tumore lo sono, eppure li trattiamo. Allo stesso modo, se la menopausa comporta un disagio reale, è doveroso intervenire». Attorno ai quarant’anni la donna può accogliere con consapevolezza il periodo di vita che l’attende: «Può prepararsi alla transizione menopausale adottando uno stile di vita sano: attività fisica regolare, come camminate o sport almeno tre volte a settimana, riduzione di fumo e alcol, e un’alimentazione equilibrata povera di carni rosse e cibi processati. È un periodo evolutivo, non negativo, che va affrontato con consapevolezza, ciascuna secondo la propria storia individuale». Il dottor De Luca invita a una consapevolezza a cui si dà ancora troppo poco valore: «La menopausa non è una fine, ma un nuovo inizio. Il vero cambiamento spesso non è il sintomo fisico, ma la percezione di un tempo che passa, di una bellezza che cambia. In un’epoca che esalta l’esteriorità, è difficile accettare nuove priorità. Ma proprio qui sta l’opportunità: spostare lo sguardo dall’apparire all’essere, dal compiacere gli altri al prendersi cura di sé. È il momento di vivere i secondi quarant’anni con più consapevolezza, più libertà e più autenticità. Non per tornare indietro, ma per rinascere, davvero».
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Libri ◆ L’elenco delle superstizioni, spesso declinate in pratiche regionali e locali, è ricco e aperto, nel loro saggio Elisabetta Moro e Marino Niola propongono una classificazione
Stefano Vassere
Le vie della superstizione sono illimitate: toccare elementi e parti del corpo; le conte, le litanie e le filastrocche; le scope; le pratiche con il sale; i poteri dell’olio di oliva; gli immancabili gatti; le limitazioni del venerdì; i rituali messi in atto nell’ambiente del teatro e dello spettacolo e in quello dell’università, che sono tanto vecchi quanto pieni della loro storia e delle loro storie; le codificazioni dello zodiaco; smorfie e lotterie ecc. Spesso, queste credenze hanno a che fare con il modo di raccontare il mondo e le sue ossessioni: «La storia dell’albero di olivo e quella dell’umanità sono la stessa cosa». E quando non è il mondo è qualcosa che lo supera: sapere dove stanno stelle e pianeti nelle collocazioni zodiacali determina i destini delle persone e preserva dalle malattie: «Il Toro protegge dagli abbassamenti di voce, il Cancro dall’influenza, l’Ariete dall’emicrania, lo Scorpione dai disturbi dell’apparato riproduttivo».
Dopo averle elencate tutte, cerca di mettere un po’ di logica nell’intricata e ricca serie, un saggio intitolato Gatti neri e specchi rotti, curato da Elisabetta Moro e Marino Niola, appena uscito nelle Vele Einaudi. L’elenco delle forme di queste abitudini, spesso declinate in pratiche regionali e locali, è ovviamente ricco e aperto. Ma è interessante anche il modo attraverso le quali queste vengono classificate: perché le superstizioni non sono semplici pratiche bislacche da ciarlatani; piuttosto, reggono un modo diverso di stare al mondo, «un’altra forma di intelligenza della vita». Questi rituali in un qualche modo «convengono», perché ci confermano che la fortuna può anche non dipendere da noi e ci scaricano così di un peso morale insostenibile sulle cose.
Tra i sensi elementari che sostengono questo sistema di credenze brilla la vista: gli occhi e lo sguardo sono
Fuad Aziz
Boléro di Maurice Ravel, Curci Young (Da 6 anni)
Lisa Molinaro-Boris Molinaro
Maurice Ravel. Concerto per la mano sinistra Curci Young (Da 6 anni)
Quest’anno ricorre il 150mo anniversario della nascita di Maurice Ravel e la casa editrice Curci, specializzata in musica, pubblica, nel suo ottimo marchio Curci Young, dedicato all’infanzia (e di cui ricorre a sua volta il 25mo anniversario), due albi illustrati che celebrano il compositore, pianista e direttore d’orchestra francese.
Uno è un albo senza parole (tranne un’introduzione, una postfazione e una nota sul brano) dedicato alla composizione più celebre di Ravel, Boléro, e in particolare all’ipnotica coreografia che Maurice Béjart creò nel 1961, con una ballerina su una pedana al centro della scena (nelle varianti che Béjart introdusse nel tempo ci furono anche protagonisti maschili), mentre gli altri ballerini, all’inizio fermi, si uniscono progressivamente alla danza seguendo il ritmo incalzante della musica, in
spesso al centro dei rituali: il sole come pupilla del cosmo e fonte suprema di energia, il malocchio, lo sguardo dello iettatore, che è «capace di sprigionare una sorta di incantesimo fatale»; e la parola invidia, che viene da invidere, che significa «guardare storto». Ma popolano questi mondi di ragione parallela anche altri riti della lingua e della comunicazione: dello iettatore appena evocato non si può nemmeno pronunciare il nome; le Sibille, le indovine dell’antichità, leggevano letteralmente il futuro da parole scritte sulle foglie; le parole che richiamano la misura e il calcolo dipendono quasi sempre dalle fasi lunari: misura, mese, mestruo, commensurabile deriverebbero (chissà?) dall’antico indoeuropeo men, che significa «calcolo» ma anche «luna», la luna che scandisce il tempo. Ancora, specchio e spettro vengono dalla stessa radice, e si sa che sciagure possano coglie-
re il malcapitato cui accada di rompere uno specchio o quanto sia importante, secondo alcuni, difendersi da uno spettro mettendogli di fronte uno specchio. Insomma, il campionario di questo libro è quello di un modo diverso di vivere la vita, di un apparato difensivo che serve ad affrontare il mistero; e all’incertezza e alle incognite, l’uomo antico e quello moderno contrappongo un sapere parallelo ma a suo modo intelligente e strutturato. Una sapienza che, posta accanto alle acquisizioni del pensiero e della tecnologia, sembra non arretrare per nulla e anzi sembra sussistere malgrado gli indubbi passi avanti della logica e della scienza nel frattempo intercorsi. Là dove dominano l’incertezza, l’imprevedibile, il mistero e il male ecco emergere l’ordine della credenza. Non mettiamo sedie a dondolo in salotto, perché il maligno potrebbe ac-
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cui i due unici temi vengono ripetuti su una base ritmica reiterata. L’artista irakeno (da tempo trasferitosi in Italia) Fuad Aziz coglie con le sue illustrazioni queste forti suggestioni sonore, rappresentando, oltre ai movimenti dei ballerini, anche l’orchestrazione dei vari strumenti, la quale è un aspetto centrale del brano. Un libro da guardare ascoltando. L’altro albo è dedicato alla commovente storia del pianista Paul Wittgenstein (1887-1961), fratello del filosofo Ludwig, che perse il braccio destro nella Prima guerra mondiale. Su questa storia era già uscito il bell’albo Per Mano, con testo di Sante Bandirali e illustrazioni di Gloria Tundo, edito da Uovonero e pre-
sentato proprio in questa rubrica due anni fa. Lì, con un’idea interessante di Bandirali, era la mano sinistra di Wittgenstein a raccontare la vicenda, dicendo di come si sia trovata, grazie alla straordinaria forza vitale del pianista, a dover «riempire da sola il silenzio della mia perduta sorella». Qui, in questo albo con testo di Boris Molinaro e illustrazioni di Lisa Molinaro (la quale, oltre ad aver conseguito un Master in illustrazione, è diplomata in pianoforte al Conservatorio, con un programma interamente incentrato sulla musica di Ravel), al centro c’è il rapporto tra Wittgenstein e Ravel, che per il pianista austriaco scrisse appunto il Concerto per la mano sinistra, eseguito per la prima volta a Vienna nel 1932. Il focus è dunque su entrambi i musicisti, e i loro punti di vista narrativi si alternano: dapprima Wittgenstein racconta la sua storia, dalla tragica menomazione all’incontro con Ravel; poi è Ravel a raccontare la grande fatica nel creare il Concerto in sol, che abbandona per comporre il Concerto per la mano sinistra ; poi di nuovo vediamo Wittgenstein cimentarsi nell’esecuzione del concerto creato per lui; e infine entrambi i musicisti, dai destini intrecciati nel segno della perseve-
Info Migros ◆ La Tavolata a Rancate e 75 passi tra le Isole
A tavola insieme
Cucinare per gli altri, mangiare insieme e confrontarsi: la Rete Tavolata offre una comunità di Tavolate locali autogestite per avvicinare le persone. All’evento informativo, con colazione offerta, le persone interessate riceveranno input e consigli su come creare e organizzare la propria Tavolata. I responsabili del progetto porteranno le loro esperienze e sosterranno i promotori nella creazione di nuove Tavolate. Vi aspettiamo numerosi!
Informazioni
Introduzione alla Tavolata, 15.09.2025, 9.30-11.00, Rancate, Portineria di quartiere, al Castello 10 (ex casa comunale). Contatti e prenotazione: svizzera.italiana@tavolata.ch
comodarvisi; attenzione all’ombrello aperto in casa, usato di regola dai curati che somministravano l’unzione ai moribondi; si rifà il letto in al massimo in due persone, la terza subentra solo quando è il giaciglio di un defunto; non regalate farmaci o un cactus (a meno di affiancargli una piccola coccinella), non comprate almanacchi, girate al largo dai pavoni, non passate sotto una scala, se volete un amuleto non acquistatelo e fatevelo regalare. Insomma, di fronte ai fenomeni inspiegabili, là dove non si arriva con il ragionamento, c’è una spiegazione alternativa alla ragione, laterale alla scienza e alla tecnologia. A quello serve, la superstizione.
Bibliografia
Elisabetta Moro e Marino Niola, Gatti neri e specchi rotti. Perché siamo superstiziosi, Einaudi, Torino, 2025.
ranza e della fiducia nella rinascita: Wittgenstein che riscuote successo con la sua esecuzione per una mano sola, e Ravel che trova la forza per portare a termine quel Concerto in sol per pianoforte e orchestra che l’aveva messo a dura prova.
Harry Allard-James Marshall, trad. di Sergio Ruzzier
La maestra è scomparsa! Lupoguido (Da 6 anni)
Harry Allard-James Marshall, trad. di Sergio Ruzzier
La maestra è tornata!, Lupoguido (Da 6 anni)
Di James Marshall (1942-1992) e dei suoi incantevoli libri abbiamo già parlato in questa rubrica nel luglio scorso, presentando Storie da spiaggia, dove egli era sia autore sia illustratore. Nei libri dedicati alla maestra Dolcini (e al suo esilarante doppio, la maestra Acquamarcia), Marshall è «solo» illustratore (e che illustratore!), mentre i testi sono di Harry Allard (1928-2017): i due si conobbero al Trinity College di San Antonio, in Texas, dove Allard insegnava francese e Marshall era studente. Con umorismo e grande capacità di assumere
Brissago: una passerella tra le Isole
In occasione del 75esimo anno di apertura al pubblico del Giardino botanico (1950), le Isole di Brissago e l’Associazione All’Isola dei conigli hanno ideato una passerella galleggiante tra le due isole, permettendo l’accesso all’Isola Piccola durante i fine settimana fino a domenica 5 ottobre. Sull’Isola Piccola (anche chiamata Isola di Sant’Apollinare o Isola dei conigli) sono proposti concerti, spettacoli e attività adatte a tutti. Inoltre si può usufruire del servizio di ristoro presente sul posto. In caso di vento o brutto tempo, la passerella non sarà utilizzabile.
Il programma completo degli eventi è consultabile sul sito www.isolebrissago.ch
una prospettiva bambina, ne La maestra è scomparsa i due ci raccontano la storia degli scolari dell’aula 207, terribili e maleducatissimi alunni della gentile maestra Dolcini, che un bel giorno viene improvvisamente sostituita dall’inflessibile signorina Acquamarcia, la quale li mette in riga in men che non si dica. Ma dov’è finita la signorina Dolcini? Ne La maestra è tornata accade qualcosa di altrettanto misterioso, stavolta ai bambini dell’aula 307, e sembra che le due maestre, la fata e la strega, non riescano a incontrarsi mai… Due storie spassose e intelligenti, perfette per un back to school all’insegna dell’ironia.
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Territorio ◆ Oltre all’escursionismo e al mantenimento del paesaggio, da Loco a Comologno si ristrutturano chiese e Vie Crucis Intanto ai Bagni di Craveggia si omaggiano i partigiani
Mauro Giacometti
C’è il territorio prealpino e alpino, vasto, anche impervio, solcato e disegnato dal fiume Isorno e dal suo affluente Ribo. Ci sono montagne, sentieri, rifugi dove gli escursionisti si riposano e si rifocillano. Ci sono i villaggi, ex Comuni, dove vivono circa 900 abitanti, storico esempio di resilienza e volontà di intere generazioni a non voler abbandonare questo lembo di terra racchiuso tra Val Rovana, le Terre di Pedemonte e le Centovalli, con un confine condiviso con l’italica Val Vigezzo. La Valle Onsernone da sempre è stata caratterizzata da un’economia rurale e forestale, con un invidiabile rispetto e una cura per la natura. Una filosofia di vita e un impegno concreto nella salvaguardia del proprio territorio che recentemente le è valso il riconoscimento internazionale di Villaggio degli Alpinisti (primo del genere in Ticino), risultato di grande soddisfazione per la comunità vallerana, che testimonia di quanto sia pagante una scelta virtuosa proiettata verso un futuro a misura d’uomo e d’ambiente.
Tra gli ultimi progetti avviati vi è quello della definitiva sistemazione del tetto della chiesa di San Remigio a Loco
Ma oltre alla natura, in Onsernone c’è la continua ricerca di una «cifra» spirituale, ad immagine dei continui restauri di edifici religiosi, chiese, oratori, Vie Crucis. Tra gli ultimi progetti avviati vi è quello della definitiva sistemazione del tetto della chiesa di San Remigio a Loco, primo luogo di culto della valle e che nella sua forma primitiva risale al VI-VII secolo. «Purtroppo, nonostante vari interventi nel passato, l’edificio si trova in uno stato di conservazione precario. Il tetto, nei passati decenni, ha accusato cedimenti strutturali di alcune parti dell’antica carpenteria, manifestatisi in crepe dei muri visibili dalla navata e in infiltrazioni di acqua piovana. Per evitare un suo ulteriore aggravamento con serie conseguenze, dobbiamo procedere all’impermeabilizzazione di parte della vecchia copertura in tegole. Inoltre, le problematiche legate all’assorbimento dell’umidità proveniente da con-
tro montagna, riguardano anche le pareti e parte del pavimento lastricato; ciò ha via via peggiorato lo stato della muratura, come anche la conservazione delle opere d’arte contenu-
te al suo interno. Tutti gli interventi avranno naturalmente la supervisione e l’approvazione dell’Ufficio cantonale Beni Culturali, perché la chiesa di San Remigio è un bene protetto»,
È una pagina di storia della Seconda Guerra mondiale che poteva trasformarsi in tragedia, se i doganieri svizzeri non avessero aperto le frontiere ai partigiani italiani in fuga. Per 40 giorni, nell’autunno del 1944, Domodossola e la regione circostante furono liberate dal dominio nazifascista. Il 10 ottobre, tuttavia, i fascisti italiani, sostenuti da unità tedesche, lanciarono una grande offensiva per riconquistare la zona. La partigiana «Repubblica dell’Ossola» dovette essere abbandonata. Migliaia di civili e partigiani cercarono di fuggire in Svizzera. Molti scelsero la via della Val Vigezzo verso la Valle Onsernone. Tra loro, circa
250 partigiani vollero attraversare il confine ai Bagni di Craveggia, ma furono inizialmente respinti dalle autorità di frontiera svizzere. Nel frattempo, i miliziani fascisti si avvicinarono e aprirono il fuoco contro i fuggitivi con le mitragliatrici. Visto l’imminente pericolo di morte, gli ufficiali svizzeri aprirono la frontiera ai fuggitivi ed evitarono così una strage. Tuttavia, due persone furono uccise e decine ferite. È ricordando quei fatti e quei caduti che negli scorsi giorni ai Bagni di Craveggia sono state posate tre pietre d’inciampo dedicate a Federico Marescotti, ucciso sul posto e sepolto a Comologno, Renzo Coen,
spiega Roberto Carazzetti, presidente del Consiglio parrocchiale di Loco che un anno fa, tramite l’Assemblea, ha stanziato circa 134’000 franchi per la realizzazione di un progetto preli-
minare di restauro che dovrebbe avviarsi entro il prossimo autunno. A Comologno, quasi alla fine della valle, è la Fondazione delle Cinque Terre, costituita nel 2003 da (ex) Comune, Patriziato e Parrocchia, a ricercare fondi per garantire il buono stato di monumenti e realizzare nuovi terrazzamenti con muri a secco. La chiesa parrocchiale intitolata a San Giovanni Battista martire risale alla fine del XVII secolo, mentre il campanile è del 1715. L’edificio conserva al suo interno cinque altari e una pala del 1710, raffigurante la Deposizione. Sul pendio sotto la chiesa e intorno al contiguo cimitero troviamo le caratteristiche 14 cappelle della Via Crucis, dono della famiglia Remonda, decorate nel ’700 da Giuseppe Maria Borgnis di Craveggia in Val Vigezzo. Le cappelle sono state poi ridipinte nel 1952 da quattro artisti ticinesi (il Gruppo dei Quattro): Emilio Maria Beretta, Mario Marioni, Pietro Salati e Alberto Salvioni. «Nel corso di questi ultimi anni sono state eseguite delle importanti opere di restauro murario e pittorico delle cappelle della Via Crucis, sotto l’esperta guida dell’architetto Maria Rosaria Regolati e sostenute da contributi di enti pubblici e privati. Ma essendo esposte alle intemperie necessitano di continui e costosi interventi, come del resto la chiesa parrocchiale che presenta preoccupanti infiltrazioni d’acqua dal tetto. In questo periodo stiamo raccogliendo i 40’000 franchi dell’ultima tappa di lavori nella chiesa», ci dice Fabio Gamboni, presidente della Fondazione Cinque Terre di Comologno.
colpito mortalmente e deceduto due giorni dopo all’ospedale di Locarno e Adriano Bianchi, gravemente ferito, che poi scrisse un libro di notevole valore storico su quel periodo (Il ponte di Falmenta, Ed. Tararà). Le pietre d’inciampo ai Bagni di Craveggia rappresentano la seconda installazione in Ticino di questi simboli dopo le quattro posate un anno fa a Brissago. Sull’episodio storico è inoltre stato da poco pubblicato il volume Confine di sangue. I fatti dei Bagni di Craveggia 18-19 ottobre 1944 (Insubria Historica) curato da Raphael Rues con testi di Vasco Gamboni, Alexander Grass, Nicola Guerini e Fiorenzo Rossinelli.
Ma oltre al sacro, la Valle Onsernone riserva anche un’adeguata riconoscenza ad una spiritualità profana, «laica». Come la recente inaugurazione delle tre pietre d’inciampo ai Bagni di Craveggia, antica stazione termale in territorio di Spruga, frazione dell’ex Comune di Comologno (vedi articolo sotto), piuttosto che il progetto «Salei per tutti», vale a dire l’adattamento della Capanna Salei nel territorio di Vergeletto (a quota 1777 m s.l.m.), raggiungibile con una teleferica da Zott, in funzione dell’utilizzo del rifugio anche per persone con disabilità. La magnifica vista della Valle Onsernone fino al Lago Maggiore alla portata veramente di tutti.
Diario scolastico della Svizzera italiana ◆ I testi dell’edizione 2025-26 sono stati curati dall’associazione Fabbrica di Ospitalità, nata da un gruppo di studentesse e studenti dell’Accademia di architettura di Mendrisio
Stefania Hubmann
È la casa nei suoi molteplici significati il fil rouge del Diario scolastico della Svizzera italiana 2025-2026 che accompagna la vita di numerosi studenti di più ordini di scuola. Dapprima immacolata, con il profumo della carta (riciclata) appena stampata, l’agenda si arricchisce nei mesi di annotazioni, disegni, adesivi, diventando espressione delle singole personalità. Il tema dell’anno scolastico iniziato settimana scorsa è stato scelto in relazione all’accoglienza di chi arriva in Ticino nel contesto migratorio. Giovani residenti nei centri d’asilo federali e cantonali e altri della Svizzera italiana hanno scritto i testi su cosa significa casa per loro. La stesura è avvenuta tramite l’associazione Fabbrica di Ospitalità, nata meno di due anni fa da un gruppo di studentesse e studenti dell’Accademia di architettura di Mendrisio con l’intento di creare occasioni di incontro e scambio tra migranti e popolazione locale. Rispondere alla domanda «Che cosa significa casa per te?» – titolo dell’86a edizione del Diario scolastico della Svizzera italiana pubblicato dalla casa editrice iet – Istituto Editoriale Ticinese – non è sempre facile, soprattutto se si sta sperimentando la precarietà di un percorso migratorio. Vivere in un luogo stabile, ma pure risiedere solo per un determinato periodo in una regione come fanno le popolazioni migranti, implica una diversa percezione e visione del concetto di casa. Concetto che in italiano sta tutto racchiuso in una parola, mentre ad esempio l’inglese differenzia l’edificio (house) dal luogo dove ci si sente a proprio agio (home). Nell’agenda, tra le pagine del calendario, si trovano testi di giovani provenienti da ogni parte del mondo e residenti nei centri d’asilo al momento del Laboratorio di scrittura che li ha visti riuniti per questo progetto. Ci sono inoltre le riflessioni sul senso della casa di alcuni studenti iscritti al Bachelor in Lavoro sociale alla SUPSI e di giovani adulti appartenenti alla comunità Rom. Nel complesso, attraverso dodici testimonianze, ci si confronta con le caratteristiche estetiche e abitative di alcune case, sul vissuto all’interno di altre abitazioni, sulle emozioni, sul senso di accoglienza o ancora su più aspetti riuniti.
