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Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food – Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia € 6,70
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EURO ANNUARIO CARNE 2025
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Euro Annuario Carne
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni.
Edizione 2025 Copia cartacea: € 95,00
A pagina 44.
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
6,70
LA MORTADELLA DI ALTISSIMA QUALITÀ
Ispirata alla tradizione Ferrarini, solo materia prima italiana, un processo produttivo artigianale e una lenta cottura, aromatizzata con la ricetta originale ed unica di Ferrarini.
Italica è stata premiata come Migliore Mortadella al pistacchio da una giuria di 15 chef.
Ferrarini è iscritta nel registro speciale dei “Marchi storici di interesse nazionale”, tenuto presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
A pagina 58.
A pagina 92.
A pagina 32.
pagina 88.
del food La differenza fra cibi processati e ultra-processati
Olio di semi di zucca della Stiria IGP
chef dell’olio A gonfie vele!
Olio da carne, olio da pesce La Goccia Pura
Vino Massimago
Gli assaggi di Max Rella Salento e Coros
e cultura Caesar Salad, storia di un trasmigratore italiano
Rella 114
Omar Bison 116
120
124
Tre libri Come bere senza bere – A spasso con Lucy – On Meat 128
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Analisi
Susanna Bramante 106
Olio
Riccardo Lagorio 110
Lo
Fabrizio Bertucci 112
Massimiliano
Gian
Massimiliano Rella
Storia
Giovanni Ballarini
AGENDA
Casina (RE)
Da venerdì 1 a lunedì 4 agosto si terrà la 59a Fiera del Parmigiano Reggiano a Casina (RE): quattro giorni in cui saranno ben 45 i caseifici di montagna a presentare i propri “gioielli”, offrendo ai i visitatori degustazioni con la possibilità di acquisto. Sarà possibile anche partecipare a degustazioni in abbinamento con vini, cocktail, mieli, aceti e altre eccellenze curate da APR (Associazione Assaggiatori Parmigiano Reggiano). Nel corso della kermesse, inoltre, verrà annunciata la nomina di Casina a Città del formaggio da parte di ONAF. L’appuntamento più atteso è però la 13a edizione del Palio del Parmigiano Reggiano “Città di Casina”, lunedì 4 agosto, nel quale i 45 caseifici competeranno con il Parmigiano Reggiano di montagna 24 mesi e 12 di essi si sfideranno anche con il 40 mesi. Si terrà inoltre l’8a Gara di taglio della forma: una gara che mira sia alla bellezza e alla nettezza del taglio sia alla bravura nella porzionatura manuale della DOP. www.parmigianoreggiano.com
Torna a Bra, dal 19 al 22 settembre, Cheese, il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo,organizzato da Slow Food e Città di Bra, con il supporto della Regione Piemonte. L’appuntamento, giunto alla sua 15a edizione, riaccende i riflettori su un sistema produttivo unico per il suo valore ambientale, sociale, culturale ed economico, il formaggio a latte crudo, con uno sguardo rivolto al futuro della montagna e delle aree interne. Non una narrazione nostalgica, ma una riflessione su mestieri spesso considerati antichi e marginali, che invece possono offrire soluzioni concrete alle sfide del presente, perché consentono di salvaguardare la biodiversità, mettere in sicurezza i territori montani, affrontare la crisi climatica. È il caso della pastorizia e della castanicoltura: due risorse complementari che rappresentano l’equilibrio perfetto tra attività umane e natura; attività che richiedono competenze, saperi, innovazione. cheese.slowfood.it
Innovazione tecnologica, personalizzazione, sostenibilità ed esperienzialità multisensoriale: l’hospitality si ritrova a Host 2025
Dall’automazione intelligente ai menù guidati dall’AI, passando per la sostenibilità che influenza scelte e consumi, l’ospitalità e il fuoricasa stanno vivendo un’evoluzione senza precedenti: per offrire ai clienti esperienze sempre più multisensoriali e immersive, le tecnologie all’avanguardia si fondono con design e funzionalità per dare vita a soluzioni hi-tech ma accoglienti. È in questo scenario dinamico che Fiera Milano presenta Host 2025, la manifestazione leader mondiale per l’ospitalità, il fuoricasa e il food retail: il place to be per scoprire in anteprima le tendenze che guideranno il futuro dell’hospitality globale. In calendario dal 17 al 21 ottobre, ad oggi sono oltre 1.700 gli espositori registrati – dai top player alle PMI d’eccellenza – dei quali il 44% internazionali da 54 Paesi. Tra i più attivi si segnalano, oltre all’Italia, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Stati Uniti e Regno Unito. Tante le new entry dall’America del Sud e dal Sud-Est Asiatico. Aziende che incontreranno oltre 700 hosted buyer provenienti da circa 75 Paesi, altamente profilati anche con il supporto di ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Tra i principali settori target: distributori, rivenditori, esportatori/importatori; ristorazione, foodservice e fuoricasa; retail e GDO; attività ricettive; centri commerciali e location; chef, professionisti e consulenti. Le Americhe (35%), Medio Oriente e Africa (28%), Asia e Oceania (14%), oltre all’Europa e Paesi CIS (24%) sono le principali aree estere di provenienza. Host 2025 presenterà una panoramica completa dell’innovazione nel settore, coniugata con affondi verticali nei singoli comparti, organizzati per affinità di filiera: Ristorazione Professionale e Bakery-PastaPizza; Caffè-Tea, Bar-Macchine Caffè-Vending, Gelato-Pastry; Tavola-Tecnologia-Arredo Contract. Negli ultimi anni, Host Milano ha rafforzato il suo ruolo di punto di riferimento per le nuove tendenze anche in ambito progettuale: materiali inediti, innovativi e sostenibili per garantire un ambiente confortevole e funzionale saranno sotto i riflettori nell’area Arredo con tavoli e sedute indoor e outdoor, illuminazione e complementi d’arredo, ma anche concept innovativi, nuovi format e ibridazioni tra tipologie di locali per anticipare al meglio le esigenze di un mercato in costante evoluzione.
In questa edizione, il layout si rinnova per favorire un’esperienza di visita ancora più fluida ed efficace: dalla rafforzata continuità tra padiglioni, a partire da Porta Est con l’accesso a metropolitana e ferrovia, fino all’integrazione dei padiglioni biplanari 8-12 e 16-20, che garantiranno un flusso costante di visitatori a tutte le corsie dedicate a Caffè-Tea, Bar-Macchine Caffè-Vending, grazie al collegamento diretto situato al secondo piano. Il padiglione 18, inoltre, posizionato immediatamente di fronte al 20, sarà condiviso con il Gelato, facilitando il cross-selling tra filiere affini e rendendo più diretto il passaggio all’area dedicata.
>> Link: host.fieramilano.it
Spianata calabra
La texture di un salume è un indicatore della sua qualità e del processo di lavorazione a cui è stato sottoposto. Possiamo capirne gli ingredienti, soppesare la consistenza con lo sguardo e immaginare quale sarà il suo sapore all’assaggio. Iniziamo questa nuova rubrica con la spianata calabra, salume tipico della regione Calabria. La sua forma schiacciata, a cui deve il nome, in passato era ottenuta pressando la carne tra due assi di legno. Si prepara con carne di maiale magra tritata finemente e dadini di lardo, sale, peperoncino e altre spezie. Insaccata nel budello e poi pressata, è avviato alla stagionatura di almeno 4 mesi. Il colore è di un bel rosso accesso e il suo sapore è fortemente caratterizzato dalla piccantezza del peperoncino, elemento caratteristico della norcineria calabrese, che può essere usato anche nella versione più dolce. Si gusta da sola, una fetta alla volta, con pane casereccio e provola o sulla pizza.
di Munari Le forchette
“Questo delle forchette è un gioco, una specie di ginnastica mentale, come quello che faccio con i bambini” Bruno Munari sapeva scovare l’inconsueto nell’ordinario. Così un oggetto di uso comune come la forchetta poteva diventare una mano. Anzi, tante mani. Il poster (50x70 cm) con i disegni delle celebri forchette è ispirato alla classica edizione del libro, edito per la prima volta da Muggiani del 1959. È perfetto per arredare la propria bottega con stile e creatività. Costa € 15,00e si può acquistare su corraini.com
Tappi per bottiglia
STILOSI
Vinolok®, azienda trevigiana leader nel settore delle chiusure in vetro, ha creato la collezione Vinolok® Edge, la classica chiusura Vinolok® in una grande varietà di forme creative. Come questa Vinolok® Loft, la cui forma arricchisce la sagoma della bottiglia e le cui proporzioni sono particolarmente adatte per le bottiglie a collo corto. Un nuovo concetto di chiusura che coniuga le richieste della moderna enologia con il design. vinolok.com
Beef & Butter
& BACON & EGGS.
Le magliette “carnivore” sono la passione della Redazione. Come questa, realizzata in 100% cotone. Vestibilità unisex. In varie taglie e colori a 30 US$ su drberry.com
SUGGESTIONI DAL MONDO
TAGLIERI CHE ARREDANO
Sempre suggestivi gli scatti che Petit Passport condivide sul proprio account FB. Vuoi rendere una parete della tua bottega più contemporanea?
Può bastare davvero poco per rendere la propria salumeria più accogliente. Anche solo qualche vasetto di erbe aromatiche e qualche fiore, uova o verdura: guardate, cambia tutto. Provate!
LA COPERTINA ESPLOSA
Anno XXXVII N. 4 Luglio-Agosto 2025
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori
Per la copertina estiva non potevamo che scegliere un prodotto che offre in un piccolo e comodo formato un’elevata concentrazione di proteine naturali, garantendo nutrimento, gusto e attenzione all’apporto calorico. La carne secca è uno snack proteico che spezza la fame e può essere un’idea alternativa per un aperitivo. Noi l’abbiamo abbinata a della fresca e dolcissima frutta di stagione. Proteine, vitamine e gusto, la perfezione! I prodotti in foto sono quelli delle linee Italian Original– Carne secca di tacchino Chips italiane e Italian Gourmet – Carne affumicata di tacchino Superior Jerky firmate da BeJerky Srl. A pagina 48 un approfondimento su questa bella realtà. carneseccaitalia.it
La Ciliegia di Vignola IGP è un frutto dal sapore dolce. La sua polpa è consistente e croccante, fatta eccezione per la cultivar Mora di Vignola. La coltivazione della ciliegia nel territorio di Vignola, in provincia di Modena, ha origini antiche e molto radicate. L’eccezionalità delle condizioni pedo-climatiche della zona, infatti, ha fatto sì che la pianta trovasse qui il suo ambiente ideale, diventando col tempo e grazie all’impegno degli agricoltori la più importante realtà agricola locale. È un ottimo ingrediente per svariate ricette, dolci e salate, a partire dalle classiche ciliegie al vino rosso, con zucchero e limone, le confetture, il buonissimo clafoutis o le crostate, il chutney e le salse per accompagnare la cacciagione, i liquori, come kirsch o cherry. Perfetta anche per la preparazione della frutta candita o sotto spirito. consorziociliegiadivignolaigp.it
FOTOGRAFATI E MANGIATI
Chips di ceci
Molto buone queste chips di legumi di Probios: senza glutine, sono prodotte con farina di ceci, amido di patate, olio di semi di girasole, farina di patate e sale. Croccanti e gustose, sono lo snack perfetto per una pausa in Redazione o un aperitivo. Disponibili anche con ceci e pepe nero, lenticchie e rosmarino, lenticchie e paprika. Confezione da 40 g. shop.probios.it
GUANCIALE
È indiscutibilmente il salume “re” della cucina romana, indispensabile per la realizzazione dei sughi più famosi della tradizione regionale come Carbonara, Amatriciana e Gricia Si prepara a partire dalla guancia del suino, da cui il nome, rifilata per ottenere la classica forma a goccia. La sua caratteristica principale è la parte grassa, pregiata, in equilibrio con la parte magra e nervosa che ne determina compattezza in cottura.
ACCIUGHE del Cantabrico
Abbiamo assaggiato le acciughe del Cantabrico di Mongetto conservate in comodo vasetto di vetro e olio d’oliva di alta qualità. “Pescate nelle fredde acque dell’Atlantico e lavorate a mano, si distinguono per la carne tenera e il gusto intenso”. Disponibili in vasetti da 100 g e 200 g, sono perfette su un crostino croccante con un velo di burro Occelli mongetto.eu
SALAME DI VARZI
Ecco un tesoro del nostro patrimonio agroalimentare, il Salame di Varzi DOP, prodotto tradizionale della Valle Staffora. A seconda del periodo e del luogo di stagionatura, presenta profumi speziati più o meno marcati, lievi sentori di muffa e fragranza di crosta di pane, alterni aromi erbacei di legno verde e di mimosa. All’assaggio è dolce e persistente.
Lonzino SUPERSTAR!
Splendido lonzino stagionato acquistato al Mercato Trionfale di Roma. In Centro Italia la lonza, o capocollo, è un salume raffinato e dal gusto deciso, con personalità, prodotto con le carni più nobili del suino, ossia i fasci muscolari del collo, insaccati con budello naturale. Un bel pezzo di gnocco fritto e tre fette di lonza tagliata sottile. What else?
Mini lingue DI SUOCERA®
Le Mini lingue di suocera® di Mario Fongo sono prodotte con lo stesso impasto delle più famose Lingue di Suocera®: farina, acqua, sale, lievito e olio evo 100% italiano non filtrato, “miscelati insieme per un gusto inconfondibile”. Disponibili anche integrali, sono lo snack perfetto per uno spuntino o da servire come tapas all’aperitivo. mariofongo.com
BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
Jeu d’équipe
di Alessia Morabito (illustrazione di Alessia Serafini)
In un caldo giovedì di luglio, torno in Maremma con abiti nuovi; a distanza di anni ci torno per lavoro. Un lavoro importante, complicato, prezioso. È tardo pomeriggio, tra dune dolci appena arate, nell’ora dorata e marrone dell’erba secca al tramonto, il sole che scende infuocato a segnare l’ovest. Sono a fare il sopralluogo con gli altri responsabili dell’evento che si terrà sabato. Le parole sono ovattate ma molto chiare, come se fossero scandite a rallentatore: «Qui allestiamo la cucina. Laggiù mettiamo lo sbarazzo, copriamo la parte operativa con dei covoni di paglia, il numero dei confermati ha superato i 500, gli altri cuochi arrivano domani col furgone frigo/gelo».
Sorrido guardando il mio gruppo di lavoro, come stiamo interagendo, niente che abbia già vissuto raggiunge l’interdipendenza del mondo catering, un mondo effimero, meraviglioso e folle, dove le forti personalità individuali si legano e si declinano per la realizzazione di una serata di festeggiamento.
Nel banco della gastronomia maremmana dove passiamo a comprare qualcosa per far merenda c’è una pirofila abbondante piena di “coppiette”. Le coppiette sono nastri di carne salata, speziata ed essiccata.
Peperoncino, pepe, finocchio, rosmarino, aglio, a volte vino rosso sono le aromatizzazioni più comuni.
Le più famose sono quelle di maiale dei Colli romani, tanto da essere inserite tra i PAT della Regione Lazio, ma son diffuse da sempre in tutta la Maremma, nei territori dove i butteri hanno gestito l’allevamento, tanto che un tempo si producevano con la carne di cavallo e vacca a fine carriera oppure con quella di cinghiale di cacciata.
Si chiamano coppiette perché le strisce di carne sono legate due a due e posizionate a cavallo di una canna di bambù ad essiccare.
Ed eccoci a ridosso dell’inizio della cena: quaranta camerieri, la logistica, i tecnici, i barman, dieci cuochi, le pentole posizionate, il cibo organizzato, sono al pass, le prossime 3 ore peseranno come trenta.
Il cibo esce veloce su composizioni scintillanti d’argento e sale in cristallo, i camerieri, belli e sorridenti in divisa, il tovagliolino logato a ricamo, MaVi che cadenza il ritmo, mi incita e mi tranquillizza gestendo la mia adrenalina come se fosse il mio sistema nervoso fuori da me.
Escono le torri di croquembouche, la baguette di oltre 2 metri farcita di Nutella, le meringhe con la panna e le fragole, siamo alla fine.
Mi giro a guardare gli altri cuochi e mi salgono le lacrime: il nostro primo vero servizio assieme è un evento grosso e complicato, ci siamo affidati gli uni agli altri, ci siamo riusciti
Siamo come le coppiette nella pirofila della gastronomia, ognuno indipendente, ognuno che rispetta la propria forma, ognuno accanto all’altro con lo stesso sapore Siamo stremati e contenti.
Il catering non è un lavoro che salva le vite eppure, la mia, la sacrifica e la salva ad ogni data confermata.
QUALI RISCHI PER L’AGRIFOOD ITALIANO, STRETTO FRA CALO DEI CONSUMI E MINACCIA DEI DAZI?
Intervista a Denis Pantini, Nomisma
L’industria agroalimentare italiana sta attraversando un momento di grande incertezza, stretta fra la morsa del calo dei consumi interni, che non riescono a riprendersi, e la minaccia dei dazi da parte dell’amministrazione USA, autentico spauracchio per il nostro export. Ne abbiamo parlato con Denis Pantini, responsabile Agrifood e Wine Monitor di NOMISMA. «L’agroalimentare è un settore anticiclico e, quindi, in teoria dovrebbe risentire meno delle tensioni derivanti dalla congiuntura economica. Tuttavia, soprattutto per quanto riguarda il mercato interno, il 2024 ha patito il lascito dell’inflazione che ha colpito il Paese a partire dal biennio ‘22-‘23. Questo ha ridotto, più di altri fattori, la capacità di spesa delle famiglie. Basti pensare che negli ultimi quattro anni le vendite di prodotti alimentari in
Italia sono sempre state in crescita dal punto di vista del valore, ma in calo dal punto di vista del volume. Morale: il consumatore con la stessa quantità di denaro ha comprato meno prodotti».
In questo momento la stessa incertezza grava anche sui consumi fuori casa, segmento cruciale per il comparto agrifood. «Archiviata la stagione dei lockdown causati dalla pandemia, il consumo fuori casa era ripartito in modo incoraggiante, ma anche questo trend positivo si è via via afflosciato, anche in questo caso per via dell’aumento dei prezzi e dei redditi delle famiglie che non tengono il passo. In sintesi, il mercato interno sostanzialmente è ancora sotto i livelli pre-Covid perché, pur essendoci stata una confortante ripresa dopo il 2021, la continua crescita dei prezzi, un andamento dell’economia non brillante e i salari che non aumentano a sufficienza, rendono la capacità di spesa del consumatore italiano di fatto sempre più bassa e frenano la propensione ai consumi» spiega Pantini.
Il clima di fiducia e il peso dell’inflazione sul carrello della spesa
«Negli ultimi cinque mesi il livello di fiducia degli Italiani è andato in costante peggioramento, tornando ai livelli del 2021. Non ci si aspetta, dunque, un recupero dell’economia a stretto giro, e questo porta inevitabilmente a guardare con maggiore attenzione al prezzo di un prodotto e a cercare sconti e promozioni. Relativamente ai prodotti alimentari, è interessante notare cosa accade all’interno dei differenti canali di vendita: tra tutti i format distributivi, il discount è quello che si mostra in crescita, mentre iper e super sono in flessione» spiega Pantini.
Per comprendere la dinamica in atto è bene sottolineare un aspetto cruciale: quando si sente dire che l’inflazione rallenta, non vuol dire che il prezzo di un prodotto sia diminuito e sia rientrato sui livelli precedenti. Semplicemente, continua ad aumentare, seppur di meno rispetto a quanto stava crescendo in precedenza. «Proprio perché negli ultimi anni i prezzi sono cresciuti in modo significativo e non accennano a calare, il consumatore tende ad avvertire quotidianamente la necessità di fare i conti nel carrello della spesa. Pertanto, ci troviamo di fronte ad un consumatore italiano medio che, anche avendo una buona capacità di spesa, fa sempre più attenzione a cosa acquista perché non si aspetta a breve tempi migliori, anzi».
Consumi interni: i fattori che modificano il carrello della spesa
Ma quali sono oggi i principali fattori che incidono sui consumi agroalimentari degli Italiani? Sicuramente incidono il clima di sfiducia, la minore capacità di spesa delle famiglie e fattori congiunturali di natura prettamente economica. Ma ci sono anche altri fattori destinati ad assumere un peso crescente per il futuro delle imprese agroalimentari, come il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione italiana. Da qui al 2050, in Italia saremo 5 milioni di persone in meno e questo obbliga le imprese a dover cercare, fin da ora, mercati alternativi, se vorranno mantenere i numeri attuali. Inoltre, si intravedono all’orizzonte nuovi trend che
Italiana, 4/25
Il clima di sfiducia, la minore capacità di spesa delle famiglie e fattori congiunturali di natura prettamente economica sono i principali fattori che oggi incidono sui consumi agroalimentari degli Italiani.
incidono in modo sempre più marcato sulle scelte del consumatore, con una crescente attenzione di chi acquista verso la sostenibilità, i prodotti bio, i cibi arricchiti, i vini dealcolati e così via. Ma in genere si tratta di dinamiche di lungo periodo. «Anche in questo caso, però, i timori del consumatore rispetto alla situazione economica generale spesso hanno la meglio sui desideri. Il caso emblematico è quello dei prodotti biologici, mediamente caratterizzati da un sovrapprezzo rispetto a quelli convenzionali. Secondo le indagini che Nomisma realizza regolarmente, gran
parte dei consumatori si dice attenta a questi aspetti ma poi, in periodo di congiuntura negativa, l’aspetto economico tende ovviamente a prevalere».
Le leve che possono supportare il made in Italy
Preso atto di questi cambiamenti, negli ultimi anni molte aziende agroalimentari hanno adottato nuove strategie di sviluppo, guardando oltreconfine. «I dati eccellenti dell’export agroalimentare italiano certificano una crescente attenzione verso l’estero, non solo da parte delle grandi aziende di settore,
Negli ultimi anni molte aziende hanno adottato nuove strategie di sviluppo guardando oltreconfine Per supportare il settore e valorizzare i prodotti made in Italy è importante il ruolo dei consorzi e dei ristoranti italiani all’estero. Pesa, però, la mancanza di insegne nazionali che operano su altri mercati, un gap evidente rispetto ai nostri competitor
ma anche delle imprese più piccole, che provano a ritagliarsi spazi di sviluppo e diversificando i mercati di destinazione. Dobbiamo però considerare che in Italia, fra alimentari e bevande, esistono più di 50.000 aziende e solo il 15% circa ha più di 10 addetti. Un universo di piccole imprese, a cui spesso è precluso il mercato estero» commenta Pantini. Per supportare il settore e valorizzare i prodotti made in Italy è certamente fondamentale il ruolo dei consorzi e in molti Paesi il nostro agroalimentare beneficia anche di una diffusa presenza di ristoranti italiani, che fungono da promotori delle nostre eccellenze. Questo è particolarmente evidente in Europa e nelle Americhe, molto meno in Asia.
Diverso è il ruolo delle catene distributive, perché l’Italia non ha insegne che operano su altri mercati e scontiamo un gap evidente con i Francesi, nostri principali competitor a livello internazionale per molti prodotti, che invece possono contare su catene di distribuzione presenti in molti Paesi e che, spesso, tendono a favorire sugli scaffali prodotti nazionali.
Dazi ed export: quale futuro per l’agroalimentare italiano?
