

INDICE
Preludio per un prisma di sguardi
Silvio Perrella
Antonio Alberto Clemente
Le città inesauribili
Antonio Alberto Clemente
Pensieri dell’occhio. Realtà e Immaginazione ne Le città Invisibili
Federico Bilò
I disegni per le città invisibili di Calvino
Caterina Palestini
L’immagine del viaggio ne Le città invisibili
Alberto Ulisse
La città di Calvino: invisibile, analoga, felice
PRELUDIO PER UN PRISMA DI SGUARDI
Silvio Perrella
Le città invisibili sono un libro smilzo, frammentato, oscuro e insieme chiaro.
Dal 1972 ad oggi ha agito nelle menti di molti e le ha trasformate.
Anche la mia mente ne ha subito l’urto, dovuto alla lettura ma soprattutto alle fantasticazioni che ne sono derivate.
Accanto al suo alfabeto – sottile come una scultura di Fausto Melotti – ho accostato informazioni cognizioni mappe orientamenti.
Sono stati tentativi di decifrazione.
Ma anche abbandoni all’emergere e all’emergenza delle immagini.
La città come emblema della convivenza non solo umana.
La città che vorrebbe mettere a tacere la natura per farsi manufatto della Storia.
La città come accadimento geografico.
Soprattutto la città dove si nasce, quella dove si arriva e l’altra o la stessa dove forse si morirà.
Per me che sono nato in una città ben presto costretto a lasciare per approdare in altre e in altre città l’invisibilità è stata una forma della stratificazione.
Nella città in cui di volta in volta vivevo c’era invisibile la vita della città che avevo lasciato.
L’invisibile s’infilava nel visibile come i morti sussurrano ai vivi negli interstizi del tempo e dello spazio.
Facevo esperienza di smarrimenti, mentre una topografia urbana cozzava con un’altra e d’improvviso dovevo fermarmi a un crocicchio per capire quale direzione avrei preso per raggiungere la meta temporanea di una stanza improvvisata all’indomani di un ennesimo trasferimento.
Per Italo Calvino il presupposto dell’invisibile era l’invivibile.
Erano anni che l’inurbamento stava cambiando la forma del pianeta.
Che folla di passi nelle città!
Le andature di Balzac si trasformavano in contorcimenti dei corpi e ogni città era costretta ad allargarsi a fare di campagna periferia a spostare i confini verso altre città in un fragore urbano d’assordare chiunque avesse orecchie in ascolto conoscitivo.
Italo Calvino ascoltava e traduceva.
Le sue città dai nomi di donne, i dialoghi tra il viaggiatore per eccellenza e il gran Kan, la polverina orientale che spezia il racconto, il diario sottostante che ne scandisce i giorni, la prosa in equilibrio sul
INTRODUZIONE
Antonio Alberto Clemente
Il 23 novembre 1972, Le città invisibili di Italo Calvino arrivano in libreria. La prima edizione viene pubblicata nella collana Supercoralli di Einaudi. Sulla copertina è raffigurato Il castello dei Pirenei di René Magritte (1959): un imponente castello di pietra arroccato sulla cima di una roccia che fluttua sopra un mare agitato. Il contrasto radicale tra il castello, massiccio e immobile, e il mare in forte movimento crea quel senso di mistero e paradosso che appartiene anche a ognuna delle città invisibili. Il rapporto tra il quadro di Magritte e il libro di Calvino, tuttavia, non si limita a questo. Entrambi creano mondi che sfidano le leggi della fisica e della logica; invitano lo spettatore/lettore a mettere in discussione la propria percezione della realtà; celebrano il potere dell’immaginazione come strumento per comprendere il mondo. Nello spazio che si apre tra contrasti e paradossi emergono i molteplici itinerari concettuali che sono stati alla base del seminario “Biografie di città. L’invisibile di Calvino”. Nel complemento di specificazione, singolare e plurale coincidono: le città o la città con le sue mille sfaccettature? La lettura, infatti, può procedere in due direzioni distinte che, ovviamente, non escludono tutte le situazioni intermedie. Nel testo di Calvino, si possono leggere cinquantacinque città diverse, ognuna con la propria identità e peculiarità, oppure interpretare l’intera narrazione come un caleidoscopio che riflette un’unica entità urbana nelle sue infinite variazioni. Come Marco Polo, narratore delle città per l’imperatore Kublai Khan, anche il lettore si trova al crocevia di questa ambiguità fondamentale. La domanda, quindi, non ha una risposta univoca ma apre a innumerevoli considerazioni, ipotesi e prospettive di ricerca. Con un’unica certezza: a oltre cinquant’anni dalla sua pubblicazione Le città invisibili hanno dimostrato di essere un classico contemporaneo che si è imposto, non solo in ambito letterario, ma anche all’attenzione di chi deve orientare lo sguardo sul territorio.