Curato da Irene Genni dell’associazione Fabbrica di Ospitalità, il Laboratorio di scrittura ha visto la partecipazione anche di Delia Giandeini, attiva nell’ambito del lavoro sociale e divenuta membro dell’associazione. «Quest’ultima – precisa Delia Giandeini – è un’organizzazione molto flessibile, senza una sede fissa in Ticino, che promuove le proprie attività secondo l’evoluzione dell’attualità in ambito migratorio e i bisogni ad essa legati». La sede dell’associazione si trova a Ginevra presso lo studio degli architetti Vanessa Lacaille e Mounir Ayoub, professori invitati nel semestre autunnale 20232024 all’Accademia di architettura di Mendrisio dove hanno animato l’Atelier di progettazione. Ai loro studenti hanno chiesto di lavorare con la popolazione locale e le persone richiedenti l’asilo per realizzare insieme modelli fisici di possibili alternative alle condizioni di accoglienza esistenti. Oltre al contatto con i centri di accoglienza presenti in Ticino e agli incontri spontanei nelle strade della zona di confine, l’esperien-
za è stata arricchita da un soggiorno sull’isola di Lampedusa. Il lavoro è poi proseguito all’Accademia fino a giungere al progetto collettivo di Casa dell’ospitalità, costituito da un modello (in scala naturale) di un camera di un centro di accoglienza cantonale realizzato in prossimità del Centro culturale di Chiasso e da una serie di eventi di riflessione. L’associazione è nata da questa esperienza, siccome i partecipanti desideravano sviluppare i legami instaurati durante il periodo dell’Atelier. Oggi, oltre a voler pubblicare il lavoro svolto durante il semestre di due anni fa, l’associazione continua a proporre occasioni di incontro fra popolazione locale e migranti sfruttando gli eventi presenti sul territorio e in base agli interessi dei partecipanti. Il Laboratorio di scrittura per il Diario scolastico rientra fra queste attività. Delia Giandeini cita inoltre «passeggiate, atelier creativi, incontri al parco o al lago, grigliate, presenza ai mercatini e nelle scuole», aggiungendo che «sovente i ritrovi sono di natura informale, organizzati con poco anticipo». Più articolata la collaborazione dell’associazione (assieme a Mendrisiotto Regione Aperta) con Slow motion, organizzato dal Festival internazionale di narrazione di Arzo (svoltosi dal 21 al 24 agosto 2025). Precisa la nostra interlocutrice: «Slow motion è un laboratorio teatrale (sostenuto a livello cantonale e federale) che permette a persone con esperienze e origini diverse di conoscersi, raccontarsi e creare insieme uno spettacolo».
L’associazione propone occasioni di incontro e scambio tra migranti e popolazione locale, tra queste anche un Laboratorio di scrittura
Tornando al Laboratorio di scrittura, quali case ci raccontano i testi dell’Agenda? Alcuni redatti in lingua italiana, altri tradotti rimanendo fedeli alla versione originale, gli scritti evocano emozioni, ricordi, gli affetti più cari, luoghi perduti o sognati. «La mia casa sono le persone che amo» conclude il suo contributo Rahela, 27enne Rom nata in Svizzera. Anche per Natalia, giovane svizzera di 26 anni, la casa è «fatta di persone e di momenti, di porte aperte, viaggi in macchina, partite a calcetto». Per Alpha Oumar (34 anni ) della Guinea la casa è il suo rifugio di pace. La casa come rifugio anche per Christian (Italia e Guatemala, 22 anni) che cita la canzone dei Pinguini Tattici Nucleari: «Perché le case, in fondo, sono solo scatole, dove la gente si rifugia quando fuori piove». Ci sono però anche memorie di case fisiche, centenarie, case dove si è trascorsa l’infanzia, dove si trova il calore del camino acceso o ancora dove risiede la famiglia e si accumulano i ricordi.
L’agenda 2025-2026, con copertina e illustrazioni sul tema della casa firmati da Milly Miljkovic, racchiude come sempre molto altro. In primo luogo il tema della casa è ripreso in brevi frasi che spaziano da proverbi a citazioni di autori famosi come architetti, scrittori, scienziati, pittori, personaggi storici o ancora protagonisti dei fumetti. Anche in questo caso si può compiere un giro del mondo virtuale per scoprire lo sguardo sulla ca-
sa nella prospettiva di culture diverse. Il tema scelto ha quindi sia un lato intimo, quale è quello della propria abitazione, sia una valenza che invita ad aprirsi al mondo. Nel medesimo spirito si trovano ulteriori curiosità sulla casa curate, come le citazioni, da Ella Barella. Ecco allora scoperte di natura etimologica come il vero significato
della parola iglu, altre riguardanti la casa di Giulietta a Verona, le alte case di Amsterdam o ancora i Noren, le tende divisorie della tradizione giapponese. Completano il Diario, il calendario scolastico ufficiale per tutta la Svizzera italiana, proposte di lettura del festival Storie controvento, giochi e link con consigli per la salute, il
Tutto il piacere del bagnetto per i bambini della natura
benessere e il tempo libero, senza dimenticare gli spazi liberi per le annotazioni personali. La storica agenda scolastica della Svizzera italiana offre ancora una volta ai giovani della regione un interessante spunto di riflessione. A coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, condividendo il loro non sempre facile vissuto, ne è stato consegnato un esemplare. Non tutti hanno potuto essere raggiunti, poiché le norme vigenti sulla migrazione hanno portato alcuni di loro lontano. Le storie dei partecipanti a questo progetto attraverso l’associazione Fabbrica di Ospitalità hanno però trovato spazio di pubblicazione e quindi occasione di lettura e di ascolto. Per continuare a offrire accoglienza, i membri dell’associazione cercano nuove leve in modo da assicurare il ricambio di chi da studente è nel frattempo diventato attivo professionalmente con di conseguenza minor tempo a disposizione. Perché anche l’associazione– si legge nel Diario scolastico – «può essere pensata a sua volta come una casa simbolica dove le persone possono passare un po’ di tempo e creare dei bei ricordi».
Informazioni www.fabbricadiospitalita.com info@istitutoeditorialeticinese.ch
Quell’India «multi allineata»
Trump tratta Nuova Delhi come una controparte minore, da punire con la clava dei dazi, ma il Paese asiatico non ci sta mentre il «Sud globale» si compatta sempre di più
L’ostinata «Flotilla» verso Gaza
Genova ha salutato con calore la partenza della flotta: in cinque giorni sono state raccolte 200 tonnellate di generi alimentari, ecco il nostro reportage
Confederazione ◆ Dopo la presidenza di Thierry Burkart, il PLR guarda al tandem Vincenz-Stauffacher e Mühlemann
Obiettivo: frenare l’emorragia di consensi e rilanciare l’immagine della fazione politica
«Tutto sommato, guardo con favore a una co-presidenza del PLR», afferma Claude Longchamp, politologo di lungo corso, in pensione e tra le voci più autorevoli in materia di politica nazionale. «Susanne Vincenz-Stauffacher e Benjamin Mühlemann (nella foto) non erano i nomi più gettonati, né i favoriti. Ma sono due volti relativamente nuovi che hanno ora l’opportunità di rilanciare l’immagine del partito». Lei è consigliera nazionale sangallese, 58 anni, già presidente delle donne del PLR. Appartenente all’ala sinistra del partito, si è affermata come politica progressista in ambito economico, sociale e ambientale. «Ha sicuramente un profilo interessante», sottolinea Longchamp. «Con la sezione femminile del partito, una realtà giovane e di piccole dimensioni, è riuscita a lanciare con successo un’iniziativa popolare, quella sulla tassazione individuale. Un obiettivo che altri, prima di lei, non hanno centrato».
Per Mattea Meyer e Cédric Wermuth – alla guida del Partito socialista – è stato facile trovare la giusta sintonia. Ma non tutte le co-presidenze funzionano
Lui è consigliere agli Stati dal 2023, 46 anni, ex membro del Governo del Canton Glarona. Anche se da poco a Berna, fa già parte di organi di rilievo della politica federale, come la commissione e la delegazione delle finanze. «È un volto poco noto e, a livello nazionale, deve ancora dimostrare il suo valore», spiega il politologo, ricordando allo stesso tempo i punti di forza di Mühlemann. «A livello cantonale, come consigliere di Stato, ha svolto un ottimo lavoro. Conosce bene il partito, anche le realtà rurali, quindi la sua ala più conservatrice». Dopo l’annuncio di Thierry Burkart di cedere il testimone, la giostra dei papabili si è messa subito in moto. Ma, come spesso accade, le figure di spicco che i media davano per naturali eredi hanno, una dopo l’altra, fatto un passo indietro. Le ragioni dei numerosi «no grazie» sono molteplici. Longchamp, fondatore ed ex direttore dell’Istituto di ricerca gfs.bern riassume così il problema: «Si tratta di un incarico a tempo pieno, difficilmente conciliabile con la vita privata e professionale. Dal presidente ci si attende che sia sempre reperibile, reattivo e presente in ogni angolo della Svizzera». Secondo il politologo, questa carica non è più un trampolino di lancio verso il Consiglio federale, semmai un ostacolo. «Si è costantemente sotto i riflettori dei media e si rischia di com-
promettere la propria carriera politica con risultati mediocri», afferma Longchamp, aggiungendo che per Thierry Burkart l’intenzione di rilanciare le sue quotazioni sotto la cupola di Palazzo potrebbe aver influito sulla scelta di lasciare la presidenza. «Anche Albert Rösti, attuale consigliere federale UDC, ha rafforzato le proprie chance dopo aver lasciato la guida del partito, profilandosi sul fronte della politica energetica e guadagnandosi così i favori delle altre forze politiche».
La co-presidenza ha il vantaggio di ridurre rischi, peso e responsabilità. Affinché funzioni, però, le due teste devono avere la stessa visione
La co-presidenza ha quindi il vantaggio di ridurre rischi, peso e responsabilità. Perché funzioni, però, le due teste devono «gleich ticken», un’espressione tedesca traducibile con «avere la stessa visione». L’esem-
pio del Partito socialista con Mattea Meyer e Cédric Wermuth dimostra che è possibile. Va però ricordato che, quando hanno assunto la guida del PS, i due si conoscevano da tempo. Tra l’altro, Meyer era stata collaboratrice personale di Wermuth. Per loro è stato facile trovare la giusta sintonia, anche sui dossier più scottanti. Un altro esempio di co-presidenza, questa volta negativo, è quello del partito ecologista. Regula Rytz e Adèle Thorens hanno preso in mano le redini dei Verdi svizzeri nel 2012, ma il loro connubio è stato poco fortunato. «Le due esprimevano posizioni molto diverse», ricorda l’esperto. «Thorens rappresentava l’anima ecologista e borghese della Svizzera francese, mentre Rytz quella sindacalista, verde e di sinistra. Dopo una sola legislatura, hanno capito che si completavano solo sul piano linguistico, ma non su quello politico e ideologico».
Ora, con Vincenz-Stauffacher e Mühlemann, il PLR tenterà la carta della co-presidenza. L’elezione è
in programma il 18 ottobre, durante l’assemblea dei delegati, e in assenza di alternative la loro nomina è scontata. Il duo dovrà trovare in fretta una bussola comune perché le sfide all’orizzonte sono tutt’altro che semplici. Da una parte devono frenare la ormai decennale perdita di consensi, che alle elezioni federali del 2023 ha portato il partito a ottenere il peggior risultato della sua storia. «Non penso che il PLR riesca, da qui al 2027, a invertire la rotta. Nella migliore delle ipotesi riuscirà ad arrestare l’erosione di voti», afferma Longchamp. «Non credo all’idea che un presidente abbia la capacità di cambiare tutto. È una tipica illusione del PLR». Una speranza affidata quattro anni fa a Thierry Burkart, che però ha deluso le attese.
Claude Longchamp ricorda poi l’eredità che lascerà l’attuale presidente. «Thierry Burkart ha incarnato una linea molto vicina all’UDC», sottolinea il politologo. «È sceso a compromessi sulla politica europea, ha sostenuto un ripensamento in materia di
energia nucleare e, insieme alla ministra dell’economia Karin Keller-Sutter, ha promosso una gestione rigorosa delle finanze statali, scontentando le ali centriste, ecologiche e legate al compromesso del partito».
Vincenz-Stauffacher e Mühlemann dovranno ora ricucire le fratture interne e compattare il PLR. Un banco di prova severo, ma che la co-presidenza potrebbe superare perché maggiormente rappresentativa delle diverse sensibilità della base. La consigliera nazionale sangallese difende posizioni progressiste in materia di società e clima, mentre il senatore glaronese si colloca piuttosto a destra, soprattutto per quanto riguarda le questioni finanziarie. «Inoltre la formula uomo-donna – conclude Claude Longchamp – è un vantaggio, non solo come segnale verso l’esterno, ma anche come fattore di identificazione all’interno. Non va dimenticato che il PLR registra un calo di elettrici. Questa co-presidenza può quindi essere l’occasione per colmare una delle debolezze del partito».
Svizzera ◆ L’ex consigliere federale alle celebrazioni degli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale: è polemica
Roberto Porta
«La piazza della porta della pace celeste», è questo il significato del termine «Tienanmen», ed è su quell’immensa spianata che mercoledì scorso a Pechino il regime cinese ha messo in bella mostra tutta la sua forza con una spettacolare sfilata militare. Diecimila soldati e imponenti mezzi militari hanno dato forma ad una parata voluta per celebrare gli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale in Asia e per ricordare la vittoria sul Giappone, allora alleato della Germania nazista. Ad assistere a questa celebrazione c’erano i vertici del regime cinese, guidati dal presidente Xi Jinping, e una trentina di ospiti arrivati da mezzo mondo, molti di loro giunti da quella parte di pianeta che non sembra avere particolari ambizioni democratiche, per dirla con una formula eufemistica. Tra gli invitati di primo rango c’erano il despota russo Vladimir Putin e il dittatore nord-coreano Kim Jongun. Tra gli altri, nella capitale cinese si sono visti anche i leader di Iran, Bielorussia, Azerbaijan e Myanmar. Qualcuno è arrivato pure dall’Occidente, presenti i governanti di Serbia e Slovacchia, due Stati che si muovono nell’orbita di Russia e Cina. In questo gruppo di invitati d’onore c’era anche uno svizzero, Ueli Maurer, un «grande ex» della politica elvetica, lui che è stato consigliere federale dal 2011 al 2022 e, in quel periodo, per due volte presidente della Confederazione. Una presenza che al termine della parata è valsa a Maurer una foto di gruppo al fianco di un bel po’ di autocrati, lì a qualche passo da Vladimir Putin. Si è trattato di una trasferta su invito, rivolto direttamente a Maurer dal regime di Pechino. Un viaggio che ha avuto un’eco anche nel nostro Paese, suscitando discussioni e polemiche, tra
chi ha criticato la scelta di recarsi ad una parata del genere, e chi invece ritiene che la presenza di un ministro, seppur in pensione, possa permettere di tenere aperti importanti canali diplomatici tra la Svizzera e la Repubblica popolare cinese. Ma andiamo con ordine. Sul fronte di chi ha biasimato Ueli Maurer spicca in particolare un suo ex collega, il già ministro dei trasporti Moritz Leuenberger. A suo dire la presenza di Maurer a Pechino ha «danneggiato la reputazione della Svizzera agli occhi dei suoi principali alleati». E qui il riferimento è in particolare all’aggressione russa dell’Ucraina, sostenuta anche dalla Cina, e che vede il nostro Paese sul fronte opposto, al fianco delle principali
cancellerie occidentali. Per il socialista Leuenberger c’è dunque un problema di credibilità, se ci si schiera di fianco a chi ha aggredito l’Ucraina. Va detto che Ueli Maurer ha accettato l’invito cinese senza informare né il Governo né il Dipartimento federale degli affari esteri. Non aveva dunque un mandato ufficiale e si è mosso in totale autonomia. Un aspetto controverso su cui, al termine della parata, si è espresso lo stesso Maurer, raggiunto a Pechino dalla Radiotelevisione svizzero tedesca. «Non ho informato il Governo per non metterlo in una situazione imbarazzante, lo avrei costretto a prendere una decisione difficile», ha affermato l’ex ministro, facendo notare che a margine della parata ci sono stati ap-
puntamenti a cui ha comunque partecipato anche l’ambasciatore svizzero a Pechino.
Sollecitato sui motivi che lo hanno portato ad accogliere l’invito della Repubblica popolare cinese, Maurer ha fatto riferimento alla Seconda guerra mondiale, un conflitto che è costato la vita a quattro milioni di persone in Cina. «In questi giorni si sono ricordati gli ottant’anni dalla fine della guerra, il rispetto per quelle vittime mi ha spinto ad andare a Pechino». Va detto che gli impegni degli ex consiglieri federali sono disciplinati, seppur in grandi linee, da un regolamento specifico, il primo allegato del cosiddetto Aide-mémoire, il documento che serve da bussola amministrativa per l’attività del Governo. Nell’allegato per i ministri in pensione non ci sono riferimenti a viaggi o inviti di altri Governi, si legge soltanto che nell’accettare nuovi incarichi l’ex ministro deve dar prova di una «necessaria cautela». Tra chi in questi giorni si è espresso criticamente nei confronti di Maurer è emerso proprio il tema della «mancata cautela», in particolare nei confronti della neutralità elvetica. Un argomento delicato, in particolare per un rappresentante dell’UDC, partito che ha lanciato un’iniziativa popolare proprio sulla neutralità, allo scopo di iscriverla nella Costituzione in una versione che potremmo definire «tutta d’un pezzo». L’iniziativa è al momento al vaglio del Parlamento. Ebbene, Maurer non è stato solo un ministro, ma per ben 12 anni, dal 1996 al 2008, è stato anche il presidente nazionale dell’UDC. Il fatto di essersi schierato, seppur da ex consigliere federale, al fianco di potenze che mirano a indebolire l’Occidente e il suo sistema di valori, può essere visto come un’imprudenza che
rischia di intaccare se non proprio la neutralità perlomeno l’immagine del nostro Paese. «In questo periodo storico occorre parlare con tutti, abbiamo bisogno di contatti e non di polemiche», ha fatto notare lo stesso Maurer, che, va ricordato, ha ricevuto anche il sostegno di una parte del mondo politico svizzero, e persino quello di altri due suoi ex colleghi, Pascal Couchepin e Micheline Calmy-Rey. A detta dell’ex ministra degli affari esteri, interpellata dal quotidiano «24 Heures», «può essere utile curare i rapporti con la Cina» in particolare in questo periodo segnato dai dazi commerciali di Trump. In ogni caso non è la prima volta che Ueli Maurer dimostra un particolare interesse per la Cina, lo ha fatto diverse volte, l’ultima un anno fa, quando ha partecipato ad una conferenza organizzata dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, evento in cui ha sottolineato il valore del dialogo nella gestione delle relazioni internazionali. Maurer pare avere un debole per la Cina ma anche per la provocazione. Non per nulla proprio all’inizio di questo 2025 si era schierato a sostegno dell’Alternative für Deutschland, il partito sovranista che le autorità costituzionali tedesche hanno definito di «estrema destra». In conclusione val la pena ricordare una massima che viene spesso evocata per chi lascia una carica di prestigio, in particolare quella di consigliere federale. «Servir c’est disparaître», una sorta di regola non scritta per chi lascia il Governo svizzero, norma che anche altri grandi «ex» della politica svizzera non rispettano del tutto. E forse proprio per questo motivo l’Aide-mémoire del Consiglio federale andrebbe in qualche modo riformulato.
Il commento ◆ Riflessioni sparse sul rapporto talvolta discutibile che abbiamo con gli animali che definiamo «da compagnia»
Romina Borla
Una tremenda rete internazionale che condivide online video di gatti sottoposti a torture e uccisi. L’ha svelata di recente un’inchiesta della Bbc. Il maltrattamento degli animali, fenomeno non nuovo, che con le tecnologie attuali assume forme e dimensioni angoscianti. Ma se guardiamo di fino ci accorgiamo che altre situazioni sono discutibili, sotto tanti punti di vista. Ce le troviamo davanti agli occhi ogni giorno. Ma partiamo dalle regole.
In Svizzera la Legge federale sulla protezione degli animali – che si applica in particolar modo ai vertebrati – ha lo scopo di tutelare la dignità e il benessere degli stessi (non entriamo nei capitoli riguardanti l’allevamento e gli esperimenti in laboratorio). Come? Essa esige che siano loro evitati «sofferenze», «dolori», «lesioni» e «ansietà». Afferma che non bisogna intervenire in modo incisivo sul fenotipo dell’animale (ovvero non bisognerebbe modificare artificialmente
o forzatamente le caratteristiche naturali dell’animale, soprattutto per motivi estetici o commerciali), pregiudicare le sue capacità o strumentalizzarlo eccessivamente (bisognerebbe capire quali sono i limiti...). Il
benessere dell’animale – dice sempre la legge – è garantito solo se «le condizioni di detenzione e l’alimentazione non ne compromettono le funzioni fisiologiche o il comportamento e non ne sollecitano oltremodo la capacità di adattamento», «ne è assicurato il comportamento conforme alla specie entro i limiti della capacità di adattamento biologica». È punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria non solo chiunque maltratti, trascuri o uccida un animale ma anche chi «abbandona o lascia andare un animale che teneva in casa o nell’azienda, nell’intento di disfarsene». È espressamente vietata l’importazione di delfini e altri cetacei.