Restando sull’export, il quadro per il comparto agroalimentare italiano è indubbiamente positivo, anche se non mancano fattori di incertezza e complessità. Anche nel 2024 l’Italia ha aggiornato il proprio record superando i 67 miliardi di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari, facendo meglio di tutti i principali competitor in termini di crescita percentuale, con un avanzamento dell’8% rispetto all’anno precedente. Numeri eccellenti, che già quest’anno potrebbero però risentire dell’introduzione dei dazi USA.
«Tema complicato, con tante sfaccettature. Per molti versi gli Stati Uniti sono stati un mercato assimilabile all’Unione Europea, caratterizzato da dazi molto bassi. Oggi ci troviamo a dover fare i conti con dazi del 10%, certamente più alti di quelli a cui eravamo abituati,
ma ancora distanti da quelli applicati in altri Paesi, come la Cina o il Brasile, per fare qualche esempio. È però evidente che lo scenario cambierebbe radicalmente se dal prossimo luglio si salisse al 20%, come è stato minacciato dal presidente Trump ad aprile scorso» prosegue Pantini.
Dopodiché, è bene interrogarsi su un punto cruciale: dove finisce il prodotto italiano, in GDO o nella ristorazione, ovvero nel carrello della spesa o sulla tavola di un ristorante italiano? E viene venduto pronto per il consumo, oppure è utilizzato come ingrediente per una pietanza?
«Nel secondo caso, il ristoratore potrebbe cercare un’alternativa più conveniente, mentre in tutte le altre ipotesi la forza del marchio made in Italy potrebbe contribuire a contenere il calo di vendite. Detto questo, è ovvio che le preoccupazioni ci sono, legittime e motivate. Al contempo, l’introduzione di
dazi sulle importazioni europee potrebbe metterebbe ancora più pressione su un’economia già in difficoltà come quella della Germania, il nostro principale paese di sbocco per il Food & Beverage, con una ricaduta negativa sul consumatore tedesco che acquista prodotti italiani. Per questo mi auguro si giunga ad un accordo equilibrato ma, ad ogni modo, è sempre opportuno diversificare il rischio esplorando altri mercati, nella consapevolezza che tutto ciò richiederà tempo e investimenti».
Prosciutto di Parma, innalzato il peso massimo dei suini
Il Consorzio del Prosciutto di Parma registra un importante risultato a supporto del proprio comparto e del carattere qualitativo e distintivo del suo prodotto. Con Decreto Ministeriale del 7 maggio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 16 maggio, è entrata pienamente in vigore una modifica al Disciplinare produttivo del Prosciutto di Parma DOP, che prevede l’innalzamento del peso massimo della carcassa dei suini impiegati nella produzione della DOP da 168 a 180 kg. In conseguenza di ciò, il comparto potrà ora contare su una maggiore disponibilità di suini e di cosce fresche con una pezzatura importante, idonea a supportare le lunghe stagionature. La modifica recentemente approvata si unisce a quelle già accolte nel 2023, che avevano portato la stagionatura minima da 12 a 14 mesi, abbassato il tenore salino massimo consentito, innalzato il peso del prodotto, ma anche definito in modo più univoco le genetiche suine ammesse e gli incroci consentiti. Tutto questo per innalzare ulteriormente gli standard qualitativi del Prosciutto di Parma, consolidarne l’identità e la distintività rispetto ai competitor, ponendo sempre al centro la tutela e la garanzia nei confronti del consumatore. «Accogliamo con grande soddisfazione la notizia dell’entrata in vigore di questa modifica al nostro Disciplinare, sostenuta unanimemente da tutta la filiera produttiva» commenta Alessandro Utini (in foto), presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma. «L’aumento del peso dei suini avrà conseguenze dirette non solo sulla disponibilità di materia prima per le nostre aziende ma anche sulla caratterizzazione e diversificazione del nostro prodotto: il Prosciutto di Parma può essere portato a stagionature elevate, necessitando quindi di un’adeguata quantità di cosce fresche che abbiano un peso sufficiente a supportare lunghi processi di maturazione. La qualità della nostra DOP e la salute del comparto produttivo sono per noi obiettivi di assoluta priorità ed è in questa direzione che continueremo a indirizzare il nostro impegno. Ringraziamo il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e la Regione Emilia-Romagna per l’attenzione mostrata nel recepire le necessità della nostra DOP e di tutta la filiera».
Ci piace tanto l’account instagram.com/storicasalumeriazinzi della Storica Salumeria Zinzi di Napoli, presente anche con un e-shop di salumi, formaggi, mozzarelle, taralli, il tutto, naturalmente, made in Campania (storicasalumeriazinzi.it). In foto un loro panino “ad alta concentrazione di napoletanità”: friarielli cremosi (“non chiamarli broccoli p’favor!”), provola e salame piccante “che tiene ‘a capa tosta”. Il panino si chiama “Napoli”: “e mo capisci perché”.
È una caffetteria con cucina nel cuore di Roma. Perfetta per una sosta non banale con piatti preparati a vista e realizzati con ingredienti provenienti da piccoli produttori locali. E poi c’è il caffè, vero protagonista, il francese Tanat (@tanat.coffee):
“Te lo prepariamo noi, macinato ad arte dal nostro super Weber!”. Andate subito a trovarli! Per gustare, degustare e imparare proprio come ho fatto io. Da seguire su instagram. com/casamatti_roma
Academy ASS.I.CA.: 10 videolezioni su salumi e carne suina
ASS.I.CA., grazie alla campagna europea “Trust Your Taste – Choose European Quality”, ha realizzato, in collaborazione con Acadèmia.tv, un corso di formazione on-line in 10 videolezioni per approfondire il mondo dei salumi e della carne suina. Oltre a nozioni tecniche e culturali, il corso propone spunti gastronomici e ricette creative, ideali sia per appassionati che per professionisti del settore. Le videolezioni sono disponibili in italiano, inglese e francese sia sulla community di Acadèmia.tv, piattaforma digitale dedicata alla formazione culinaria, sia sul canale YouTube dedicato alla campagna tinyurl.com/TrustYourTaste. Il corso si articola in tre moduli: Salumi crudi, Salumi cotti e Carne suina. Grazie a questi contenuti, anche chi non ha esperienza professionale potrà imparare a riconoscere i salumi di qualità, conservarli correttamente e utilizzarli in cucina valorizzandone sapori e proprietà. Il primo modulo, “Salumi crudi”, on-line da febbraio, ha registrato circa 8.500 iscritti al corso su Acadèmia.tv e quasi 450.000 visualizzazioni totali su YouTube nelle lingue disponibili. Dal 7 ottobre sarà disponibile il secondo modulo “Salumi cotti” mentre il terzo modulo, dedicato alla carne suina, verrà rilasciato ad aprile 2026. A guidare gli utenti in questo percorso saranno Alex Revelli Sorini (in foto), professore universitario, giornalista e coautore di numerosi saggi a tema cibo e gusto, che partirà dalle origini storiche di salumi e carne suina per arrivare all’epoca moderna; il maestro nell’arte della pizza e della focaccia Alex Lo Stocco, grazie alle cui masterclass gli aspiranti chef potranno replicare ricette come la Pizza Salame Tatin; e Francesca Guastella, specialista della pasta fresca, che spiegherà la preparazione di piatti come il Babka mortadella, limone e Parmigiano (fonte academia.tv/it).
Salumificio Mec Palmieri lancia un nuovo sito tutto da gustare
Il Salumificio Palmieri di San Prospero (MO) è on-line con il nuovo sito, www.palmierisalumi.it, realizzato dall’agenzia di comunicazione Armando Testa di Torino. L’azienda ha “rimescolato i suoi ingredienti”, trovando la ricetta per raccontarsi al meglio, con una veste grafica completamente rinnovata, un’architettura dell’informazione riprogettata e, soprattutto, una scelta importante e strategica: unire in una sola piattaforma la dimensione istituzionale del brand e l’immaginario distintivo del suo prodotto di punta, Mortadella Favola. Ogni sezione del sito è stata pensata per raccontare in modo chiaro il mondo Palmieri, mettendo in risalto la sua storia, la dispensa di prodotti e i valori che contraddistinguono l’azienda modenese. Il team di AT Factory ha seguito e curato il sito in ogni sua fase: dalla strategia alla ridefinizione della visual identity e dello storytelling fino allo sviluppo completo della piattaforma. Il risultato è un sito web pensato per valorizzare i contenuti e rafforzare il dialogo con consumatori, partner e professionisti del settore. «Questo sito segna una nuova tappa nel percorso di crescita della nostra azienda» ha commentato Francesco Palmieri, AD di Mec Palmieri. «Abbiamo rinnovato il modo di comunicare on-line — includendo anche una sezione dedicata a Ricette e Guide per far conoscere ancora meglio al consumatore finale il nostro prodotto — ma senza perdere di vista ciò che ci rende unici, ovvero la grande passione per l’arte della salumeria».
Con oltre 100 anni di esperienza nel settore, Salumificio Palmieri è specializzato nella produzione di mortadelle di qualità, precotti e altri prodotti tipici della salumeria italiana. Il prodotto principe dell’azienda è Favola, la prima mortadella insaccata e cotta nella cotenna. Una mortadella pluripremiata: anche quest’anno, ad esempio, Mortadella Favola l’Originale ha ricevuto il riconoscimento Top Italian Food 2025 dalla guida del Gambero Rosso, punto di riferimento per le eccellenze del settore agroalimentare italiano.
>> Link: www.palmierisalumi.it
Da ISIT a SALUMITALIA
Nuovo
nome
e
nuovo logo per un’identità ancora più forte con il pay-off “Tutela, Tradizione e Territorio”, le tre T dell’eccellenza italiana
Afine maggio, nel corso dell’assemblea di ISIT – Istituto Salumi Italiani Tutelati, svoltasi nel suggestivo scenario della DALLARA AUTOMOBILI di Varano de’ Melegari (PR) — modello produttivo ed economico virtuoso ancorato saldamente al territorio e motore del suo sviluppo —, è nata Salumitalia – Consorzi Indicazione Geografica. Alla base, la volontà di un’immediata riconoscibilità dell’ente e di un brand moderno e focalizzato su soggetti e valori che fondano la sua azione. Nuovo nome, quindi, e nuova
identità visiva per rafforzarne la mission: proteggere e promuovere la salumeria d’eccellenza italiana a Indicazione Geografica e rafforzare il ruolo dei suoi Consorzi di tutela
«Il ruolo dei Consorzi di tutela è determinante, poiché sono chiamati in maniera sempre più incisiva a introdurre una governance efficace e moderna del sistema attraverso strumenti strategici di valorizzazione delle loro produzioni», ha dichiarato Cristiano Ludovici nel suo primo intervento da presidente di Salumitalia. «Rimane obiettivo fondamentale di
Salumitalia investire nella conoscenza, nei servizi e nelle competenze a favore dei Consorzi di tutela e del sistema produttivo delle Indicazioni Geografiche, direttrici fondamentali per rafforzare l’eccellenza della nostra salumeria tutelata. Per questo, abbiamo potenziato i servizi a favore dei Consorzi e il network, implementato studi di mercato e ricerche a cui stiamo affiancando, grazie anche al Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, progetti mirati con diversi partner: la promozione e la formazione con la
Nel suggestivo scenario della Dallara Academy, i lavori assembleari hanno avuto il loro momento pubblico, con la presentazione del nuovo nome e del nuovo luogo, nel corso di un coinvolgente confronto: a intervenire, moderati dalla giornalista Patrizia Ginepri, Cristiano Ludovici, presidente di Salumitalia – Consorzi Indicazione Geografica, Lorenzo Beretta, presidente dell’Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi (ASS.I.CA.) e past president ISIT, e Andrea Pontremoli, CEO di Dallara Automobili.
GDO, il lancio di una nuova campagna digital, la diffusione nei mesi a venire dei nostri salumi DOP e IGP sugli schermi di aeroporti, stazioni metropolitane e ferroviarie nazionali».
Ad intervenire anche Lorenzo Beretta, presidente ASS.I.CA. e past president di ISIT. «Essere qui oggi, in veste di presidente di ASS.I.CA., testimonia la sempre più stretta collaborazione tra i due enti, rappresentando spesso i salumi DOP e IGP il passe-partout per l’export delle nostre aziende a livello globale, affermando il valore e il prestigio delle nostre eccellenze» ha dichiarato Beretta. «In tema export, nel corso del 2024, abbiamo assistito ad una significativa
crescita, risultato che ci rende molto soddisfatti, soprattutto alla luce delle problematiche cui il settore sta facendo fronte derivanti dalla diffusione della Peste Suina Africana in diverse regioni. Secondo i primi dati ISTAT, con 229.888 tonnellate e 2.378,0 milioni di euro, le esportazioni dei prodotti di salumeria hanno registrato un +12,9% in quantità e un +9,5% in valore rispetto all’anno scorso».
I numeri di Salumitalia
Nato nel 1999 con il nome di ISIT
(Istituto Salumi Italiani Tutelati), Salumitalia oggi rappresenta 19 Consorzi di tutela, in rappresentanza di 23 salumi
«Il ruolo dei Consorzi di tutela è determinante, essendo chiamati in maniera sempre più incisiva ad introdurre una governance efficace e moderna del sistema attraverso strumenti strategici di valorizzazione delle produzioni» ha dichiarato Cristiano Ludovici, presidente di Salumitalia
DOP e IGP, confermandosi importante realtà nel panorama della salumeria italiana a Indicazione Geografica. Il valore complessivo delle produzioni rappresentate è pari a circa 1,2 miliardi di euro che corrisponde a quasi il 15% di tutto il comparto della salumeria, a testimonianza della sempre maggiore attenzione da parte dei consumatori nelle scelte alimentari che attribuiscono rilevanza al legame tra qualità e provenienza geografica.
Il pay-off
Il pay-off che identifica l’identità dell’associazione, “Tutela, Tradizione e Territorio”, è composto dalle architravi del sistema delle Indicazioni Geografiche.
Tutela: protezione della qualità e del valore dei salumi DOP e IGP
Le IG sono strumenti di tutela e valorizzazione: alla tutela giuridica — a garanzia del nome, della qualità e dell’autenticità attraverso rigorosi controlli dell’attività di vigilanza — va affiancata la tutela del valore economico, prospettiva necessaria per salvaguardare unicità, distintività e reputazione dei salumi IG.
Salumitalia –Consorzi Indicazione Geografica, i soci consorziati
• Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina
• Consorzio Cacciatore Italiano
• Consorzio di tutela della Coppa di Parma IGP
• Consorzio di tutela del Culatello di Zibello
• Consorzio Italiano Tutela Mortadella Bologna
• Consorzio di tutela della Finocchiona IGP
• Consorzio Prosciutto di Carpegna
• Consorzio del Prosciutto di Modena
• Consorzio del Prosciutto di Norcia
• Consorzio del Prosciutto di San Daniele
• Consorzio del Prosciutto Toscano
• Consorzio Salame Brianza
• Consorzio di tutela del Salame Felino IGP
• Consorzio del Salame Piemonte IGP
• Consorzio di tutela del Salame di Varzi
• Consorzio di tutela dei Salumi di Calabria a DOP
• Consorzio Salumi DOP Piacentini
• Consorzio tutela Speck Alto Adige
• Consorzio Zampone e Cotechino Modena
Tradizione: un sapere che si tramanda
Dietro ogni salume certificato si nasconde un’arte secolare fatta di esperienza, storia e abilità costantemente perfezionate. Tradizione al passo con i tempi e con l’innovazione nei processi produttivi e nelle regole che valorizzino l’autenticità dei metodi e delle caratteristiche contenute nei disciplinari di produzione dei salumi DOP e IGP.
Territorio: unicità geografica e culturale
Il territorio è l’essenza delle DOP e delle IGP: ogni salume è l’espressione più vera del luogo in cui nasce. Afferma un legame con clima, paesaggio e cultura, ingredienti fondativi che rendono ogni prodotto unico e irripetibile. Custode di questo legame è il Consorzio di tutela che, come soggetto aggregatore di aziende, è chiamato sempre più a tutelarne anche il valore e a fare rete con gli stakeholders pubblici e privati del territorio.
>> Link: salumitalia.it
ITALIANI:
Presentati durante l’assemblea annuale di ASS.I.CA., i dati ci dicono che, nel 2024, la produzione dei salumi ha registrato un incremento, trainato principalmente dalla domanda estera. La produzione ha raggiunto 1,165 milioni di tonnellate, segnando una crescita dell’1,2% rispetto al 2023. In aumento anche il valore della produzione, salito a circa 9.463 milioni di euro (+3,2%).
Durante l’assemblea annuale di ASS.I.CA. (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi aderente a CONFINDUSTRIA), svoltasi lo scorso 26 giugno a Bruxelles nell’ambito della campagna europea “Trust Your Taste – Choose European Quality”, sono stati presentati i dati economici del settore. Nel corso del 2024 la produzione dei salumi ha registrato un incremento, trainato principalmente dalla domanda estera. La produzione complessiva ha raggiunto 1,165 milioni di tonnellate, segnando una crescita dell’1,2% rispetto al 2023. In aumento anche il valore della produzione, salito a circa 9.463 milioni di euro (+3,2%). L’insieme delle produzioni del settore (comprese le lavorazioni dei grassi e delle carni bovine in scatola) ha presentato un fatturato di 9.787 milioni di euro, superiore (+3%) a quello del 2023 (9.498 milioni di euro).
«I dati del 2024 evidenziano una dinamica positiva sul fronte produttivo e dell’export, ma al tempo stesso pongono l’accento su un calo dei consumi interni che non possiamo sottovalutare» ha commentato il presidente di ASS.I.CA. Lorenzo Beretta. «L’industria dei salumi conferma la propria capacità di competere sui mercati internazionali, ma occorre riflettere sui cambiamenti nelle abitudini alimentari dei consumatori italiani, promuovendo al contempo una comunicazione più incisiva sulla qualità,
la sicurezza e il valore culturale dei nostri prodotti. Tuttavia, non possiamo dimenticare che sui consumi pesa anche la perdita del potere d’acquisto delle famiglie. Le famiglie italiane hanno visto i loro consumi mutare profondamente dal Covid-19, con l’inflazione che ha drasticamente ridotto la loro capacità d’acquisto nel biennio 2022-2023.
Inoltre, sebbene il 2024 abbia mostrato alcuni segnali di cauto miglioramento, sul fronte dell’inflazione e anche dei prezzi di alcune materie prime, i costi di produzione nel nostro settore sono rimasti elevati, rendendo difficile competere sul mercato interno.
I confl itti in Medio Oriente, in particolare quello tra Israele e Iran, rappresentano una grave preoccupazione per il nostro settore. Uno shock simile a quello generato della guerra in Ucraina, con la conseguente impennata dei prezzi energetici, già tra i più alti d’Europa, e dell’inflazione sarebbe difficilmente assorbito dalle famiglie italiane. Auspichiamo fortemente che
questi scenari non si concretizzino e che vengano introdotte tutte le risorse per sostenere la nostra economia e il nostro settore».
Tra i prodotti leader, il prosciutto crudo stagionato mostra una netta ripresa con 271.700 t prodotte (+1,9%) e un valore di 2.521 milioni di euro (+5%). Anche il prosciutto cotto registra una leggera crescita in volume (295.000 t, +0,8%) e in valore (2.316 mln di euro, +1,6%). Nel complesso, prosciutti crudi e cotti rappresentano il 48,6% della produzione in quantità e il 51,1% in valore. Positivi i dati per mortadella (180.000 t, +1,8%; 895,1 mln di euro, +3,3%) e salame (130.400 t, +2,8%; 1.334 mln di euro, +5,3%), spinti soprattutto dall’export.
Significativo incremento per lo speck (+5% in volume e +5,7% in valore). Dopo due anni difficili, ha registrato una ripresa la bresaola, con un +5,9% in volume e un +2,8% in valore. In controtendenza, würstel (–2,8% in quantità e –2,3% in valore), coppa (–3,5% in
quantità) e pancetta (–1,7% in quantità, ma in lieve crescita in valore).
I consumi
I consumi interni mostrano una contrazione: la disponibilità totale al consumo nazionale è scesa a 984.000 tonnellate (–1,3%). Il consumo apparente pro capite di salumi si è ridotto a 16,5 kg (–1,3%), mentre quello complessivo di salumi e carne suina fresca è calato a 27,6 kg (–1,8%). I consumi di prosciutto crudo stagionato sono scesi a 206.400 tonnellate (–2,8%) e quelli di prosciutto cotto a 276.200 t (–0,7%). In calo anche salame, mortadella e würstel, mentre crescono i consumi di bresaola (+6,2%).
Il prosciutto cotto resta in testa
La struttura dei consumi interni nel 2024 vede al primo posto il prosciutto cotto con il 28,1% del totale, seguito da prosciutto crudo (21%), mortadella e würstel (19,7%), salame (8,5%) e bresaola (2,5%). Gli altri salumi rappresentano il restante 20,2%.
“Trust Your Taste, Choose European Quality” è il progetto promosso da ASS.I.CA. con l’obiettivo di migliorare il grado di conoscenza e consumo consapevole dei prodotti agricoli UE, attraverso la promozione della cultura produttiva della carne suina e dei salumi, valorizzando gli alti standard europei e la grande tradizione storica che contraddistingue questo comparto. Il progetto ha durata triennale (2021-2024), si svolge in Italia e Belgio e gode del co-finanziamento dalla Commissione europea nell’ambito del Regolamento (UE) 1144/2014 (Azioni di informazione e di promozione riguardanti i prodotti agricoli nel mercato interno)
Tra i prodotti leader troviamo il prosciutto crudo stagionato: 271.700 t prodotte (+1,9%) e un valore di 2.521 mln di euro (+5%).
Benvenuta UniSaFo
La prima scuola italiana dedicata alla cultura di salumi e formaggi
Èstato presentato lo scoro 19 maggio a Parma UniSaFo – Percorso di Formazione
Superiore alla Conoscenza di Salumi e Formaggi, il primo centro didattico in Italia interamente dedicato alla cultura e alla formazione su due dei pilastri dell’enogastronomia italiana: i salumi e i formaggi. Un progetto unico nel suo genere che nasce con l’obiettivo di innalzare il livello di consapevolezza e competenza lungo tutta la filiera: dagli operatori della Grande Distribuzione e della ristorazione ai professionisti dell’alta cucina, agli operatori delle botteghe e anche agli appassionati.
UniSaFo propone corsi teorici e pratici — progettati su misura, cliente per cliente — che coprono ogni aspetto
delle filiere produttive, a partire dall’origine degli animali, il loro benessere, l’alimentazione, le razze, fino alle tecniche di trasformazione, di stagionatura, abbinamenti e comunicazione del prodotto. La scuola non si limita alla formazione operativa, ma costruisce un sapere profondo e strutturato, necessario per valorizzare davvero queste eccellenze italiane.
«Più aumentiamo la cultura, più aumentiamo il rispetto: per gli animali, per le persone, per i territori. Solo con la conoscenza si può tornare ad un consumo più consapevole e quindi sostenibile» ha commentato Claudio Cimardi, fondatore di UniSaFo. «Saper degustare significa anche saper scegliere e scegliere bene significa promuovere filiere più sane, più
vere e più giuste. Per questo ho voluto creare questo progetto, che ambisce a diventare un luogo di riferimento e ritrovo per i migliori professionisti del settore».