Idealmente Le città invisibili è uno di quei libri destinati, nel tempo, ad aumentare di volume: dopo la prima lettura, esercita una forza attrattiva tale da dover essere riletto, più volte, fino al punto in cui rimane un’unità deformata per il continuo uso, per le sottolineature, per le note a margine, per i segni a matita, per le telegrafiche riflessioni scritte accanto a un passaggio chiave, per i simboli usati come promemoria, per i brevi appunti che occupano le parti in bianco della
PENSIERI DELL’OCCHIO. REALTÀ E IMMAGINAZIONE
NE LE CITTÀ INVISIBILI
Federico Bilò
L’accettazione della realtà è la prima virtù dell’architetto, perché in tal modo si evita il pericolo della fantasia gratuita.
Adalberto
Libera
Un architetto deve avere indubbiamente molte qualità, ma fra queste tre sono le principali: disporre di un’infinita energia, indispensabile per fornire la tenacia e la perseveranza necessarie per fare fronte alle tante difficoltà del mestiere; prestare una continua attenzione alla realtà, nelle sue connotazioni fisiche e sociali; possedere una fervida immaginazione, capace di prefigurare modalità abitative foriere di felicità e gli spazi ad esse necessari. Tra la seconda e la terza qualità vi è un nesso robusto: diversamente da quanto si sarebbe portati a credere, infatti, la facoltà immaginativa risulta direttamente proporzionale al grado di realismo nell’approccio all’attività progettuale. Non solo. Assumendo tale postura, i prodotti dell’immaginazione risultano congenitamente aderenti ad uno specifico contesto fisico e sociale: quello rilevato grazie al realismo. Questa è la tesi che si vuole sostenere in questo scritto, ed essa si rafforza attraverso alcune considerazioni che muovono dal libro di Italo Calvino. Del quale, ricordiamo preliminarmente una distinzione: in un testo del 1974 (intitolato Ipotesi di descrizione del paesaggio, scritto due anni dopo la pubblicazione de Le città invisibili, ma dato alle stampe molto più tardi, nel 1986), Calvino distingue tra occhio esteriore ed occhio interiore. Per lo scrittore ligure, l’occhio esteriore è quello che scruta attentamente la realtà, il mondo fisico circostante, nei suoi aspetti materiali e immateriali; mentre l’occhio interiore è quello votato alla facoltà immaginativa. Nell’attività vigile della coscienza e nell’attività non vigile dell’inconscio, i due occhi stabiliscono un dialogo ininterrotto: che ci interessa molto.
Il libro
Le città invisibili venne pubblicato da Einaudi nel 1972.
Consideriamo l’anno: secondo Charles Jencks, segna l’inizio dell’era postmoderna. Come noto, lo storico americano afferma che la modernità finisce con la demolizione, mediante esplosione programmata, dell’isolato Pruitt-Igoe a Saint Louis, alle tre del pomeriggio del 15 luglio 1972. Esplode il quartiere, e con esso esplodono il progetto moderno e le sue promesse politiche e sociali: le magnifiche sorti e progressive.