Delfini no dunque ma pitoni, tarantole e diamantini si possono tranquillamente acquistare. In un negozio di animali ticinese abbiamo addirittura visto un axolotl, una specie di salamandra originaria del Messico che in natura è sull'orlo dell'estinzione. In
cattività invece il numero di esemplari è piuttosto alto, essendo diffuso come animale «da compagnia» e da laboratorio (si studia soprattutto la sua capacità di rigenerare arti, cuore, occhi e parti del cervello). Sembrava un alieno, solo nel suo piccolo acquario. E costava poco più di 60 franchi. Volontari animalisti ci hanno raccontato: «Gli animali esotici sono difficili da gestire, spesso la gente si stufa in fretta e li abbandona». Speriamo non in un riale. Ma sono così «carini» detenuti – perché questa è la parola corretta, la usa anche la legge federale –in gabbie più o meno grandi, lontani anni luce dal loro habitat naturale. Proprio «carini». Che dire poi del branco di pesci stipati in un torbido acquario dell’amico di turno che si ricorda a intermittenza di accendere la lampada «da giorno» (sono in cantina). Del geco leopardino freddoloso rinchiuso in 30 litri di teca (il comportamento conforme alla specie sarà assicurato là
dentro?). Dei criceti tristi che continuano a correre su una ruota che non li porterà da nessuna parte, se non nelle fauci del gatto domestico. E ci sono anche i gatti al guinzaglio! Già, perché magari chi li compra di razza non vuole lasciarli liberi di andare –come l’anima di felino suggerisce loro – rischiando di farseli rubare (costano!). Le razze vanno forte anche per i cani. Così largo alle malattie, perché si incrociano tra parenti per mantenere la «purezza», si seleziona geneticamente in modo spregiudicato e chi se ne importa delle possibili patologie da conformazione. Salute giù ma estetica al top, insomma. Legge, realtà. Qualcosa non ci torna. Certo, i video dei gatti torturati e uccisi sono peggio. Tornando al negozio di animali di cui parlavamo, vende anche scatoline di insetti vivi (non tutti ormai), ad esempio per i gechi leopardini: venti grilli impilati uno sull’altro. Saranno anche invertebrati ma per loro nessuna pietà?
L’analisi ◆ Donald Trump tratta Nuova Delhi come una controparte minore, da punire con la clava dei dazi, ma il Paese asiatico non ci sta mentre il «Sud globale» si compatta sempre di più
Francesca Marino
Riassunto delle puntate precedenti: lo scorso aprile l’India ha bombardato alcuni campi di jihadisti in Pakistan per rappresaglia contro un attacco su civili compiuto dai suddetti terroristi pakistani. Dopo quattro giorni di conflitto Donald Trump annunciava la fine delle ostilità accreditandosi come mediatore e paciere. L’India negava ogni coinvolgimento del presidente americano, il Pakistan lo candidava invece al Nobel per la pace, mettendo in più sul piatto una serie di «deal», accordi commerciali che riguardano lo sfruttamento di miniere nella regione del Belucistan più varie ed eventuali. Dopo una serie di pranzi e incontri conviviali tra Trump, il suo staff e Asim Munir (capo dell’esercito e di fatto dittatore del Pakistan che su territorio americano minacciava di usare il nucleare sull’India e su chiunque pensasse di colpire Islamabad) e vari scambi di cortesie, il presidente americano imponeva agli scambi commerciali con l’India dei dazi del 50%.
Giustificandoli con il fatto che New Delhi compra petrolio e armi dalla Russia e che quindi finanzierebbe indirettamente la guerra in Ucraina.
Uno dei primi risultati della strategia trumpiana è stato il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai
Sul piatto, più che gli scambi commerciali e l’ego di Trump, ci sono le differenze strategiche e di approccio dei due Paesi e il solito braccio di ferro su un concetto che risulta quantomeno ostico agli americani quando si tratta di Nazioni appartenenti all’ex «Terzo mondo»: la sovranità nazionale. Il meeting di agosto ad Anchorage, in Alaska, conclusosi con un nulla di fatto tra Trump e Putin, lo ha chiarito in modo lampante. Trump voleva dagli indiani un gesto simbolico di sottomissione. Ha mandato i suoi funzionari con il solito ultimatum: «Smettete subito di comprare il petrolio russo altrimenti…». La delegazione indiana ha ascoltato con calma, ha ringraziato e ha rifiutato. Non per provocare, ma per logica elementare: senza energia a buon mercato, l’India frena la sua crescita economi-
ca. Le tariffe imposte a Nuova Delhi colpiscono di rimbalzo anche l’America, ma a Washington a quanto pare non interessa più di tanto: Trump gioca sui titoli di giornale, sul ritorno di immagine a breve termine, mentre le strategie indiane sono a lungo termine e molto più complesse di quanto gli Stati Uniti sembrino capire. Nel 1998, dopo i test nucleari, gli americani avevano tentato di isolare Delhi con le sanzioni. Ventisette anni più tardi l’India è una potenza nucleare riconosciuta e rispettata. Ogni crisi petrolifera ha rafforzato la sua capacità di diversificare. Ogni pressione esterna ha consolidato la dottrina dell’autonomia strategica. Pensare che qualche dazio possa piegare un Paese con questa memoria storica è ingenuo. E difatti uno dei primi risultati della strategia trumpiana è stato il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) ospitato dal Governo cinese, a cui ha partecipato anche Vladimir Putin. Narendra Modi, che non an-
dava in Cina da sette anni, è stato accolto con tutti gli onori da Xi Jinping: che parla di «rafforzamento del Sud globale» e di cooperazione con l’India. E qui entra in gioco la contraddizione americana. Da un lato gli Stati Uniti proclamano l’India «partner indispensabile» nell’Indo-Pacifico, il pilastro della strategia per contenere la Cina. Dall’altro Trump tratta Delhi come una controparte minore, da punire con la clava dei dazi. Una schizofrenia che indebolisce la credibilità americana. Perché se l’obiettivo è costruire un’alleanza solida contro l’espansionismo di Pechino, l’ultima cosa da fare è trasformare l’India in un partner diffidente. Pena l’indebolimento del Quad, l’alleanza strategico-militare tra Usa, India, Australia e Giappone che nelle intenzioni di Washington dovrebbe essere la «mini-Nato» dell’Indo-Pacifico, la cintura militare per contenere Pechino. Più Trump alza i dazi e fa la voce grossa, più diventa difficile convincere Nuova Delhi che il Quad sia qualcosa di
diverso dall’ennesimo marchingegno a guida americana che vuole sudditi più che alleati. Sul piano geopolitico il quadro è chiaro. L’India non è più «non allineata» nel senso del passato, ma «multi allineata». Collabora con gli Stati Uniti nella difesa, con la Francia negli armamenti, con il Giappone nella tecnologia, con la Russia nell’energia, con il Medio Oriente nei corridoi commerciali. Nessuno può rivendicare un monopolio su Delhi. Chi ci prova, rischia solo di scoprire quanto sia vasta la rete di alternative già pronta. E infatti, se gli Stati Uniti alzano muri tariffari, l’India guarda altrove. L’Unione europea cerca partner affidabili per ridurre la dipendenza cinese: Delhi è una candidata naturale. L’Africa apre mercati immensi e ha fame di investimenti, e l’India è già presente con infrastrutture e tecnologia. Il Golfo si propone come hub energetico-finanziario, e Modi rafforza i legami con Riyad e Abu Dhabi. In questo puzzle l’America non è
più l’unico pezzo indispensabile, ma uno dei tanti. Trump vuole in teoria punire l’India per la sua vicinanza energetica a Mosca. Ma spingendo troppo, non fa che consolidare quella vicinanza, regalando spazio a Putin e applausi a Xi Jinping. È l’America che si auto-indebolisce, non l’India. A breve termine gli esportatori indiani soffriranno. Ma alla lunga i mercati si apriranno altrove: Europa, Africa, Sud-est asiatico. E quando gli Usa vorranno rientrare, forse il loro posto non sarà più riservato. Il dilemma quindi non è tra dazi al 25% o al 50%. È tra visione e miopia. Tra accettare l’India come partner sovrano o trattarla da subordinato. La conclusione è banale e non dovrebbe sfuggire a Washington: l’India non ha intenzione di cedere. Non ai dazi, non alle minacce, non alle nostalgie pakistane e tantomeno ai ricatti travestiti da «lotta al terrorismo». Continuerà a tracciare la sua rotta, con o senza l’approvazione dell’America. Con buona pace di Donald Trump.
In occasione del suo 125° anniversario, sabato 20 settembre la Clinica Moncucco aprirà le porte al pubblico con una giornata ricca di eventi, all’insegna della prevenzione e della valorizzazione della storia di un punto di riferimento della sanità ticinese. Dalle 9:30 alle 18:00, i visitatori potranno partecipare a visite guidate, sottoporsi a test medici gratuiti, scoprire un percorso storico pensato per adulti e bambini, prendere parte ad atelier dedicati alla salute e alla prevenzione, e allietarsi con momenti gastronomici.
Visite guidate: dietro le quinte di una Clinica d’eccellenza
Dal pronto soccorso ai reparti, passando per le avanguardistiche sale operatorie: un percorso guidato dai professionisti della Clinica Moncucco per scoprire che cosa si cela dietro l’organizzazione della presa a carico e di degenza dei pazienti.
Prevenzione: ambulatori aperti e test medici gratuiti
Medici, infermieri e fisioterapisti della Clinica Moncucco saranno presenti negli ambulatori di cardiologia, diabetologia, fisioterapia, geriatria, neurologia, pneumologia, senologia, nonché nei centri dedicati alla cura dell’obesità e di cura delle ferite, per una giornata dedicata alla prevenzione. Oltre a sottoporsi a numerosi test medici gratuiti, sarà possibile dialogare con i medici e gli specialisti del Gruppo Moncucco e visitare i percorsi espositivi tematici allestiti all’interno degli ambulatori.
Percorso storico (per grandi e piccini): 125 anni di storia, dal cavallo all’ambulanza
Percorrere l’affascinante storia di Moncucco… sul dorso di un pony. Un viaggio simbolico attraverso 125 anni di eventi, personaggi e curiosità che hanno segnato la storia di una collina divenuta iconica per la sanità ticinese.
Gastronomia: una storia da assaporare
Un percorso culinario, tra ricordi, profumi e sapori, attraverso il tempo e la memoria. La Clinica Moncucco offrirà ai visitatori piatti che ripercorrono e raccontano i suoi 125 anni. Un viaggio sensoriale, accompagnato dalle musiche delle diverse epoche, nel quale ogni portata diventa una pagina di storia da gustare.
Il reportage ◆ Genova ha salutato con calore la partenza delle imbarcazioni, siamo stati sul posto a preparare i pacchi di cibo
Elisabeth Sassi
Il 4 settembre la più grande mobilitazione pacifica di imbarcazioni umanitarie, partite finora da Italia e Spagna, avrebbe dovuto incontrare il resto della flotta in partenza dalla Tunisia. Le tempeste e le condizioni meteo avverse hanno costretto però una parte della flotta a un arresto tecnico a Minorca, come ha spiegato il 3 settembre Yasemin Acar, attivista tedesca ed ex membra della missione Madleen (nave intercettata e abbordata in acque internazionali, a oltre 100 miglia nautiche dalla costa di Gaza, lo scorso 9 giugno). Superata la sosta forzata, le imbarcazioni riprenderanno la rotta verso Gaza, con l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco israeliano e portare aiuti umanitari alla popolazione allo stremo.
Come distribuire gli aiuti?
Come affrontare chi vorrà affidare i bambini ai volontari? E come gestire chi vorrà scappare dagli attacchi?
La mobilitazione della Global Sumud Flotilla ha visto negli ultimi tempi decine di migliaia di persone scendere nelle piazze e nei porti d’Europa, segno che esiste ancora spazio per l’umanità e la solidarietà dal basso. Imbarcazioni civili, cariche di cibo e beni essenziali destinati a chi, secondo le Nazioni unite, sta morendo di fame. Nel frattempo, non si sono fatte attendere le minacce del ministro israeliano Itamar Ben-Gvir, che ha dichiarato che gli equipaggi della Global Sumud Flotilla verranno trattati come terroristi. Di fronte a tali avvertimenti, Emergency ha scelto di navigare al fianco della flotta civile.
Tra tutti gli episodi che hanno accompagnato la partenza della flotta, quello avvenuto a Genova nell’ultima settimana di agosto ha avuto un carattere davvero eccezionale. In soli cinque giorni sono state raccolte 200 tonnellate di generi alimentari, contro le 40 inizialmente previste. I prodotti sono stati poi inscatolati dai volontari e dalle volontarie e caricati sulle navi, che hanno salpato dal Porto antico accompagnate da una fiaccolata: 50 mila partecipanti hanno attraversato la città, dalla base di Music
For Peace fino al centro, passando lungo la Sopraelevata. Arrivo come tante altre persone con lo zaino in spalla, alla fine di una giornata di lavoro, senza essere ancora passata dall’alloggio che un’amica ticinese mi ha messo a disposizione mentre si trova in Grecia. Per farmi largo dico che mi manda Marco, della comunità San Benedetto al Porto, fondata da don Andrea Gallo, il prete di strada amico di De André, dei tossicodipendenti e delle donne trans. Di Marco non conosco nemmeno il cognome, l’ho incontrato solo quella mattina, ma il suo nome basta a farmi guadagnare velocemente metri dentro il centro comunitario nato dalla riqualificazione di un’officina abbandonata. L’importante è non interrompere il flusso. «Puoi iniziare subito?» – «Sì» –«Allora trova una persona esperta che ti mostri come fare i pacchi». Entro in un grande spazio che scoprirò solo nei giorni successivi essere solitamente il teatro. Non sapendo qual è il volto di una persona esperta, mi rivolgo alla più vicina, Cinzia. È lì dalla mattina, si prende un attimo per spiegarmi. Mi mette in mano una busta spessa di plastica e mi indica come riempirla: quattro lattine di pomodori pelati, quattro di legumi, due chili di farina, due di zucchero, un vasetto di marmellata o miele, un pacco di bi-
scotti, due chili di riso, sei scatolette di tonno (o tre grandi), pasta a volontà. Cinzia mi confida che i formati più utili sono spaghetti e pastina, ideali per «riempire i buchi» nella scatola. La scatola, 30x30 cm, deve essere compatta: niente vuoti, niente eccessi; prima di sigillarla, se necessario, vanno assestati due pugni. Ogni famiglia deve ricevere lo stesso contenuto, ricorda una voce metallica proveniente da un altoparlante che non so dov’è: «Meglio prendervi più tempo, ma riempite i pacchi con cura, è fondamentale anche per il trasporto».
Music for Peace vive di attività costanti ed è un luogo di coscienza collettiva. Qui si tengono dibattiti, incontri e presentazioni di libri
Ivano Pinizzotto, volontario di Music for Peace spiega: «Per il confezionamento dei pacchi ci siamo affidati a studi nutrizionali: alimenti primari, soprattutto carboidrati, che forniscono energia e resistenza. Carne o prodotti deperibili non possono viaggiare. Inseriamo solo un barattolo di miele o marmellata, per dare un segno di dolcezza, ma niente vetro ulteriore, troppo fragile. Tutto deve esse-
di
scendere nelle piazze e nei porti d’Europa. (Keystone)
re trasportabile, compatto, sicuro. È la concretezza che permette al progetto di continuare a camminare».
Music for Peace si trova accanto allo svincolo autostradale, a ridosso di un incrocio che porta dentro e fuori la città. L’edificio è incastonato in un anello della Sopraelevata, che gli gira intorno come un serpente. Da fuori sembra una base piratesca, con più anime: il campo sportivo, le terrazze, i palchi da concerto e oltre cinquanta stand polifunzionali. All’interno ha sede anche un ambulatorio medico popolare gratuito. Qui tutto si fonda sul riciclo e sul baratto. Davanti al centro i vigili faticano a regolare il traffico: le auto non smettono di arrivare, anche se la ricezione dei generi alimentari è stata sospesa per mancanza di spazio. Il magazzino è stracolmo. La sera del terzo giorno, si sono raggiunte le 140 tonnellate di prodotti raccolti: quasi quattro volte l’obiettivo iniziale di 40 tonnellate. Numeri che raccontano la portata del movimento, ma soprattutto l’onda di solidarietà che ha investito la città. Eppure, ciò che accade nei giorni di emergenza non è un’eccezione: Music for Peace vive di attività costanti ed è un luogo di coscienza collettiva. Qui si tengono dibattiti, incontri e presentazioni di libri, e ogni anno vengono organizzati due festival, a giugno e di-
cembre, con spettacoli, concerti e attività sportive e culturali distribuite negli otto spazi del centro. «Noi lavoriamo su tre ambiti di attività» racconta Ivano Pinizzotto, volontario storico. «La prima riguarda il territorio: persone segnalate dai servizi sociali del Comune di Genova vengono qui a fare la spesa. La seconda: tutti i sabati sera, che sia Natale, Pasqua o Capodanno, distribuiamo 130 pasti ai senza fissa dimora nel quartiere Principe. La terza linea è internazionale: portiamo aiuti all’estero. In Sudan, ad esempio, abbiamo inviato sette container prima dell’estate. Negli anni siamo stati operativi anche nei campi profughi del Saharawi, in Sud Sudan, negli anni Novanta in Bosnia Erzegovina e in Kosovo, più di recente in Ucraina, Iraq, Kurdistan, Afghanistan e Sri Lanka. E c’è sempre stata una presenza a Gaza: dal 2004 si contano tredici missioni».
Come distribuire gli aiuti? Come affrontare chi vorrà affidare i bambini ai volontari? E come gestire chi vorrà scappare dalle bombe? Preoccupazioni che hanno però lasciato spazio a numerosi interventi che hanno animato il centro comunitario prima della partenza delle navi dal porto di Genova, sabato 30 agosto. Il microfono era libero, il palco gestito dalle Brigate Rosa di Como, numerosi gli interventi e in chiusura le parole di Adelmo Cervi. Quei discorsi hanno momentaneamente spazzato via le paure e consolidato la determinazione: la speranza di raggiungere la destinazione – prevista tra una decina di giorni – è rimasta la principale guida per tutti e tutte. Quando andavamo in stampa, giovedì scorso, si attendeva che l’Italia e l’Unione europea accogliessero l’invito della popolazione a seguire l’esempio della Spagna, che ha garantito protezione diplomatica a tutte le sue cittadine e i suoi cittadini in viaggio. Tra le cinque imbarcazioni svizzere salpare con una cinquantina di persone a bordo, figurano due ticinesi: Vanni Bianconi, già direttore di Babel, e Fabrizio Ceppi, membro del comitato di Chiasso Letteraria. Da più parti si sollecita il Consiglio federale a difendere, con parole e fatti, i diritti delle proprie cittadine e dei propri cittadini e a contribuire a porre fine al genocidio in corso. La
Il tema non è nuovo. Da più decenni, e nonostante le possibilità immigratorie offerte dalla libera circolazione, i datori di lavoro dell’economia svizzera si lamentano perché manca il personale qualificato di cui necessitano. È nostra opinione che se il tema viene rilanciato attualmente è anche perché gli ambienti padronali si stanno preparando alla lunga battaglia che dovranno sostenere per rigettare l’iniziativa dell’UDC che tende a fissare nella Costituzione un massimo di popolazione. Il problema è di quelli che scottano perché la possibilità di continuare a reclutare manodopera è diventata, nelle attuali condizioni di produzione, una condizione indispensabile.
Prendiamo il caso dell’economia ticinese. Nel corso del XXI secolo il Prodotto interno lordo reale di quest’economia è cresciuto a un tasso nominale pari circa al 2,4% annuo. Nel medesi-
mo periodo l’effettivo degli occupati è aumentato a un tasso pari all’1,8%. In altre parole, negli ultimi 20 anni tre quarti della crescita della nostra economia è stata assicurata dall’aumento degli effettivi del fattore lavoro mentre solamente un quarto può essere collegato alla crescita della produttività per lavoratore. Ora, sempre nel caso di quest’economia, siccome gli occupati residenti, a causa dell’invecchiamento della popolazione, tendono a diminuire, l’aumento dell’occupazione può essere praticamente garantito solo dall’aumento dell’effettivo dei frontalieri. Dovessimo rinunciare a loro, nel lungo termine, il tasso nominale di crescita annuale medio dell’economia ticinese si ridurrebbe di tre quarti, o forse anche di più scendendo probabilmente sotto l’1%. Questo significa che con un tasso di inflazione pari all’1% l’economia ticinese, in fu-
turo, non crescerebbe più. Non ci sono soluzioni miracolose: con i tassi di natalità e di mortalità che ci ritroviamo, con una popolazione insomma che invecchia rapidamente, se vogliamo mantenere un tasso annuale di crescita reale positivo, dobbiamo accettare l’immigrazione di ulteriori forze lavorative anche solamente per sostituire le forze di lavoro che, nei prossimi anni, andranno in pensione. A questa conclusione, seguendo però un’altra strada, arrivano anche Maurizio Bigotta e Vincenzo Giannone in uno studio sulle difficoltà della sostituzione dei futuri pensionati, apparso di recente su «extradati». Essi hanno analizzato il problema della sostituzione dei lavoratori che vanno in pensione. Secondo loro, a causa dell’invecchiamento della popolazione, sarà sempre più difficile reperire nuove forze di lavoro, non solo in
di Angelo Rossi
Ticino, ma anche nella zona di frontiera italiana. Se fosse così, l’ulteriore crescita economica, anche a tassi nominali relativamente bassi, pari all’1 o all’1/2%, si potrà conseguire, in Ticino, solo con un’ulteriore immigrazione di lavoratori stranieri e quindi solo con un aumento di popolazione. Il che dimostra quanto drastica sia l’iniziativa demografica dell’UDC con la sua pretesa di voler porre un limite all’espansione demografica. A livello nazionale, in una situazione di libera circolazione dei lavoratori, si quantifica attualmente la carenza di lavoratori, entro il 2035, in più di 400’000 unità. Ci si può chiedere che cosa succederebbe se l’immigrazione dovesse venir bloccata per rispettare il limite proposto dall’iniziativa UDC e se la sorgente dei frontalieri, a causa dell’invecchiamento, dovesse a poco a poco inaridirsi. I più ottimisti reputa-
di Paola Peduzzi
Oggi, 8 settembre, il primo ministro francese François Bayrou rischia la sfiducia – il rischio è talmente alto che si parla già del dopo Bayrou – e il 10 settembre il movimento Bloquons tout (blocchiamo tutto) vuole paralizzare la Francia. La rentrée del presidente francese Emmanuel Macron è catastrofica, ma non si può certo dire che sia abituato alla tranquillità. Nel giugno dell’anno scorso, dopo un risultato deludente del suo partito alle elezioni europee, ha deciso di sciogliere il Parlamento e indire elezioni in fretta e furia: l’obiettivo era quello di rallentare l’ascesa della destra estrema, il Rassemblement national, che lo assedia da quando è diventato presidente, e che alle europee era andato molto bene. Sembrava una follia ma il calcolo macroniano non si è rivelato completamente sbagliato, perché a quelle elezioni precipitose non vinse la destra estrema, bensì il fronte frastagliato della sinistra, moderata e non.