Da questa visione nasce l’apertura ai consumatori appassionati, con moduli didattici dedicati al grande pubblico, corredati da appuntamenti in cui vengono coinvolti nutrizionisti per rimarcare l’attenzione data all’alimentazione e nutrizione. L’obiettivo è quello di educare al gusto e al rispetto: meno quantità, più qualità. Un consumo meno frequente ma più appagante, che porta vantaggi all’intera filiera — dagli allevatori ai trasformatori, dai professionisti del banco ai territori — e che si traduce in un impatto positivo anche per l’ambiente.
Federico Scalici e Giorgia Colella, responsabili UniSaFo, con Claudio Cimardi, CEO di Unitrading Spa e fondatore di UniSaFo.
In alto: Claudio Cimardi con il prof. Giovanni Ballarini, antropologo alimentare, accademico dell’Università degli Studi di Parma, già presidente dell’Accademia Italiana della Cucina e autore di numerosi libri e articoli anche per le testate Premiata Salumeria Italiana, Eurocarni e Il Pesce. In basso: un’aula del polo di formazione.
Una collaborazione accademica d’eccellenza
A rafforzare la solidità e il rigore scientifico del progetto UniSaFo è la collaborazione con l’Università di Parma, in particolare con la Scuola di Studi Superiori in Alimenti e Nutrizione. Grazie a questa sinergia, UniSaFo integra nei propri percorsi formativi le
Premiata Salumeria Italiana, 4/25
competenze accademiche di docenti e ricercatori universitari, offrendo contenuti approfonditi, aggiornati e multidisciplinari anche su tematiche di sostenibilità, nutrizione, filiere produttive e cultura alimentare.
• Il programma formativo completo è disponibile sul sito ufficiale unisafo.it
“Salume. Arte italiana”: un viaggio storico, geografico e culturale alla scoperta della salumeria italiana
Il volume Salume. Arte italiana si propone di offrire, per la prima volta, un quadro dettagliato della salumeria italiana, sia dal punto di vista storico che geografico, oltre ad illustrare le attuali procedure produttive, presentando tutta la filiera, passo dopo passo, prodotto per prodotto. Uno strumento in grado di raffigurare lo “stato dell’arte” del grande mondo dei salumi italiani, con l’obiettivo di far comprendere appieno il patrimonio di cultura gastronomica che abbiamo ereditato, e che è necessario preservare e accrescere. Un libro che quindi si inserisce, con autorevolezza scientifica, all’interno del dibattito sulla sostenibilità delle carni e dei salumi, e che mette in gioco non solo la salute dell’uomo, ma anche la sicurezza ambientale, il benessere animale e la lotta allo spreco, per il relativo mantenimento dell’ecosistema. Un dibattito spesso non privo di scarsa conoscenza specifica, oltre che di pregiudizi verso un comparto che, ai suoi livelli produttivi più seri, è impegnato nello sviluppo di piani sempre più efficienti, non legati a semplici interessi economici. L’introduzione è del critico gastronomico Andrea Grignaffini; il racconto della parte storico-geografica è curata dal professor Giovanni Ballarini, già presidente dell’Accademia della Cucina Italiana. La parte legata agli aspetti salutistici del consumo responsabile dei salumi è redatta da Luca La Fauci, biologo nutrizionista e dottore in Scienze e Tecnologie Alimentari. Il cuore del libro, il Vademecum della tecnica produttiva dei salumi italiani, è frutto del lavoro svolto da Federico Scalici e Giorgia Colella all’interno di UniSaFo, Percorso di Formazione Superiore alla conoscenza di Salumi e Formaggi, strutturato in collaborazione con la Scuola di Studi Superiori Alimenti e Nutrizione dell’Università di Parma. Il testo è suggellato dalla post fazione dell’artefice del percorso formativo UniSaFo, Claudio Cimardi
Salume. Arte italiana
Edizioni: Maretti Manfredi, 2024 312 pp. – € 45,00 unisafo.it/salume-arte-italiana
BeJerky: COME TI REINVENTO LO SNACK CARNIVORO
di Gaia Borghi
Matteo Manzini, founder & marketing director di BeJerky, ci racconta del brand
Carne Secca Italia, dalla nascita on-line del progetto di portare in Italia il Beef jerky americano, al suo sviluppo e successiva affermazione sul mercato degli snack proteici. Chips e sticks di carne di manzo, maiale, tacchino, cervo e selvaggina in busta, prodotte in puro stile made in Italy!
Gli “snack” si sono presi il mercato: le recenti analisi e i dati di mercato — che potete trovare negli approfondimenti sulle pagine di questo numero della rivista —, ci raccontano di un fenomeno sociale (ed economico), la cosiddetta “snackificazione”, che si espande e cresce a livello europeo, coinvolgendo diversi strati e categorie della popolazione. Le tendenze di consumo rilevate tra giovani e meno giovani ci dicono infatti che, in generale, si mangia sempre meno durante i pasti principali, scegliendo porzioni più piccole, da iniziare e finire in fretta mentre si è in giro, fino a quando non si arriva sostituire addirittura colazione, pranzo e/o cena proprio con uno “snack”: più o meno salutare, sicuramente veloce, meglio se ricco in proteine. Gli snack offrono infatti diversi vantaggi in termini di comodità di trasporto, occupando poco spazio, varietà di gusto e formato, e, elemento da non sottovalutare, potere saziante, sia a livello fisico che psichico: mi tolgo una “voglia” e sazio il mio appetito immediatamente, almeno per un po’…
L’offerta a scaffale è ricchissima e in grado di soddisfare gusti ed esigenze multiformi, così quando a TuttoFood Milano 2025 ci siamo imbattuti in questo prodotto, che incarna in sé e risponde con le sue caratteristiche esattamente a questo trend, abbiamo deciso di dedicargli la copertina, senza dimenticarci di farcene raccontare prima la storia da uno dei suoi fondatori.
La carne secca che non c’era (o quasi…)
«BeJerky vede la luce circa 8 anni fa dalla volontà di immettere sul mercato italiano un prodotto semisconosciuto ai più nel nostro Paese, ovvero il Beef jerky americano, la classica carne secca di manzo consumata comunemente negli Stati Uniti» mi dice Matteo Manzini, founder & marketing manager dell’azienda, fondata con Luca Favaretto. «Il nostro progetto nasce on-line, con la creazione di un sito, carneseccaitalia.it, e del relativo e-commerce, dove poter acquistare i primi prodotti di importazione statunitense. Dopo circa un annetto, durante il quale abbiamo costruito una
community interessata e coesa, forti della constatazione dell’esistenza di una richiesta importante di questo genere di alimenti e di una crescita del brand Carne Secca Italia, abbiamo deciso di cercare un’azienda partner che potesse sostenerci con una tecnologia adeguata nella produzione del nostro jerky, di ispirazione americana sì, ma con uno stile tutto italiano».
Eh sì perché, in realtà, anche l’Italia vanta per tradizione la propria carne secca: nella provincia di Belluno, ad esempio, troviamo le pendole, strisce di carne suina salata, aromatizzata e affumicata, sottoposte successivamente anche una breve stagionatura. Nella zona dei Castelli romani, invece, nel Frusinate e in generale in tutto il Centro Italia, si consumano le coppiette. Anche queste realizzate perlopiù con carne di maiale, ma anche con altre carni, come il cavallo, le coppiette rappresentano l’antipasto perfetto per accompagnare
una bevuta in osteria, essendo sempre ben salate e spesso anche piccanti, e invogliando quindi l’avventore ad ordinare più di un bicchiere. Infine in Puglia, più nello specifico nel Foggiano, con le carni di pecora, capra o di maiale si prepara la muschiska, lo “spuntino proteico” tipico dei pastori durante la transumanza.
Ed è proprio qui, in queste tradizioni regionali, che si realizza ed emerge il tratto distintivo dello snack firmato BeJerky. «Dopo un paio di collaborazioni infruttuose con dei salumifici veneti, siamo arrivati alla Carpano Speck di Pozza di Fassa (TN), un’azienda che vanta 70 anni di esperienza nella produzione salumiera. Nello stabilimento di Falcade, in provincia di Belluno, la Carpano produceva infatti già le pendole, una specialità locale che, come molti prodotti simili, non aveva mai trovato uno sfogo fuori dai confini del territorio. Così, quando abbiamo
raccontato ad Alessandro Carpano e Davide Fontanive, rispettivamente responsabile e direttore generale di Carpano Speck, del nostro progetto e delle nostre esigenze, ci hanno subito creduto e supportato con la loro esperienza imprenditoriale e attenzione alla qualità, ad iniziare dall’esigenza del format che doveva avere il prodotto, in busta, perché il jerky è pensato proprio per essere uno snack».
Da quel momento le cose devono essere andate piuttosto bene visto che la Carpano Speck è entrata a far parte della società e la carne secca, nel complesso delle varie linee proposte, figura oggi tra prodotti più in crescita della loro produzione.
Jerky made in Italy
Cosa rende differente la carne secca di BeJerky dal prodotto americano? Abbiamo detto che il Beef jerky è una specialità popolare che si consuma
negli Stati Uniti fin dalla nascita del Paese, derivando quasi certamente nella sua produzione dalle tecniche di conservazione della carne proprie dei nativi americani poi riprese successivamente dai coloni. «La produzione del Beef jerky americano si basa essenzialmente sull’essiccatura della carne, un processo che a livello industriale avviene molto velocemente, 5/6 ore in tutto, ma che, proprio per la velocità della lavorazione, ne rovina le fibre: ecco spiegato il perché dell’aggiunta, nella maggior parte dei prodotti proposti sul mercato statunitense, di zuccheri e additivi vari al fine di rendere la carne nuovamente appetibile, di salse come la barbecue o la teriyaki, senza parlare delle aromatizzazioni anche molto particolari (con gusti che possono essere aglio, mango, ananas, peperoncino jalapeño, lemongrass…, NdR). Per la nostra carne secca, invece, utilizziamo la metodologia produttiva che si usa per lo speck, il che rende la durata della produzione lunga molti giorni. Si tratta di una semplice speziatura della carne con erbe e spezie, seguita da una stagionatura lenta e un’affumicatura al naturale a bassa temperatura. Quello che otteniamo (partendo da 135 grammi di carne fresca per arrivare a 40 grammi di carne secca) è sempre una chips di carne, che ha la stessa fruibilità dell’American jerky, e quindi comodo, che si conserva fuori dal frigo, da tenere nella borsa della palestra per intenderci, ma con il plus del processo produttivo italiano storico della salumeria trentina». Grazie a questa scelta il sapore della carne dello snack BeJerky è predominante: niente che vada a coprire il gusto naturale della materia prima, se non un leggero sentore di affumicato.
I plus dei prodotti BeJerky (disponibili in diverse linee, che trovate tutte sul sito ufficiale, comprese alcune edizioni limitate) sono perciò l’italianità della tecnica produttiva artigianale e l’assenza di conservanti: lo snack, realizzato con carni selezionate di provenienza italiana ed europea, rimane completamente stabile per un anno “naturalmente” (se correttamente conservato, come segnalato in etichetta, in luogo fresco, asciutto e lontano da fonti di calore), così come è “naturalmente” ricco di proteine, rispetto ad esempio ad altri
prodotti “costruiti” come rich in protein in laboratorio
In sala attrezzi, nei boschi o a casa sul divano
La clientela dell’azienda è vasta e so prattutto molto varia: gli amanti del jerky appartengono sia alla nicchia degli sportivi e del mondo del fitness, dai frequentatori delle palestre iper attenti alla propria dieta quotidiana a chi pratica trekking, che a quella degli snack addicted che mangiano una chips dopo l’altra spaparanzati sul divano o dietro la scrivania seguendo l’ennesima interminabile serie sulla TV o il PC. «La soddisfazione quando si mangia la nostra carne secca è immediata» puntualizza Matteo. «Ci si sente appagati a livello fisico ed emotivo, mangiando qualcosa di buono e nutriente, uno sfizio saporito e goloso, senza avere alcun senso di colpa».
Stiamo infatti parlando di uno snack realizzato con ingredienti genuini di qualità, un gusto autentico di carne e spezie, poche calorie e pochi grassi, pochi zuccheri e carboidrati, zero conservanti e anche zero glutine… solo soddisfazione insomma!
E da quest’anno il brand Carne Secca Italia “vola” anche all’estero Il successo del prodotto è evidente, anche grazie ad una scelta originale e molto riconoscibile a livello di estetica del packaging e di comunicazione. Colorata, giovane, ironica e divertente, con tante “mascotte“ che appartengono all’immaginario ludico dei videogiochi e dei cartoni animati e che legano ulteriormente lo snack ad un momento di pausa gratificante. I prodotti di punta del brand ad oggi sono il jerky di manzo e quello di tacchino (quest’ultimo non a caso si è guadagnato la copertina…). «Il mio preferito però è il cinghiale — aggiunge Matteo — che ha un gusto forte, concentrato. Un bel mix tra la dolcezza del maiale con il sapore ferroso della selvaggina». Da provare! Hey babe, take a walk on the wild side.
Gaia Borghi
>> Link: carneseccaitalia.it
Nota
A pagina 48,Matteo Manzini, founder & marketing manager dell’azienda BeJerky.
NORCINERIA BIANCULLI, LUCANIA DOCET
di Gaia Borghi
A Montesano sulla Marcellana, nella provincia di Salerno, Antonio Bianculli e Romina Valisena portano avanti la TRADIZIONE
NORCINA del Vallo di Diano, un territorio vocato fin dall’antichità a questo tipo di produzione. Un allevamento di proprietà e qualche capo di suino NERO LUCANO dalla Basilicata per la linea dedicata. NESSUN CONSERVANTE ma solo spezie e maestria femminile nel dosaggio degli ingredienti. Un presidio Slow Food e tanta fiducia nel proprio progetto
Il Vallo di Diano (da Dianum, antico nome romano di Teggiano) è una vasta conca fertile attraversata dal fiume Tanagro tra le montagne calcaree del Parco Nazionale del Cilento e dell’Appennino Lucano, nell’estremo sud della Campania. Una terra incantata di straordinaria bellezza che rivela, a chi voglia esplorarla, grotte, cascate e sorgenti termali, arte sacra di immenso valore e borghi sospesi nel tempo. La sua comunità montana comprende 15 comuni, tra cui Montesano sulla Marcellana, il più alto della provincia di Salerno, sito a 850 m slm, in posizione panoramica tale da dominare l’intera vallata.
Ad un passo dalla Basilicata, con le foreste rigogliose e ricche di flora e fauna protette che ne circondano l’abitato, numerose fonti e aria più che salubre, veniva raggiunto in passato dagli abitanti che vivevano nelle aeree paludose della pianura per curarsi o per scampare alle temibili epidemie di peste. Oggi qui, in pieno centro storico, in quella che una volta era una piccola stalla dove sostavano asini e muli, grazie a perfette condizioni microclimatiche, stagiona una parte della produzione salumiera di una altrettanto bella realtà artigianale locale e, durante la stagione estiva, è possibile sedersi nel punto vendita chiamato Sauzì, in dialetto locale “salsiccia”, e degustare tutta l’incredibile bontà delle loro soppressate, di salsicce e salami, lardo e capocollo, pancette e creme spalmabili.
La montagna ci ispira
Antonio Bianculli e la moglie Romina Valisena decidono di aprire Norcineria Bianculli una decina di anni fa, con l’intento di «rinnovare il business di famiglia — mi racconta Antonio — che consisteva nell’allevamento di suinetti da riproduzione e nella loro commercializzazione per la macellazione casalinga». L’attività era iniziata a metà degli anni ‘80 dal nonno di Antonio, Pasquale, e proseguita con il padre Saverio. Allevare 1 o 2 maiali era pratica estremamente diffusa tra le famiglie della zona, così come la conseguente produzione di straordinari insaccati. Un’abilità norcina, ricordiamolo, che affonda le radici nelle profondità del tempo, in quelle tradizioni delle “genti di Lucania” che si dice insegnarono ai Romani come conservare le carni suine insaccandole nel loro stesso budello.
Nel corso degli anni, quella vocazione agricola all’autosussistenza insita nella comunità locale è andata via via scomparendo, le zone rurali si sono spopolate, il mercato è cambiato, anzi, è cambiato proprio il mondo. «Il nostro progetto era quello di tornare a fare i salumi che si facevano una volta nelle nostre case, solo più in grande» prosegue Antonio Bianculli. Il che significa rimanere fedeli alle proprie tradizioni, ovvero la norcineria dell’area Vallo di Diano-Cilento-Lucania-Alto Cosentino (non a caso il loro slogan è “La montagna ci ispira”), dagli ingredienti al metodo produttivo, sfruttando il know-
how famigliare e modificando soltanto le dimensioni del processo. «Qualche difficoltà iniziale legata a questo cambio di passo in effetti l’abbiamo avuta — continua Antonio — penso soprattutto alle misure rigide che comporta l’ottenimento del bollo CE, ma l’impegno è stato ampiamente ripagato dalle soddisfazioni che ci ha dato l’essere riusciti a mantenere quelle che sono le caratteristiche distintive della nostra produzione salumiera, ovvero la totale assenza di additivi e conservanti».
Per Norcineria Bianculli è infatti un NO deciso e assoluto all’aggiunta di aromi, zuccheri, antiossidanti, coloranti o correttori di acidità nei salumi: una scelta, questa, che ha portato Antonio e Romina ad ottenere il sostegno di una fetta di consumatori molto attenta a questo aspetto di “pulizia” dell’etichetta e quello non meno importante di Slow Food. Norcineria Bianculli figura infatti tra i produttori di uno dei Presidi dell’associazione di Bra, all’interno del quale i salumi tutelati sono però due: la Salsiccia e la Soppressata del Vallo di Diano Salumi che rappresentano il “prodotto di punta” di Norcineria Bianculli e che, come si legge nel catalogo aziendale, “si distinguono per la selezione manuale delle carni provenienti da allevamento locale, il taglio a coltello di alcune parti da insaccare e la lenta stagionatura
in locali tradizionali. Al termine della stagionatura Salsiccia e Soppressata sono riposte in contenitori e ricoperte con il grasso del maiale disciolto e raffreddato (nzogna). Questa pratica, tradizionalmente utilizzata per creare un effetto sottovuoto, consente la conservazione degli insaccati di anno in anno. Inoltre, il procedimento fa sì che i salumi maturino ulteriormente, migliorando le caratteristiche organolettiche e la consistenza. I sottosugna, così, restituiscono un sapore antico e autentico, la cui origine si perde nei secoli”
«Rifuggiamo dalla chimica per focalizzarci sulla materia prima, proveniente sia dal nostro allevamento di proprietà — che si trova vicino allo stabilimento, nella parte montana del comune di Montesano sulla Marcellana, un centinaio di capi per ciclo per 200 maiali l’anno circa —, che da un allevamento della Basilicata con cui abbiamo un rapporto di lungo corso per i capi di suino Nero Lucano, una razza autoctona, l’ApuloCalabrese, cui è dedicata una linea ad hoc della norcineria.
Noi abbiamo ripreso ad allevare solo l’anno scorso, dopo uno stop forzato imposto dal rilevamento nella nostra area (e non nell’azienda, NdR), nel maggio del 2022, del virus della Peste Suina Africana (PSA) nei selvatici. La nostra intenzione, il nostro obiettivo
primario ora è infatti arrivare ad avere di nuovo un allevamento a ciclo chiuso, partendo dai riproduttori, allevando i capi all’aperto».
La selezione delle carni è ciò che conta, dicevamo, così come l’equilibrio degli ingredienti, spezie in primis, soprattutto quando non si usa niente altro. «In questo è mia moglie Romina a fare la differenza, proseguendo la tradizione locale per cui erano le donne della famiglia ad occuparsi della norci-
neria, mentre agli uomini era riservato il “lavoro iniziale”, ovvero l’uccisione del maiale e il suo sezionamento» mi spiega Antonio. «La scelta dei tagli, l’equilibrio nel dosaggio delle spezie e infine l’insacco — che avviene solo in budello naturale — sono da sempre una prerogativa femminile, fattivamente o nella direzione del lavoro».
I salumi di Norcineria Bianculli parlano e profumano di territorio: finocchietto selvatico, peperone crusco
dolce e piccante, erbe aromatiche locali. Il sale integrale impiegato invece arriva da Trapani e per la Sopressata di suino Nero Lucano si è scelto di usare un particolare pepe selvatico del Madagascar che impreziosisce ulteriormente il prodotto. Nello stabilimento di produzione, dove lavorano Antonio e Romina, un collaboratore a tempo pieno e altri due solo saltuariamente, sono due le sale dedicate alle lunghe stagionature, le sole che consentono
A sinistra: Antonio Bianculli e la moglie Romina Valisena, titolari di Norcineria Bianculli. Lo stabilimento di produzione dell’azienda si trova a Montesano sulla Marcellana (SA), il comune più alto della provincia di Salerno, immerso nel suggestivo paesaggio dell’Appennino della Maddalena. Alle pagine 52 e 53: Salsiccia e Soppressata del Vallo di Diano, presidio Slow Food, e la Pancetta arrotolata prodotte da Norcineria Bianculli.
di sviluppare la parte aromatica della norcineria, oltre alla cantina-punto vendita Sauzì in paese dove in estate, come accennato, si effettuano anche la vendita diretta e gli assaggi.
La clientela, che Norcineria Bianculli serve direttamente e attraverso alcuni distributori, è rappresentata dal dettaglio specializzato, le gastronomie e le salumerie con l’operatore a bancone che possa spiegare ciò che si sta acquistando, e dalla ristorazione del territorio,
Suino Nero Lucano: accrescimento lento e carni con naturale sapidità, per salumi di gusto intenso e persistente
Si tratta di un tipo Genetico Autoctono Antico (TGAA) della razza autoctona “Apulo-Calabrese”, isolato a partire da pochi riproduttori recuperati nell’area grazie ad un progetto dell’Università della Basilicata. Ogni singolo capo viene identificato con un codice auricolare univoco e iscritto presso il Registro Anagrafico Nazionale detenuto dall’ANAS (Associazione Nazionale Allevatori Suini). È un animale slanciato, la cui struttura corporea si è adattata al pascolo nei boschi e nelle aree collinari appenniniche. L’allevamento all’aperto avviene allo stato semibrado, in cui l’alimentazione a base di cereali OGM free viene integrata con ghiande, bulbi e radici a seconda della stagionalità. Il Nero Lucano ha un accrescimento molto lento: ad un anno di vita il peso vivo medio è di 130/140 kg rispetto ai 230/240 kg di un “suino rosa” allevato con tecniche intensive. La carne, per via dell’alimentazione e dell’allevamento semibrado, presenta una minor quantità di acqua e al contempo un’elevata presenza di sali minerali che le conferiscono una naturale sapidità e consentono di ridurre l’impiego del sale durante la trasformazione salumiera. Inoltre, contiene una quantità di ferro e proteine totali pari al doppio, nonché una maggior concentrazione di acidi grassi insaturi rispetto ai saturi. Le parti magre si presentano di colore rosso intenso rispetto al colore rosato dei “suini rosa”, con leggere infiltrazioni di grasso, dalle quali derivano maggior sapore e masticabilità. Le parti grasse si presentano di color bianco candido e sono l’elemento che distingue la linea di salumi (in foto, Pancetta arrotolata della linea dedicata al Nero Lucano).