Consideriamo il titolo: esso deriva dal libro di Lewis Mumford
La città nella storia, pubblicato negli Stati Uniti nel 1961, e più
I DISEGNI PER LE CITTÀ INVISIBILI DI CALVINO
Caterina Palestini
Nell’universo letterario contemporaneo Le città invisibili di Italo Calvino ricopre un posto di rilievo, rappresentando non solo un capolavoro di narrazione postmoderna, ma anche una profonda riflessione filosofica e poetica sul concetto di città che nel tempo rimane straordinariamente attuale. Pubblicato per la prima volta nel 1972, l’opera si presenta come una serie di dialoghi tra l’anziano viaggiatore Marco Polo e il grande imperatore Kublai Khan. Attraverso questi resoconti di viaggio l’esploratore descrive una serie di città, simbolicamente denominate con cinquantacinque nomi di donna, distinte per le loro peculiari caratteristiche, visibili e intangibili. Queste descrizioni trascendono la mera rappresentazione geografica o architettonica, proiettando il lettore in una dimensione quasi onirica dove le città diventano specchio delle complessità, delle relazioni umane e del modo di percepire e vivere gli spazi.
Il testo di Calvino sfida le convenzioni narrative e spaziali, giocando con i limiti tra realtà e immaginazione. Le città descritte non sono luoghi fisici mappabili quanto piuttosto costruzioni mentali, paesaggi interiori che riflettono varie sfaccettature dell’esperienza umana. Questa peculiarità rende l’opera un punto di partenza ideale per esplorare la geografia letteraria, un campo di studio che ricerca le possibili rappresentazioni dello spazio narrato. In particolare, Le città invisibili si presta a una lettura attraverso il filtro percettivo dei “paesaggi interiori” termine coniato da geografi culturali per descrivere come gli spazi letterari possano fungere da riflessi della psiche umana e dei mondi intrinseci degli autori (Tally, 2013: 12-45).
L’approccio di Calvino alla città e allo spazio urbano può essere considerato rivoluzionario per il modo in cui amalgama realtà e fantasia, creando un tessuto urbano che è allo stesso tempo concreto e astratto. Le sue città non sono statiche, cambiano e si evolvono in base alla percezione del narratore e del lettore, offrendo un’infinità di interpretazioni e significati. Questa fluidità è una caratteristica peculiare della postmodernità, dove la realtà è vista come soggettiva e intrinsecamente instabile.
La “vertigine” immaginativa che produce il testo è anche merito della complessa successione di punti di vista attraverso cui vengono descritte le città: in Eudossia, a esempio, il testo tocca sia il dettaglio intricato del tappeto sia la caotica vivacità della città stessa, suggerendo che ogni punto di osservazione offre una diversa interpretazione
L’IMMAGINE
DEL VIAGGIO NE LE CITTÀ INVISIBILI
Alberto Ulisse
Perché oggi è ancora utile leggere Le città invisibili? E perché uno studente di architettura dovrebbe leggere, anche, questo testo di Calvino?
Preludio spaziale
Riprendere a distanza di tempo il libro de Le città invisibili (dall’ultima lettura di qualche anno fa, per immergersi nuovamente nel tempo della propria memoria nei racconti-immagini di Zenobia, Sofronia, Clarice, Zoe…), sfogliare nuovamente le sue pagine, scorrere daccapo la sequenza delle città al femminile, ricomporre la struttura della sua impalcatura (indice) e, in questo modo, reimmergendosi ancora per un’altra volta nel libro è sicuramente una pratica utile per iniziare un nuovo viaggio.
In particolare, in questo libro di Calvino si compie, sempre, un viaggio in una crono-geografia di immagini; un viaggio tratteggiato a partire dal racconto di immagini assenti ma non per questo invisibili agli occhi di chi legge.
Continuando a sfogliare il libro, intriso tra i ricordi, appare affiorare un tessuto di urbanità vivace e plurale fatto di superfici colorate e scintillanti, di murazioni e fortezze, di acqua e cicli di vita… dei paesaggi mentali che all’improvviso nascono e altrettanto improvvisamente scompaiono dinnanzi agli occhi di chi legge.