Solo che, pur avendo schivato (o forse solo posticipato) la conferma del potere della destra estrema, Macron ha condannato il Governo all’instabilità permanente, e infatti si ritrova di nuovo con un primo ministro prossimo alla sfiducia. Che cosa farà Macron per tamponare l’ennesima emorragia di consensi? Potrebbe nominare un nuovo premier e ritentare la fortuna o potrebbe dissolvere di nuovo il Parlamento, con l’obiettivo di vivacchiare ancora, fino al 2027, quando scade il suo mandato presidenziale e lui non si potrà più candidare (la sua successione è più incerta che mai). Oppure potrebbe essere costretto a dimettersi, ed è quello che si augurano – o che pretendono – gli attivisti che vogliono bloccare il Paese. Il 10 settembre è soltanto l’inizio ma sembra già spaventoso. Anche perché Bloquons tout è un mostro anti-macroniano che è andato crescendo in modo nebuloso, per lo più sui social.
L’allarme corre da tempo tra le pieghe della società. È l’inverno demografico in cui sono precipitati tutti i Paesi avanzati, in Occidente soprattutto, ma anche altrove, nelle aree che pian piano stanno uscendo dalla loro plurisecolare arretratezza. Anche Barbara Manzoni ha ripreso il tema su questo settimanale nel suo editoriale dello scorso 21 luglio.
I primi numeri che si citano riguardano il tasso di fecondità e sono impietosi. Corea del sud: 0,72 bambini per donna; Singapore 0,97; Cile 1,17; Canada 1,26, Italia 1,20, Germania 1,38. Qui non c’è nessuna eccezione elvetica: 1,29. Nessuna Nazione raggiunge la quota 2, necessaria per scongiurare il regresso demografico. Ma per la crescita occorrerebbe andare oltre. Le madri prolifiche bisogna cercarle nella fascia subsahariana.
Un altro dato che preoccupa è la tendenza a procreare un solo figlio. In
Svizzera ancora prevalgono le famiglie con due figli (42%), ma le coppie che decidono di fermarsi al primo pargolo sono già arrivate al 23% e la tendenza è all’aumento e si aggancia al parto sempre più tardivo (che ora si attesta a 31,3 anni).
Lo status del figlio unico (che la Cina anni fa aveva imposto per decreto) non è privo di conseguenze. La prima è sotto gli occhi di tutti ed è la progressiva decrescita della popolazione, che a sua volta si rispecchia in una comunità sempre più popolata di vecchi afflitti da malattie croniche.
Lo squilibrio tra giovani e anziani si ripercuote sulla solidità del sistema previdenziale (primo e secondo pilastro) e sui costi della sanità, che pare non sia possibile calmierare. Ci sono poi effetti non immediatamente percepibili ma ugualmente problematici, che investono numerose sfere, private e pubbliche. Riguardano
Si è fatto il paragone con i Gilet gialli, che hanno iniziato la loro protesta nel 2018, ma a ben vedere la natura dei manifestanti di oggi sembra diversa. I Gilet gialli nascevano dal dissenso contro l’aumento del prezzo della benzina: erano automobilisti che avevano preso il gilet giallo catarifrangente dal bagagliaio e si erano messi nelle rotonde a bloccare il traffico. Quel malcontento legittimo e presto calmato da nuove misure governative fu dirottato da altri movimenti e finì – come spesso finisce nella Francia dello spirito rivoluzionario – con la guerriglia urbana nelle strade di Parigi. Bloquons tout nasce da un video realizzato con l’intelligenza artificiale pubblicato su Tiktok l’11 luglio. Una voce robotica su un’immagine fissa di una donna e di una bandiera francese chiama la popolazione alla mobilitazione: «Il 10 settembre si ferma tutto, non per fuggire, ma per dire no. Isolamento del popolo, silenzio totale,
resistenza pacifica» (l’account è @nouslesessentiels83 e nasce su Telegram). Tre giorni dopo il messaggio viene ripreso su X e si trasforma in un volantino azzurro in cui si chiede, per il 10 settembre, il boicottaggio totale della Francia: l’autrice del post, Sarah X, dice di non avere alcuna appartenenza politica, però il post viene condiviso e ripostato da molti account legati all’estrema destra sovranista, putiniana e complottista. Il «blocco assoluto e totale» si salda con un’altra mobilitazione, che fa capo all’hashtag #JeSuisNicolas – si riferisce all’espressione «È Nicolas che paga», la sintesi della stanchezza dei francesi nei confronti delle tasse, del peso della burocrazia, del malfunzionamento della macchina pubblica. L’insofferenza economica è il collante, nasce l’account ufficiale di Bloquons tout, che spiega le ragioni del boicottaggio e che poi si trasforma nella richiesta di dimissioni sia di Bayrou sia, soprattutto, di Macron.
no che, in seguito alla scarsità, i salari dei lavoratori residenti aumenteranno, che finalmente l’aumento degli affitti potrebbe essere contenuto, che le code nella rete stradale degli agglomerati potrebbero diminuire e che quindi anche le immissioni potrebbero ulteriormente ridursi, migliorando così il livello di benessere.
I pessimisti dubitano che con un’economia stagnante il livello di benessere possa essere migliorato e prevedono scenari nei quali la stagnazione economica genererà una stagnazione supplementare. Concludendo: nelle attuali condizioni di produzione della nostra economia non si possono imporre limiti alla crescita demografica senza provocare un drastico rallentamento della crescita economica. L’alternativa? Più digitalizzazione, più intelligenza artificiale, più robot al posto dei lavoratori che mancheranno.
Su Bloquons tout converge tutto il risentimento francese nei confronti dell’attuale amministrazione, si va dalla Frexit (l’uscita della Francia dall’Unione europea, che nemmeno il Rassemblement national chiede più; per capire di che cosa stiamo parlando si può vedere l’account TikTok e il sito Les essentiels) ai vaccini, da «Zelensky è un dittatore» al budget fatale presentato da Bayrou. C’è chi dice che ci sia anche lo zampino straniero, della Russia in particolare, tanto abile nel rimestare nella delusione popolare dei Paesi europei, ma la mobilitazione, almeno per quel che si può vedere sui social, lambisce tipologie diverse di persone e non è certo più soltanto una cosa di estrema destra o di estrema sinistra. Per questo c’è una grande allerta da parte delle autorità che si stanno organizzando per evitare che questa valanga di rivendicazioni si trasformi in sommossa, senza essere affatto sicure di riuscirci.
in primo luogo le stesse famiglie, che sono sempre più piccole e quindi meno in grado di garantire l’assistenza ai congiunti che si avviano ad entrare nella terza o nella quarta età. Inoltre chi alleva un figlio unico sa che deve prevedere e organizzare spazi di socializzazione, per evitare che il bambino cresca sotto una campana di vetro, senza rapportarsi con i coetanei. Ci sono anche dei vantaggi, per il figlio unico, come per esempio un elevato investimento sulla sua formazione sin dalla prima infanzia. Una società che non ricambia il suo sangue è una società sempre più fiacca. Il suo riflesso immediato è osteggiare ogni innovazione che possa ingenerare ripercussioni destabilizzanti. Lo si vede nelle votazioni popolari, occasioni in cui prevalgono la prudenza e il conservatorismo. Sono appuntamenti in cui la partecipazione degli anziani è regolarmente su-
periore a quella dei giovani cittadini (i quali, dopo un primo entusiasmo intorno ai diciotto-venti anni, tendono a disertare le urne, lasciando campo libero alla «lobby» delle pantere grigie). Ma gli addentellati sono numerosi e investono ogni ambito sociale, tant’è che molti rispolverano la cupa diagnosi che Osvald Spengler formulò oltre cent’anni fa, nella sua opera intitolata Il tramonto dell’Occidente. Ovviamente, in tutto questo, si va alla ricerca della causa. E dove scovarla se non nel processo di emancipazione della donna? La donna che alla maternità antepone la carriera e l’autorealizzazione, senza curarsi della missione che da sempre le è stata attribuita (dagli uomini), ossia quella che la vede artefice della perpetuazione della specie. Di fatto questa colpevolizzazione non porta da nessuna parte, dato
che la tendenza è presente in tutti i Paesi che hanno abbracciato i valori della modernità, un ordine sempre più svincolato da principi autoritari (patriarcali) e da precetti religiosi. Perfino i Paesi nordici – Finlandia, Svezia, Norvegia, a lungo considerati modelli di «welfare» con la loro fitta rete di aiuti alle famiglie attraverso asili, assegni, congedi, agevolazioni fiscali – si stanno allineando al trend generale.
La domanda che tutti si pongono è: come arrestare la denatalità? E come riguadagnare quota 2, e possibilmente superarla per invertire la traiettoria della curva? Per ora le risposte sono soltanto due: affidarsi all’immigrazione (da regolare, calibrare sui bisogni e da integrare) o, in assenza di manodopera in carne ed ossa, far capo nelle case di riposo a robot umanoidi comandati da algoritmi tanto premurosi quanto compassionevoli.
Il nascondiglio della memoria
Baier firma una commedia intima sul maggio ’68 e i segreti familiari, al cinema dall’11 settembre
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Il ritratto della Divina
In Sempre libera, graphic novel di Natarella, l’equilibrio precario, tra gloria e solitudine, di Maria Callas
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Vivere il museo diversamente I musei cambiano rotta: si cerca sempre di più un approccio che contempli la compartecipazione
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Mostre ◆ L’artista portoghese Joana Vasconcelos è protagonista al Museo d’Arte Moderna di Ascona
Alessia Brughera
Basta solo accennare a qualche sua notizia biografica per comprendere la caratura dell’artista portoghese Joana Vasconcelos: presente a tre edizioni della Biennale d’Arte di Venezia e prima donna a essere rappresentata alla Reggia di Versailles e al Guggenheim Museum di Bilbao.
E basta solo accennare a un paio di opere, tra le più conosciute e iconiche, per comprendere la portata del suo lavoro sovversivo, beffardo e perturbante: scegliamo A Noiva, un gigantesco lampadario in stile Impero composto da quattordicimila assorbenti interni intrecciati tra loro con fili di metallo, e Marilyn, un monumentale paio di scarpe a tacco alto realizzato con centinaia di pentole e coperchi in acciaio.
Sebbene deliberatamente spettacolari, ampollose e dall’incisività estetica fuori dal comune, le creazioni di Vasconcelos affrontano tematiche importanti, spesso spinose e controverse, legate all’identità femminile, al consumismo e alla memoria collettiva. La loro frivolezza è solo apparente poiché l’ironia e l’ambiguità con cui ci vengono presentate, in un gioco ben riuscito di disputa tra gli opposti, agisce come potente dispositivo di smascheramento sociale. L’artista smantella così convenzioni, credenze e luoghi comuni, demolisce stereotipi e tabù con il preciso obiettivo di osteggiare ogni forma di autoritarismo, di discriminazione e di emarginazione.
Mai si è dichiarata attivista, eppure Vasconcelos, nata a Parigi nel 1971 da genitori lusitani in esilio e naturalizzata portoghese, così sottolinea il suo impegno nella sfida ai paradigmi di genere: «Anche se non prendo parte a battaglie ideologiche, continuerò a essere femminista finché non sarà raggiunta una vera uguaglianza. È una questione di giustizia, non di identità».
Veri e propri melting pot di codici espressivi eterogenei, di materiali disparati e di linguaggi e suggestioni culturali differenti, le opere dell’artista diventano luoghi di metamorfosi e trasmutazione, punti di partenza per indagare idee, percezioni ed esperienze di vita lontano da resoconti artefatti.
Pungente, provocatoria ed eccessiva, Vasconcelos non a caso ama senza riserve il barocco, «uno stile che abbraccia il dramma, l’emozione, l’ornamento, l’esuberanza e la teatralità», riproponendone nei suoi lavori la carica vitale in maniera tanto sfacciata quanto intima e popolare. E se molti non hanno mancato di etichettare la sua arte come kitsch, a contraddirli sono sempre state le opere stesse, affamate di una fruizione personale che non necessita di classificazioni assolute di gusto.
La cronaca, secondo Mathis Le immagini del fotoreporter raccontano mezzo secolo di sport e incontri ravvicinati con la storia
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È così che l’artista mette in scena creazioni sorprendenti in grado non solo di catturare immediatamente lo spettatore, ma anche di instaurare con lui un dialogo intenso e duraturo, disorientandolo, sconvolgendolo e spronandolo a confrontarsi con la complessità dell’esistenza. I suoi lavori richiedono tempo per essere ben compresi, perché, al di là del fulmineo appagamento visivo che ci regalano, esigono una lettura stratificata che fa dell’iniziale spaesamento l’incipit di una conoscenza piena del loro significato.
È proprio ciò che accade nella mostra allestita presso il Museo d’Arte Moderna di Ascona, dove il poliedrico universo di Vasconcelos si dispiega in tutto il suo vigore cercando una profonda interazione con il visitatore.
La rassegna, curata da Mara Folini e Alberto Fiz, è la prima personale che un’istituzione pubblica svizzera dedica all’artista portoghese e presenta una trentina circa di lavori, tra installazioni, dipinti, disegni, video e libri, atti a raccontare le tappe principali del suo cammino creativo a partire dagli anni Novanta.
Percorrendo gli spazi dell’edificio espositivo contaminati e riplasmati dalla presenza delle poderose opere dell’artista, appare evidente come Vasconcelos sia capace di riattivare il banale per tramutarlo in uno strumento di narrazione poetica e politica. Nelle sue mani ciò che appar-
tiene alla sfera del quotidiano viene utilizzato per innescare una reinterpretazione simbolica del reale. La rivoluzione dell’artista parte così da forchette di plastica, da piumini da spolvero, da mobili desueti e da tutti quegli oggetti che fanno parte della nostra vita di tutti i giorni, in un inno all’estetica popolare e alla cultura domestica: «Mi interessa la trasformazione dell’ordinario in straordinario», sottolinea Vasconcelos.
Sulla scia del ready-made di Marcel Duchamp, l’artista mette in pratica una sua peculiare prassi del recupero che, seppur meno intrisa di intellettualismo rispetto a quella del suo illustre predecessore francese, sottrae gli oggetti al loro contesto d’origine per riconsegnarceli muniti di una nuova destinazione e di un nuovo senso. Vasconcelos attua una sorta di palingenesi di questi elementi, colmandoli di memorie, di identità e di storie collettive: trasfigurandoli in presenze solide e raggianti, li riedifica nella loro accezione e li colloca in un’inedita dimensione visiva fatta di emozione e intuizione.
Per dare vita alle proprie opere utilizza «un approccio da bottega», in cui la sua creatività procede a stretto contatto con il sapere manuale in varie discipline. La sua è una visione democratica e collegiale della produzione artistica che riconosce il grande valore del mestiere artigianale. Sono soprattutto le pratiche tradizionali
femminili a interessare Vasconcelos, come il crochet ad esempio, un linguaggio con radici antiche tramandato da generazioni di donne. Per l’artista la lavorazione all’uncinetto è uno strumento di emancipazione che incarna la resilienza. È atto politico, è resistenza culturale, è gesto sovversivo che rappresenta un omaggio, ma ancor più un risarcimento, a una tecnica prettamente muliebre dimenticata per secoli e mai considerata una forma d’arte vera e propria. Ad aprire l’esposizione asconese è Wash and Go (1998), un’installazione composta da due rulli meccanici, ricoperti da collant colorati, che ricordano un autolavaggio: il visitatore è chiamato a passarci attraverso compiendo un simbolico rituale di purificazione necessario per mondare la mente dai preconcetti e accettare la sfida di mettersi in discussione. Entrati metaforicamente e fisicamente nel mondo dell’artista, appare ai nostri occhi una scultura alta dieci metri, realizzata con broccati, velluti, ricami e lustrini, che percorre dall’alto in basso l’intero edificio. Ispirata alle Valchirie, nella mitologia nordica le vergini divine al servizio di Odino, l’imponente opera tessile celebra la forza della donna e, in particolare, quella di una figura femminile coraggiosa e visionaria che è stata fondamentale per l’istituzione del Museo di Ascona, Marianne Werefkin. Da qui l’emblematico titolo La Barones-
sa dato a questo lavoro, un richiamo all’appellativo attribuito alla pittrice russa per le sue nobili origini. I maestosi gioielli a forma di cuore costruiti con posate di plastica traslucida (Coração Independente Vermelho), le vetrine piene zeppe di oggetti datati (Vista Interior), i letti composti interamente da blister di medicinali (Cama Valium), i divani fatti di fiori di plastica che emanano uno sgradevole odore di naftalina (Brise), gli elettrodomestici degli anni Cinquanta su cui poggiano pellicce dall’olezzo acre (Menu do Dia), i grandi seni realizzati all’uncinetto (Big Booby) e i vecchi mobili avvolti da tessuti dalle tinte sgargianti (Stupid Furniture) sono «esperienze vissute, rivestite di forma e di sentimento», come definisce Vasconcelos i propri lavori. Opere in cui il convenzionale si fonde con lo stupefacente, il reale con l’immaginario, il colto con il popolare, il particolare con l’universale, per dare vita a un universo dal monumentale e coloratissimo impeto simbolico.
Dove e quando Joana Vasconcelos.
Flowers of My Desire. Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona. Fino al 12 ottobre 2025. Orari: ma-sa 10.00-12.00 / 14.00-17.00, domenica e festivi 10.30-12.30, lunedì chiuso. www.museoascona.ch
Un salto nell’avventura: Rulantica coniuga il misticismo nordico con l’atmosfera estiva del Baden meridionale
Il sole luccica sulla superficie dell’acqua mentre i bambini sfrecciano sugli scivoli ridendo e i genitori si rilassano sui materassini gonfiabili. Una nebbiolina sottile sale dai geyser della Svømmepøl, conferendo al luogo un’atmosfera di misticismo nordico.
Ti diamo il benvenuto a Rulantica, il mondo acquatico dell’Europa-Park aperto tutto l’anno. Da maggio a settembre, l’ampia area esterna di 26’000 metri quadrati di attrazioni entusiasma alla grande. La vera chicca è la nuova Svømmepøl, una piscina riscaldata di 660 metri quadrati dal design nordico dotata di swim-up bar, perfetto per rilassarsi. E per l’azione c’è Svalgurok: un comples-
so di dieci scivoli, con mastello gigantesco e oltre 100 giochi interattivi per la gioia di grandi e piccini. Nelle giornate più fresche, l’area interna, aperta tutto l’anno, offre anche un divertimento acquatico illimitato con la caduta libera degli scivoli Dugdrob e Vildfål attraverso il Rangnakor, mentre sullo scivolo ad alta velocità più grande d’Europa, il Vikingløp, i visitatori possono fare a gara lungo otto tubi.
Il massimo relax aspetta gli adulti nell’esclusiva oasi di benessere Hyggedal con saune e bagni di vapore. Rulantica coniuga il misticismo nordico con la leggerezza estiva.
Rilassati e ammira: Snorri’s Saga è un viaggio fantastico attraverso il Rulantica su comodi gommoni
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1 pernottamento con prima colazione in uno degli alberghi dell’EuropaPark, nonché 1 ingresso giornaliero all’Europa-Park e 1 ingresso giornaliero al Rulantica per 4 persone del valore di 876 Euro.
Scansiona il codice QR e partecipa: Ultimo termine di partecipazione 14 settembre 2025
Cinema – 1 ◆ Una commedia intima che attraversa la memoria familiare, dal maggio parigino del ’68 all’ombra della Shoah
Nicola Mazzi
Durante i tumulti di maggio del 1968 a Parigi, il piccolo Christophe, nove anni, viene lasciato dai genitori militanti nell’appartamento dei nonni. Attorno a lui si raduna l’intera famiglia: i nonni segnati dalla guerra, lo zio linguista e il fratello, artista fallito. Tutti convivono in un ambiente caotico ma affettuoso, segnato da una misteriosa «cache», un nascondiglio (anche per un personaggio importante che non sveliamo) che porta con sé i segreti della memoria familiare e della Shoah. Mentre fuori la città esplode tra scioperi, manifestazioni e utopie di cambiamento, all’interno dell’appartamento, i Boltanski rivivono un passato fatto di fughe, paure e di resistenza. La «cache» diventa allora il simbolo di ciò che non si dice, delle identità inventate per sopravvivere, delle radici mai completamente rivelate. Un’interessante pellicola – intitolata Il nascondiglio (dall’originale in francese La cache) – anche dal punto di vista visivo e con una scenografia che ci fa tuffare in quegli anni grazie ai vestiti dai colori sgargianti, le capigliature folte e lunghe e gli oggetti d’uso comune come la tv col tubo catodico, il telefono con la cornetta e il disco da girare.
Il regista svizzero Lionel Baier, che ha presentato il film in anteprima al concorso di Berlino, ha scelto di raccontare questa saga familiare sotto forma di commedia intima e tenera, capace di mescolare leggerezza e humour con il peso della Storia. Attraverso gli occhi del bambino, Il nascondiglio esplora i legami familiari, il bisogno di finzione per costruire un’identità, e l’ombra dell’antisemitismo e della memoria della Shoah. Una memoria che, come Baier ha spiegato, non è mai soltanto un fatto
del passato, ma continua a impregnare il presente.