I cunzarieddi di Norcineria Bianculli
nelle 4 varianti disponibili e lo “scalda cunzarieddi” in ceramica dipinta a mano con il marchio “Sauzì”. Ottimi serviti su pane caldo o bruschette per un antipasto o un tagliere goloso.
comprese le pizzerie più attente alla qualità dei condimenti proposti. Nessun e-commerce o shop on-line, almeno per il momento. «Ci stiamo creando pian piano il nostro mercato» aggiunge Antonio. «In questa ricerca, ci sta dando una mano la partecipazione a fiere come il TASTE a Firenze o il più recente Distinti Salumi a Cagli (PU)».
Così come i riconoscimenti, aggiungerei. Alla prima edizione della rassegna nazionale Salumi Antichi riservata ai salumi da razze autoctone e organizzata da ONAS – Organizzazione Nazionale Assaggiatori Salumi lo scorso fine aprile, ad esempio, la Pancetta arrotolata di Nero Lucano di Norcineria Bianculli si è portata a casa il primo premio nella sezione specifica per la razza. «Ma il mio prodotto preferito è il Brigantino — conclude Antonio — l’unico prodotto che abbiamo a catalogo con un nome di fantasia. Non è uno spalmabile ma un salume morbido, realizzato con le rifilature dei tagli più marezzati e i guanciali macinati, che si può usare anche in cottura. Con l’insacco nel budello stretto diventa il Salsiccione».
A proposito di spalmabili, invece, Norcineria Bianculli propone i cunzarieddi, condimenti a base di lardo
prodotti “selezionando manualmente e tritando finemente i lardelli e il grasso migliore dei maiali di proprietà” e poi variamente conditi con un trito di erbe aromatiche (Alle erbe), con lo Zafferano Montesano® (D’Oro), con crema di peperoni dolci, sale integrale, polvere di peperoni dolci affumicata, pepe in polvere, scaglie di peperone piccante essiccato (Piccantino) e con tartufi (Tartufato). Il marchio che contraddistingue le 4 varianti, disponibili in vasetti da 140 grammi di prodotto, è Sauzì. Ottimi serviti su pane caldo o bruschette per un antipasto o un tagliere goloso. Pratico e bello da portare in tavola lo “scalda cunzarieddi”: ma per usare questo aspettiamo che torni l’inverno.
Gaia Borghi
Norcineria Bianculli
Via Caradonna – Loc. Magorno (84033) Montesano sulla Marcellana (SA) Telefono: 328 1722935
E-mail: norcineriabianculli@gmail.com
Web: norcineriabianculli.it
Norcineria Bianculli @norcineriabianculli
Cantina-punto vendita Sauzì Piazza Gagliardi
Montesano sulla Marcellana (SA) Telefono: 389 0096459
La “Salumeria di Monte San Savino” è il primo salumificio toscano a portare la Finocchiona IGP in America
Grande soddisfazione per la “Salumeria di Monte San Savino”, che è il primo salumificio toscano a portare la Finocchiona IGP in America. «Abbiamo presentato il prodotto al Summer Fancy Food (New York, 29 giugno-1o luglio), primo passo per far conoscere l’autentica Finocchiona IGP» commenta Alessandro Iacomoni, titolare dell’azienda. «Ci impegneremo da subito per valorizzare e promuovere questa eccellenza andando a contrastare le tante imitazioni presenti oltreoceano promuovendo l’unica ed originale Finocchiona IGP, amata da Machiavelli, regina incontrastata dei salumi toscani, inimitabile nei profumi, inconfondibile nei sapori». Era il 1968 quando Walter Iacomoni si specializzò nella preparazione della porchetta cotta a legna, della finocchiona e di altri salumi tipici della tradizione toscana, avviando la fortunata esperienza della Salumeria di Monte San Savino, che troverà rapidamente notorietà a livello nazionale per la qualità e il gusto dei suoi prodotti. L’eredità di Walter e della moglie Rosina è stata raccolta dal figlio Alessandro, il quale ha portato l’azienda ad affermarsi sui mercati internazionali. Il catalogo dell’offerta si è via via ampliato nel tempo, ma la realizzazione di ogni prodotto avviene ancora all’insegna dell’artigianalità, dell’attenta scelta delle materie prime, della cura ai dettagli e della passione.
>> Link: salumeriadimontesansavino.it
SALUMIFICIO TORESAN: UN’EREDITÀ DI SAPORI E TECNICHE ARTIGIANALI
di Elisa Guizzo
Tutto ha inizio nel 1954, quando Giuseppe Toresan, conosciuto da tutti come Bepi , decide di cambiare vita, lascia il lavoro in un’azienda che raccoglie e trasforma grassi animali e apre una piccola bottega di macelleria. È l’inizio di una storia che oggi rappresenta un punto di riferimento per la salumeria artigianale nel territorio trevigiano. «La nostra era una casa patriarcale — racconta la nipote Cristina Toresan, — con noi vivevano nonni, zii e cugini, la casa era adiacente a stalla, macello e al laboratorio di sezionamento, mentre il punto vendita distava circa un chilometro». L’obiettivo era chiaro fin da subito: seguire l’intera filiera, dalla selezione degli animali in stalla alla trasformazione delle loro carni
Il laboratorio lavorava carni bovine e suine. Le prime erano destinate principalmente al banco macelleria, le seconde sia alla vendita come carne fresca sia alla produzione di salumi. La lavorazione delle carni suine prevedeva la selezione e sezionamento delle mezzene, con una parte destinata alla produzione di salumi.
L’azienda era gestita da Bepi con i suoi tre figli: Mario, Angelo e Marcello, ognuno con un ruolo ben definito. Mario si occupava della vendita al banco, Angelo curava i rapporti con i ristoranti e l’espansione commerciale,
mentre Marcello — vero cuore pulsante del laboratorio — dedicava anima e competenze alla produzione dei salumi, studiando tecniche di stagionatura e reinterpretando ricette tradizionali con uno spirito innovativo. Durante il viaggio di nozze, nel 1975, Marcello visitò alcuni prosciuttifici toscani: un’esperienza fondamentale che ispirò le sue successive sperimentazioni. È da qui infatti che nasce l’idea di affinare le tecniche con uno stile misto, ispirato anche ai salumifici friulani e parmensi. «Fu un processo lento, certosino, fatto di tantissime prove», spiega Cristina. Marcello unì le conoscenze apprese in Toscana con quelle friulane e parmensi, arrivando a definire un metodo unico, basato sull’artigianalità e su parametri di controllo costanti. Tra il 1976 e il 1982 si iniziò a produrre un buon prosciutto crudo, anche se ancora lontano dallo standard ricercato. La produzione iniziale era limitata a poche unità, oggi si superano i mille pezzi l’anno.
Nel 1982 viene realizzato il primo prosciuttificio completo di celle di stagionatura, zona salatura, riposo e asciugatura. Questo ha consentito di affinare i tempi e i parametri microclimatici, rendendo stabile la qualità del prodotto.
Il 2006 segna una svolta: il prosciutto crudo raggiunge il livello organolettico desiderato e Marcello cede le redini a Cristina e Roberto. Si assiste così ad
un importante ricambio generazionale, coinciso con la chiusura del macello. Nel 2018 viene inaugurato il nuovo stabilimento: moderno, certificato, dotato anche di un’area dedicata all’affumicatura naturale. Un progetto che ha portato alla decisione di affittare la storica macelleria per concentrare tutte le energie nella produzione dei salumi.
Il salumificio oggi dispone di un laboratorio di sezionamento e lavorazione di carni suine e bovine provenienti da uno stabilimento certificato limitrofo.
Le celle di stagionatura, alcune ancora originali, consentono la maturazione controllata dei prodotti. «È stato tutto un divenire», afferma Roberto. Cristina si occupa della parte amministrativa e qualitativa, Roberto invece rappresenta il cuore tecnico della produzione, insieme condividono un obiettivo: valorizzare il patrimonio costruito dal padre, continuando a offrire prodotti di alta qualità e passione.
Il fiore all’occhiello è il prosciutto crudo, realizzato con cosce provenienti da suini di oltre 180 kg di peso vivo, allevati in Veneto secondo il Disciplinare di produzione del prosciutto crudo marchiato. La stagionatura varia dai 18 ai 40 mesi in relazione al peso delle cosce, che in media non superano i 18 kg a fresco. L’intero processo si basa su un equilibrio costante tra ventilazione, umidità e temperatura.
La lavorazione comincia con la salatura libera che consta di una ventina di giorni fatta con sale grosso grezzo. Dopo 7 giorni circa le cosce vengono dissalate, massaggiate e pressate per favorire il dissanguamento e nuovamente risalate per altre due settimane, al termine delle quali si ripete il massaggio delle cosce, la pressatura per poi lavarle dal sale in eccesso e la messa a riposo. Terminata questa fase le cosce vengono pulite e lavate singolarmente con acqua a aceto per rimuovere eventuali impurità. Dopo l’asciugatura e la prestagionatura si prosegue con l’applicazione della sugna in quantità variabile e calibrata secondo il grado di disidratazione e le condizioni ambientali: maggiore in inverno, minore in estate. Un ruolo chiave è affidato all’esperienza dell’operatore che valuta
manualmente la consistenza, l’odore e il grado di asciugatura di ogni singola coscia. La produzione del prosciutto crudo è eseguita solo in alcuni mesi dell’anno, quelli ritenuti più favorevoli alle condizioni organolettiche delle cosce. Un prodotto raro e prezioso come un gioiello da sfoggiare nei giorni di festa. Si producono due tipologie di crudo: il dolce e l’affumicato, quest’ultimo è trattato con la combustione di segatura certificata di latifoglie, per un risultato delicato e uniforme. Accanto al crudo, troviamo lo speck, prodotto con un processo simile, che prevede una lunga stagionatura, buona sugna e un’affumicatura finale. Ci sono poi i salami, la porchetta, le soppresse, l’ossocollo, il fiocco, la pancetta e il cotechino, realizzato per il 90% con cotenna suina e tessuto connettivo bovino piemontese.
Il cotechino viene cotto a vapore per 4 ore, il che permette di valorizzare la parte magra e gelatinosa e ottenere un prodotto leggero e digeribile. Il cotechino è poi abbattuto e confezionato sottovuoto, pronto per essere cucinato in 10 minuti.
Grande attenzione è dedicata alla ricerca delle materie prime, tra gli esempi il Carpaccio di manzo marinato al mirto o la carne bovina di razza Piemontese, scelta per la sua ineguagliabile magrezza e tenerezza. «Il nostro mercato è di nicchia e si rivolge al canale HO RE CA.», spiega Roberto.
A distinguere i prodotti Toresan vi è un logo simbolico: una torre che richiama il cognome e due cupole, che ci invitano a guardare verso l’alto, a puntare in alto, proprio come ha fatto questa famiglia in tutta la sua storia. Da questo simbolo nasce l’identità visiva dell’intera produzione, un tributo alla qualità che nasce dalle mani, alla passione che si trasmette da generazioni, all’artigianato che si fa emozione.
Elisa Guizzo Meat specialist
Toresan Srl
Via Talponera 66/A
31050 Merlengo di Ponzano
Telefono: 0422 523296
E-mail: info@toresan.it
Web: toresan.it
PIANIFICAZIONE DELLA PRODUZIONE INTEGRATA CON L’ERP CSB-SYSTEM
Sebbene una buona pianificazione della produzione apporti parecchi benefici, molte aziende si affidano ancora al loro istinto oppure a semplici tabelle. Ma quando la quantità e la diversità dei prodotti aumentano, un sistema di pianificazione della produzione (PPS) diventa molto utile e indispensabile.
«Prima di scegliere un qualsiasi software per la pianificazione della produzione — spiega Andrè Muehlberger, direttore della filiale italiana del gruppo CSB-System SE — noi raccomandiamo di valutare tre aspetti: la funzionalità, la facilità d’uso e i costi. Fatto ciò, l’esperienza ci insegna che risulterà sempre più vantaggioso implementare
la soluzione integrata di un ERP che nasce già completo e specifico per il settore alimentare, quale è appunto il CSB-System, anziché acquistare un software per la pianificazione che poi dovrà essere interfacciato con l’ERP. E le interfacce, si sa, comportano costi per lo sviluppo, per la manutenzione e per gli aggiustamenti, che in un sistema
Gli ordini in entrata sono visualizzati in tempo reale nell’ERP e pronti per l’elaborazione.
integrato ci vengono risparmiati». Il software integrato crea inoltre una banca dati uniforme. Si pensi, ad esempio, alla necessità di raccogliere i dati provenienti da diversi stabilimenti per elaborarli e analizzarli in tempo reale. L’integrazione gioca qui un ruolo molto importante: assicura che i dati siano immediatamente disponibili e aggiornati e pronti per l’elaborazione, permettendo inoltre di identificare e intervenire sui problemi di pianificazione rapidamente.
I vantaggi di una soluzione PPS integrata
Continua Guido Girardelli, sales manager CSB-System: «Se vuoi ottenere il massimo dal tuo software, devi renderne il suo utilizzo il più semplice possibile. I clienti che hanno scelto di integrare il modulo PPS del CSB si muovono all’interno di un software già familiare, di cui conoscono la logica e il tipo di interfaccia utente. Questo rende più facile ottimizzarne l’uso nella gestione della routine lavorativa. Dunque, non solo i costi per la formazione dei dipendenti saranno inferiori, ma anche quelli di implementazione! I costi per l’introduzione, l’ottimizzazione, la manutenzione e il funzionamento di una soluzione integrata sono sempre più bassi rispetto ad una specifica soluzione ad isola. Un panorama IT omogeneo è più della somma delle sue parti. Ogni responsabile IT se ne rende improvvisamente conto al più tardi quando vi è da aggiornare il software!». Nel settore alimentare ricette, distinte base, liste di taglio, allergeni, date di scadenza, shelf-life, devono rientrare nella pianificazione. Qui vengono rappresentate anche le varianti ricetta e produzione utilizzate in azienda. Determinanti sono anche il flusso ottimale delle materie prime e la stretta integrazione tra il reparto produzione e le aree acquisti, vendite, dispo e magazzino, perché la parola chiave qui è: freschezza! Il modulo PPS dell’ERP CSB-System tiene conto di questi aspetti e di molti altri ancora. La gestione dei rischi e delle criticità legati alla filiera del fresco avviene da sempre secondo le best practice nazionali ed internazionali. Tutto è documentato in modo sicuro e tracciabile: l’acquisizione dei dati di produzione e il modulo PPS sono perfettamente coordinati tra loro.
Pianificazione e controllo della preparazione ordini
Dopo l’inserimento (tramite EDI o CSB Web Shop o canali più tradizionali) e l’accettazione degli ordini di vendita, questi vengono pianificati in base a scenari temporali di breve, medio e lungo termine e poi assegnati ai singoli reparti e/o postazioni incaricati della preparazione, diventando così degli ordini di produzione. Automaticamente viene realizzato anche un piano di assegnazione delle postazioni di lavoro. In base ai tempi previsti per la preparazione, CSB-System ottimizza l’impiego di risorse umane e delle materie prime/ componenti di produzione.
Controllo degli ordini di produzione
Una volta assegnato l’ordine di produzione, il software ne sorveglia l’avanzamento. Per ogni lotto vengono confrontati i tempi effettivi con i tempi previsti, l’ora di inizio e fine lavorazione. In questo modo i responsabili di produzione possono individuare ritardi e difficoltà insorgenti e così intervenire tempestivamente con misure correttive. Lo stato dei singoli lotti ed ordini di produzione viene visualizzato progressivamente in maniera intuitiva a seconda che siano in elaborazione, completati nei tempi previsti oppure no, non evasi affatto.
Nel settore alimentare ricette, distinte base, liste di taglio, allergeni, date di scadenza, shelf-life, devono rientrare nella pianificazione. Il modulo PPS dell’ERP CSB-System tiene conto di questi aspetti e di molti altri. Tutto è documentato in modo sicuro e tracciabile: l’acquisizione dei dati di produzione e il modulo PPS sono perfettamente coordinati tra loro!
Una volta assegnato l’ordine di produzione, il CSB-System ne sorveglia l’avanzamento.
In alto: il dott. Andrè Muehlberger, dal 2000 direttore della filiale italiana CSBSystem. In basso: Guido Girardelli, sales manager CSB-System.
Procedure semplificate con CSB M-ERP
Grazie all’M-ERP la completa ottimizzazione dell’operatività in produzione potrebbe essere riassunta in tre parole: flessibilità, velocità e controllo. Attraverso il collegamento delle bilance, degli scanner e di tutte le periferiche necessarie, sulla base delle ricette inserite e degli ordini di produzione esistenti, si possono ricomporre gli ingredienti di una ricetta, le cui quantità vengono scaricate dai conti di giacenza di magazzino. Il valore aggiunto deriva da dati sempre aggiornati in tempo reale e sempre corretti e dalla versatilità degli strumenti proposti che si adattano alle procedure operative
presenti in impianto. Aspetto molto utile per avere performance migliori anche nelle vendite.
Pianificazione del sezionamento
Il processo di sezionamento e la sua pianificazione sono supportati in maniera completa dal CSB-System che tiene conto di tutte le scomposizioni in maniera integrata. Grazie alla gestione dei dati relativi alle disponibilità, il CSB-System elabora automaticamente in tempo reale un piano dettagliato di sezionamento che tiene conto del fabbisogno e che determina i valori teorici per gli ordini di produzione di
sezionamento, ottimizzati sulla base delle giacenze di magazzino. Nell’analisi dello scostamento rese per partita avviene il calcolo per la valorizzazione degli articoli risultanti dal sezionamento sulla base di un confronto preventivo/ consuntivo. Tale continuo confronto ha come obiettivo una costante ottimizzazione volta ad una pianificazione migliorata e maggiormente orientata al fabbisogno dell’uscita del processo di sezionamento.
Processo produttivo
sotto controllo
Molti dei clienti CSB riportano che il modulo PPS sia ormai diventato uno strumento strategico nel controllo del processo produttivo. Successo ed utilità si documentano da soli con:
• aumento della disponibilità di consegna;
• pianificazione semplificata delle risorse umane;
• eliminazione delle ore di lavoro straordinarie;
• notevole miglioramento del servizio ai clienti.
Vale la pena sottolineare che l’ERP
CSB-System è un gestionale non solo integrato ma anche modulare e completo, ovvero in grado di gestire un’azienda alimentare a 360º ed include la contabilità generale e industriale, la business intelligence, la manutenzione predittiva, la rilevazione presenze, collegamenti CIM con linee di peso-prezzatura, e molto altro.
Referente:
• Dott. A. MUEHLBERGER
CSB-System Srl
Via del Commercio 3-5
37012 Bussolengo (VR)
Telefono: 045 8905593
Fax: 045 8905586
E-mail: info.it@csb.com
Web: www.csb.com
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
ph: Franceschini Vincenzo
TRADIZIONE IN EVOLUZIONE:
LA STORIA DELLA MACELLERIA
BALLATORI E LA RIVOLUZIONE
FIRMATA STAGIONELLO®
di Raffaele Arcuri
Tra le dolci colline marchigiane, lungo la storica via Salaria, sorge la Macelleria Ballatori Sante, un presidio di tradizione e qualità che racconta la storia di una famiglia e di un territorio. La bottega ha visto crescere generazioni di artigiani della carne, evolvendosi senza mai tradire le proprie radici. Oggi a portare avanti questa eredità sono i fratelli Antonio e Stefano Ballatori, che hanno saputo coniugare il rispetto per la materia prima con una visione moderna e innovativa. La macelleria, situata a Castel di Lama, nel cuore della vecchia Villa Sant’Antonio, rappresenta un punto di riferimento per chi cerca sapori autentici, frutto di lavorazioni artigianali tramandate di padre in figlio.
Una passione che diventa professione
«Il mio percorso nella salumeria è iniziato appena finita la scuola» racconta Antonio. «La passione per questo mestiere l’ho respirata fin da bambino, guardando mio nonno e mio padre lavorare con dedizione. Negli anni, questa passione si è trasformata in un vero e proprio mestiere, che oggi porto avanti con orgoglio insieme a mio fratello». Antonio, in particolare, si è specializzato nella produzione di salumi, un’arte che richiede conoscenza, pazienza e un rispetto quasi religioso per la materia prima. «Quando preparo un salume — continua — sento di raccontare una storia: la storia della mia famiglia, del nostro territorio, della nostra tradizione. Allo stesso tempo, sento la responsabilità di innovare, di evolvermi per garantire sempre la massima qualità e sicurezza».
L’incontro con Stagionello®: una svolta decisiva Il primo incontro della famiglia Ballatori con la tecnologia Stagionello® risale a diversi anni fa, quando il padre di Antonio decise di sperimentare questa innovazione. «Lo Stagionello ci incuriosì subito» ricorda Antonio. «Iniziammo ad usarlo come una nuova sfida, provando diverse ricette, diverse stagionature, giocando con temperatura e umidità per ottenere prodotti sempre migliori». Questa curiosità iniziale si è trasformata in un percorso di crescita professionale che ha portato Antonio a frequentare
la Stagionello Academy, dove ha potuto approfondire il Metodo Cuomo® «L’esperienza formativa è stata davvero motivante e soddisfacente. Ho capito quanto sia fondamentale controllare il pH nelle varie fasi di lavorazione, un parametro spesso sottovalutato ma essenziale per garantire sicurezza e qualità. Questo approccio scientifico mi ha permesso di avere una nuova visione del mio lavoro».
Il Metodo Cuomo®: tra scienza e tradizione
Il Metodo Cuomo unisce rigore scientifico e rispetto per la tradizione. Applicato al dispositivo Stagionello® Salami Curing Device, permette di governare tutte le fasi di trasformazione dei salumi,
dal controllo della fermentazione alla stagionatura fino all’affumicatura e alla cottura. Per Antonio, il passaggio a questo approccio ha significato un cambiamento profondo: «Ho imparato a non lasciare nulla al caso. Oggi posso personalizzare ogni ricetta, adattandola ai gusti dei miei clienti e valorizzando al massimo le caratteristiche della materia prima. Posso creare prodotti unici, con la certezza di offrire sempre la massima sicurezza».
Stagionello® Salami
Curing Device: l’alleato dell’artigiano moderno
Lo Stagionello® Salami Curing Device rappresenta la sintesi perfetta tra innovazione tecnologica e tradizione
Il Metodo Cuomo unisce rigore scientifico e rispetto per la tradizione. Applicato allo Stagionello® Salami Curing Device, permette di governare tutte le fasi di trasformazione dei salumi, dal controllo della fermentazione a stagionatura, affumicatura e cottura
I fratelli Ballatori della Macelleria Ballatori Sante a Castel di Lama, Ascoli Piceno.
L’impianto professionale Stagionello® Salami Curing Device consente di realizzare salumi della norcineria tradizionale durante tutto l’anno.
artigiana. 100% made in Italy, questo impianto professionale consente di realizzare salumi della norcineria tradizionale durante tutto l’anno, come prosciutti crudi e cotti, salami stagionati, capocolli, pancette e mortadelle.
Ciò che rende unico lo Stagionello® è la capacità di gestire in continuo tutti i parametri cruciali del processo: temperatura, umidità, ventilazione, attività dell’acqua (aW) e pH dell’alimento. La tecnologia brevettata (EP 2769276B1) permette di monitorare e regolare ogni fase, garantendo un controllo totale e una sicurezza alimentare senza precedenti.