All’interno di questa apparente disarmonia, le cinquantacinque città ricompongono una unità propria (tutto questo grazie anche al racconto della “voce fuori campo”). Il componimento letterario nasce da una volontà appositamente ricercata, frutto dalla instancabile maestria dell’autore, che vuol far emergere la singolarità nella differenza, intrecciando in una cadenza perpetua narrazioni e ridefinendo possibili traiettorie di spostamento nel testo, inducendo il lettore ad un personale viaggio multiforme. Nel mondo della fantasia, l’autore compie, attraverso le parole, una vera e propria tessitura «tra spazio e tempo» (Pasolini, 2023: 165), o «il tempo nello spazio» (Kern, 1995: 76), aprendo, in questo modo, sguardi verso nuovi significati del testo capaci di tessere nella mente del lettore molteplici profondità spaziali del racconto, in una rinnovata condizione immersiva tra sequenze, storie e invenzioni. In questo modo si definisce una opportunità latente che risiede nella memoria dei ricordi e delle cose, come nel processo fisico-spaziale che Gyorgy Kepes chiama «transparency fenomenal». L’artista ungherese, nel testo Language of vision, sostiene che nella mente di chi elabora una immagine, i «vari oggetti sovrapposti si identificano con il piano che li contiene, contribuendo a stabilire la
LA CITTÀ DI CALVINO: INVISIBILE, ANALOGA, FELICE
Oscar Buonamano
L’interesse di Italo Calvino per la città si manifesta in tutta la sua opera letteraria, in modi e forme diverse, costante nel tempo. Quasi un’ossessione se si soppesano i contributi che ha dedicato alle dinamiche urbane, siano essi in forma di romanzo, di saggio o d’interviste. Eh sì, perché anche l’intervista per Calvino è una forma di narrazione e come tale va pensata, preparata, studiata, «quando veniva intervistato, egli preferiva scrivere le risposte e possibilmente anche le domande» (Ciancameria, 2023: 490), faceva parte del suo modo di lavorare: essere preparato e pronto in ogni situazione per non improvvisare.
Giornalista, lettore onnivoro, editor, scrittore, maître à penser, una mente piena di idee in continua evoluzione che si trasformano sempre in progetti poliedrici. Nelle riflessioni sulla città oltre alla denuncia dell’invivibilità della realtà urbana senza più una forma compiuta e dunque senza fine, c’è, come contraltare, un pensiero positivo che configura idee di città, a volte più esplicite e dunque più facilmente leggibili, altre volte meno. E pur restando riflessioni, spesso dissertazioni letterarie, sono qualcosa di più di un testo letterario, si manifestano come progetti urbani in nuce, perché utilizza gli strumenti teorici propri dell’architetto, dell’urbanista, del progettista.
La città di Calvino ha nel libro Le città invisibili, costruito su antinomie come quasi tutta l’opera calviniana che si presta dunque a molteplici interpretazioni, la sua massima rappresentazione come lui stesso ha avuto modo di affermare nel suo ultimo lavoro, pubblicato postumo.
In un’autointervista pubblicata tra il mese di novembre del 1972 e il gennaio dell’anno successivo in giornali a diffusione regionale, in cui, ovviamente, ha scritto domande e risposte, spiega alcune delle ragioni che lo hanno spinto a scrivere Le città invisibili, formulando interpretazioni che chiariscono alcune delle questioni che il libro pone ancora oggi.
«Non corrispondono a nessuna città esistente, eppure ognuna di loro contiene uno spunto di riflessione che vale per ogni città, per la città in generale» (Baranelli, 2022: 174), ovvero sono progetti, idee di città, che aiutano a comprendere dinamiche e problematiche urbane in senso assoluto.
«È della nostra vita in comune che parlo, di che cosa è stata la città per gli uomini, come luogo della memoria e dei desideri, e di come oggi è sempre più difficile vivere nelle città anche se non possiamo farne a meno» (Baranelli, 2022: 175), ovvero ci parlano di ciò che spinge gli uomini ad abbandonare la campagna e tutto ciò che non è urbano