Con Il nascondiglio, Lionel Baier firma forse il suo film più personale e al tempo stesso più universale. La commedia diventa lo strumento per raccontare la Storia senza retorica, per restituire l’intimità di una famiglia che riflette l’Europa intera, con le sue fratture, i suoi silenzi e le sue rinascite. Come i personaggi che abitano l’appartamento Boltanski, anche lo spettatore è invitato a entrare in questo nascondiglio e a confrontarsi con le proprie memorie: quelle che si tramandano e quelle che si preferirebbe dimenticare.
Al recente Locarno Film Festival, dove il film è stato accolto con calore, abbiamo incontrato il regista.
Signor Baier, il suo film utilizza lo humor per affrontare eventi drammatici. Come riesce a trovare questo delicato equilibrio tra comico e tragico?
Credo sia la chiave migliore per raccontare un evento serio. Gli italiani, ad esempio Monicelli negli anni 60-70, sapevano perfettamente come fare questo tipo di film. Le commedie italiane affrontavano spesso temi universali come la famiglia, perché sapevano che tutte le famiglie hanno le loro disfunzioni, per poi criticarle con lo humor. Per questo, quando mettiamo gli attori in contesti di guerra, antisemitismo o paura, a mio giudizio è più semplice arrivare direttamente al pubblico se usiamo l’ironia. Certo, anche la fase del montaggio è fondamentale: è un processo lungo perché bisogna trovare l’equilibrio giusto tra il tema serio e la battuta. Chaplin raccontava di fare proiezioni quotidiane per testare le reazioni del pubblico e capire
cosa aggiustare. Basta un secondo in più o in meno per cambiare tutto: l’umorismo non è mai matematico, ma empirico.
Ci racconta dell’origine del film, degli elementi personali e storici che ha messo insieme?
L’autore mi ha lasciato completa libertà nell’adattamento e si è molto divertito nel vedere quanto il film fosse diverso dal libro, ma allo stesso tempo anche molto simile nello spirito, perché tende a restituire il romanzo di una famiglia, non la sua verità. Il nascondiglio è infatti una libera trasposizione dell’omonimo romanzo di Christophe Boltanski (Prix Femina 2015). Il libro copre più di un secolo di storia familiare, ma io ho scelto di concentrarmi solo su un frammento, il maggio 1968, che nell’opera originale occupa poche righe. Ho intrecciato a quel nucleo anche elementi autobiografici legati alla mia famiglia: come Boltanski, anch’io ho scoperto contraddizioni, documen-
ti falsi, verità manipolate nel passato dei miei avi. Non mi interessava la fedeltà storica, ma la fedeltà allo spirito del romanzo: raccontare come le identità si costruiscono tanto con la realtà quanto con la finzione. In generale credo sia meglio vedere prima il film e leggere solo in seguito il libro, perché in questo modo emergono dettagli personali che non si trovano sulla pagina. Ricordo che a una recente presentazione qualcuno mi disse di aver letto il romanzo all’uscita e di aver avuto l’impressione che il film fosse un adattamento molto fedele. In realtà non è così: ci sono episodi e dialoghi che non corrispondono affatto, ho estrapolato solo una minima parte della narrazione.
Il nascondiglio esplora temi come memoria storica, famiglia e identità culturale. Quale aspetto pensa che arrivi maggiormente al pubblico?
Penso che la storia offra uno spunto
per interrogare e sfidare il presente. Quando ho iniziato a scrivere il film nel 2016, il clima politico in Francia era diverso: l’estrema destra e l’antisemitismo sembravano più marginali. Oggi è cambiato molto, e mai avrei immaginato di vedere in strada parole e gesti tanto violenti. I cicli storici tornano e ci ricordano quanto sia fragile il confine tra pace e conflitto, libertà e oppressione. Se il film riuscirà a evocare questa fragilità, avrà raggiunto il suo obiettivo.
Senza anticipare troppo, c’è una scena molto commovente che ha come protagonista Michel Blanc (attore molto popolare soprattutto in Francia), al suo ultimo ruolo. Ce ne parla?
Quella scena esisteva già nella sceneggiatura, ma durante le riprese si è trasformata. Michel Blanc, a causa del freddo, chiese di indossare un mantello, e quando lo vidi così vestito non mi convinceva del tutto, mi sembrava un pinguino, ma quando l’abbiamo girata e l’ho visto partire, mi è sembrata un’immagine alla Chaplin. Poi il bambino ha iniziato a fischiare una melodia di Haydn, e Blanc lo ha seguito d’istinto. È stato un momento di grazia. C’è qualcosa di profondamente simbolico nel fatto che l’ultima immagine della sua carriera sia proprio lui che fischietti accanto a un bambino. Da giovane avrebbe voluto essere pianista, e in quell’istante sembrava finalmente unire musica e cinema. Una chiusura poetica, che il film custodisce come un dono.
Informazioni
Il film Il nascondiglio esce all’Otello di Ascona e al Lux di Massagno l’11 settembre.
Cinema – 2 ◆ Candidato svizzero all’Oscar, Heldin di Petra Volpe mette in scena con ritmo da thriller la fatica di chi lavora in corsia
Nicola Falcinella
Accolto con grande favore al Festival di Berlino di quest’anno, Heldin – L’ultimo turno di Petra Volpe arriva in Ticino con un’ampia programmazione, a partire da giovedì 11 settembre: sarà al Cinema Lux di Lugano, Cinema Forum di Bellinzona, Multisala di Mendrisio, PalaCinema di Locarno, Cinema Rialto di Locarno e Cinema Otello di Ascona (solo dal giovedì successivo). L’uscita è stata preceduta, la scorsa settimana, da un’anteprima al Cinema Teatro Blenio di Acquarossa in occasione della Giornata nazionale delle cure domiciliari. Ha già registrato un successo nazionale e internazionale, con più di 650mila spettatori raggiunti nei Paesi di lingua tedesca e vendite in oltre 50 territori, compresa l’Italia, dove è uscito a fine agosto. Soprattutto, il lungometraggio è già stato scelto come candidato elvetico al prossimo Oscar per la categoria miglior film internazionale, in anticipo su quasi tutte le altre nazioni che concorreranno.
Un bel viatico per una pellicola che cattura fin dalle scene iniziali e la cui vicenda ruota tutta intorno all’infermiera caposala Floria Lind e al suo turno di lavoro in un reparto – afflitto dalla carenza di personale – che
ospita prevalentemente malati oncologici. La professionista lavora come una matta, corre in continuazione, cerca di seguire tutti, deve gestire le pressioni dei parenti, rispondere alle richieste più disparate e supplire ai bisogni di qualsiasi tipo, tanto che è definita un «angelo» per la sua dedizione. Dai giri regolari per le stanze ai controlli di routine alla somministrazione di farmaci, dall’accoglienza agli esami all’accompagnamento in sala operatoria alla supervisione di
una tirocinante non molto a suo agio, tante piccole e grandi mansioni gravano sulle spalle di Floria. Con serietà e disponibilità, senza farsi prendere dall’isteria, la donna si impegna al massimo per arrivare ovunque e garantire un’assistenza adeguata ai pazienti. L’errore può essere però dietro l’angolo anche per un’infermiera preparata, attenta e coscienziosa, così la situazione si complica ancora di più e il turno si trasforma in una corsa contro il tempo. Heldin – il cui titolo internazionale è Late Shift – è un film drammatico con la tensione di un thriller, che fa partecipare lo spettatore allo sforzo della protagonista impegnata ad andare incontro a tutte le richieste. Volpe evita i toni troppo cupi e sa alleggerire le situazioni, così, tra un’emergenza e l’altra, regala anche qualche risata, come nella scena clou dell’orologio del paziente ricco ospitato in una stanza privata. C’è pure il momento in cui la protagonista sosta a cantare insieme a una paziente anziana, dettaglio che contribuisce a descrivere la profonda umanità di Floria, che si prodiga e cerca di dare anche un minimo sostegno psicologico ai ricoverati. Ha piccole attenzioni per tutti,
anche per la stagista Amélie, e non smette neppure quando toglie la divisa a fine turno. Ne riassume l’emotività e la delicatezza la canzone Hope there’s someone di Antony and the Johnsons che la accompagna verso il finale.
Dal punto di vista della regia la situazione è resa in modo del tutto efficace grazie alla scelta di stare sempre su Floria, presente in quasi tutte le inquadrature: il film è costruito integralmente su di lei (molto ben interpretata dall’attrice tedesca Leonie Benesch, adeguata a un personaggio che si dona senza annullarsi e non distoglie l’attenzione dagli altri), sempre in movimento, ripresa da vicino con tanti piani sequenza.
Petra Volpe è partita da una sensibilità personale ai temi della cura e dall’esperienza di convivenza con un’infermiera, testimoniando direttamente i suoi sforzi in situazioni lavorative sempre più proibitive. Nell’ospedale cantonale nel quale è ambientata la storia, il personale è insufficiente per le necessità e gli infermieri in servizio, soprattutto la sera e la notte, devono farsi carico di troppe incombenze che si accumulano, gestendo il dolore altrui e pure il proprio stress e il rischio di implo-
dere. Lo spiegano bene le didascalie conclusive sulla mancanza di operatori sanitari in Svizzera e il fatto che spesso si dimettano, esausti, dopo pochi anni di attività. Il film affronta in modo inconsueto e diretto un mestiere della cui importanza ci si è resi conto con la pandemia da Covid-19, mostrando le difficoltà e le fatiche e pure la ricchezza che proviene dallo stare accanto a chi soffre o ha bisogno di aiuto e di conforto.
La regista si era già distinta con l’esordio Traumland (2014), per poi imporsi all’attenzione con Contro l’ordine divino (2017), anche quello candidato all’Oscar, sul primo voto alle donne in Svizzera. Volpe, che vive e lavora negli Stati Uniti, si è fatta conoscere anche per le sceneggiature di Heidi e Die goldenen Jahre. In questo bel lavoro conferma un certo eclettismo e la capacità di giocare su diversi registri, oltre a tenere saldamente in mano le storie, con una adesione alle vicende narrate e una partecipazione asciutta e composta non frequente.
Con il loro delicato sapore di vaniglia e la consistenza leggera e ariosa, questi rotoli sono lo spuntino perfetto tra un pasto e l'altro!
Graphic novel biografiche ◆ La parabola luminosa e tormentata della diva dell’opera rivive nello sguardo essenziale di Natarella
Benedicta Froelich
Sebbene sia ormai chiaro ai più come noi occidentali (e non solo) ci troviamo oggi confrontati con un’epoca dominata dall’effimera quanto maniacale attenzione verso ogni parola o azione degli onnipresenti personaggi pubblici «di rilievo», è altrettanto vero che l’attuale concezione del jet set deve non poco a talune figure che, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in quest’ambito furono vere e proprie precorritrici. E nel novero dei grandi personaggi della cultura e arte italiana del Novecento, ancora oggi sono ben pochi a rivestire l’appeal biografico di Maria Callas, la cui controversa ma sfolgorante parabola artistica si è collocata sullo sfondo di una società spesso contradditoria, ancora intrisa del conformismo ed entusiasmo tipici del Dopoguerra.
Dietro l’icona del jet set e dei rotocalchi, la Callas emerge come figura che ha inaugurato un modo nuovo di incarnare lo star system del Novecento
Quella di Maria, tuttavia, è stata una vita caratterizzata anche da grandi fragilità e insicurezze, nonché da momenti vissuti al limite dell’angoscia più totalizzante; e proprio questo inconfessabile dualismo tra la magia dei maggiori palchi internazionali e gli abissi di dolore della vita privata è al centro di una graphic novel italiana dall’eloquente titolo di Sempre Libera: un’opera firmata da Lorenza Natarella, qui responsabile di testi e disegni, e pubblicata nel 2017 dalla Bao Publishing, oggi tra i maggiori editori italiani specializzati in libri a fumetti.
E si può dire che questo volume rappresenti per molti versi una scommessa piuttosto ardita anche per una casa editrice controcorrente come la Bao; basta infatti un’occhiata alle tavole di apertura perché salti agli occhi il codice espressivo a dir poco unico prescelto dalla giovane autrice (qui al suo esordio fumettistico) al fine di enfatizzare al massimo la potenza narrativa dell’intera vicenda. La narrazione si apre a Dallas nel 1958, durante una delle tante tournée internazionali della Callas, immortalando un momento quantomeno umiliante della sua carriera: quello dell’improvviso licenziamento dalla Metropolitan Opera House
di New York, a lei comunicato tramite un asettico telegramma ricevuto in camerino dopo lo spettacolo di quella sera. Un episodio certo infelice, ma che la Natarella sceglie di rendere emblematico della vita stessa della cantante, infondendolo di una rilevanza simbolica che va ben oltre il semplice aspetto professionale: il tutto tramite una sequenza di tale forza espressiva da permettere subito l’identificazione empatica del lettore con quella che, di primo acchito, appare come una figura inevitabilmente sopra le righe.
Eppure, basta proseguire nella lettura per scoprire, non appena il primo flashback ci trasporta nel passato di Maria, cosa davvero si nasconda dietro ai suoi gesti enfatici e alle dichiarazioni declamate ad alta voce. Sì, perché l’agghiacciante preludio all’ascesa alla fama della Callas ce la mostra alle prese con una madre isterica e ambiziosa, dal comportamento terribilmente istrionico e destabi-
lizzante — una figura di riferimento arrogante e pretenziosa, intenzionata fin dagli albori a sfruttare l’innegabile talento di sua figlia, così da farne una stella dell’Opera. Naturalmente, come tutti ben sanno, il progetto materno sarà benedetto da un successo destinato a superare ogni più rosea aspettativa; tuttavia, si può dire che Maria abbia dovuto pagare un prezzo molto alto per questi sogni di gloria — forse più alto di quanto lei stessa si sia mai resa conto. Ecco quindi che, partendo dai giorni in cui frequentava il conservatorio nei panni di un’adolescente grassottella dalla voce già inarrivabile, attraverso i primi successi di pubblico fino ad arrivare all’agognata fama mondiale, quella della Callas è un’epopea per molti versi spiazzante, allo stesso tempo gloriosa e amara; un ciclo narrativo nel quale, per sua stessa ammissione, la Natarella ha scelto di «smitizzare» l’oggetto della sua biografia disegnata, rinuncian-
do implicitamente allo sguardo adorante di molti altri autori per mettere piuttosto in luce quelli da lei percepiti come gli aspetti più «ambigui» e perfino tragici di una figura tanto spumeggiante.
Del resto, questa è senz’altro la motivazione dietro al particolarissimo codice grafico prescelto dalla fumettista: un disegno a linea chiara, dallo stile angolare e quasi dadaista, in cui Maria appare alla stregua di una strega stilizzata dal naso adunco. E bastano pochi minuti di lettura per rendersi conto di come questo sia un tentativo (peraltro molto ben riuscito) di mostrarci il mondo per come, secondo l’opinione della Natarella, la stessa Callas lo percepiva; un universo difficile da navigare, spesso inospitale e dalle tinte ostili (come gli «spigoli» quasi astratti di cui ogni vignetta è pervasa).
Il tutto viene poi reso ancora più etereo e onirico da esperimenti calligrafici quasi onomatopeici ed estremamente audaci, che richiamano le liriche dei libretti operistici per come declamate da Maria nelle sue innumerevoli interpretazioni; non a caso, l’intero fumetto è giocato sulle note bicromatiche del rosa e del nero, in un tentativo di coniugare la femminilità già glamour della cantante con le tinte più drammatiche della sua vicenda.
Avviene così che il disegno bidimensionale e solo apparentemente sgraziato della Natarella diventi il veicolo perfetto per l’anima della sua protagonista; nei suoi toni quasi picassiani è facile riuscire a intravvedere la vera e vibrante anima della Callas, e, soprattutto, quello che è il
fulcro del racconto al centro di Sempre Libera – ovvero, il complesso rapporto di dipendenza emotiva tra una donna famosa e infelice e il successo che l’ha travolta come un fiume in piena, al punto da far sì che la sua vita privata rimanesse costantemente sotto i riflettori in lunghi anni di servizi giornalistici sui rotocalchi di tutto il mondo.
Nella graphic novel di Lorenza Natarella affiora la Callas più intima, divisa tra vertigine del palcoscenico e ferite della vita privata
Ma soprattutto, ciò che davvero rimane dopo la lettura di quest’opera per molti versi coraggiosa e importante è un grande senso di comunione spirituale con la natura tormentata di una donna che, seppur ancorata a terra da un intimo dolore e senso di inadeguatezza, ha cercato per tutta la vita di vincerli attraverso la propria voce: una donna che, nelle parole di Lorenza Natarella, aveva forse «scambiato il lavoro con l’amore, [ricercando] la felicità e la realizzazione esclusivamente nella sua arte». Eppure, la domanda se ciò si possa davvero definire un errore è destinata a indugiare nella mente del lettore anche molto dopo aver chiuso il libro — rappresentando forse il maggior lascito, nonché il miglior omaggio, di Sempre Libera alla memoria di Maria Callas.
Bibliografia
Lorenza Natarella, Sempre libera, Bao publishing, 2017, pag. 192.
Cosa spinge a pulire
Il trucco migliore: affrontare le pulizie insieme. «Se diventa un’attività comune, motiva tutti», afferma lo psicologo Regli dell’Università di Berna. Anche una ricompensa a lavori ultimati può essere utile: un buon pasto, un film o un massaggio – l’importante è che sia qualcosa che renda felici. La prospettiva della ricompensa spinge a iniziare. «Non si dovrebbe voler fare tutto in una volta. È meglio procedere per gradi con le pulizie», dice Regli. Ogni tappa completata dà un senso di realizzazione. È utile anche rendere più piacevole il lavoro di pulizia: ad esempio con della buona musica, un podcast o nuovi utensili colorati. «L’eccitazione per il nuovo stimola il nostro sistema di appagamento e ci motiva a iniziare», spiega Regli.
Gli effetti positivi della pulizia
La polvere viene eliminata, le briciole passate con l’aspirapolvere e la casa torna ad avere un aspetto invitante. Una casa pulita non è solo igienica, ma irradia anche benessere: ci sentiamo automaticamente più a nostro agio. «La pulizia ci appaga direttamente a livello psicologico», spiega Regli. Una casa ben tenuta ha un valore anche in ambito sociale: quando arrivano gli ospiti, un appartamento pulito viene percepito positivamente. «Questo riconoscimento esterno rafforza la nostra autostima», continua Regli. Pulire può essere faticoso, ma la ricompensa si manifesta a diversi livelli.
Pulizie autunnali
Una casa appena pulita ci fa stare bene, ma spesso l’idea di fare le pulizie ci appare come un’impresa titanica. Uno psicologo spiega perché questo accade e quali strategie sono utili
Perché pulire risulta difficile
«Molte persone ritengono noioso e sgradevole fare le pulizie», spiega Daniel Regli, psicologo dell’Università di Berna. Ciò è dovuto al fatto che questa attività si contrappone al bisogno umano fondamentale di trovare piacere in quello che si fa, mentre pulire spesso genera svogliatezza. Come se non bastasse, si tratta di un’opera infinita perché la casa non rimane pulita a lungo. Questo può generare un senso di frustrazione e impotenza in molte persone. Regli spiega: «Fare le pulizie ci fa capire che nella vita non è sempre tutto facile o duraturo, ma questo fa parte del gioco».
Testo: Barbara Scherer
Recensioni ◆ Due saggi recenti suggeriscono idee e approcci per una nuova museologia e una gestione compartecipativa delle ricchezze culturali
Emanuela Burgazzoli
Entrati in un museo capita che percepiamo gli oggetti esposti, che siano manufatti di popoli lontani, reperti archeologici o dipinti rinascimentali, come muti custodi di mondi a noi inaccessibili. Ma negli ultimi anni le cose stanno cambiando radicalmente: sempre di più i luoghi di cultura stanno mettendo in atto nuove modalità di comunicare il patrimonio culturale ai loro pubblici, cercando un legame più intimo e meno istituzionale, per risvegliare la capacità di meravigliarsi, facendo leva sulle emozioni e non solo sulla trasmissione di conoscenze storico-artistiche. Che cosa fare perché il patrimonio, che appartiene a ognuno di noi, torni a parlare a tutti? Le risposte possibili in due recenti saggi, che fanno il punto in particolare sul patrimonio culturale italiano. Perché proprio nella ricchissima Italia, «anche se forse siamo i più bravi a conservare, tutelare e restaurare, non abbiamo ancora imparato a interpretare, ovvero a connettere i luoghi con le persone in visita», scrive Giovanni Carrada nel suo Perché non parli? (Johan e Levi, 2025), un libro che non è un manuale, ma piuttosto un vademecum per una nuova museologia. Una museologia che implica un cambiamento di atteggiamento da parte di chi gestisce i luoghi del patrimonio culturale; curatori e conservatori sono chiamati oggi a mettersi nei panni dei visitatori, a imparare «a non sapere nulla», o almeno a non sapere tutto, cercando di capire che cosa può attirare e interessare il pubblico, cosa può essere rilevante, mettendo in evidenza che cosa ci collega a quello che vediamo. Nella recente mostra ai Musei capitolini di Roma dedicata al grande scultore greco Fidia era esposta un’epigrafe con un’iscrizione che conteneva i rendiconti delle spese per la costruzione della colossale statua di Atena Promachos, probabilmente –sottolinea Carrada – il caso più antico di accountability giunto fino a noi, con cui si rendeva pubblicamente conto dell’utilizzo dei soldi pubblici. Relazione e connessione sono i concetti fondamentali attorno ai quali ruotano i contributi del volume Fare nuove le cose. Patrimonio culturale e narrazione, uno sguardo multidisciplinare (Mimesis, 2024), una nuova tappa nel percorso delle museologhe Simona Bodo e Silvia Mascheroni e
della consulente teatrale Maria Grazia Panigada, che da anni sviluppano e sperimentano sul campo un metodo nuovo, basato sulla costruzione di narrazioni autobiografiche del patrimonio. Perché narrare significa «dare nuovamente origine alle cose». Le cose ci chiedono continuamente di essere reinterpretate: e se «vedere è già capire», «nulla in un museo parla da sé» e anche le parole servono per raccontare l’opera d’arte, parole che non devono limitarsi a ricostruirne storia, significati e contesto, ma devono accogliere i rimandi ai ricordi e ai sentimenti privati di ognuno, o raccontare il rapporto con la memoria collettiva.