Il Ricettario Climatico® è uno dei fiori all’occhiello del device: un set di ricette validate scientificamente, avviabili con un semplice click dal display intuitivo. Un vero e proprio patrimonio di conoscenze che ogni artigiano può personalizzare per dare vita a prodotti esclusivi, unici come quelli della Macelleria Ballatori. Inoltre, grazie al sistema Fumotic®, è possibile gestire l’affumicatura aromatiz-
zata a freddo e controllare il calo peso, ottenendo un sapore e una consistenza personalizzati.
Il sistema di sanificazione automatica Cleaning in Place (C.I.P.) semplifica la gestione quotidiana, garantendo pulizia e igiene in modo rapido e sicuro.
Il Registro HACCP integrato consente di monitorare e archiviare costantemente i dati relativi al processo, rispettando le normative vigenti. La connessione remota offre, poi, ulteriori vantaggi: telediagnosi, telegestione, segnalazione allarmi e aggiornamenti in tempo reale, per una gestione smart ed efficiente.
La tradizione che guarda al futuro
«Il mio obiettivo principale — sottolinea Antonio — è servire ai clienti un prodotto che racconti la nostra storia, ma che sia anche sano e sicuro. La tecnologia non sostituisce la manualità o il sapere artigiano, anzi: lo esalta, lo completa. Con lo Stagionello posso creare prodotti che rispettano la tradizione, ma
che rispondono anche alle esigenze di un consumatore moderno, sempre più attento alla qualità e alla salubrità».
Oggi la più grande soddisfazione di Antonio è vedere il sorriso dei clienti quando assaporano i suoi salumi: «Sapere che dietro ogni fetta c’è un lavoro fatto con passione, rigore e innovazione è la mia vera ricompensa. Ad un giovane salumiere consiglio di non smettere mai di studiare, di curare la materia prima e di abbracciare la tecnologia come un alleato prezioso, senza perdere di vista l’autenticità».
La storia della Macelleria Ballatori ci insegna che tradizione e innovazione non sono concetti in contrapposizione, ma binari paralleli su cui far viaggiare il futuro della salumeria italiana. Grazie a dispositivi come lo Stagionello® Salami Curing Device, oggi ogni artigiano può preservare la propria identità, differenziarsi sul mercato e rispondere con orgoglio alla crescente domanda di prodotti genuini, sicuri e dal sapore inconfondibile. Un connubio che, come dimostra Antonio Ballatori, non solo è possibile, ma è la chiave per far vivere e prosperare un’arte antica nel mondo contemporaneo.
Raffaele Arcuri
• Volete approfondire ulteriormente i vantaggi della tecnologia dello Stagionello® Salami Curing Device? Scannerizzate il QR-Code in basso.
Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza.
Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
I PRIMI 50 ANNI DI ZUFFELLATO TECHNOLOGIES
Lo scorso 19 giugno, nella splendida cornice di Palazzo dei Diamanti a Ferrara, Zuffellato Technologies ha celebrato il 50° anniversario di attività alla presenza di Francesco Traspadano Carità, assessore con deleghe allo Sport, Attività produttive, Commercio e Sviluppo Economico. «È stata una serata straordinaria, resa indimenticabile dalla presenza di clienti, partner, collaboratori di ieri e di oggi, che
hanno scelto di essere con noi in questo momento speciale» ha dichiarato Enrico Zuffellato, CEO dell’azienda.
E Palazzo dei Diamanti non è certo stato scelto a caso come sede di questa importante celebrazione. «Come Palazzo dei Diamanti è da sempre un riferimento storico e culturale europeo, così anche noi vogliamo essere motivo d’orgoglio per Ferrara nel mondo. Abbiamo scelto di celebrare i nostri 50 anni di attività proprio qui, nella città
che ci ha visti nascere e crescere, e alla quale siamo profondamente legati. Siamo riconoscenti a tutte le persone, aziende e istituzioni che ci hanno accompagnato lungo questo percorso, contribuendo con passione, fiducia e competenze a farci diventare l’azienda che siamo oggi. Questa sede, simbolo di cultura e storicità nel cuore di Ferrara: è una cornice prestigiosa e ricca di significato, perfettamente in linea con la nostra visione, che da sempre coniuga Alle celebrazioni
innovazione e radici storiche». È stato un momento speciale, dedicato alla celebrazione dei risultati raggiunti e al futuro che Zuffellato Technologies si prefigge di costruire, insieme a partner, clienti e collaboratori.
50 anni di storia tra innovazione, impresa e territorio
Zuffellato nasce nel 1975 a Ferrara, fondata da Giovanni Zuffellato e Vittorina Nori, come concessionaria del GRUPPO OLIVETTI. Sin dai primi anni, l’azienda si distingue per la capacità di anticipare l’evoluzione tecnologica e rispondere con soluzioni concrete alle esigenze delle imprese del territorio. Nel 1979 ottiene la concessione IBM, rafforzando il proprio posizionamento nel settore dell’informatica aziendale. Nel 1984 inaugura la nuova sede a Ferrara, segnando un ulteriore passo nel percorso di consolidamento. È però negli anni ‘90 che l’azienda affronta una svolta decisiva: con l’avvio delle prime soluzioni software gestionali nel 1990, prende forma un cambiamento profondo, che porterà Zuffellato a passare dall’hardware al software, in un vero e proprio cambio di DNA tecnologico e culturale. Nel 2000 l’azienda fa il suo ingresso nel settore agroalimentare, con soluzioni verticali pensate per rispondere alle esigenze specifiche delle filiere produttive. A partire dal 2014, Zuffellato avvia una nuova fase di sviluppo, investendo in tecnologie cloud, intelligenza artificiale, CRM evoluti e partecipando ad importanti progetti europei, con l’obiettivo di innovare ancora una volta la propria offerta e supportare la trasformazione digitale delle imprese italiane.
Il valore delle persone al centro del successo aziendale
«La nostra crescita continua è il risultato dello studio, dell’impegno e della dedizione dei nostri collaboratori, ma anche dell’incontro con tante realtà aziendali che, come noi, hanno creduto nella collaborazione come leva strategica. Insieme a queste imprese abbiamo costruito percorsi di crescita condivisa, basati su valori comuni e una visione evolutiva del business. Il rapporto con
È stato un momento speciale, dedicato alla celebrazione dei risultati raggiunti e al futuro che Zuffellato Technologies si prefigge di costruire, insieme a partner, clienti e collaboratori, quello andato in scena nella splendida cornice di Palazzo dei Diamanti a Ferrara lo scorso 19 giugno.
i nostri clienti è sempre stato paritario e partecipativo. Abbiamo trasformato le loro idee, i loro processi e le loro intuizioni in soluzioni software concrete, progettate su misura. Questo approccio collaborativo ha permesso alla tecnologia di farsi comprendere, rispondere a bisogni reali e diventare un vero alleato per la competitività delle imprese».
I nuovi investimenti
«Nell’ambito dei significativi investimenti che abbiamo destinato allo sviluppo di un nuovo prodotto specifico per il settore agroalimentare, abbiamo scelto di porre grande attenzione anche ai temi legati all’ambiente, alla responsabilità sociale e alla governance, oggi riassunti nell’acronimo ESG» ha sottolineato Barbara Zuffellato, CTO di Zuffellato Technologies. «La nostra visione abbraccia la sostenibilità ambientale, la sicurezza alimentare, l’efficienza energetica e il rispetto per le risorse, consapevoli delle
sfide economiche e ambientali che le imprese si trovano ad affrontare. Questo percorso di innovazione non riguarda solo la tecnologia: coinvolge le persone, promuove la crescita di nuove competenze, stimola l’ingresso in azienda di nuove figure professionali e ci apre a nuove collaborazioni con partner e clienti orientati agli stessi valori».
L’innovazione quotidiana
Zuffellato Technologies è un’impresa che ha saputo innovare in continuità, trasformando sfide tecnologiche in opportunità concrete per i propri clienti. «E questo, con orgoglio, possiamo dirlo anche da impresa a guida femminile, in un settore — quello ICT — storicamente dominato da presenze maschili. La nostra storia parla di visione, ma anche di pragmatismo. Di ascolto dei clienti, ma anche di anticipazione dei bisogni».
>> Link: www.zuffellato.com
AL MAXIMALL POMPEII
NASCE UN’ESPERIENZA
GASTRONOMICA
D’ECCELLENZA:
IL TOCCO EUROCRYOR PER SAPORI&DINTORNI CONAD
EPTA, CON I BANCHI EUROCRYOR, FIRMA
IL REPARTO GASTRONOMIA DI SAPORI&DINTORNI
CONAD: INAUGURATO UN FORMAT DI ECCELLENZA
AL MAXIMALL POMPEII DI TORRE
ANNUNZIATA (NA)
Eurocryor — marchio del Gruppo Epta specializzato nella progettazione e realizzazione di vetrine frigorifere dall’alta valenza estetica e prestazionale—, è il partner tecnologico scelto da Conad PAC2000A — la principale realtà della Grande Distribuzione Organizzata del Centro e Sud Italia — per dare forma al nuovo punto vendita Sapori&Dintorni Conad all’interno del centro commerciale MaxiMall Pompeii di Torre Annunziata (NA).
Nato dalla visione degli imprenditori GIUSEPPE MEDICI e GIOVANNI MAIA e dal lavoro dell’architetto MASSIMO PALLARO, lo store si presenta nella formula ibrida grocerant, in grado di coniugare la vendita diretta di prodotti di alta gamma e tre zone di somministrazione: la pizzeria napoletana Vincenzo Capuano, il bar-pasticceria Calise di Ischia e il pastificio Leonessa, simboli
di una qualità da gustare e degustare in loco. Situato alle pendici del Vesuvio, nell’incantevole insenatura del Golfo di Partenope, il punto vendita si trasforma così in un laboratorio esperienziale in cui sperimentare e dialogare con i sapori di una cultura culinaria d’eccellenza, fondata su materie prime locali e metodi tradizionali di trasformazione e preparazione.
Con Eurocryor, soluzioni flessibili per un’esperienza unica
Con l’obiettivo di valorizzare la ricca offerta gastronomica del territorio e offrire ai consumatori un’esperienza unica, Eurocryor ha selezionato il banco a servizio gastronomia e caffetteria Kite
B della famiglia Flexible Line. Una soluzione perfetta, in virtù della sua estrema flessibilità e dell’approccio sartoriale, per soddisfare esigenze differenziate in termini di tecnologia, design ed estetica.
Il banco è infatti dotato di refrigerazione ventilata e adattativa, volta a mantenere intatte le proprietà organolettiche delle referenze esposte e a regolare automaticamente i valori di temperatura e umidità media, in funzione delle condizioni esterne, a vantaggio di un superiore risparmio energetico. L’arredo integra inoltre una sezione calda, concepita per conservare i deliziosi piatti pronti, preparati al momento.
In più, il banco Kite B è stato completamente personalizzato sotto il profilo estetico con una struttura ad angolo continuo che si integra armoniosamente con lo spazio architettonico, per offrire una lettura fluida dell’intero banco espositivo, senza interruzioni visive.
Un design che, oltre a conferire dinamicità alla presentazione dei prodotti, potenzia l’impatto del reparto gastronomia, accompagnando il cliente alla scoperta di nuovi sapori.
Il banco a servizio gastronomia Kite B firmato Eurocryor della famiglia Flexible Line.
Il nuovo punto vendita Sapori&Dintorni Conad, all’interno del centro commerciale MaxiMall Pompeii, realizzato da Eurocryor, marchio del Gruppo Epta specializzato nella progettazione e realizzazione di vetrine frigorifere estetiche e funzionali.
A rendere questa esperienza ancora più coinvolgente concorrono l’eleganza delle forme, l’illuminazione LED 4C integrata che valorizza ogni sfumatura cromatica e l’uso sapiente della trasparenza: elementi che insieme plasmano un ambiente di vendita raffinato, capace di stimolare i sensi e rafforzare il legame con il cliente.
Infine, un ulteriore punto di forza risiede nell’impiego della refrigerazione naturale a CO2 transcritica, grazie alla quale il nuovo Sapori&Dintorni Conad non solo minimizza il suo impatto ambientale, ma ottimizza i consumi, a vantaggio di una superiore efficienza operativa.
Un esempio virtuoso che dimostra come l’innovazione tecnologica, unita ad un’estetica accurata, possa tradursi in un vantaggio competitivo per i retailer più esigenti.
>> Link: www.eurocryor.com
Gratifichiamoci!
Il report “Eat, Play, Love” di Circana traccia i nuovi trend nei consumi: la crisi spinge gli europei a concedersi gratificazioni, anche nel cibo
Iconsumatori europei, nonostante continuino a essere misurati negli acquisti quotidiani, stanno spendendo in maniera più “generosa” per momenti di gratificazione, anche per quanto concerne il cibo, capace di nutrire al contempo sia corpo e mente. Una reazione al particolare momento storico che stiamo attraversando, in cui la preoccupazione per i conflitti in atto a livello globale, la questione climatica e le pressioni economiche incidono fortemente sul nostro quotidiano.
Eat, Play, Love
Il report “Eat, Play, Love” di Circana offre un’istantanea delle abitudini dei consumatori nel 2025, attingendo alla sua tecnologia all’avanguardia nel settore, all’intelligenza artificiale e ai dati ottenuti attraverso i mercati della vendita al dettaglio di alimentari, foodservice, giocattoli e bellezza in cinque Paesi europei, ovvero Regno Unito, Francia, Italia, Spagna e Germania. Il retail alimentare include invece anche i dati dei Paesi Bassi. Cosa ci dicono i risultati? «Che mangiare non riguarda più solo placare la fame, quanto il migliorare il nostro umore, aggiungere
L’Italia è tra i Paesi con la maggior quota di valore nel mercato degli snack. Cosa ci piace sgranocchiare? Frutta e verdura come spuntino, seguiti da cracker, gallette, taralli e yogurt. Ma il mercato oggi è vario e ricchissimo di proposte “personalizzate“ che vanno ad intercettare i bisogni di diverse categorie di consumatori.
Altri cambiamenti evidenziati nelle preferenze dei consumatori europei
• Una nuova prospettiva sull’alimentazione equilibrata. Poiché il mondo sembra più caotico e le preoccupazioni per la salute, l’obesità e le malattie croniche, aumentano, i consumatori europei vogliono essere più proattivi nel prendere il controllo della propria salute. Alimenti ricchi di proteine, con l’aggiunta di fibre, che rafforzano il sistema immunitario, migliorano l’umore e stimolano la mente rappresentano ora un business economicamente importante e sono saldamente integrati nella cultura alimentare europea. Questo non significa che gli Europei siano completamente contrari alla lavorazione di prodotto. Sebbene le opzioni più naturali siano decisamente richieste, soprattutto in categorie come lo snacking, il 38% dei consumatori crede anche che la lavorazione industriale possa migliorare il gusto e il 40% afferma che rende i prodotti più accessibili.
• Le grandi catene e i punti vendita tradizionali dominano la scena. La scelta di ristoranti, bar, punti di ristoro e negozi di alimentari da parte degli Europei rimane decisamente tradizionale. Acquistiamo ancora maggiormente da catene come Starbucks, Five Guys, Quick e Prêt a Manger rispetto agli operatori indipendenti perché desideriamo valore, convenienza e opzioni di consegna a domicilio facili, che i grandi operatori con operazioni di back-office professionali sono spesso maggiormente in grado di offrire. Questo è evidente anche nella vendita al dettaglio di alimentari. Dopo anni di rapida crescita per i discount, gli Europei stanno tornando ad amare i supermercati. Nell’ultimo anno, le vendite unitarie dei supermercati sono cresciute dell’1,6% rispetto a solo lo 0,8% dei discount.
• Meglio per me e per l’ambiente. Nonostante la pressione sul costo della vita, essere responsabili dal punto di vista ambientale negli acquisti alimentari rimane importante: il 26% dei consumatori europei preferisce opzioni ecocompatibili e il 27% è attratto da marchi socialmente responsabili. Sebbene la maggior parte delle visite ai ristoranti continui ad essere guidata dal desiderio di concedersi un piacere, gli Europei prediligono sempre più prodotti locali e stagionali.
Per quanto concerne i consumi fuoricasa, le prospettive migliori riguardano la colazione, destinata a crescere più velocemente rispetto ad altri momenti di consumo. Parola d’ordine? Rinnovare la proposta, puntando su prodotti ad alto valore aggiunto.
un po’ di “entusiasmo” ad ogni pasto e arricchire in generale la nostra quotidianità anche attraverso la scelta del cibo» risponde Ananda Roy, Senior Vice President of Strategic Insights and Thought Leadership EMEA di Circana. Come nel comparto Gioco (il Play preso in considerazione dal report) è emerso che i consumatori si orientano verso esperienze ludiche che consentano di staccare la spina, ricaricarsi, tornare a emozionarsi, nel Beauty l’attenzione si è spostata su prodotti sensoriali e rituali di benessere ispirati al comfort food, così è avvenuto ugualmente nel Food (Eat). Un cibo che diventa sempre più snack-based, con una spesa per “pasti snack” cresciuta del 9,6%: oggi gli snack rappresentano più un acquisto consapevole che un piacere proibito, che si adatta alle esigenze diverse dei consumatori, allo stile di vita, così pro-
tagonista delle nostre scelte di acquisto. E i numeri lo confermano: lo snacking rappresenta oggi quasi il 40% del valore totale dei prodotti alimentari, generando 234 miliardi di euro in vendite, con un aumento del 2,9% o 7 miliardi di euro in più nel 2024 rispetto al 2023.
Mangiare e sentirsi meglio
La gratificazione alimentare contemporanea non si concentra più su carboidrati, grassi, zuccheri e alcol, ma su sapori internazionali, ingredienti selezionati e acquisizione di nuove competenze culinarie. Un kit culinario curato, ad esempio, può soddisfare il desiderio di gratificazione tanto quanto prodotti tradizionalmente considerati comfort food come una barretta di cioccolato o una vaschetta di gelato. Andare al ristorante riguarda sì il tornare a casa sazi ma anche, e a volte soprattutto, so-
cializzazione, atmosfera, la scoperta di nuove cucine, ingredienti, abbinamenti.
Delivery: esperienza da ristorante a casa
Il delivery nel 2024 ha raggiunto i 29 miliardi di euro. Ordinare a domicilio è uno dei modi più costosi per portare il cibo a casa propria, ma gli Europei stanno usando il delivery per gestire “intelligentemente” la spesa pur continuando a sperimentare cibo di ristoranti di qualità. Ordinando solo il piatto principale a domicilio e acquistando antipasti, dessert e bevande al supermercato, ad esempio, è possibile trasformare quella che sarebbe stata una cena al ristorante da 120 euro in una consegna da 50, mantenendo gran parte dello stesso piacere. Ed è questo uno dei motivi per cui il delivery continua a performare sorprendentemente bene in Europa, anche con l’aumento del costo della vita, con una spesa nell’ultimo anno di 29 miliardi di euro per le consegne di cibo e bevande, in aumento rispetto ai 26 miliardi di euro del 2023.
Doggy bag per tutti
Per i consumatori europei è importante portare a casa ciò che resta del proprio pasto al ristorante se non lo si è consumato in toto. Il risparmio di denaro è la motivazione principale per richiedere la doggy bag, ma anche il ridurre lo spreco gioca un ruolo centrale. Un 19% vorrebbe poi che gli avanzi fossero dati in beneficenza. «Questo non è solo budgeting, attenzione alle spese, ma una forma di empowerment» commenta Edurne Uranga, Vice President Foodservice Europe di Circana. Un desiderio di maggior controllo che ha sicuramente un’origine di tipo emotivo.
Circana è un’azienda leader nella fornitura di tecnologia, intelligenza artificiale e dati agli operatori del largo consumo e di beni durevoli, produttori e distributori, impegnati a ottimizzare il loro business. Le analisi predittive e la tecnologia di Circana consentono ai clienti di misurare la loro quota di mercato, comprendere il comportamento dei consumatori che la guida e accelerare la crescita. La piattaforma tecnologica Liquid Data™ di Circana è alimentata da un vasto set informativo di alto valore e da algoritmi intelligenti sviluppati in sei decenni di esperienza nel settore. Con Circana, i clienti possono intraprendere azioni immediate per preparare il futuro ed evolvere le loro strategie di crescita in un’economia sempre più complessa, dinamica e in continua evoluzione.
>> Link: www.circana.com
Aperitivo: per 2 Italiani su 3 è irrinunciabile e all’italiana
Unione Italiana Food (www.unioneitalianafood.it), nel solco del progetto “Fatti Sotto”, dedicato alla valorizzazione dei vegetali sottolio, sottaceto e in salamoia, ha recentemente reso noto i risultati dell’indagine condotta da Astra Ricerche sulle abitudini di consumo e preferenze degli Italiani durante l’aperitivo. La parola d’ordine per gli intervistati è “ritagliarsi del tempo”, che, per 2 Italiani su 3, avviene come minimo una volta al mese. Tra i più giovani, oltre il 50% degli intervistati si concede un aperitivo almeno 2 volte al mese e il 27,1% almeno una volta alla settimana. Fare aperitivo non significa però solo uscire: gli Italiani apprezzano infatti concedersi questo momento anche a casa, propria o di altri. In 3,5 casi su 10 l’aperitivo è organizzato fra le mura domestiche: da trascorrere con amici e conoscenti per l’81,7% o con i propri familiari, per il 79,4%. E il 54,8% degli intervistati ama immortalare e postare i propri aperitivi sulle principali piattaforme social.
Classico all’italiana, con salumi, formaggi, bruschette, sottoli e sottaceti: è questo l’aperitivo più amato (83,5%). Il 75,3% degli Italiani preferisce un aperitivo vario, con assaggi differenti, e il 67,9% apprezza proposte che includano una varietà di alimenti, tra cui le verdure. In oltre 9 casi su 10, si consumano vegetali sottolio, sottaceto o in salamoia in accompagnamento agli altri prodotti offerti. E se c’è un vincitore in questa categoria, le olive conquistano il podio con il 72% delle preferenze; seguono i pomodori secchi (45,3%) e le cipolle e i cipollotti (40,5%). In classifica anche carciofini (39,6%), funghi (38,7%), melanzane (34,7%), cetrioli (30,7%), peperoni (30,7%), zucchine (23,9%) e carote (22,4%). I vegetali conservati, come dichiarato dal 44,1% degli intervistati, si prestano facilmente a vari abbinamenti (36,7%), creano un contrasto di sapori (35,1%) e si sposano bene con le bevande consumate (28,5%) — un calice di vino bianco frizzante (48,9%), una birra chiara (32,3%) o un cocktail (31,3%) —, senza dimenticare il basso apporto calorico, proprietà nutrizionali e digeribilità, oltre che la possibilità di poter consumare anche verdure non di stagione. Principalmente consumati come stuzzichini da soli (49,7%), sottoli, sottaceti e verdure in salamoia piacciono anche serviti in accompagnamento a salumi e formaggi (38,2%), grissini o taralli (31,5%), per farcire crostini e bruschette (28,3%), arricchire panini e tramezzini (27,1%). Tra gli abbinamenti preferiti, vince il grande classico olive e Martini (54,4%), seguito da pomodori secchi con caprino (43,1%) e con gorgonzola (37,3%). La giardiniera va a braccetto con lo Spritz (36,8%), i cetriolini con il salmone affumicato (30,0%), i peperoni in agrodolce con la birra ambrata (29,8%), le cipolline borettane con il Gewürztraminer (24,3%) (fonte: EFA News – European Food Agency).
Snack economy
Circana svela un settore da € 234 miliardi che alimenta il retail europeo
Si mangia meno ma con più frequenza o si sostituiscono i pasti con snack. Gli elementi che ne guidano la scelta sono l’adattabilità ai vari momenti della giornata e la capacità di soddisfare le esigenze del proprio stile di vita: snackification!
Il mercato europeo degli snack ha raggiunto un valore di 234 miliardi di euro nel 2024, in crescita del +2,9% su base annua, con un incremento di 7 miliardi di euro, nonostante i volumi venduti siano rimasti stabili a 115 miliardi di unità: è questo quanto emerge dalla nuova analisi “Snack Unwrap: The Insatiable Craving for Growth” di Circana. Il report si basa su dati vendita al dettaglio di 6 mercati chiave: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito e include 628 segmenti tra snack dolci, salati, freschi, surgelati e funzionali, offrendo una panoramica del comportamento dei consumatori e mettendo
in evidenza i trend, le innovazioni e i brand che guideranno la crescita futura del settore.
Oggi gli snack rappresentano il 40% del valore delle vendite di alimentari confezionati in Europa. «La corsia degli snack è diventata lo specchio dello stile di vita contemporaneo, plasmata da nuove tendenze legate a dieta, abitudini e momenti di consumo che vanno oltre quelli tradizionali» ha commentato Ananda Roy, SVP Thought Leadership ed Europe CPG Growth Advisor di Circana. «Per restare rilevanti, i brand a livello globale devono bilanciare gusti locali con motivazioni di consumo universali come piacere, praticità e benessere
L’analisi “Snack Unwrap: The Insatiable Craving for Growth” di Circana è la più approfondita mai realizzata sul mercato europeo degli snack. Si basa su dati vendita al dettaglio di sei mercati chiave: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e UK, e include 628 segmenti tra snack dolci, salati, freschi, surgelati e funzionali.
Perché il successo non si misura solo in quote di mercato, ma in capacità di essere rilevanti. Per vincere, bisogna trattare gli snack me come una categoria e più come una cultura: fluida, ibrida e in evoluzione».
La categoria degli snack sta evolvendo più rapidamente rispetto a qualsiasi altra dopo la pandemia, spinta da un’ondata di trend che riflettono priorità salutistiche, stili di vita e bisogni/emozioni in cambiamento. Dalle opzioni ad alto contenuto proteico o per la salute intestinale agli snack minimamente processati, i consumatori compiono scelte più intenzionali, alla ricerca di energia, equilibrio o comfort. Aumentano ad esempio le proposte con la formula “piacere sì, ma dalle porzioni controllate” e le alternative plant-based La crescita dei volumi è guidata da categorie funzionali e orientate alla salute come Cereali e barrette per la colazione (83,6 milioni, +6,0%), Frutta secca e disidratata (160,2 milioni, +4,9%), Formaggi (478,4 milioni, +3,1%), Yogurt (303,2 milioni; +3,5%).
Supermercati in testa, discount in crescita, mentre cala la prossimità I supermercati continuano a dominare il mercato europeo degli snack, rappre-
Salumeria Italiana, 4/25
sentando il 50% del valore complessivo delle vendite, con una crescita del +2,1% nei volumi. I discount rivestono un ruolo sempre più importante, generando 44 miliardi di euro di vendite e registrando crescita sia in valore che in volume. Al contrario, i negozi di prossimità mostrano un calo nei volumi, mentre gli ipermercati restano stabili. E-commerce e canali specializzati più piccoli, pur con una quota complessiva minore, sono quelli a registrare i tassi di crescita più elevati, evidenziando opportunità emergenti nel digitale e nel retail di nicchia.
Paesi Bassi e Italia in testa per quota valore, UK e Germania guidano per vendite totali
I Paesi Bassi (44,6%) e l’Italia (43,2%), tra i 6 principali mercati europei, vantano le quote valore più alte per gli snack, confermando il forte orientamento dei consumatori verso questa categoria. Nel frattempo, Germania (60 miliardi di euro, +2,5%) e Regno Unito (53 miliardi di euro, +3,6%) guidano per vendite totali in valore, riflettendo la maturità dei rispettivi mercati e il ruolo centrale degli snack nelle principali economie del ramo beni di largo consumo europeo.
>> Link: circana.com
Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni.
Prendere le decisioni giuste –questa è la cosa più importante per ogni azienda Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.
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FRUTTA E SALUMI E l’estate è servita
Con l’arrivo dell’estate, le temperature salgono e la voglia di piatti freschi, leggeri e veloci cresce. In questo scenario, i salumi possono trovare una nuova veste di servizio e quindi consumo: non solo protagonisti di taglieri robusti, di gusti e ingredienti, ma anche compagni versatili e sorprendenti se abbinati alla frutta di stagione. Un modo per valorizzare i prodotti della nostra tradizione, mantenendo vivace l’interesse del consumatore anche nei mesi più caldi.
Innanzitutto, l’abbinamento salumifrutta non è solamente una questione di gusto, ma anche un gioco di equilibri tra sapidità, dolcezza, freschezza e consistenze, che regala esperienze sensoriali raffinate, perfette sia per l’aperitivo casalingo e non che per la ristorazione veloce.
E se il classico “prosciutto e melone” è da decenni l’emblema di questa combinazione vincente, il panorama degli abbinamenti possibili è molto più ampio e ricco di sfumature, da interpretare con creatività.
Coppa stagionata e fichi freschi
La dolcezza carnosa del fico fresco si sposa perfettamente con la sapidità e la speziatura della coppa. Ideale su una fetta di pane rustico o in versione finger food con una goccia di aceto balsamico.
Bresaola e agrumi (arancia o pompelmo rosa)
L’acidità e il succo degli agrumi sgrassano il palato, esaltando la delicatezza della bresaola. Perfetta l’aggiunta di un filo d’olio evo e qualche scaglia di formaggio grana.
Mortadella e lamponi
Sorpresa: la morbidezza e la speziatura gentile della mortadella vengono vivacizzate dalla nota acidula dei lamponi. Ottimo l’accompagnamento di una crema di ricotta leggera.
Salame Felino e albicocche mature
La grana e il gusto intenso del Felino si ammorbidiscono con la dolcezza dell’albicocca matura. Da proporre su crostini o in forma di spiedini.
Speck e pere
La croccantezza e la leggera acidità della pera, soprattutto nelle varietà più aromatiche (come la Williams), bilanciano l’affumicatura decisa dello speck.
Lonzino e ciliegie
Il gusto del lonzino di maiale, un salume magro, dal sapore delicato, incontra la dolcezza acidula delle ciliegie. Fondamentale un tocco di pepe nero macinato fresco.
Guanciale e anguria
L’anguria, dolce e dissetante, si contrappone alla grassezza sapida del guanciale: un abbinamento audace, da servire ben freddo.
Culatello di Zibello e pesche nettarine
La pesca, specie se leggermente acerba, valorizza il sapore nobile e stagionato del culatello. Un piccolo lusso estivo.
Consigli di servizio
* Gli abbinamenti possono essere proposti come piatti freddi in gastronomia, spiedini da asporto, vaschette miste pronte o aperitivi veloci con etichette regionali.
* La frutta può essere tagliata in modo scenografico o marinata con limone, erbe aromatiche o miele, per esaltare il dialogo con i salumi.
* Attenzione alla stagionalità e alla maturazione della frutta: un frutto maturo al punto giusto può elevare anche il salume più semplice.
* Non dimentichiamo il ruolo del pane: fragrante, rustico, integrale, completa l’esperienza sensoriale e rende il servizio più completo.
L’estate non è nemica dei salumi, anzi: sta agli operatori in bottega trovare proposte che uniscano gusto, estetica e cultura gastronomica.
Frutta e formaggi: il gusto dell’armonia
Anche i formaggi, come i salumi, trovano nella frutta estiva una compagna perfetta. Ecco alcuni abbinamenti da proporre al banco o su un tagliere:
• Caprino fresco e fragole: la cremosità e l’acidità del caprino si sposano con la dolcezza profumata delle fragole fresche. Meglio ancora se si aggiungono pepe rosa e foglioline di menta.
• Parmigiano Reggiano stagionato e pere: un grande classico, dove la grana saporita del formaggio incontra la succosità della pera in un equilibrio perfetto.
• Gorgonzola dolce e fichi: morbido, pungente, aromatico, il gorgonzola trova nei fichi un complemento ideale, da esaltare con un filo di miele.
• Pecorino sardo e albicocche secche: il sapore deciso del pecorino si smorza elegantemente con la dolcezza intensa delle albicocche disidratate.
• Stracchino e pesche gialle: sorprendente e fresco, da servire su di un pane ai cereali o in cucchiai monoporzione.
• Da non dimenticare l’uva, che con la sua dolcezza e acidità si sposa sempre molto bene con la sapidità e la cremosità dei formaggi, creando un contrasto piacevole al palato. Con pochi gesti, insomma, si può trasformare un semplice tagliere in un’esperienza gourmet da proporre anche durante l’estate.
BUONA ESTATE E BUON NATALE!
Èrisaputo che, quando si vogliano effettuare acquisti e ordini di strenne presso salumerie e belle botteghe di gastronomia in vista del Natale, è consigliabile farlo con un discreto anticipo, entro metà novembre o, al più tardi, nei primissimi giorni di dicembre. Ciò al fine di assicurarsi che la consegna avvenga prima delle festività, in quel periodo dell’anno in cui ci si muove sempre e comunque in ritardo rispetto all’agenda prefissata, travolti da mille impegni e imprevisti. Questo perché le scorte dei prodotti più richiesti tendono ad esaurirsi rapidamente e, per garan-
tire la consegna entro Natale, molti servizi richiedono ordini entro specifici termini. Ma se questo è valido per noi consumatori, per gli operatori del canale del normal trade è necessario “agire” molto, molto prima: ed è proprio l’estate il momento delicato in cui occorre selezionare prodotti ed inoltrare ordini da ricevere in autunno.
Come sarà questo Natale?
A parte la solidità dei prodotti della tradizione agroalimentare italiana, quelli locali e del territorio, che sono sempre protagonisti di ceste e doni, quali sono i macro trend di mercato in
questo momento per il Natale 2025?
Quali sono i driver che guidano i nuovi interessi degli acquirenti, magari quelli di fascia più giovane, da prendere in considerazione per un’offerta meno tradizionale e più creativa? Vediamoli:
1. Sperimentazione/contaminazioni a livello culinario;
2. Focus sulla sostenibilità;
3. Arte bianca e pasticceria ricercata;
4. Cucina che migliora l’umore;
5. Dolci con un tocco salato;
6. Vini e bevande bio e “naturali”;
7. Spumanti e bollicine;
8. Prodotti No-Low Alcol;
9. Gin, non si arresta la crescita.
1. Sperimentazione/contaminazioni a livello culinario
L’utilizzo di ingredienti esotici e la fusione di cucine diverse per creare dolci e piatti con sapori inaspettati.
4. Cucina che migliora l’umore
Il cibo come forma di cura di sé, con l’uso di ingredienti che favoriscono il benessere psicofisico, anche durante le feste: premiarsi con consapevolezza.
7. Spumanti e bollicine
Il mercato degli spumanti continua a crescere, trainato dalla domanda di vini leggeri e frizzanti per diverse occasioni di consumo. Il Prosecco resta protagonista.
2. Focus sulla sostenibilità
Ingredienti locali, a km 0, e prodotti che garantiscano una maggiore attenzione all’ambiente durante la produzione. E zero sprechi: la doggy bag si fa anche a casa!
5. Dolci con un tocco salato
L’introduzione di elementi salati nei dolci, dal pizzico di sale agli ingredienti con sapori più marcati, per creare contrasti e complessità gustativa.
8. Prodotti No-Low Alcol
Il trend è particolarmente evidente tra i consumatori più giovani e più attenti alla salute, che cercano alternative agli alcolici tradizionali senza rinunciare al gusto.
3. Arte bianca e pasticceria salata ricercata
Pane e pasticceria salata fatti con farine inusuali, lievitati con lievito madre e arricchiti con ingredienti freschi e stagionali.
6. Vini e bevande bio e “naturali”
Preferenza per i prodotti percepiti più genuini e rispettosi dell’ambiente, anche nel Beverage. Il trend riflette il desiderio di consumare vini e bevande più in armonia con la natura.
9. Gin, non si arresta la crescita
Se il mercato degli spirits continua a soffrire anche nel 2025, quello dei gin si conferma il cuore pulsante del settore. Un prodotto su cui vale la pena investire.
Il Natale 2025 vedrà una grande attenzione alla qualità degli ingredienti, alla sostenibilità come elemento guida e alla creatività, con il desiderio di sperimentare nuovi sapori e combinazioni per rendere le feste di fine anno ancora più speciali. Sempre protagonisti i prodotti locali accanto a quelli esotici come matcha, yuzu e agrumi asiatici e alle spezie che si integreranno con le tecniche tradizionali per creare dolci capaci di sorprendere. La riscoperta delle farine poco raffinate e delle lunghe fermentazioni andrà a braccetto con i pani proteici, anche in versione Christmas, e una pasticceria salata che vuole essere scenografica oltre che golosa.
I panettoni di Pistì: frutta estiva e pistacchio di Bronte DOP
Pistì è una rinomata pasticceria artigianale siciliana che nasce nel 2001 a Bronte ed è celebre per l’uso del pistacchio verde di Bronte DOP nelle sue preparazioni artigianali dolci e salate, che comprendono panettoni, creme e torroni. Longevo e resistente, capace di crescere abbarbicato su terreni lavici e scoscesi, il pistacchio verde è, a buon diritto, il simbolo della città di Bronte e del suo territorio, le pendici dell’Etna. E il gusto più intenso e deciso che l’oro verde di Bronte è capace di donare ovunque si posi, si ritrova anche nella versione estiva del panettone, il dolce italiano natalizio per eccellenza, che Pistì, per la stagione più calda, propone in due versioni squisitamente locali:
* Lestivo Fotonico, con, tra gli altri ingredienti, albicocche candite (15%) e ananas candito (10%), entrambi tagliati a cubetti e dolcificati con zucchero e sciroppo, una glassa dolce a base di zucchero e mandorle a coprire e, sopra, il 3% di pistacchio e una spolverata di zucchero in granella a rendere tutto più croccante e gustoso;
* Lestivo Fotonico Magico (in foto), con ananas candito (3%) a cubetti, pesca candita (3%), albicocca candita (3%) e frutti di bosco canditi (3%) — fragole, mirtilli e more — tutti dolcificati e acidificati naturalmente. La superficie è ricoperta da una glassa dolce a base di zucchero, farina di riso, farina di mandorle, amido di mais e aromi naturali, arricchita con il 3% di pistacchio e una spolverata di zucchero in granella per una piacevole croccantezza. Un mix di sapori perfetto. Il formato, per entrambe le versioni, è da 750 grammi. I panettoni sono confezionati a mano con cura artigianale. Da provare con la granita a colazione, a merenda col gelato e come speciale dopo cena.
>> Link: www.pisti.it
Panettone, torte e biscotti firmati Loison per il Natale 2025
Loison Pasticceri ha presentato in fiera a TuttoFood le novità del Catalogo Inverno Natale 2025 e la nuova linea continuativa BlackHabana®, che dal primo panettone novità del 2024 si è evoluta in biscotti e una inedita edizione della torta Tosa. Il Panettone artigianale Blackhabana® ha una farcitura di crema al cioccolato fondente e rum ed è addolcito dalla Vaniglia naturale Mananara del Madagascar, presidio Slow Food, mentre la nuova Tosa Blackhabana® è realizzata con una base di frolla croccante al cacao, un cuore morbido al cioccolato fondente e rum e una deliziosa copertura frangipane.
L’impianto è stato promosso e realizzato dal Consorzio del Prosciutto di San Daniele DOP e rappresenta un concreto risparmio di materie prime
di Riccardo Lagorio
Un’azione che va al di là delle spesso enfatiche affermazioni di marketing: l’inaugurazione a fine giugno a Trasaghis (UD) del nuovo impianto per il recupero e la valorizzazione degli scarti salini derivanti dalla produzione del Pro-
sciutto di San Daniele DOP. L’impianto, promosso e realizzato dal Consorzio attraverso la società controllata Promo San Daniele Srl, rappresenta infatti un concreto gesto nel risparmio di materie prime attraverso il recupero dei residui. Un tangibile contributo all’ambiente e
all’economia. Peraltro l’impianto è una struttura unica nel suo genere a livello europeo, pensata per trattare e rigenerare due tipologie di rifiuti (il sale solido esausto e la salamoia) trasformandoli in prodotti riutilizzabili nell’ambito del trattamento stradale, della concia delle
In alto: i locali dello stabilimento a Trasaghis (UD) inaugurato a giugno. A pagina 89: locali di stagionatura del San Daniele.
pelli e dell’industria. Il tutto secondo un modello di economia circolare che riduce sensibilmente i costi di smaltimento e l’impatto ambientale.
Il nuovo impianto sorge a pochi chilometri dal Distretto di San Daniele e garantisce il 100% del fabbisogno di trattamento dei 31 produttori consorziati. È stato concepito su due linee operative: una linea per il sale solido, attiva circa 200 giorni all’anno, e una per la salamoia, operativa 350 giorni l’anno, 24 ore su 24.
Il sale esausto viene sottoposto a vagliatura, lavaggio igienizzante, essiccamento e insaccamento, mentre la salamoia è trattata con una sequenza di processi fisico-chimici e biologici che ne consentono la separazione in acqua pulita ed elementi solidi recuperabili.
La gestione coordinata per il trattamento del sale e della salamoia per i produttori del San Daniele avviene dai primi anni Duemila conferendo i materiali a impianti abilitati fuori
regione. Alla luce dell’avvio del nuovo impianto, il trasporto dei rifiuti salini è stato completamente eliminato: gli automezzi che partono da San Daniele del Friuli percorrono oggi solo 35 km tra andata e ritorno, con una riduzione stimata dell’88% delle distanze.
Al termine del trattamento, il sale rigenerato, che non può essere destinato ad usi alimentari, trova nuova vita in applicazioni sostenibili. Grazie alla sua qualità tecnica, potrà essere utilizzato
come agente antighiaccio per strade e autostrade regionali o impiegato nella concia delle pelli, offrendo così una seconda destinazione d’uso in ambiti industriali.
Con questo ulteriore tassello, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele conferma la propria adesione ai principi dell’economia circolare, trasformando l’unico residuo di lavorazione in una risorsa utile e contribuendo concretamente alla riduzione degli sprechi.
Nicola Martelli, presidente Consorzio del Prosciutto San Daniele, ha sottolineato che il progetto rappresenta soprattutto «un impegno concreto verso un modello produttivo più sostenibile, efficiente e rispettoso del territorio. È il risultato di collaborazione, visione e responsabilità condivise che ha coinvolto tutto il Sistema del San Daniele»
Dal punto di vista energetico, l’impianto è dotato di un sistema di cogenerazione che copre il 97% del fabbisogno elettrico e il 49% di quello termico, migliorando ulteriormente l’efficienza e riducendo i consumi.
Anche l’aspetto paesaggistico e ambientale è stato valutato con attenzione in fase di autorizzazione, ottenendo classificazioni di impatto “trascurabile” per tutte le principali variabili.
Il progetto, partito nel 2021 con studi preliminari, ha ottenuto il via libera definitivo nel 2024 e ha coinvolto centinaia di ore di progettazione tecnica e oltre 12 mesi di lavori. La sua inaugurazione segna una tappa fondamentale all’interno dell’articolato programma di azioni di sostenibilità avviato oramai da tempo dal comparto legato alla produzione del San Daniele DOP.
Sul fronte ambientale, il Consorzio interviene anche nella gestione collettiva dell’energia, nella gestione dei rifiuti e nella salvaguardia del territorio e delle acque, anche grazie ad un impianto di
depurazione delle acque dei prosciuttifici già dagli anni Novanta. Inoltre, il comparto pone da sempre un’attenzione specifica al territorio di San Daniele del Friuli e al fiume Tagliamento, lavorando ai temi di formazione e informazione, oltre alla valorizzazione economica e turistica del territorio.
Nicola Martelli , presidente del Consorzio del Prosciutto San Daniele, ha difatti sottolineato che il progetto «non rappresenta solo un investimento tecnologico, ma soprattutto un impegno concreto verso un modello produttivo più sostenibile, efficiente e rispettoso del territorio. È il risultato di collaborazione, visione e responsabilità condivise, che ha coinvolto tutto il Sistema del San Daniele
Un altro dato importante è che non abbiamo consumato territorio: si tratta di un fabbricato inutilizzato che abbiamo riconvertito anche grazie a termini di autorizzazione particolarmente rapidi».
Riccardo Lagorio
Il Tagliamento, l’ultimo grande fiume dell’Europa centrale che ancora scorre liberamente, seguendo il suo corso originario, rappresenta un elemento fondamentale per il San Daniele DOP. “Grazie alle sue acque si determina il particolare microclima di San Daniele del Friuli, che rappresenta uno dei tre ingredienti principali del nostro prosciutto” si legge su www.sandanielemagazine.com, magazine on-line del Consorzio del Prosciutto di San Daniele. Consorzio che si impegna da sempre per tutelare il Tagliamento e le sue acque. “È grazie al Tagliamento se il San Daniele DOP ha quel sapore caratteristico e quei tratti aromatici inconfondibili. Questo fiume friulano rappresenta un bene prezioso non solo per tutta la filiera coinvolta nella produzione del San Daniele DOP, ma per tutto il territorio”.
Mozzarella di Bufala DOP: i 10 errori più comuni nel consumo
Il 68% dei consumatori commette il più grave degli errori: taglia la Mozzarella di Bufala Campana DOP a fette, come fosse un formaggio qualsiasi. Un gesto apparentemente innocuo, ma che altera il delicato equilibrio tra la sapidità della pelle esterna e la dolcezza del cuore. È quanto emerge da un’indagine condotta da Fattorie Garofalo, primo produttore mondiale di Mozzarella di Bufala Campana DOP, su un campione di 1.200 consumatori europei, intervistati nei travel retail dell’azienda situati nei principali aeroporti e stazioni italiane. Dall’analisi emergono abitudini scorrette, tanto diffuse quanto penalizzanti, che alterano il gusto del prodotto. Molti consumatori, ad esempio, mangiano la mozzarella direttamente dal frigorifero, senza darle il tempo di tornare a temperatura ambiente, compromettendo così sapore e consistenza. Altri la immergono in acqua del rubinetto, compromettendone la salinità originale. Non mancano errori anche nella fase del consumo e dell’abbinamento. Molti la accompagnano con vini troppo tannici o corposi, inadatti alla sua delicatezza, oppure con pane integrale o troppo saporito che ne copre il gusto. C’è poi chi esagera con i condimenti – olio, spezie, erbe –, alterando l’identità semplice e pura della mozzarella. Inoltre, secondo Fattorie Garofalo, l’ideale sarebbe consumarla con le mani. Se è necessario tagliarla, si dovrebbero utilizzare coltelli in ceramica a lama liscia per seguire la fibra naturale della mozzarella ed evitare di “strapparla”. Uno degli aspetti più sottovalutati, ma fondamentali, è la lettura dell’etichetta: il 31% dei consumatori non presta attenzione alla denominazione di origine e alla provenienza. Per Fattorie Garofalo, leggere con attenzione l’etichetta è il primo passo per apprezzare meglio la mozzarella, comprenderne la tradizione e garantire autenticità e trasparenza, proteggendosi dalle imitazioni e dall’Italian Sounding. Conoscere cosa si sta acquistando significa anche rispettare il lavoro di chi produce eccellenze certificate e di chi regolamenta i disciplinari di produzione.