La museologia si apre a nuove strade che contemplano una maggiore connessione tra le opere e chi le guarda
Significativo in questo senso è il progetto Fabbriche di storie, percorso audio in cui operatori museali e cittadini stranieri residenti in Italia hanno scelto di raccontare dodici capolavori della collezione degli Uffizi di Firenze –dalla Primavera di Botticelli alla Sacra Famiglia di Luca Signorelli – intrecciandone la storia al loro vissuto e alla loro cultura: testi in cui emergono temi universali quali la famiglia, la preghiera, l’amore. Perché i musei, i luoghi del patrimonio, non sono asettici depositi di oggetti e mirabilia, né tantomeno spazi neutrali o separati dalla comunità, ma piuttosto «ecosistemi complessi e dinamici», in cui ci si dovrebbe inter-
Spettacoli ◆ La rassegna La Via Lattea Campus
Stellae ha celebrato i novant’anni di Giuliano Scabia nel Parco delle Gole della Breggia
Giorgio Thoeni
Galleria degli Uffizi.
rogare anche su chi si è e su chi è l’altro – inteso come il tempo della storia, o il punto di vista altrui –, e ci si assume una responsabilità sociale. Dare la parola a persone non «addette ai lavori» – come è accaduto nel progetto Individually together della GaMec (Galleria di arte moderna e contemporanea) di Bergamo che ha coinvolto studenti delle superiori e detenuti – non è un atto scontato, perché si tratta anche di fare i conti con la resistenza degli specialisti che però possono cogliere in questi percorsi alternativi, che fanno leva su emozioni e vissuto, una rinnovata capacità di meraviglia (e di lettura dell’opera). La stessa meraviglia che ha provato Maida, una studentessa straniera, di fronte a un’antica mappa di Bergamo: «Quando ho visto la tua mappa, Bergamo, per la prima volta mi ci sono rispecchiata dentro. Ho rivissuto un mio viaggio nel tempo, nella memoria, che dura da più di ventisei anni, e ho realizzato all’improvviso che sei il luogo dov’è casa mia!». Inoltre, sembra che la narrazione abbia il potere di cambiare sia chi ascolta sia chi narra, come dimostrano le testimonianze dei volontari coinvolti in progetti di intermediazione culturale, raccolte nell’ultimo capitolo del libro, che illuminano i capitoli precedenti, più teorici, firmati da antropologi, sociologi, museologi e pedagoghi. Medico in pensione, ora volontaria e narratrice per il progetto Lascio in eredità me stessa alla terra, Tiziana scrive: «Quello che ci insegna questo progetto, quello che ho imparato, è che nei rapporti con le persone ciò che conta davvero è saper ascoltare».
Nietzsche affermava che nell’immenso spazio cosmico le via lattee conducono fin dentro al caos e al labirinto dell’esistenza, eppure un ordine è possibile crearlo: attraverso l’arte e le sue rivelazioni. Ne è certamente convinto Mario Pagliarani, compositore e fondatore del Teatro del Tempo e ideatore de La Via Lattea Campus Stellae, rassegna creata nel 2004 che ha concluso la sua 21esima edizione negli affascinanti (e misteriosi) scenari del Parco delle Gole della Breggia e della sua Torre dei Forni. Sono i luoghi dove la rassegna ha mosso i primi passi e il recente cartellone ha proposto pellegrinaggi tematici sull’arco di nove giornate che ricordassero le tappe significative delle edizioni precedenti. Il taglio musicale, soprattutto novecentesco e contemporaneo, è fra le caratteristiche principali nella commistione con altre nobili forme d’arte in uno spirito culturalmente onnivoro, votato alla scoperta del territorio, all’armonia con la natura, fra le sue luci e i suoi silenzi.
Un particolare pellegrinaggio di questa edizione, fra letture, incontri e ascolti suggestivi, Pagliarani l’ha voluto dedicare a Giuliano Scabia, scomparso nel 2021 e che lo scorso mese di luglio avrebbe compiuto 90 anni.
Già ospite nel 2006 e nel 2015, personalità autorevole e poliedrica della cultura italiana, Giuliano Scabia era un poeta, drammaturgo, regista e attore italiano, un personaggio carismatico e innovatore che, grazie alla forza della sua poesia e del suo eclettismo letterario e teatrale, ha segnato profondamente il mondo della drammaturgia contemporanea.
Un poeta della luce che, con il suo «teatro vagante», ha colorato l’identità della drammaturgia contemporanea affascinando platee di adulti e di giovani negli anni più sensibili della storia italiana. La sua eredità culturale oggi è custodita dall’omonima Fondazione con sede a Firenze creata nel 2022 dalla moglie Cristina Giglioli con lo scopo di promuovere la sua opera costituita da un ricchissimo archivio. Giuliano Scabia, che abbiamo avuto il privilegio di frequentare negli anni dell’Università a Bologna dove ha insegnato Drammaturgia per una trentina d’anni, era uno straordinario pedagogo oltre che un instancabile affabulatore in un costante processo di innovazione e coinvolgimento.
La sua idea di palcoscenico, in senso lato, si inseriva nella società civile e culturale accompagnando le tappe più significative delle sue trasformazioni. Dalle collaborazioni con Luigi Nono negli anni Sessanta alla battaglia per la liberazione da una psichiatria ossessiva al fianco di Franco Basaglia negli anni Settanta nel manicomio di Trieste: da luogo di disperazione a luogo di speranza. Dagli anni dell’avanguardia con il regista Carlo Quartucci al dialogo con Luca Ronconi. Artefice della nascita del Nuovo Teatro, Scabia si inserisce nel solco di una narrazione teatrale costante, da non confondere con «l’animazione teatrale», categoria in cui non si riconosceva. Eppure, la sua è stata una drammaturgia vagante, di azione, i cui protagonisti nascevano dal basso là dove il suo teatro usciva dai contesti istituzionali per diventare una scrittura collettiva in un processo di pacifica mobilitazione.
La sua fantasia seduttrice, il suo Orfeo e l’amata natura provocavano la scena con leggiadra ironia per svegliare lo spettatore e chiamarlo alla partecipazione. Un teatro politico che metteva alla prova il linguaggio inteso come la capacità di comportarsi, di presentare le cose più semplici in modo magico, sorprendente, e che oggi ci manca. Informazioni www.teatrodeltempo.ch
I Blévita al timo e sale marino sono ora disponibili anche in formato mini.
Novità
Primi piani ◆ Portare a casa il lavoro, ad ogni costo: questa la stella polare che ha orientato per oltre quarant’anni il percorso professionale del lucernese trapiantato in Ticino
Stefano Spinelli
Ci incontriamo, in una bella mattinata estiva, nel suo quartiere di Massagno per fare due chiacchiere su come sia finito a fare il fotografo.
Nato e cresciuto nel Canton Lucerna fino all’età di 23 anni, fin da ragazzino a Karl piace esplorare la magia della fotografia grazie a una piccola macchina instamatic che gira per casa: «Ricordo che mia madre era molto brava: con dei vecchi apparecchi faceva delle grandi foto. Forse è lì che ho preso il virus. Per le stampe, a quei tempi si portava la pellicola in drogheria: erano loro che se ne occupavano». Giunto però il momento di decidere che cosa fare nella vita, Karl sceglie il mestiere di cuoco. Dopo l’apprendistato lavora per qualche tempo al celebre Grand Hotel Bürgenstock, sopra il lago di Lucerna, per finire poi, piuttosto in fretta, a fare lavori temporanei nei cantieri come manovale.
Ed è qui che s’insinua il caso fortunato che lo indirizzerà verso una professione che forse non si sarebbe mai sognato di esercitare. Siamo agli inizi degli anni Settanta, quando incontra un amico ed ex collega di lavoro, già alle dipendenze dell’agenzia Keystone. Questi gli propone di presentare una sua candidatura all’agenzia. Detto fatto, le prove a cui viene sottoposto danno esito positivo ed è così che, di punto in bianco, si ritrova ingaggiato nelle vesti di fotoreporter: «Sono scivolato dentro. Mi hanno fatto fare delle prove, una partita di calcio, una conferenza stampa, eccetera. Mica male, mi dice il capo, puoi cominciare da noi». Rimane due anni con Keystone per passare poi, nel 1973, all’agenzia Photopress di Zurigo – poi assorbita da Keystone – che sta cercando un corrispondente per il Ticino che sappia dunque parlare l’italiano; ed è il caso di Karl, che con la nostra lingua già un po’ se la cava. Approda così a Lugano. Mathis ha inseguito per anni l’attualità con settanta chili di attrezzatura e un occhio sempre pronto a cogliere l’attimo
Come corrispondente regionale, il lavoro consiste nel coprire fotograficamente, giorno per giorno, gli eventi rilevanti nel nostro Cantone: dalla politica alla cultura, dallo sport ai fatti di cronaca. Considerato che questo lavoro viene poi venduto dall’agenzia alle testate svizzere (tra cui anche ai cinque quotidiani allora ancora attivi in Ticino), si tratta di riuscire a raccontare i vari eventi con un’immagine significativa, il più possibile emblematica, a dispetto di ogni possibile avversità, dalla luce particolarmente sfavorevole alle tempistiche strette oppure in orari inconsueti: «Con un’immagine devi spiegare tutto. Nel caso dell’inaugurazione di una diga, la stretta di mano tra due politici va assolutamente fatta davanti alla diga. Senza la diga, la foto non varrebbe niente. Le foto andavano fatte con qualsiasi tempo, pioggia, grandine: ciò che contava era che la sera si portasse a casa qualcosa. Ho sempre detto, ci sono tanti fotografi più bravi di me, ma non tutti si sanno arrangiare come sono riuscito a fare io». Siamo ancora nella gloriosa fase
storica della pellicola, i tempi di lavorazione sono più dilatati, ma non per questo si esige meno tempestività: trattandosi di attualità, Karl, nel limite del possibile, si occupa di andare fino in fondo al processo fotografico, dallo scatto allo sviluppo e stampa delle immagini – attività, questa della camera oscura, che lo appassiona e nella quale eccelle. Infine, alle immagini, da lui stesso scelte, va assegnato un descrittivo, una didascalia, soprattutto per facilitare il referente dell’agenzia a Zurigo che le riceverà per smistarle. Può però anche succedere che, data l’ora tarda del servizio (ad esempio, una partita di calcio o di hockey) e a causa dell’urgenza della consegna, i rullini scattati ma non ancora sviluppati o stampati, corredati delle informazioni del caso, vengano spediti in sede, a Zurigo, con l’ultimo treno.
Al di là della cronaca locale, Karl è stato pure assai impegnato all’estero, soprattutto per seguire avvenimenti sportivi, settore da lui prediletto. In questo ambito, ha coperto dieci olimpiadi, parecchi mondiali di calcio oltre a numerosi altri importanti incontri e meeting sportivi. Molti gli aneddoti. Tanto per cominciare doveva portarsi appresso una non esigua quantità di attrezzatura fotografica, e tutto il materiale necessario allo sviluppo e alla stampa delle immagini – che veniva poi utilizzato nel bagno delle camere d’hotel in cui soggiornava, dall’ingranditore alle vasche e ai bagni di sviluppo, fino alle carte fotografiche – e il macchinario necessario alla loro trasmissione in sede. Ben settanta chili di bagaglio che, talvolta, incontrava anche la diffidenza di solerti funzionari doganali.
In quei contesti, le fotografie venivano inviate giorno per giorno con una macchina, una sorta di fax – il belinò(grafo) – che, collegato a una linea telefonica, trasmetteva dei suoni tradotti in ricezione con dei punti. Per una foto in bianco e nero ci volevano sedici minuti di collegamento, tre volte tanto per quelle a colori. Spedire più foto significava passare diverse ore, invece che sul campo, nella camera d’albergo. Chiamando dall’estero, possiamo pure immaginare i costi astronomici che ciò, a quei tempi, poteva implicare. Al di là dei viaggi, da Karl comunque non troppo amati, la professione gli ha offerto l’occasione di conoscere contesti altrimenti inaccessibili, come
entrare in contatto con alte personalità. Oltre a vari politici e Consiglieri federali, ha incontrato ad esempio l’allora Principe Carlo d’Inghilterra – col quale ha avuto un ravvicinato quanto sorprendente tête-à-tête nella cabina di una teleferica: «Era a Klosters, con Diana. Noi aspettavamo davanti all’albergo. Quando è uscito, non sapevamo dov’era diretto, è salito in macchina e noi ci siamo messi come criminali a inseguirlo. Arrivati alla stazione di risalita, abbiamo posteggiato. C’era tanta gente, molti reporter inglesi di quei giornali scandalistici, tipo “Sun” eccetera. Ed io mi sono messo in colonna… Caso vuole che però nella cabina me lo sono ritrovato proprio in faccia! Ma eravamo talmente incassati che non sono riuscito nemmeno a scattare una foto! In compenso ha cominciato a parlare con me. Ha capito che non ero inglese, anche se con quello che ho imparato alla Scuola Club Migros, mi sono arrangiato. Quando siamo arrivati in cima, gli inglesi mi sono saltati addosso: “Cosa ti ha detto? Con noi non parla mai…”. Mah, ho avuto fortuna? Sfortuna?».
Un altro incontro ravvicinato da ricordare è quello con Ronald Reagan, allora presidente degli Stati Uniti, nel parco delle Nazioni Unite a Ginevra, oppure quello con lo scià di Persia a St. Moritz, e a Roma con i Papi Ratzinger e Bergoglio.
Concludiamo l’incontro con una riflessione sul passaggio della professione al digitale. Un passaggio che, secondo Karl, ha comportato innegabili vantaggi pratici, ma che in buona sostanza ha abbassato il livello qualitativo del lavoro fornito, in quanto ormai nell’ambito professionale si trovano a operare numerosi fotografi che non hanno un granché di preparazione e di sensibilità alla materia fotografica.
E più in generale, in questa epoca digitale, si scatta troppo e non si stampa più: «Questa è una cosa che rimpiango molto, che non ci sono più le stampe. Tanta gente non sa nemmeno più cosa sia un album, che è una cosa bellissima, e scattano come condannati, col cellulare, immagini che non vedranno mai stampate. È un gran peccato. Io dico sempre: quell’affare lì è un telefono, non una macchina fotografica, anche se dà ottimi risultati. Finiremo come i giapponesi, a vedere la Svizzera rettangolare, capisci?». Capisco, e condivido. E su questo, decidiamo di passare all’aperitivo.
Da 85 anni cresciamo con il nostro Territorio.
Ogni progetto che realizziamo è pensato per valorizzare ciò che ci circonda: paesaggi, persone, potenzialità.
Conosciamo le aziende, i ritmi e i bisogni del Ticino, perché ci siamo nati e continuiamo a crederci.
Spinelli SA. Il nostro Ticino, la nostra forza.
Una torta di compleanno senza candele non è più immaginabile nella nostra cultura.
Perché si festeggia il compleanno, qual è la data di nascita più diffusa e altre curiosità sul proprio giorno speciale
Testo: Dinah Leuenberger
L’origine della torta
Decorare la torta con le candeline è una tradizione di origine greca: gli antichi Greci preparavano torte rotonde dedicate ad Artemide, dea della luna, e le candele simboleggiavano proprio la luce della luna. La torta di compleanno come la conosciamo oggi risale all’incirca al XV secolo. È dalla Germania che proviene questa tradizione, così come l’usanza di organizzare una festicciola di compleanno per i bambini. All’epoca si riteneva infatti che nel giorno del loro compleanno i bambini fossero particolarmente suscettibili agli spiriti maligni e la festa aveva quindi lo scopo di allontanare questi ultimi.
La data di nascita più frequente
In tutto il mondo, la maggior parte delle persone compie gli anni il 16 settembre, mentre al secondo posto in ordine di frequenza c’è il 9 settembre. Settembre è generalmente il mese con il tasso di natalità più alto, probabilmente perché il periodo tra Natale e Capodanno - esattamente nove mesi prima - è caratterizzato da un’atmosfera particolarmente accogliente e romantica.
Una canzone eterna
La famosa melodia di compleanno «Hap-
py Birthday to You» è stata composta nel 1893 da due insegnanti negli Stati Uniti. In origine era una canzone per bambini con il titolo «Good Morning to All». Solo in seguito è diventata la canzone di compleanno che conosciamo oggi, tradotta in almeno 18 lingue. Curiosità: fino al 2015 la canzone era protetta dal diritto d’autore!
Nati lo stesso giorno
La probabilità che due individui in un gruppo casuale di 23 persone compiano gli anni lo stesso giorno è di ben il 50,73%. Questo fenomeno matematico è noto come «paradosso del compleanno». In un gruppo di 70 persone, la probabilità sale addirittura al 99,9%!
Il compleanno nel mondo
In Messico, la piñata è il pezzo forte di ogni festa di compleanno: si tratta di una figura colorata piena di dolciumi che viene colpita e distrutta dal festeggiato. In Spagna, si usa tirare leggermente i lobi delle orecchie della persona festeggiata, tante volte quanti sono gli anni compiuti. Il rituale si chiama «los tirones de oreja», ovvero «la tirata d’orecchie». A Malta, invece, i bambini diventano indovini al loro primo compleanno: durante la cosiddetta «qu c cija», vengono
disposti vari oggetti intorno al bimbo e in base a quello che il piccolo afferra per primo si dovrebbero trarre indizi sulla sua futura professione.
Non c’è niente da festeggiare Alcune persone non festeggiano il proprio compleanno. A volte la scelta è dettata da motivi religiosi, come per i Testimoni di Geova, alcune correnti islamiche o le comunità Amish. Ma potrebbero esserci anche ragioni culturali. Ad esempio, la tradizione del compleanno è in parte sconosciuta alle popolazioni indigene. In alcune culture asiatiche e africane, inoltre, per lungo tempo nessuno ha mai pensato alle feste di compleanno perché in passato le date di nascita esatte delle persone non erano documentate.
La festa più lunga Poiché la Terra è composta da 39 fusi orari, il suo compleanno dura 26 ore ogni anno. Ciò corrisponde alla differenza tra il luogo che per primo festeggia il Capodanno (Kiribati, nel Pacifico) e quello che invece lo festeggia per ultimo (l’isola Howland, sempre nel Pacifico): pur sovrapponendosi geograficamente, non hanno la stessa data per motivi politici.
Labirinti magnetici da costruire e giocare
Un’attività creativa per bambini con cartoncino, calamite e personaggi personalizzati che stimola logica, manualità e concentrazione
Il buffet che dimagrisce gli aerei
Nuove regole di Southwest per i passeggeri obesi e il tramonto del self-service negli hotel mostrano come il turismo riconsideri spazio, cibo e misura
Reportage ◆ La colonia penale di Ushuaia nacque per consolidare la sovranità argentina nella Terra del Fuoco e trasformò un avamposto remoto in una vera e propria città
«Fin del mundo», ripetono le insegne di Ushuaia fino allo sfinimento – anche se, dall’altra parte del canale di Beagle, la cilena Puerto Williams avrebbe qualcosa da obiettare. Ma il Penal, quello sì, è un’esclusiva della città argentina, una prigione dove la fine del mondo era purtroppo un’esperienza quotidiana.
L’idea di una colonia penale nella Terra del Fuoco nacque nel 1882, un anno dopo la firma del Trattato sui Confini con il Cile. Esistevano già due simili esempi, di successo, nel mondo: la Francia aveva colonie penali in Nuova Caledonia e in Algeria e l’Inghilterra ne aveva una in Australia. Nel 1883, il presidente argentino Roca presentò al Senato un progetto di legge per la creazione di una Colonia penale a sud del Paese. Gli obiettivi erano risolvere il problema penitenziario e proteggere la sovranità attraverso un insediamento effettivo in quei territori lontani. L’anno successivo partirono i primi detenuti e fu fondata la città di Ushuaia, insieme alla creazione del Governo della Terra del Fuoco.
A Ushuaia il vento non concede tregua e la neve domina gran parte dell’anno Prima di stabilirsi definitivamente a Ushuaia, il presidio aprì una sede provvisoria sull’Isla de los Estados. Nel 1902 fu trasferito con una prima fase a Puerto Golondrina, e infine a est della cittadina di Ushuaia, che allora consisteva in poco più di quaranta abitazioni.
La costruzione dell’edificio attuale, a opera degli stessi detenuti, iniziò nel 1902 e durò 18 anni. Il primo padiglione fu il numero I; detto «Historico», era fatto di legno e lamiere e disponeva di sole otto celle.
I lavori nel bosco iniziavano la mattina presto e alcuni prigionieri si fermavano per la notte nell’accampamento di Monte Susana per risparmiare tempo. Erano detenuti privilegiati che cucinavano i propri pasti e godevano di una certa libertà all’aria aperta, soprattutto nelle lunghe giornate estive. Il resto dei prigionieri veniva portato su un piccolo treno a bordo di carri aperti, strettamente sorvegliati da guardiani armati. Rimanevano tutto il giorno nei boschi a tagliare alberi, poi caricavano la legna da ardere ottenuta e tornavano a piedi o sugli stessi carri, se c’era un po’ di spazio.