Italiani solo quarti in Europa per attenzione al consumo Il sondaggio ha stilato anche una classifica dei cinque popoli europei più attenti nel consumo corretto della mozzarella di bufala. Al primo posto ci sono i Tedeschi, meticolosi e informati, seguiti dagli Spagnoli, che si distinguono per il rispetto della temperatura di servizio e la semplicità negli abbinamenti. Sul terzo gradino del podio i Francesi, abili nell’integrare la mozzarella in piatti freddi e raffinati. Solo quarti gli Italiani, penalizzati proprio dalla disattenzione: la conservano male, la condiscono troppo e spesso la tagliano nel modo sbagliato. Chiude la classifica la popolazione belga, con un approccio più riservato ma crescente in cultura del prodotto.
BRISVAL: QUANDO TOMAHAWK E CODONE DIVENTANO BRESAOLE
Carni pregiate valorizzate per la produzione di bresaole d’autore: è Brisval, un piccolo laboratorio artigianale ubicato a Novate Mezzola (SO), all’inizio della Valchiavenna. Tradizione locale e grande esperienza di Lara Abrati
Oltre alle bresaole classiche, dall’italiana di Fassona piemontese alla francese di Limousine, Brisval propone anche quelle di Black Angus irlandese, di Angus iberico e, direttamente dal Giappone, di Wagyu.
La bresaola, si sa, è un prodotto molto conosciuto e consumato, soprattutto sulle tavole di tutti i giorni. Un salume che racconta molto della zona in cui viene prodotto in merito alla sua lavorazione, ma anche su cui vi è un dibattito acceso in merito alle carni utilizzate per la sua produzione. Il Disciplinare a cui è soggetta è inserito in una forma di tutela troppo blanda, ovvero l’Indicazione Geografica Tipica che, per le sue caratteristiche, ne indica la modalità produttiva e ne tutela la lavorazione in un territorio ben definito, senza vincolare la provenienza delle carni, ma nemmeno la loro qualità e conservazione. Tutto dipende dalle singole scelte di ogni salumificio: come in ogni ambito, ve ne sono di virtuosi e di meno attenti. Ecco che carni da tutto il mondo arrivano in Valtellina, senza vincoli sulla loro freschezza (vengono utilizzate a volte anche carni surgelate) e sulla loro tipologia.
Da Brisval tutto questo è storia lontana. Arrivano anche in questo laboratorio carni da tutto il mondo, ma si tratta di carni pregiate, la cui provenienza è chiara, nonché la loro selezione in termini di razza e tipologia di allevamento. Qui la grande esperienza nella selezione di carni di qualità si unisce all’esperienza nella loro trasformazione in bresaole di Simone Ferraro, la cui storia professionale si sviluppa tutta nel mondo della produzione di bresaole. «Abbiamo a disposizione un piccolo laboratorio dove lavoro per la produzione di bresaole utilizzando anche tagli non convenzionali. Mi sono sempre concentrato nel lavorare le carni in modo naturale».
Con questa filosofia di base è nata Brisval, che vede la presenza e il supporto di un altro socio, Luca Aloisio, in qualità di amministratore.
Quindi alla valorizzazione del processo di produzione si aggiunge una selezione fine delle carni, con parametri che escono dalla territorialità, ma che si basano sulla vita e le caratteristiche dell’animale: dall’alimentazione alla genetica fino allo stile di vita. Un grande valore aggiunto. Ecco allora che nascono le bresaole classiche, che si differenziano per le caratteristiche delle carni di provenienza: dall’italiana bresaola di Fassona piemontese,
caratterizzata dalla magrezza e dalla tenerezza delle sue carni, perfetta per chi ricerca un prodotto leggero, senza trascurare il piacere gastronomico nel suo assaggio, alla bresaola di Limousine, di provenienza francese, lavorata solo con sale e 8 spezie e, infine, stagionata per almeno 60 giorni: forse il prodotto in assoluto più magro di tutta la produzione Brisval.
A questo punto, salto di gusto con la bresaola di Black Angus irlandese e di Angus iberico (selezione MIGUEL VERGARA): una razza che nelle due varianti presenta caratteristiche molto simili, soprattutto per la presenza della marezzatura decisa che regala infinita dolcezza e tenerezza, ma che si distingue nell’aroma e nel sapore per l’alimentazione a cui sono sottoposti gli animali rispetto alla loro provenienza: Irlanda e Spagna, più delicata la prima, più complessa e decisa la seconda.
In un crescendo di marezzatura, dolcezza e tenerezza, la bresaola di Wagyu, direttamente dal Giappone, con una marezzatura classificata come A5: viene lavorata come tradizione e stagionata più a lungo, fino a 90 giorni, rispetto ai 60 delle altre tipologie. Che dire: non serve masticarla, si fonde in bocca.
Infine, due prodotti particolari, pensati a partire da due tagli che in genere non vengono utilizzati per la produzione di bresaole e, in generale, di salumi: la tomahawk e il codone di manzo, due parti utilizzate per il consumo cotto
alla brace o sulla griglia. Due prodotti sorprendenti, inusuali e unici.
La bresaola di tomahawk è soprannominata anche “Bresaola dell’amicizia”, perché ben si presta ad essere condivisa. La classica bistecca con l’osso viene lavorata come fosse una bresaola e stagionata. Ne nasce un prodotto da tagliare a fettine e condividere, nel nome della tenerezza e dell’aromaticità.
Poi il carpaccio di picanha, in realtà non proprio una bresaola. Un prodotto per gli amanti della carne cruda, che regala grande soddisfazione gastronomica. L’infinita piacevolezza all’assaggio è data dall’unione del contrasto tra parte magra e grassa del taglio, che creano una sensazione tattile inusuale, insieme alla speziatura e agli altri ingredienti che vengono normalmente utilizzati nella lavorazione delle bresaole, in una combinazione aromatica e gustativa complessa.
Non solo lavorazione artigianale: qui la differenza vera la fa anche la selezione delle carni di provenienza in un’altalena di sapori, aromi, consistenze che fanno fare al palato un vero e proprio giro del mondo a suon di carni pregiate, ma con un filo rosso che lega tutti gli assaggi: la tradizione della bresaola chiavennasca e la sensibilità artigiana di chi, ogni giorno, sceglie di lavorare queste carni con naturalezza e conoscenza.
Lara Abrati
>> Link: brisval.it
L’originalissima bresaola di tomahawk.
DOL Di Origine Laziale
testi e foto di Massimiliano Rella
Prodotti ed eccellenze del Lazio da comprare o gustare sul posto, raggruppate da un selezionatore di lunga esperienza: è la storia di successo di DOL – Di Origine Laziale, dei tre locali a marchio Proloco (Centocelle, Pinciano, Trastevere) e del suo ideatore, Vincenzo Mancino. Lucano di Cancellara (PZ), 49 anni, Mancino arriva a Roma nel 1995 per studiare Psicologia a La Sapienza. Allora, come tanti giovani, per mantenersi durante il percorso universitario si avvicina al mondo della ristorazione. Scopre presto però un’autentica passione per l’enogastronomia che lo porta a cambiare progetti di vita e ambizioni professionali:
a 24 anni lascia gli studi e apre Saltatempo, BiOsteria in un centro sociale di Centocelle, al Casale Falchetti, un fabbricato rurale tra i palazzoni frutto dell’urbanizzazione anni ‘50-‘60 di Roma est, su viale della Primavera. Sono tempi intensi di socialità, di cucina e di ricerca di prodotti biologici e territoriali, con la consapevolezza che già allora comprare questi ingredienti fuori dalla regione sarebbe stato sciocco.
L’esperienza maturata e i rapporti ormai consolidati con la filiera — produttori bio, spesso piccoli — lo portano nel 2005 ad un altro cambio di direzione, l’apertura di DOL – Di Origine Laziale, allora un piccolo negozio di eccellenze
regionali, sempre a Centocelle, quartiere popolare e popoloso. «Prodotti che allora a Roma non avevano mercato e che ho pensato di raggruppare in un piccolo negozio di quartiere per rifornire direttamente i consumatori e il mondo della ristorazione», ricorda Mancino.
Finita l’esperienza con Saltatempo nel 2008, sulla stessa strada di DOL, qualche tempo dopo, si libera uno spazio più efficiente e agevole per ampliare il progetto con un locale di ristorazione in abbinamento alla vendita diretta. Nasce Proloco Centocelle, il primo dei locali con prefisso Proloco che Mancino aprirà negli anni successivi in altri
Specialità gastronomiche del Lazio da Proloco Centocelle a Roma.
In alto: selezione di vini locali da Proloco Centocelle. In basso: prosciutti laziali.
quartieri della capitale: Proloco Pinciano nel 2014, Proloco Trastevere nel 2018, questi due anche pizzeria con forno a legna. Infine, lo scorso anno, una grotta di affinamento dei formaggi — 70 tipi, tutti del Lazio — sotto il Monte dei Cocci, nel quartiere di Testaccio.
Da tempo, dunque, i prodotti del selezionatore DOL si possono acquistare e mangiare direttamente nei tre locali. Noi abbiamo visitato il più storico, Proloco DOL Centocelle: uno spazio di 200 m2 compresa la cucina, due sale e una saletta privata (totale 60 coperti), più un ampio bancone di bontà casearie e norcine di piccoli produttori laziali, due vetrate su strada, arredi di recupero, tavoli e sedie tutti diversi e un’atmosfera informale dagli accenni vintage, una vecchia Vespa tra i tavoli, un frigo anni ‘50, un grande mobile di legno a parete stipato di bottiglie di vino e altre curiosità.
Per i golosi, 350 referenze tra formaggi, vini di 110 cantine con un focus sui naturali (a rotazione tutti anche al calice), oli extravergini delle DOP Tuscia, Colline Pontine, Sabina e Canino e un’ampia selezione norcina di salumifici laziali come la Morta DOL,
una mortadella speziata con la cannella macinata e prodotta in esclusiva da un laboratorio di Montefiascone (VT), la Mortadella di razza Mangalitza dell’azienda Solo Brado di Grotte di Castro (VT), la Coppa di testa di un’azienda di Monte San Giovanni Campano (FR), il Prosciutto di Campocatino dolce di Erzinio Prosciuttificio Ciociaro di Guarcino (FR) o il Prosciutto addobbo di Bassiano (LT) firmato Reggiani. Unico forestiero, un prosciutto di suino Nero lucano, in omaggio alle origini di Vincenzo, del Salumificio Casa Rago, di Miglionico, nel Materano.
Tra i formaggi, si va dai freschi, come la ricotta di pecora, agli stagionati, come il Conciato di San Vittore, prodotto con solo latte ovino dei pascoli laziali originario della civiltà sannitica, e la Caciottina di bufala Amaseno, entrambi del Frusinate. Troviamo confetture, sottoli, la pasta del Pastificio Lagano di Roma, i Fagioli del Purgatorio di Acquapendente (VT) o il Fagiolone di Valle Pietra. Per il pesce, infine, solo alici da Anzio, sotto sale e sottolio. Tutto questo in vendita e distribuito anche alla ristorazione romana: circa 100 locali di fascia medio-alta.
Completa l’offerta una ristorazione — a pranzo e a cena — di tradizione e territorio, preparata dallo chef 35enne Carlo Fiorini, origini ciociare e lunga formazione in cucina cominciata dopo il diploma all’alberghiero di Fiuggi. Tra i piatti un saporito primo di Pici al ragù bianco di Mangalitza con soffritto di sedano, carota, cipolla, bacche di ginepro, il tutto mantecato con Parmigiano Reggiano. Tra i secondi l’appetitoso Maialino da latte in porchetta con puntarelle e salsa aioli, ricetta che prevede un “imporchettamento” della carne, in seguito arrostita al forno e servita con il fondo di cottura. Conto medio per tre portate 40 euro, bevande escluse. Tra le curiosità per i clienti che vogliono replicare a casa la cucina di Proloco Centocelle c’è un Kit di Amatriciana “fai da te”, contenente gli ingredienti per 4 persone, ovvero 400 grammi di spaghetti, 125 grammi di guanciale gran riserva DOL, 330 grammi di pomodori pelati, 100 grammi di pecorino romano DOP, sale q.b. E, naturalmente, la ricetta.
Massimiliano Rella
>> Link: www.dioriginelaziale.it
Fernando Cazzola, storico garzone di Proloco Centocelle, Vincenzo Mancino, ideatore e proprietario del locale, lo chef Carlo Fiorini e il giovane garzone Riccardo Fontana.
Indagine Ipsos: tra le 5 eccellenze agroalimentari del Paese, il 27% degli Italiani cita un prodotto della Parma Food Valley
Tra i 5 prodotti gastronomici che meglio rappresentano il nostro Paese nel mondo, il 27% degli Italiani cita spontaneamente una filiera della Parma Food Valley, all’interno di un territorio conosciuto dal 43% degli intervistati. È questo uno degli spunti emersi da una ricerca Ipsos sul territorio rappresentato da Fondazione Parma Creative City of Gastronomy UNESCO che racchiude 6 tra le più importanti filiere dell’agroalimentare italiano: Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, pasta (Barilla), pomodoro (Mutti e Rodolfi), latte (Parmalat) e le alici (Delicius, Rizzoli e Zarotti). La Fondazione è stata costituita nel 2017, a seguito della nomina di Parma a Città Creativa UNESCO per la Gastronomia, avvenuta nel dicembre 2015. L’ente di ricerca ha condotto uno studio sulla conoscenza e l’apprezzamento del marchio Parma Food Valley in Italia. Sono state 1.246 le interviste realizzate su una popolazione dai 18 ai 74 anni; il 48% degli intervistati è stato intercettato nel Nord, il 18 al Centro e il restante 34% tra Sud e isole.
I dati economici delle 6 filiere
La ricerca è stata effettuata su un’area di grande rilievo dal punto di vista economico. Nel 2023 (ultimo dato complessivo disponibile) le 6 filiere hanno sommato un fatturato al consumo di oltre 11 miliardi di euro. Le due DOP — 3,05 miliardi per il Parmigiano Reggiano e 1,7 per il Prosciutto di Parma — e Barilla (4,9) rappresentano la fetta maggiore, seguiti dal pomodoro (quasi 800 milioni di euro), latte (720) e alici (135 milioni), in un settore di cui Parma è leader e che attraverso le tre aziende presenti rappresenta più del 70% delle acciughe consumate in Italia. Un territorio, quello della Parma Food Valley, che fa dell’export un fiore all’occhiello: sul fatturato complessivo, circa 5 miliardi (il 44%) derivano dalle esportazioni. Secondo i dati pubblicati da UPI (Unione Parmense degli Industriali), basati sui report Istat dei valori alla produzione, quello ducale rappresenta il 5% dell’intero export alimentare italiano, cifra che sale al 32% se riparametrata sull’Emilia–Romagna. E, in una situazione geopolitica minacciata dai dazi, è possibile analizzare anche i Paesi più importanti. Se Francia e Germania sono ai primi due posti, nell’ultimo anno sono stati proprio gli Stati Uniti a registrare la maggior crescita sull’export, con un +21,7% rispetto al 2023, seguiti dal Canada (+21,1%), Spagna (+19,1%) e Regno Unito (+15%). Più in generale, dal 2015 l’export della Parma Food Valley è sempre cresciuto, arrivando in 10 anni a sfiorare il +100%. Mentre per quanto riguarda le importazioni, gli USA non compaiono nei primi 20 posti di una classifica guidata dalla Spagna. Infine, dal punto di vista occupazionale l’agroalimentare parmense può vantare 1.052 aziende sfiorando i 15.000 addetti.
Un aspetto significativo emerso dalla ricerca riguarda le motivazioni di acquisto: il 63% degli intervistati pone la qualità al primo posto, mentre il 52% indica il gusto come elemento decisionale. Questi dati confermano come l’eccellenza gastronomica italiana continui a essere un punto di forza riconosciuto a livello nazionale e internazionale.
Insaccati tipici del Viterbese
La Susianella ETRUSCA
di Nunzia Manicardi
L’area di produzione è molto limitata, trattandosi esclusivamente di quella parte della Tuscia in cui ricadono il comune di Viterbo e i territori limitrofi da cui deriva la specificazione di Viterbese.
Prodotto di nicchia, che negli anni scorsi ha rischiato l’estinzione, e prodotto interessantissimo, a partire dalla sua storia. Questo insaccato tradizionale ha infatti origini antichissime, risalenti quasi
certamente alla civiltà degli Etruschi che abitavano queste zone prima di essere sopraffatti dai confinanti Romani. La sua produzione un tempo era limitata ai soli mesi invernali: i mesi in cui si macellava il maiale, da novembre a marzo. Oggi i norcini locali riescono a produrla anche in altri periodi dell’anno. Sono rimasti in pochi, e ancor meno sono quelli che continuano a farlo secondo i criteri tradizionali. Anche per questo la Susianella viterbese è tutelata
da un Presidio Slow Food (sostenuto da ARSIAL – Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio) che cerca sia di valorizzare quello che resta, sia di ricondurre sotto questa “bandiera” di salvaguardia coloro che un po’ alla volta si sono allontanati dalla tradizione più autentica snaturando il prodotto fino a renderlo più simile a un comune salume.
La Susianella viterbese ha invece caratteristiche peculiari che non de-
vono essere assolutamente stemperate o confuse con altre, a partire da quel sapore attraente ma forte e deciso che si ricollega anche gustativamente ai tratti distintivi della civiltà etrusca altrettanto forte e decisa di cui è espressione gastronomica.
Questo sapore è quello delle frattaglie del maiale, con un retrogusto lievemente piccante esaltato da erbe e spezie. Le frattaglie impiegate sono cuore, fegato, pancreas, pancetta, guanciale e altre rifilature di carne provenienti da suini che raggiungono un peso di 130-160 kg. Vengono macinate non troppo finemente e condite con sale, pepe, peperoncino, finocchio selvatico e altre spezie.
L’insacco è in budello naturale di suino, chiuso da entrambi i lati e legato a mano alle estremità in modo da assumere la tradizionale forma a ferro di cavallo, talvolta a ciambella, le cui dimensioni variano dai 30 ai 50 cm di lunghezza, con un peso che oscilla tra i 300 e i 500 grammi secondo la stagionatura. Quest’ultima, dopo una breve asciugatura, avviene in ambienti freschi e asciutti e si protrae da un minimo di 20 giorni fino a 6 mesi.
A processo ultimato il prodotto raggiunge una compattezza ottimale ma si sconsiglia di conservarlo oltre, sia per la componente sanguigna che per il sapore già molto deciso.
Al taglio la Susianella si presenta di colore variabile a seconda della stagionatura: se è poco stagionata è rosa cupo (motivo per cui probabilmente il nome ricorda le susine), altrimenti può arrivare fino al marrone. I sentori olfattivi sono intensi e penetranti, da quelli tipici del fegato e del finocchietto selvatico, nella prima fase di maturazione, alle note complesse di cioccolato e sottobosco, con il già ricordato retrogusto lievemente piccante.
La Susianella viterbese si può gustare affettata su pane casereccio oppure cuocendola alla brace, in ogni caso preferibilmente sullo sfondo della bella e verde Tuscia dove i discendenti degli Etruschi continuano ad abitare cercando di mantenere anche il filo con la loro storia più antica.
IL RESPIRO DEGLI IBLEI: miele di timo, oro amaro e selvatico di Sicilia
di Chiara Papotti
C’è un momento, nei mesi che precedono l’estate, in cui le alture pietrose degli Iblei sembrano ardere silenziosamente di un fuoco segreto. È il tempo del timo, quando i cespugli bassi della gariga si accendono di rosa e porpora e l’aria si fa più densa, vibrante, intrisa di un profumo balsamico che sa di terra antica, mare lontano e vento caldo. In quel momento, le api siciliane, custodi instancabili del paesaggio, si mettono in marcia. Volano leggere tra le gole delle cave, planano sulle terrazze rocciose, danzano tra i rami nodosi del timo selvatico (Thymus capitatus o Thymbra capitata), che i pastori chiamano satra o satarèdda. Ed è lì, in quell’estate lenta che si affaccia tra maggio e agosto, che nasce uno dei mieli più rari e poetici del Mediterraneo: il miele di timo ibleo, oggi Presidio Slow Food.
Non è un miele per tutti il miele di timo. Non ha l’arrendevolezza zuccherina degli agrumi, né la bonarietà domestica del millefiori. Ha qualcosa di ruvido, di selvatico, di antico. Cristallizza lentamente, come se non volesse cedere subito alla dolcezza. Il suo colore è quello dell’ambra limpida, i suoi aromi ricordano le erbe secche, la resina, la spezia gentile. In bocca è pieno, persistente, con un fondo aromatico che avvolge e resta.
È un miele che sa di sole e di silenzio, di rocce che faticano a dar frutto, ma
Miele ibleo prodotto nella Valle dell’Anapo, dove si trova una delle più importanti aree archeologiche e naturali del Mediterraneo, la più grande necropoli rupestre dell’Europa, riconosciuta dall’UNESCO.
che lo fanno con fierezza. Il suo gusto è il riflesso della sua terra: i Monti Iblei, dove le colline odorano di rosmarino e finocchio selvatico e le api volano tra la storia e la mitologia.
Lo conoscevano già STRABONE, OVIDIO, VIRGILIO, PLINIO IL VECCHIO. Lo citavano come uno dei più pregiati di tutto il mondo allora conosciuto. Non a caso, la sua terra d’origine prende nome da
una figura mitica: Ibla, regina silenziosa di un tempo perduto, dea o città che fu, memoria scolpita nei nomi di Megara Hyblaea e dei Monti Iblei.
Assaggiare questo miele è come posare la lingua su un frammento di quella civiltà scomparsa: un gusto stratificato, un soffio di resina e sole, un’eco che arriva da millenni fa. Ma la poesia ha bisogno di difesa. I timeti — gli ultimi regni della satra selvatica — stanno scomparendo, divorati dal cemento, dalle fiamme, dai pesticidi, dalle raccolte indiscriminate. La resa delle api si è ridotta drasticamente: dai 6 kg ad arnia degli anni d’oro a poco più di 2 kg. Le garighe, un tempo pascoli aromatici per le api, vengono spesso sbancate per fare spazio a coltivazioni o strade. E così, anche il miele di timo rischia il silenzio.
Il Presidio Slow Food nato attorno a questo prodotto non è solo un sigillo di qualità. È un progetto di resistenza culturale ed ecologica: tutela le ultime fioriture, promuove la riforestazione del timo, sostiene gli apicoltori che ancora oggi — come pellegrini laici — portano le loro arnie a bottinare tra le cave e le
pietraie. Chi ha la fortuna di assaggiare il miele di timo ibleo non può limitarsi a spalmarlo su una fetta di pane. È un miele da contemplare o da abbinare, con rispetto, cercando armonie e contrasti che lo esaltino come i sapori decisi, ancestrali, dei formaggi e dei salumi della tradizione.
Con un pecorino siciliano stagionato, granoso e sapido, il miele crea un contrasto sontuoso: la salinità del formaggio viene ingentilita dalla dolcezza speziata del timo, in un equilibrio che pare scritto dalla natura. Su una fetta di caciocavallo ragusano, quando raggiunge il cuore burroso della maturazione, basta un filo di miele per evocare l’estate sui pascoli iblei.