La struttura finale del carcere, a raggiera, comprendeva cinque padiglioni, ognuno dei quali si diramava da un punto centrale e disponeva di 79 celle singole, anche se nei periodi
più affollati il carcere arrivò a ospitare tra i 600 e gli 800 detenuti. Con il passare del tempo vi furono inviati individui colpevoli di gravi reati, molti dei quali condannati all’er-
gastolo o a lunghe pene: il sistema in vigore si basava sul lavoro a vita con un salario infinitesimale.
A Ushuaia il vento sferza incessante, la neve ricopre ogni cosa per gran
Volti dall’ombra: storie di prigionieri
Il Penal de Ushuaia fu teatro di vicende umane estreme, dove spietatezza e disperazione si intrecciarono a tenacia e spirito di sopravvivenza.
Nel 1912, Buenos Aires fu sconvolta da una serie di efferati omicidi di minori culminati con l’arresto di Cayetano Santos Godino, un sedicenne noto come Petiso Orejudo («Piccolo orecchiuto») per via del suo aspetto. Alla stampa dichiarò che «la mattina, dopo i brontolii di mio padre, uscivo di casa per cercare lavoro, e se non lo trovavo allora cercavo qualcuno da uccidere». Trasferito in seguito alla prigione di Ushuaia, Godino vi trascorse il resto della sua condanna fino alla morte, avvenuta tra quelle mura nel 1944.
Simón Radowitzky, giovane anarchico di origini russe, divenne noto per l’attentato dinamitardo che uccise il capo della polizia Falcón e il suo segretario
parte dell’anno e durante l’inverno il sole si mostra appena, timido tra le nubi. In questo scenario inospitale, stretto tra il confine argentino, il Canale di Beagle e il Cile, la prigione
a Buenos Aires. Condannato a una pena indeterminata, subì severe restrizioni, tra le quali isolamento forzato e dieta punitiva. Sfuggì alla pena di morte grazie alla giovane età e trascorse 21 anni in carcere, di cui la maggior parte
Riproduzione di un detenuto nella sua cella; in realtà il carcere era spesso sovraffollato, dunque le celle singole non erano la norma.
nella prigione di Ushuaia e dieci in isolamento, i restanti in condizioni particolarmente dure (pane e acqua per venti giorni all’anno in occasione dell’anniversario di morte delle sue vittime). Plinio Palma, politico e giornalista ci -
era un edificio tetro e imponente che sembrava sfidare la natura stessa. Le condizioni di vita all’interno del carcere erano durissime. Le celle, fredde e umide, offrivano scarso ripa-
leno e oppositore del regime di Pinochet. Fuggito in Argentina, fu catturato e rinchiuso a Ushuaia come prigioniero politico. La sua detenzione fu un simbolo della repressione che colpì il Sud America negli anni della dittatura e la sua liberazione, una vittoria della lotta per i diritti umani, fu ottenuta grazie alle pressioni internazionali. E infine Pasqualino Rispoli, una figura avvolta nel mistero e nella leggenda, soprannominato «l’ultimo pirata della Patagonia». Rispoli, di origine italiana, arrivò in Argentina all’inizio del XX secolo e si diede ai furti, al contrabbando e ad atti di pirateria. Per la sua abilità nel navigare i mari della Patagonia e la sua audacia nel compiere le sue imprese fu temuto e ammirato allo stesso tempo. Catturato e rinchiuso a Ushuaia, Rispoli continuò a far parlare di sé, rappresentando un simbolo di ribellione.
ro dal clima rigido. L’amministrazione assegnava a ogni nuovo prigioniero un bancale da utilizzare come letto, insieme a un materasso, tre coperte di lana e un cuscino, un numero limitato di stoviglie e posate per mangiare e bere, due asciugamani e due indumenti per soggetto. Nel caso in cui il prigioniero consumava più capi di abbigliamento della quantità annuale stabilita, doveva fornire una buona giustificazione, altrimenti era costretto a pagarli con i suoi risparmi. Non era concesso avere altri beni, tranne per coloro ai quali, per buona condotta, era permesso tenere in cella libri, materiale di studio, tabacco, zucchero e yerba mate; costoro potevano anche svolgere dei lavori pagati nel poco tempo libero. Il cibo era insufficiente e la disciplina ferrea. Esistevano tre tipi di razioni: per i malati, prescritte dal medico; per coloro che svolgevano un lavoro fisico attivo; e una razione di conservazione per coloro che, a causa di difetti fisici o malattie, non svolgevano un lavoro «produttivo». Da regolamento, i pasti erano serviti due volte al giorno, la colazione era un privilegio di chi svolgeva le attività più dure. I dipendenti della prigione ricevevano lo stesso cibo dei detenuti, anche se di solito le porzioni erano più abbondanti.
Qui, alla pena dei detenuti si aggiungeva di giorno in giorno l’ulteriore punizione della natura ostile
La prigione aveva trenta diverse aree di lavoro, alcune delle quali si trovavano al di fuori dei confini del carcere. Le officine si occupavano delle necessità della prigione e fornivano all’intera città di Ushuaia servizi come tipografia, telecomunicazioni, elettricità, persino una stazione dei pompieri. Fuori dal carcere, i detenuti erano utilizzati per costruire strade, ponti, edifici e per la lavorazione del legname.
Il Codice imponeva ai detenuti l’obbligo di lavorare e in generale il lavoro era preferito al rimanere confinati in cella tremanti per il freddo. Le attività da svolgere erano assegnate al mattino e per tutto il giorno i guardiani, muniti di fucile e baionette, seguivano i detenuti circondandoli in cerchio a una distanza di circa dieci-quindici metri.
L’interno di un’ala del museo del carcere, che non è stata rinnovata e mostra le condizioni di vita durissime a cui erano sottoposti i detenuti. Sotto da sinistra a destra: guardie e prigionieri a Ushuaia come decorazione di un edificio; installazioni a tema carcerario nel centro di Ushuaia; di fronte all’ufficio postale, un murales dedicato al Petiso Orejudo, «celebre» detenuto del carcere di Ushuaia.
L’edificio fu trasformato in Museo Marittimo, un luogo dove la memoria del passato si intreccia con la storia della navigazione e dell’esplo-
Nel 1947, il presidente argentino Juan Perón decretò la chiusura del carcere di Ushuaia, mettendo fine a un capitolo controverso della storia argentina.
La ferrovia più meridionale del mondo, battezzata «Treno della Fine del Mondo», fu costruita nel 1910 dai detenuti della prigione di Ushuaia sotto la direzione dell’ingegnere Catello Muratgia. Con un’estensione di circa 22 chilometri, correva a lato di Calle Maipú attraverso il campamento Monte Susana, e si divideva in sezioni verso quello che oggi è il Parco Nazionale della Terra del Fuoco.
I lavori iniziarono con lo spianamento e il riempimento del terreno, a cui seguirono i capannoni per i macchinari, una segheria, una forgia, una falegnameria e un impianto di macinazione della pietra. I materiali erano trasportati mediante piccoli carri che scorrevano su rotaie di legno (sistema Xylocarril ) ed erano trainati da cavalli o buoi e talvolta dagli stessi detenuti. Nel 1910 la Xylocarril fu sostituita da una Decauville, una ferrovia a binario stretto di metallo. Il treno disponeva
di due locomotive per trasportare prigionieri e materiali.
I prigionieri, con picconi e pale, sfidarono il permafrost e le raffiche di vento gelido. Si dice che, a volte, qualche prigioniero esausto e disperato tentasse di sabotare il lavoro, sperando in un incidente che lo sottraesse alla fatica, almeno per un po’.
Il treno collegava la prigione con gli accampamenti nei boschi – dove gli alberi venivano abbattuti e il legno era lavorato – attraversando il villaggio lungo la costa.
All’epoca, molti stabilimenti avevano treni da lavoro: imprese forestali, cave o, ad esempio, alcune delle estancias (tenuta rurale) della Terra del Fuoco e di Santa Cruz per trasportare le balle di lana al porto. I rappresentanti erano a Buenos Aires e locomotive, vagoni e rotaie potevano essere acquistati nello stesso modo in cui oggi si acquistano furgoni e camion. Al-
razione della Terra del Fuoco. Oggi il museo custodisce la storia locale attraverso esposizioni di modellini navali, reperti delle esplorazioni antartiche e ricostruzioni delle celle, offrendo uno sguardo tanto sulla navigazione quanto sulla vita dei detenuti.
La cittadina di Ushuaia vive la memoria della prigione in un equilibrio tra turismo e ricordo: il passato carcerario, pur cupo, è parte integrante dell’identità della città, attirando visitatori curiosi di conoscere la storia di questo luogo remoto, mentre i residenti ne preservano la memoria con un misto di orgoglio e rispetto per le sofferenze del passato.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
la chiusura del carcere nel 1947, il treno rimase in funzione (per coadiuvare la produzione delle segherie locali) ma la ferrovia fu danneggiata durante il terremoto del 1949. Fu solo negli anni Novanta che fu avviato un progetto
Installazioni a tema ferroviario nel centro di Ushuaia.
per renderlo un mezzo turistico. Installazioni a tema ferroviario nel centro di Ushuaia. Il percorso del treno, oggi come allora, è uno spettacolo per gli occhi. Si parte dalla stazione, a otto chilome-
tri a ovest di Ushuaia, e ci si addentra nel cuore del parco nazionale. Il treno sferraglia in mezzo a foreste di lenga, un albero tipico della regione, con la sua corteccia contorta e i rami protesi verso il cielo. Uno dei punti salienti del percorso è la stazione La Macarena, che offre una vista spettacolare sull’omonima cascata e sul fiume Pipo. Lungo il tragitto, la guida racconta la storia del treno e dei prigionieri che lo costruirono, alternando aneddoti tragici a momenti di ironia. Il viaggio si conclude alla Estación del Parque, dove i visitatori possono scendere e proseguire l’esplorazione del parco a piedi. Il treno è oggi una comoda attrazione, ma i suoi binari sono intrisi di storie di fatica e resilienza. E forse, tra un selfie e un «che meraviglia», qualcuno si ricorderà di quegli uomini che, con il loro sudore, tracciarono un solco nella storia della Terra del Fuoco.
Crea con noi ◆ Un laboratorio divertente dove i bambini inventano personaggi e li guidano nel loro labirinto fino alla ricompensa
Giovanna Grimaldi Leoni
Questa settimana vi proponiamo un’attività creativa che unisce manualità e gioco. In questo tutorial realizzeremo insieme una serie di labirinti personalizzati. Ogni bambino potrà colorare i propri personaggi (l’ape che cerca il miele, il bruco che va verso la mela, il topo che vuole il formaggio e il cane con il suo osso) e guidarli lungo il percorso del labirinto grazie alle calamite. Un modo originale per stimolare la concentrazione, la logica e la coordinazione occhio-mano.
Preparazione
Preparate la base utilizzando un cartoncino abbastanza rigido: va benissimo anche del cartone di recupero, come nel mio caso, in cui ho scelto un cartoncino rosso riciclato. Stampate e plastificate i quattro labirinti. Prima di proseguire fate una
prova posizionando sopra la base un labirinto. Controllate che le due calamite, una sopra e una sotto la base, si attraggano bene: se lo spessore del cartone fosse troppo elevato, infatti, le calamite potrebbero non riuscire a restare unite. Una volta accertato questo, stampate anche i disegni dei personaggi (ape, bruco, topo e cane) insieme ai loro obiettivi (alveare, mela, formaggio e osso).
Lasciate che vengano colorati dai bambini come preferiscono poi ritagliateli e proteggeteli plastificandoli. Incollate sul retro dei disegni i tondini in velcro (positivo).
Posizionate uno dei labirinti al centro della base e incollate tutt’intorno delle strisce di cartone larghe circa 1 cm, in modo da creare una cornice. Questa cornice vi permetterà di inserire il labirinto scelto e mantenerlo
colibrì… Termina la frase leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate. (Frase: 10, 1, 3, 9)
ORIZZONTALI
1. Antichi strumenti musicali a corde
7. Un ferro nel camino
8. Priva di efficacia
9. Un articolo
10. Isabella per gli amici
11. Primo cardinale tedesco
12. Va bene... in tutto il mondo
13. Non idoneo
18. Cerchi luminosi intorno alla Luna
20. Un libro della Bibbia
22. Altrimenti detto
24. Una... «teca» per vinai
25. Rifugio, ricovero
27. Si ripete in un famoso ballo
29. Cosparsa di aculei
30. Lo indossa Butterfly
VERTICALI
1. Saggio, avveduto
ben fermo durante il gioco. Incollate sulla parte inferiore della base anche i tondini di velcro (lati negativi) che vi serviranno come spazio di raccolta per riporre tutti i disegni quando non vengono utilizzati. Applicate il velcro anche sul retro della calamita che utilizzerete per il gioco. In questo modo ogni segnalino potrà essere fissato in ordine e non andare perso.
Come si gioca: Scegliete un labirinto e inseritelo nella cornice. Fissate anche l’obiettivo sul velcro nella parte superiore del labirinto e il soggetto corrispondente sulla calamita.
Posizionate il vostro segnalino alla partenza del labirinto e fissatelo con una calamita gemella: una andrà sopra il labirinto con il personaggio e l’altra sotto la base. In questo modo, muovendo la calamita inferiore, il personaggio potrà seguire il percorso e raggiungere la sua ricompensa.
Idee in più:
Per rendere il gioco più comodo potete applicare sul retro una «L» di cartone che faccia da supporto, in modo da tenere la base leggermente sollevata e inclinata durante l’utilizzo.
Per rendere il gioco ancora più divertente, potete creare nuove coppie di personaggi con le loro ricompense: ad esempio un pesciolino che nuota verso una conchiglia, un gatto che cerca il gomitolo, un astronauta che vola fino al pianeta, oppure un robot che arriva alla sua batteria. Ogni bambino può inventare la propria coppia, disegnandola e personalizzandola come preferisce.
Se volete variare il meccanismo, invece delle calamite potete proporre una versione «pennarello». Plastificate i labirinti e lasciate che i bambini traccino il percorso con un pennarello cancellabile: una volta completato il gioco, il segno si può rimuovere con un panno
• Stampante (per stampare i disegni e i labirinti)
• Plastificatrice oppure plastica trasparente adesiva
• 2 calamite rotonde (una da mettere sopra e una sotto la base per ogni segnalino)
• C artoncino rigido 25x36cm
• Colori a piacere (matite, pennarelli, pastelli, acquerelli)
• Matita, forbici
• Taglierino (per tagli più precisi) e righello
• Tondi in velcro (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage)
umido e la scheda è pronta per essere riutilizzata tutte le volte che volete. Buon divertimento!
Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
di Claudio Visentin
In queste settimane due notizie si sono intrecciate in modo curioso. Una proviene dal mondo dell’aviazione, che si ritaglia sempre uno spazio sulle pagine dei giornali. La cabina degli aerei, pur così angusta (o forse proprio per questo), provoca regolarmente infiniti conflitti e controversie. Per esempio la compagnia statunitense Southwest ha cambiato le regole per i viaggiatori in sovrappeso. A partire da gennaio 2026, se il passeggero non riuscirà a restare nei limiti del suo sedile, abbassando i braccioli con un certo agio, dovrà prenotare e pagare anche quello a fianco. Questo posto aggiuntivo, in passato gratuito, sarà poi rimborsato solo se al momento del decollo ci saranno ancora poltrone libere nella stessa classe, altrimenti l’addebito verrà confermato. La notizia ha destato delusione e malumore tra i clienti. Southwest sino ad ora era stata la linea
aerea più comprensiva verso le persone di taglia larga; molti viaggiavano solo sui suoi voli, anche per timore di commenti sgraditi e altre molestie. Va detto che anche dopo l’adozione di queste nuove regole Southwest resta comunque più tollerante di altre linee aeree, che semplicemente non prevedono mai rimborsi per i posti extra. Non parliamo di piccoli numeri: il 10% degli adulti statunitensi ha problemi di obesità grave, dunque oltre 20 milioni di persone sono potenzialmente interessate da queste nuove regole. Se il budget è già limitato e il volo aereo costa il doppio, potrebbero dover rinunciare al viaggio. Un’ingiustizia agli occhi di molti, perché se in passato il sovrappeso era considerato un problema individuale, legato a mancanza di autocontrollo o cattive abitudini, oggi è ritenuto più spesso una malattia cronica con diverse cau-
Dalla stazione centrale, seguendo un itinerario odonomastico il più musicale possibile – via Domenico Scarlatti, via Benedetto Marcello, via Errico Petrella, via Saverio Mercadante, Pergolesi, Piccinni, Monteverdi, Paganini – senza neanche doverlo allungare più di tanto, a piedi vado in Piazza Aspromonte. Dove prendo il bus novencentosessantacinque che ora corre sulla Cassanese disorientandomi, non mi ricordo più troppo bene dove scendere per andare in piazza del Municipio a Segrate. Comune di trentasettemila anime circa a dodici chilometri nord-est dal Duomo che io associo da sempre al traliccio Enel dell’alta tensione numero settantuno. Dove, ai suoi piedi, il corpo dilaniato dell’editore Giangiacomo Feltrinelli – saltato in aria per via di un mazzo di candelotti esplosi in mano anzitempo –viene trovato il pomeriggio del quin-
se: genetica, metabolismo, ambiente, psicologia, società. Un qualche rimedio, seppure molto indiretto, potrebbe venire però dalla seconda notizia: la crisi del buffet. Per molti anni è stato uno dei simboli del mondo magico del turismo perché, con la sua disponibilità senza limiti di cibo, rievoca antichi miti come l’età dell’oro. Ora però il buffet è anche criticato. Sebbene la maggior parte dei clienti l’apprezzi ‒ specie a colazione nei grandi alberghi, sulle navi da crociera o nei villaggi vacanza ‒ la clientela più elegante comincia a considerarlo volgare: il vero lusso non sarebbe la quantità, quanto piuttosto qualità, attenzione e cura. Ma soprattutto il buffet è sotto processo per i consumi in eccesso e il conseguente impatto ambientale.
Secondo il Food Waste Index Report 2024 dell’UNEP, l’anno scorso
dici marzo 1972 dal contadino Luigi Stringhetti e il cane Twist. Neanche un cane, in giro, un finire di sabato pomeriggio verso fine agosto nella subito triste Segrate dove cammino adagio ma non troppo in cerca di un monumento-fontana. L’acqua che scorreva flebile nei bagni misteriosi di de Chirico, in occasione dell’ultimo minireportage, ha innescato un desiderio di monumenti-fontane, prima che l’estate finisca. La prima a riaffiorare alla mente è quella qui a Segrate di Aldo Rossi (1931-1997), architetto e teorico dell’architettura – nonché, tra l’altro, professore per qualche anno al Poli di Zurigo – che abbiamo già incontrato un paio di volte nelle nostre camminate milanesi. Ecco dove erano tutti: intorno a una gelateria che si affaccia in uno slargo-piazza deprimente. Eppure quest’apertura nel paesaggio residenziale vomitevole mi porta, senza tante storie, a trovare subito il
Giorno, notte. Caldo, freddo. Yin, Yang. Dalla dialettica fra opposti, scaturisce un senso di armonia. Quella fra il bianco e il nero del FC Lugano, nel 2025, si sta stemperando in una preoccupante sequela di sfumature di grigio.
Dove è finito il calcio spigliato e divertente che il Lugano proponeva nella seconda metà dello scorso anno? Partenze ragionate dal basso. Rapidità, precisione, sicurezza nell’esecuzione. Un vero incanto. Dopo la pausa invernale si è presentata in campo un’altra squadra. Timida, insicura, incapace di costruire e di gestire. In pochi mesi ha dilapidato quasi tutto il capitale di punti accumulato in autunno, e che lasciava persino sognare la conquista del titolo. L’inizio di stagione è da incubo. Fuori dall’Europa, con un pesantissimo 0-5 «casalingo» per mano di un’avversaria, il Celje, contro il quale andava lavata l’onta della balorda eliminazio-
nel mondo è stato sprecato oltre un miliardo di tonnellate di cibo e poco meno di un terzo proveniva dalla ristorazione. I buffet sono tra i peggiori responsabili, perché generano più del doppio degli sprechi rispetto ai pasti cucinati su ordinazione. Inoltre questa formula spinge a mangiare troppo. La maggior scelta e servirsi da soli incoraggia i clienti ad aumentare le dosi; anche il desiderio di ripagare il prezzo fisso va nella stessa direzione. Per qualche tempo si sono tentate soluzioni parziali: posizionare insalate e piatti leggeri all’inizio del percorso, proporre porzioni ridotte (dopo tutto si può sempre fare il bis), usare piatti più piccoli, esporre inviti a contenersi («Prendi solo ciò che puoi mangiare»). Curiosamente anche rituali mattutini di consapevolezza come yoga o meditazione riducono i consumi a colazione.
Ma ora diversi alberghi sono convinti di aver trovato la giusta soluzione. Al momento dell’arrivo ai viaggiatori viene chiesta l’ora della colazione e ricevono un menu molto ampio dal quale scegliere: succhi di frutta, yogurt, pancake, pane tostato, torte, biscotti, cereali, uova strapazzate… Senza la fame d’inizio giornata e le sollecitazioni visive dei cibi esposti in bella mostra, le scelte sono molto più ragionevoli e salutari. La mattina seguente, sulla base delle ordinazioni, i cuochi fanno la spesa al mercato locale e cucinano colazioni fresche. Avendola provata di persona, posso confermare che la nuova proposta funziona: il trattamento su misura riduce radicalmente gli sprechi, gratifica il cliente e contribuisce a una migliore forma fisica. Così la prossima volta non avremo problemi con il sedile del nostro aereo.
monumento-fontana ai Partigiani. Tutto in beton provato dal tempo, lo vedo in un colpo d’occhio: un parallelepipedo, il tetto triangolare slittato in avanti e sorretto da una colonna-cilindro. Avvicinandomi, le ombre sono il quarto elemento geometrico, mutevole a seconda dell’ora e delle stagioni. «La piazza e il monumento costruiscono un’architettura delle ombre» sono le parole di Aldo Rossi, trovate a pagina trentatré di Architetture 19591965 (1999) a cura di Alberto Ferlenga, a proposito di questo progetto risalente al 1965. Le ombre dal taglio diagonale, in parte sul beton dell’opera, in parte sul porfido della piazza, ricordano molto quelle pomeridiane dipinte da de Chirico – innestando così un ulteriore nesso involontario o inconscio con i bagni misteriosi dell’ultima puntata – nelle sue piazze d’Italia metafisiche. Il monumento è concepito come una fontana da un la-
to e un podio dall’altro. Mi dirigo prima verso il lato fontana. L’acqua cade a cascata dal triangolo cavo. Peccato imperdonabile le barricate orribili di plastica bianca e rossa, tutto intorno alla vasca rettangolare perpendicolare alla fontana-monumento: impediscono di vedere lo scroscio-cascatella incontrare l’altra acqua. Un sacrilegio ostruire questo sollievo. Salgo i sedici scalini del podio che potrebbero far venire in mente la scala per salire sul Monumento a Roberto Sarfatti (1934) di Giuseppe Terragni sul Col d’Echele, non lontano da Asiago, in provincia di Vicenza. Vedo altrettanti mozziconi. Da qui si vedono tre colonne come nuove rovine concettuali, in cima alla scalinata: anche parte del progetto che comprendeva la sistemazione della piazza del Municipio con alcuni elementi che non sono stati realizzati. Appoggiate a questi «elementi cilindrici, come
frammenti di altre costruzioni» utilizzando ancora le parole chiare di Aldo Rossi, due ragazzine hanno tutta l’aria di scambiarsi delle confidenze. I più riusciti resti inventati di un tempio che non c’è mai stato, sono quei tre ceppi di colonne laggiù. Neo archelogia. Scendo giù dal podio e mi allontano per ritrovare il Monumento ai Partigiani, nell’idea originale smaltato bianco, in campo lungo. Bisogna astrarsi dal contesto attuale non felicissimo (trasandatezza di questa piazza in mezzo alla residenzialità-inferno cortese di casette fuori città ma con l’agreste perduto) e riuscire a estrarre con gli occhi le linee del monumento-fontana bifronte. E traslarle, ritornando alla purezza del disegno semplice e potente di Aldo Rossi. A volte, alla lunga, è più bella l’idea della sua messa in scena. E comunque percepisco molto disamore degli abitanti, emanare dall’opera.
ne dell’anno precedente. Fuori anche dalla Coppa Svizzera, eliminati da una squadra di due leghe inferiori, come se la vergognosa esibizione di Bienne, la scorsa primavera, fosse un lontanissimo e fortuito episodio oramai metabolizzato. E in campionato ? Come interpretare la legnata di Sion per 4 a 0, e il successo per 3 a 1 contro i campioni in carica del Basilea? Probabilmente, l’ottima prestazione contro i Renani, ci dice che il Lugano ha ancora un buon potenziale da esprimere. Gli altri risultati ci suggeriscono che qualcosa si è inceppato negli oliatissimi meccanismi di gioco. Perché ? La risposta, forse, ce l’hanno all’interno della società. Noi possiamo solo formulare delle ipotesi. Quella maggiormente accreditata, in circostanze analoghe, è il sopraggiungere di uno scollamento tra società, staff tecnico e spogliatoio. Spesso, per ovvie ragioni pratiche e finanziarie, a farne le spese, è il Mi-
ster. Mi spiacerebbe. Non solo per la stima che nutro da anni nei confronti del tecnico e dell’uomo. Ma soprattutto perché mi rifiuto di credere che Mattia Croci-Torti sia improvvisamente diventato un incapace. Per ora, la società gli ha affiancato Michele Salzarulo, 41enne milanese già attivo accanto a tecnici di primo piano come Conte, Mourinho, Mancini, Spalletti e altri. A A pensare male, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Il 18 febbraio del 2025, la società ha messo alla porta il Direttore Sportivo, Carlos Da Silva. In ufficio era già pronta una scrivania per Sebastian Pelzer, che ha assunto il ruolo di Chief Sport Officer. Le ragioni dell’avvicendamento? «Pianificare al meglio le prossime stagioni». Che, tradotto in italiano, significa: «Sono fatti nostri». Dubito che ci siano sulla faccia della terra club sportivi che si prefiggano di panificare al peggio il loro futuro. Per intenderci, viene
lasciato a casa un collaboratore che ha vestito per cinque stagioni la maglia bianconera, che conosce molto bene il calcio svizzero e che aveva dimostrato di saperci fare, per dare spazio a un ex difensore di seconda e terza Bundesliga tedesca, che viene proiettato in un ambiente a lui poco noto. Sono convinto che in questa mancanza di trasparenza si celino alcune delle ragioni che hanno spinto la squadra bianconera su un’altalena dalla quale si può anche cadere, facendosi male. Inoltre, ripensando alla serie di fallimenti del calcio ticinese, che ha colpito tutti e quattro i grandi club del cantone, mi vengono i brividi per il continuo assottigliarsi della componente locale.
A Lugano, fatta salva la coppia CrusCao Ortelli e il fantasista Mattia Bottani, il nostro dialetto è un idioma sconosciuto. Lungi da me il pensiero di promuovere un’ulteriore forma di «primanostrismo», ma se da anni
non riusciamo a formare dei ragazzini che dal Team Ticino approdino alla Superleague, qualche ragione ci sarà pure. Non è che, magari, manchino gli sbocchi? Attualmente, il Lugano è ancora un cantiere aperto. Ma sul tavolo della direzione lavori non pare esserci il progetto di un residence di lusso. Anzi. Se a Lugano giungessero dei mostri come Luttrop o Mauro Galvão, ci toglieremmo il cappello. Ho provato a passare in rassegna l’andirivieni degli ultimi anni. Non ho trovato fenomeni in grado di vestire la maglia del Real, del PSG o del Bayern Monaco. Solo onesti ragazzi con giustificate ambizioni, provenienti da campionati minori, e destinati a fare le valigie verso Paesi in cui non si gioca un calcio migliore del nostro. Una delle rare eccezioni è Sandi Lovrić, che è rimasto in bianconero, in Serie A, con la casacca dell’Udinese. Ma, si sa, una rondine, sia pure bianconera, non fa primavera.
9. 9 – 15. 9. 2025
Entrecôte di manzo Black Angus M-Classic Uruguay, 2 pezzi, per 100 g, in self-service 40%
3.–
invece di 5.–
Gelato su stecco Mega Star prodotto surgelato, alla mandorla, alla vaniglia o al cappuccino, in conf. speciale, 12 x 120 ml, (100 ml = 0.81) 40%
a partire da 2 pezzi 30% 11.60
invece di 19.40
3.35
invece di 4.50
Pomodorini ciliegia a grappolo Svizzera / Paesi Bassi, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.67), offerta valida dall'11.9 al 14.9.2025 25%
Assortimento di prodotti per la cura del viso e dei capelli (esclusi M-Classic, M-Budget, Kérastase, Redken, Olaplex, L'Oréal Professionnel, formati da viaggio, confezioni multiple, spazzole e accessori)
Mango Migros Bio Spagna, il pezzo 30%
2.50 invece di 3.60
Tonno M-Classic, MSC in olio o in salamoia, 6 x 155 g, per es. in olio, 7.60 invece di 11.70, (100 g = 0.82) conf. da 6 35%
3.–invece di 5.–
Entrecôte di manzo Black Angus M-Classic Uruguay, 2 pezzi, per 100 g, in self-service 40%
2.50
invece di 3.60 Mango Migros Bio Spagna, il pezzo 30% 9. 9 – 15. 9. 2025
Polli interi Optigal Svizzera, 2 pezzi, al kg, in self-service 30%
6.95 invece di 9.95
11.60
invece di 19.40
Gelato su stecco Mega Star prodotto surgelato, alla mandorla, alla vaniglia o al cappuccino, in conf. speciale, 12 x 120 ml, (100 ml = 0.81) 40%
Tonno M-Classic, MSC in olio o in salamoia, 6 x 155 g, per es. in olio, 7.60 invece di 11.70, (100 g = 0.82) conf. da 6 35%
Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, 4.98 invece di 9.95, (100 g = 0.62) a partire da 2 pezzi 50%
a partire da 2 pezzi 30%
2.45 invece di 3.10
Zucchine Migros Bio Svizzera, mazzo da 500 g, (100 g = 0.49) 20%
Pomodori pelati triturati Longobardi
400 g, 230 g e 800 g, per es. 400 g, 1.05 invece di 1.50, (100 g = 0.26)
21%
7.50 invece di 9.53
Bratwurst di maiale Tradition Svizzera, 4 pezzi, 500 g, in self-service, (100 g = 1.50)
Suggerimento: al forno con formaggio di capra e pancetta
2.80
Zucca butternut Svizzera, al kg 20%
invece di 3.50
3.95
Carote, Migros Bio Svizzera, 2 kg, confezionate, (100 g = 0.20) 38%
invece di 6.40
1.80
Lattuga cappuccio con cuore Anna's Best 230 g, (100 g = 0.78) 20%
invece di 2.30
28%
1.–invece di 1.40
3.50 invece di 4.50
Fichi blu Turchia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.70) 22%
Su tutte le extra pesche noci
Italia/Spagna, al kg, per es. extra pesche noci gialle, 3.99 invece di 5.95 33%
4.70
Pane e prodotti da forno
Michette o panini al burro, precotti, M-Classic, IP-SUISSE per es. michette, 1 kg, 5.10 invece di 6.38, (100 g = 0.51) 20%
Di consistenza morbida, sono ideali come spuntino durante le escursioni
2.80
Mini-Sandwiches M-Classic, IP-SUISSE
300 g, (100 g = 0.93)
tradizionalmente
I piccoli biscotti di pan pepato ripieni tradizionalmenteprovengono dall'Appenzello
7.–
invece di 8.89
Mini-biberli con ripieno di mandorle 634 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.10) 21%
Tutte le coppette ai vermicelles per es. 95 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.11) 20%
Tutti i cake Petit Bonheur per es. cake al cioccolato, 420 g, 4.16 invece di 5.20, prodotto confezionato, (100 g = 0.99) 20%
20x CUMULUS
Novità
5.40
Vermicelles Migros Bio 2 x 200 g, (100 g = 1.35)
Tre diversi menu in azione
23%
Pesce fresco Anna's Best in vaschetta per la cottura al forno
filetto di salmone al limone e coriandolo ASC, filetto di merluzzo con pistacchi MSC e filetto di salmone selvatico con aneto MSC, per es. filetto di salmone ASC, d'allevamento, Norvegia, 400 g, 9.95 invece di 12.95, in self-service, (100 g = 2.49)
20%
6.95
invece di 8.70
Filetti di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 300 g, in self-service, (100 g = 2.32)
20x
8.95
Salmone flambato Sélection con sesamo e ponzu, allevato in Norvegia, 135 g, in self-service, (100 g = 6.63)
Filetti di salmone Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 500 g, 10.40 invece di 16.–, (100 g = 2.08) 35%
28%
14.95
invece di 20.93
Gamberetti crudi e sgusciati Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 1.99)
2.95
6.95
Migros Ticino offre un assortimento di oltre 500 prodotti della regione. La scelta comprende articoli di tutte le categorie, dalla verdura alla carne, dai formaggi alle bibite fino alle specialità più ricercate. Tutti i prodotti provengono da fornitori locali che li lavorano in modo responsabile e sostenibile.
A base di latte
Produzione svizzera crudo 1.70 invece di 2.10
Raclette al naturale Raccard, IP-SUISSE
in blocco extra o a fette, in confezioni speciali, per es. in blocco extra, per 100 g, 1.35 invece di 2.25 40%
5.20 invece di 6.55 Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g, (100 g = 1.58) 20%
a partire da 2 pezzi 20%
a partire da 2 pezzi 20%
Emmentaler e Le Gruyère grattugiati, AOP 250 g, 4.40 invece di 5.50, (100 g = 1.76)
Tutti i Caprice des Dieux (formato maxi escluso), per es. 300 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 1.59)
conf. da 2
–.80 di riduzione
Burro speciale o burro da cucina, Migros Bio per es. burro speciale, 2 x 200 g, 8.40 invece di 9.20, (100 g = 2.10)
a partire da 2 pezzi 20%
conf. da 2 40%
6.95 invece di 11.60
Tortelloni Anna's Best, refrigerati tricolore al basilico, al manzo o ricotta & spinaci, 2 x 500 g, (100 g = 0.70)
Tutto l'assortimento di pasta fresca Garofalo, refrigerata per es. tortellini al prosciutto crudo, 250 g, 5.20 invece di 6.50, (100 g = 2.08) 20%
conf. da 4 30%
Tutti i tipi di latte Energy e le bevande Energy, Emmi per es. Energy Milk High Protein alla vaniglia, 330 ml, 2.28 invece di 2.85, (100 ml = 0.69)
Pizze Anna's Best, refrigerate Prosciutto o Margherita, per es. Prosciutto, 4 x 400 g, 14.95 invece di 21.60, (100 g = 0.93)
Succhi freschi bio Migros da 1 litro, refrigerati per es. succo d'arancia, 3.80 invece di 4.75, (100 ml = 0.38)
a
Caffè Exquisito, in chicchi o macinato
4 x 500 g, per es. in chicchi, 25.15 invece di 37.60, (100 g = 1.26)
Tutte le proteine in polvere per es. Multiprotein Sponser alla vaniglia, 240 g, 10.43 invece di 14.90, (100 g = 4.35) 30%
20x CUMULUS
Novità
Weetos Choco e Crispy Minis, per es. Weetos Choco, 375 g, 3.60, (100 g = 0.96)
Tutte le gallette di riso bio per es. al miele Alnatura, 3 x 33 g, 1.48 invece di 1.85, (100 g = 1.49)
Tutti i tipi di confetture e di miele, Migros Bio per es. confettura extra di fragole, 350 g, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 0.90) a partire da 2 pezzi 20%
Tutto lo zucchero fino cristallizzato, 1 kg per es. Cristal M-Classic, IP-SUISSE, 1.44 invece di 1.80, (100 g = 0.14) 20%
20x CUMULUS Novità
Tè Alnatura disponibili in diverse varietà, per es. Infuso di menta piperita, 30 g, 2.10, (100 g = 7.00)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Thai Kitchen per es. latte di cocco, 500 ml, 3.60 invece di 4.50, (100 ml = 0.72)
30%
Patate fritte o patate fritte al forno, M-Classic prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. patate fritte, 2 kg, 7.– invece di 10.–, (100 g = 0.35)
Oli d'oliva Don Pablo 1 litro e 500 ml, per es. 1 litro, 7.96 invece di 9.95, (100 ml = 0.80) 20%
a partire da 2 pezzi 1.–di riduzione
Chips Zweifel disponibili in diverse varietà, 175 g e 280 g, per es. Paprica, 280 g, 4.95 invece di 5.95, (100 g = 1.77)
4.20 invece di 5.30
Original o alla paprica, in conf. speciale, 200 g, (100 g = 2.10) 20%
Pom-Bär
Tutto l'assortimento di miscele di spezie ed erbe, M-Classic per es. erba cipollina, 11 g, 1.24 invece di 1.55, (100 g = 11.27) 20%
conf. da 3
33%
Sun Queen noci di anacardi o gherigli di noce, per es. noci di anacardi, 3 x 200 g, 6.70 invece di 10.05, (100 g = 1.12)
a partire da 2 pezzi 20%
Sofficini M-Classic
prodotto surgelato, disponibili in diverse varietà, per es. sofficini al formaggio, 8 pezzi, 480 g, 4.24 invece di 5.30, (100 g = 0.88)
20x CUMULUS Novità
3.–
Ora anche in formato mini
Blévita Mini al timo e sale marino 130 g, (100 g = 2.31)
di 10.40
Tutte le bevande Biotta Bio non refrigerate per es. mirtillo rosso Plus, vegano, 500 ml, 3.96 invece di 4.95, (100 ml = 0.79)
Tutto l'assortimento Bundaberg in bottiglie singole e confezioni multiple, per es. ginger beer, 375 ml, 2.93 invece di 3.90, (100 ml = 0.78)
Da mixare per preparare dei drink o da gustare puro
4.95 Peanut M&M's 330 g, (100 g = 1.50)
2.– Toffifee 125 g, (100 g = 1.60)
Tutto l'assortimento di cioccolato Frey (prodotti Sélection e confezioni multiple esclusi), per es. Latte finissimo, 100 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.00)
da 3 33%
BASSO 5.90 invece di 8.85
2.50 Migros Funky Monkey Cookies
Triple o Soft Triple Chocolate, per es. Triple Chocolate, 200 g, (100 g = 1.25) 20x
Biscotti Oreo Original, Double Cream o Golden, per es. Original, 3 x 154 g, (100 g = 1.28)
Rocher o Choco Carré, M-Classic per es. Choco Carré, 3 x 100 g, 7.80 invece di 11.70, (100 g = 2.60) conf. da 3 33%
3.70 Discoletti al cioccolato Tradition
Tutto l'assortimento Haribo per es. Orsetti gommosi, 175 g, 1.37 invece di 1.95, (100 g = 0.78) a partire da 3 pezzi 30%
Tutto l'assortimento Freche Freunde e Mogli per es. pretzel bio con ceci Freche Freunde, 75 g, 2.28 invece di 2.85, (100 g = 3.04) a
20x
Novità
1.65 Mela e albicocca con miglio Alnatura Demeter 190 g, (100 g = 0.87)
20x
Novità
Snack sostenibili in qualità biologica
17.95
20x CUMULUS
Body per bebè disponibile in rosa, tg. 50/56–98/104
Novità
Prodotti per la cura del bebè Alviana salviettine umide, crema per la cura del bebè o shampoo e balsamo, per es. salviettine umide, 48 pezzi, 4.20
Con schiuma duratura
Prodotti per il bagnetto Kneipp Naturkind, veicoli per es. bagnoschiuma Brumm Brumm, 40 ml, 1.90, (10 ml = 0.48)
20x CUMULUS
Novità
1.90
Bagnoschiuma divertente creature incantate e dinosauri Kneipp Naturkind per es. bagnoschiuma Funkelmähne (criniera frizzante), 40 ml, (10 ml = 0.48)
Salviettine umide per bebè Milette, FSC® in confezione multipla, per es. Sensitive, 3 x 72 pezzi, 6.50 invece di 9.75, 2 + 1 gratis
Canottiera da uomo Athletic Essentials disponibile in bianco o nero, taglie S–XXL
Pigiama corto da uomo Essentials disponibile in cachi, tg. S–XXL, il pezzo
Essentials
Assortimento di prodotti per la cura del viso e dei capelli (esclusi M-Classic, M-Budget, Kérastase, Redken, Olaplex, L'Oréal Professionnel, formati da viaggio, confezioni multiple, spazzole e accessori), per es. crema da notte Zoé Gold, 50 ml, 13.97 invece di 19.95, (10 ml = 2.79)
Tutto l'assortimento Pedic (confezioni da viaggio escluse), per es. crema Cura intensa, 75 ml, 3.38 invece di 4.50, (10 ml = 0.45)
Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft, FSC® per es. in scatola quadrata, 3 x 90 pezzi, 5.50 invece di 6.90
3.95
3.95
2 anni di garanzia
3.95
Tovaglioli di carta Kitchen & Co., FSC®
33 x 33 cm, disponibili in diversi motivi, 50 pezzi
30.–di riduzione
119.95
invece di 149.95
Macchina per caffè in capsule De'Longhi Nespresso Citiz EN167.B nera
spegnimento automatico, serbatoio dell'acqua 1 l, griglia raccogligocce ribaltabile, tempo di riscaldamento 25 secondi, il pezzo
trio
Frullatore a immersione Braun MQ5200 e Multimixer HM5107 per es. frullatore a immersione MQ5200, il pezzo, 34.97 invece di 49.95 30% 29.95 Set di portabiancheria Home
95 litri, 55 x 34,2 x 60 cm, il pezzo
23%
9.15 invece di 11.90
Ammorbidenti Exelia in conf. di ricarica, per es. Florence, 2 x 1,5 litri, (1 l = 3.05)
da 2 30%
18.–
invece di 25.90
Detersivo Elan in conf. di ricarica, per es. Fresh Lavender, 2 x 2 litri
Tutti i coltelli da cucina e le forbici, Kitchen & Co. e Victorinox per es. coltello da verdura Victorinox, set da 2, 6.97 invece di 9.95, (1 pz. = 3.49)
4.30 Stick per cestelli per WC Hygo Hygienic Fresh o White Flower
Cestelli o detergenti per WC, Hygo in confezioni multiple o speciali, per es. Ultra Power Extreme, 2 x 750 ml, 7.90 invece di 9.90, (100 ml = 0.53)
Carta igienica o salviettine umide, Tempo in confezioni multiple o speciali, per es. Deluxe FSC®, 24 rotoli, 17.50 invece di 29.20 40%
7.95 invece di 9.95
Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, Ø 12 cm, il vaso
Crisantemi a cespuglio disponibili in diversi colori, Ø 19 cm, il vaso 30%
6.95 invece di 9.95
Rose mini assortite M-Classic, Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 30, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo
25%
3.35
invece di 4.50
Pomodorini ciliegia a grappolo Svizzera / Paesi Bassi, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.67), offerta valida dall'11.9 al 14.9.2025
50%
9.70
invece di 19.40
Chicken Crispy Don Pollo prodotto surgelato, in conf. speciale, 1,4 kg, (100 g = 0.69), offerta valida dall'11.9 al 14.9.2025
30%
7.80
invece di 11.20
Filetti di trota salmonata con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 380 g, in self-service, (100 g = 2.05), offerta valida dall'11.9 al 14.9.2025