Anche i formaggi erborinati, come un Gorgonzola dolce o un Bleu d’Auvergne, trovano nel miele di timo un compagno sorprendente: l’aroma selvatico del miele smorza la forza della muffa e amplifica i suoi toni più nobili, floreali.
E se si desidera osare con i salumi, il miele di timo si rivela sorprendente anche in quel campo. Sul lardo stagionato con erbe mediterranee, ad
esempio, alcune gocce rivelano una nota balsamica intensa e pulita.
Accanto ad una coppa di suino Nero dei Nebrodi, dal gusto profondo e leggermente affumicato, la dolcezza resinosa del miele costruisce una sinfonia saporita e complessa. E persino una ventricina piccante, rossa di peperoncino e grassa d’orgoglio, trova nella nota dolce e pungente del miele un contrappunto raffinato, quasi provocatorio. Infine, con una ricotta salata grattugiata o una selezione di frutta secca su pane nero di segale, il miele di timo mostra tutta la sua versatilità e capacità evocativa.
Il miele di timo ibleo è una lezione di lentezza. Di quelle che si imparano nei luoghi duri, dove il suolo si lascia vincere solo da chi sa aspettare. È il sapore di un mondo in equilibrio precario, ma ancora possibile. Una dolcezza che non cede mai al banale. Un’aroma che parla a chi sa ascoltare. Se la Sicilia ha un respiro, è quello delle sue api. E quando si posa su una fetta di pecorino o su un tagliere di salumi, quel respiro diventa racconto.
Chiara Papotti
A TUTTO SUGO
di Giorgia Fieni
Mangiamo pasta quasi ogni giorno dell’anno. È il piatto che caratterizza la cucina italiana. D’altra parte, i cereali sono alla base della piramide alimentare, subito sopra l’esercizio fisico e l’acqua. Ma raramente mangiamo la pasta così com’è, come si suol dire “in bianco”. A noi piacciono i sughi, ovvero quegli intingoli che iniziano con olio e soffritto (di carota, sedano, cipolla) e a cui aggiungiamo tutto ciò che ci piace, preso dal frigorifero e/o dalla dispensa.
Sughi classici, moderni, curiosi, più o meno ricchi e famosi
Un tempo il sugo (e metto in questa categoria anche i ragù) erano “alla bolognese”, “alla siciliana”, “alla napoletana”, “alla genovese”, ecc…, richiamando al palato e alla mente i prodotti tipici di una città o di una regione. Il massimo della variazione era “alla contadina” o “alla rustica” o “all’ortolana”, con i prodotti dell’orto e, in contrasto, “alla montanara”, con ciò che era raccolto e coltivato sulle alte vette, o “alla marinara”, con pesce di mare e/o di lago. Poi, con la “cucina moderna”, sono arrivate le invenzioni, ovvero i nomi strani che, quando li troviamo scritti in un menù, o in un ricettario, non sono tanto intuitivi come una volta.
Ci sono quelli che bene o male abbiamo già sentito nominare. “Alla carrettiera”: con strutto, carne macinata, vino e pomodori, pecorino a completare (ma le ricette possono variare molto: GUALTIERO MARCHESI, per esempio preparava questo sugo con aglio, guanciale, funghi, tonno sottolio). “Alla carcerata”: con salsiccia, brandy, peperoncino. “Alla pecorara”: con melanzane, ricotta, grana. “All’Alfredo”: con burro e parmigiano (in grandi quantità) e aroma di limone o menta. “All’ubriaca”: con vino.
Ci sono quelli dedicati a personaggi famosi. “Alla Frank Sinatra”: con panna, cipollotti, zafferano. “Alla garibaldina”: con pomodoro, agnello, ricotta, pecorino (il nome deriva dal fatto che si pensa sia stata servita l’11 maggio 1860, data dello sbarco a Marsala). “Alla Rossini”: con foie gras, prosciutto cotto affumicato, tartufo. “Alla Ugo Tognazzi”: con barbabietole, pan-
na. “Alla Cavour”: con rigaglie di pollo (il conte era un appassionato di frattaglie), carne di manzo ed eventualmente tartufo. “Alla Norma” (la protagonista dell’opera di VINCENZO BELLINI): con pomodoro, melanzane, ricotta salata, basilico. “Alla Verdi”: con panna, grana, estratto di carne.
Ci sono quelli che hanno il nome di una mamma, di una nonna, di una zia, di un papà… che “lo cucinava sempre” Non vi faccio esempi ma sono sicura che nel vostro cuore esiste almeno un sugo che vi aspettava nei momenti allegri o tristi della vostra vita.
Ci sono quelli che ricordano un altro piatto famoso (tipo “Alla parmigiana di melanzane”) o una stagione dell’anno o un colore. Ci sono quelli che sembrano una barzelletta. “Alla zozzona”: con panna, piselli, funghi, salsiccia. “Alla puttanesca” (la cui origine deriva forse dalle case di appuntamenti presenti nel napoletano): con pomodori, olive, capperi ed eventualmente acciughe. “Dei cornuti”: una pasta al burro chiamata così perché era l’unica cosa che la moglie poteva preparare al marito dopo aver trascorso il tempo a tradirlo (e non avendo quindi potuto preparare un sugo più sostanzioso).
Ci sono le varianti del piccante: “All’assassina”, “Alla diavola”. Ci sono quelli inventati dagli chef, con nomi stranissimi che hanno un’attinenza con l’arte, con un ricordo personale, con un paesaggio, con un luogo…
Un sugo per dirti “I love You” Cosa possiamo dedurre sul sugo da questo elenco? Innanzitutto che abbiamo molta fantasia e adoriamo dedicare il cibo alle persone a cui vogliamo bene. E poi ho notato che in molti esiste la panna: evidentemente è sinonimo di golosità. Per cui potete sbizzarrirvi liberamente, inserendo ogni ingrediente che abbia importanza per voi o vi sembra possa andare d’accordo con gli altri sapori presenti. E se dovesse venir male, potete sempre chiamarlo “sugo pasticciato”!
Nel cuore di Almería, una città ordinata e graziosa, vivace, turistica ma senza turismo di massa, c’è un luogo che rappresenta la sua anima gastronomica di più lungo corso: è il Mercado Central. Inaugurato nel 1892, oggi completamente ristrutturato, è il cuore pulsante della vita gastronomica locale. Due piani, decine di banchi e un solo obiettivo: offrire ogni giorno prodotti freschi, genuini, locali.
Al piano terra si trovano frutta, verdura, conserve, pane e formaggi. Il
piano inferiore, più vivo e brulicante, ospita le pescherie, le macellerie e le bancarelle di salumi. Protagonista assoluto: il Jamón ibérico, affettato finemente e pronto da gustare, ma anche una ricca selezione di salumi artigianali, come la Morcilla, e formaggi della penisola iberica. E poi lui, il re degli ortaggi di Almería: il pomodoro Raf Piccolo, dalla buccia sottile, polpa soda e sapore unico, nasce nelle serre lungo la costa, dove cresce con poca acqua e tanto sole. Dolce, acidulo, perfetto da gustare crudo con olio extravergine e
sale grosso. È un simbolo, ma anche uno dei motori agricoli della provincia di Almería, una delle aree a più alta vocazione agricola d’Europa. Chilometri e chilometri di serre — il cosiddetto Mar de plástico — si estendono fino ai confini del Parco naturale di Cabo de Gata-Nijar, coltivando pomodori (Raf, Daniela, Obelix), zucchine, melanzane, cetrioli e molto altro, per il mercato interno e l’export europeo.
La provincia è anche terra di vini. Sulle pendici della Sierra Nevada nascono etichette interessanti, tra cui
quelle delle cantine Fuente Victoria (www.bodegafuentevictoria.com) e Cortijo El Cura (cortijoelcura.com). A Lubrín, nell’entroterra, si producono formaggi di capra di ottima qualità, espressione dell’economia contadina della zona. Ma per capire davvero cosa significhi mangiare ad Almería, bisogna entrare in un posto preciso: Casa Puga ( www.barcasapuga.es ) Nato nel 1870 all’angolo tra calle Jovellanos e calle Lope de Vega, questo bar di tapas è molto più di un locale. È un pezzo di storia cittadina, un luogo
che ha attraversato guerre, difficoltà economiche e passaggi generazionali senza perdere la propria identità. Le pareti raccontano tutto: botti annerite, vecchie chitarre, colorate etichette, foto in bianco e nero, immagini sacre. Dietro al bancone, la famiglia Puga serve ancora oggi baccalà fritto, salumi locali, vino di Alboloduy, patate lesse e piatti della tradizione almeriense. Il loro segreto è la continuità. Casa Puga non è mai diventata “alla moda”: è rimasta fedele a se stessa, punto fermo per chi cerca sapori semplici.
Anche i piatti della tradizione raccontano molto del carattere di questa terra, sospesa tra mare e deserto. Prendiamo la Olla de trigo, una zuppa rustica a base di grano ammollato, ceci, carne di maiale (espinazo, coda, zampetto, pancetta e morcilla), patate e finocchio selvatico. Oppure i Gurullos, piccoli gnocchetti di farina serviti con sughi di carne (pollo o coniglio) o pesce e arricchiti con cipolla, pomodoro, paprica e aglio. O ancora le Migas, briciole di pane fritto con aglio e olio, arricchite da salame chorizo, pancetta e morcilla, gustate da sole o con una zuppa di pesce.
Tra i piatti di mare, il Calamar en aceite, calamaro “glassato” all’olio evo con rosa di aglio alla griglia è uno dei più rappresentativi della costa. Tra i dolci non può mancare la Talvina,
crema semplice di latte, farina e cannella: memoria di una cucina povera ma sincera.
Per chi cerca una cucina più creativa, c’è Las Eras, il ristorante dello chef Antonio Gázquez nel deserto di Tabernas (antoniogazquez.com). Qui la tradizione viene reinterpretata con tecnica e passione. Gázquez propone ad esempio una Olla de trigo rivisitata, ma anche piatti come il coniglio all’aglio o l’Ensalada del Desierto, una composizione di ortaggi, olive, tortino di peperoni e pomodori su crema di peperone giallo grigliato, arricchita da Muhammara, una crema tipica siriana preparata con peperoni rossi, patate dolci, noci e un tocco di garum essiccato.
Chi ama il mare può spingersi fino al porto di San José, nella penisola incantata di Cabo de Gata, un paradiso naturale. Nel villaggio si trova 4 Nudos, ristorante specializzato in cucina di pesce (4nudossanjose.com). Distribuito su tre piani, con una terrazza estiva che affaccia sul porticciolo, propone ogni giorno pesce freschissimo fornito dai pescatori locali. In menu: riso ai frutti di mare, insalata di polpo con formaggio di capra e vinaigrette alle noci, rana pescatrice al forno a bassa temperatura. La carta dei vini è curata e cambia spesso, con una selezione attenta di etichette andaluse. Massimiliano Rella
L’ingresso e un ricco banco di carne e salumi al Mercado Central di Almería, costruito nel 1892 su progetto dell’architetto Antonio Martínez Pérez.
LA DIFFERENZA FRA CIBI PROCESSATI E ULTRA-PROCESSATI
di Susanna Bramante
Nel dibattito sulla corretta alimentazione si tende spesso a confondere i cibi processati con quelli ultra-processati, considerandoli indistintamente dannosi per la salute in quanto intrinsecamente poveri di nutrienti. Tuttavia, esiste una differenza fondamentale tra queste due categorie: mentre i primi comprendono alimenti trasformati in modo minimo per migliorarne la conservazione o la sicurezza, i secondi sono sottoposti a processi industriali intensivi che ne alterano profondamente la composizione.
Processati e ultra-processati: la classificazione NOVA
Per chiarire questa distinzione, possiamo fare riferimento alla classificazione NOVA, che suddivide gli alimenti in 4 gruppi in base al livello di trasformazione:
• Gruppo 1 – Alimenti non trasformati o minimamente trasformati (frutta, verdura, carne, pesce, latte, uova e legumi secchi);
• Gruppo 2 – Ingredienti culinari trasformati (olio, burro, sale, zucchero);
• Gruppo 3 – Alimenti processati (prodotti derivati dagli alimenti del primo gruppo, con l’aggiunta di ingredienti del secondo gruppo; includono pane, formaggi, verdure in scatola, pesce in scatola e salumi);
• Gruppo 4 – Alimenti ultra-processati (prodotti altamente trasformati con additivi artificiali, come snack industriali, bibite zuccherate, piatti pronti e surgelati, sostituti della carne e cibi vegetali ultra-elaborati). NOVA è molto utile a livello intuitivo (il Gruppo 4 è il più problematico nella dieta occidentale), ma a volte fallisce negli aspetti più formali ed in alcune zone grigie. È certo una bussola utile che cerca di evidenziare gli alimenti che il buon senso ci dice essere problematici, ma non è certo perfetta. Nessun sistema semplificato lo è, soprattutto quando si parla di nutrizione.
Cosa sono gli alimenti ultra-processati?
I cibi ultra-processati sono in genere matrici alimentari disgregate, composte da ingredienti economici e lavorati come zuccheri, amidi, oli di semi e proteine isolate, combinati con numerosi additivi
I cibi processati, come sono ad esempio i salumi, subiscono solo modifiche minime per migliorarne durata e sicurezza. Se consumati con moderazione e all’interno di una dieta adeguata, non comportano affatto gli stessi rischi dei cibi ultra-processati
come coloranti, aromi, dolcificanti ed emulsionanti. La loro iper-palatabilità ne incoraggia il consumo eccessivo, contribuendo all’obesità e ai problemi metabolici, mentre la loro promozione con etichette ingannevoli di sostenibilità o salute confonde ulteriormente i consumatori.
I cibi iper-processati sono dunque il risultato di lavorazioni industriali estreme, che modificano radicalmente la struttura degli alimenti freschi. Tra i processi più comuni troviamo:
• idrogenazione e idrolisi, per modificare grassi e proteine.
• estrusione e rimodellamento, per ottenere texture diverse da quelle naturali.
• aggiunta di additivi, tra cui coloranti, aromi artificiali, emulsionanti, conservanti e dolcificanti.
Tra i prodotti di questa categoria rientrano burger vegetali, cotolette vegane e altre alternative alla carne, che spesso contengono più di cinque ingredienti (i più noti Veg Burger ne hanno oltre 20) e sono progettati per imitare il sapore e la consistenza degli alimenti originali. Numerosi studi hanno evidenziato che un consumo eccessivo di questi cibi è associato a obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di tumori e disturbi intestinali. Inoltre, per fare un esempio, se un prodotto di origine animale è ricco di zuccheri/carboidrati raffinati (e ha un alto carico glicemico), ed è anche diluito e ricomposto in modo da essere povero di proteine e micronutrienti, c’è qualcosa di gravemente sbagliato. Di solito, questo è indice di un consumo da fast food.
Il punto di forza dei prodotti di origine animale tradizionali — che fanno dunque parte del patrimonio enogastronomico di interi Paesi e regioni — come alimenti sani è che piccole porzioni sono in grado di apportare
molti nutrienti preziosi senza eccesso di carboidrati/calorie.
I consigli convenzionali sull’alimentazione sana non sono riusciti a guidare le popolazioni verso migliori abitudini alimentari. Nonostante l’abbondanza di opzioni alimentari nelle società ricche, c’è una crescente dipendenza dagli alimenti ultra-processati. Questi alimenti, spesso commercializzati in modo ingannevole come salutari, sono prevalentemente prodotti da grandi aziende per massimizzare i profitti, sostituendo i prodotti di origine animale più densi di nutrienti.
Cibi processati: non tutto ciò che è trasformato fa male Al contrario, i cibi processati subiscono solo modifiche minime, come cottura, fermentazione o conservazione, per migliorarne la durata e la sicurezza. Questi alimenti includono salumi, formaggi, pane fresco, yogurt, verdure sottolio o sottaceto e legumi in scatola. Un errore comune è considerare i salumi tra gli alimenti ultra-processati, quando in realtà fanno parte del Gruppo 3. Se consumati con moderazione e all’interno di una dieta adeguata, questi alimenti non comportano affatto gli stessi rischi dei cibi ultra-processati e possono benissimo far parte di un regime alimentare sano.
È fondamentale non cadere nell’errore di demonizzare tutti i cibi trasformati. Gli alimenti ultra-processati sono da evitare o ridurre al minimo, mentre quelli processati possono essere consumati in modo equilibrato. Per fare scelte più consapevoli, è importante leggere attentamente le etichette e informarsi sulla reale natura degli alimenti che acquistiamo.
PSA: UN PROGETTO FIRMATO CEREP PER TUTELARE L’EXPORT
DEI SALUMI ITALIANI
Quattro Istituti Zooprofilattici Sperimentali coinvolti (Umbria-Marche, LombardiaEmilia Romagna, Venezie e Abruzzo-Molise), una trentina di ricercatori impegnati, un capofila, il Centro di referenza nazionale per le
pesti suine di Perugia (CEREP), e un responsabile scientifico, Francesco Feliziani. È la squadra che da circa un anno e mezzo lavora al Progetto di Ricerca Corrente Strategica 2023 African Swine Fever Free Meet Export Agreement on Trading (ASFree M.e.a.t.), promosso
e finanziato dal Ministero della Salute con un contributo di 250.000 euro. «Il progetto — spiega Feliziani — affronta con approccio scientifico il problema della persistenza del virus della PSA nei salumi stagionati utilizzando metodi tradizionali come l’isolamento virale e
Garantire la continuità dell’export dei prodotti di salumeria assicurando elevati standard di biosicurezza e rassicurando i mercati internazionali, anche in un contesto pandemico causato dalla PSA: è questo l’obiettivo che si prefigge il progetto African Swine Fever Free Meet Export Agreement on Trading (ASFree M.e.a.t.).
sistemi più moderni come la Pcr digitale. Stiamo inoltre verificando la capacità sanificante dell’innovativo trattamento HPP (High Pressure Processing), una tecnica non termica che potrebbe inattivare il virus in alimenti confezionati». Qualche altra domanda in merito.
Tempistiche e obiettivi
Quando è partito il progetto e quando si concluderà?
«All’inizio del 2024 è stata avviata la fase preparatoria al disegno sperimentale che ha richiesto diverso tempo. Il termine è previsto per la fine di quest’anno, anche se abbiamo appena inoltrato la richiesta di proroga di un anno che auspichiamo venga accolta».
Un progetto strategico per l’export
Qual è il valore e l’importanza di questa iniziativa?
«Molto rilevante per almeno due motivi. Innanzitutto i quattro Istituti Zooprofilattici coinvolti hanno sviluppato una sinergia proficua tra esperti di sanità animale e sicurezza alimentare, cosa piuttosto inusuale. Inoltre, l’obiettivo è garantire la continuità dell’export dei prodotti di salumeria assicurando elevati standard di biosicurezza e rassicurando i mercati internazionali, anche in un contesto pandemico causato dalla PSA Il progetto ha suscitato grande interesse tra operatori del settore, imprese, istituzioni e stakeholder e per questo confidiamo anche sul loro contributo per proseguire la ricerca».
Risorse e prospettive
Per un progetto così ambizioso 250.000 euro di finanziamento non sono tanti… «È vero, ma si tratta dello stanziamento massimo previsto per questa tipologia di ricerca. Se la proroga verrà accolta, contiamo di accedere anche ad altri fondi, pubblici e privati».
Le sei fasi del progetto
Come si articola il progetto?
«In sei fasi; alcune, propedeutiche, sono già concluse. Stiamo raccoglien-
Francesco Feliziani, responsabile scientifico del progetto ASFree M.e.a.t., è responsabile del Centro di referenza nazionale per le pesti suine (CEREP) ed è membro del Comitato scientifico della Giornata della Suinicoltura. Sarà quindi tra i relatori dell’8a edizione dell’evento, in programma il 15 ottobre prossimo all’RMH Hotel di Modena.
do i primi risultati su prodotti insaccati artificialmente contaminati, anche dopo trattamento Hpp. Altre attività sono in via di completamento e procedono bene. Le ultime due fasi riguardano la comunicazione, fondamentale per diffondere correttamente obiettivi e risultati a cui segue la collaborazione con Paesi Terzi per una ulteriore validazione scientifica del progetto e l’avvio di accordi commerciali più favorevoli all’Italia. In questo contesto, abbiamo individuato il Canada come partner ideale grazie a rapporti scientifici e commerciali già consolidati che riteniamo possano facilitare lo scambio di dati e informazioni».
Origini e sviluppi
Il progetto è nato con l’esplosione dei primi focolai di PSA nel suino domestico?
«In realtà no. I lavori erano iniziati prima dell’emergenza. Al CEREP avevamo già avviato prove su salumi freschi per potenziare le poche informazioni scientifiche disponibili. Più recentemente, avevamo testato l’Hpp su omogenati d’organo contaminati artificialmente. Lo studio si era rivelato interessante, ma aveva evidenziato anche difficoltà tecniche e pratiche. Il forte interesse del Ministero della Salute e degli stakeholder ci ha però spinto a proseguire. Il Dicastero guidato da ORAZIO SCHILLACI intende ora presentare il progetto al WOAH (Organizzazione mondiale della sanità animale) e alla Commissione europea con l’obiettivo di avviare una discussione già in autunno».
La strada che porta al vaccino è ancora lunga
Il WOAH ha recentemente introdotto una norma per l’adozione di un unico standard tra i Paesi Membri che garantisca sicurezza ed efficacia dei vaccini, riferendosi in special modo alla PSA. È un invito alla cautela?
«Lo spero. Credo che lo spirito del WOAH sia proprio quello di evitare annunci enfatici e prematuri. La ricerca per un vaccino efficace prosegue a livello internazionale, con il CEREP in prima linea. Ma non siamo ancora in grado di dire che la meta sia vicina. Serve rigore scientifico e comunicazione responsabile».
Per partecipare alla Giornata della Suinicoltura 2025 e consultare il programma completo è possibile iscriversi al link seguente: www.giornatadellasuinicoltura. it/la-giornata-della-suinicolturaedizione-2025
OLIO DI SEMI DI ZUCCA DELLA STIRIA IGP
di Riccardo Lagorio
Tanto è osannato nei Paesi che danno sul Mediterraneo per le sue doti organolettiche e salutari l’olio extravergine di oliva, nella Stiria austriaca nessun altro alimento è così premurosamente prodotto e celebrato, dalla nascita allo scaffale, quanto l’olio di semi di zucca «Delle 800 varietà di zucca che si con-
tano oggi al mondo, solo la Gleisdorf, dai numerosi semi dal colore verdastro e privi di guscio, è adatta alla produzione di olio» spiega Liane Berghofer, sesta generazione della famiglia che possiede da 180 anni il mulino di Fehring. «Oltre all’importanza del terreno, il clima soleggiato dell’Austria sud-orientale e le escursioni termiche tra giorno e notte
rappresentano elementi essenziali per ottenere il pregiato olio, che dal 2015 ha ottenuto l’IGP» continua.
La zucca che dà i semi da olio è frutto di una mutazione genetica naturale avvenuta circa un secolo fa che ha reso i semi privi di buccia. La raccolta delle zucche avviene nel mese di settembre, quando il colore esterno
Semi di zucca
l’unica zucca adatta alla produzione di olio. Questa varietà è il frutto di una mutazione genetica naturale avvenuta circa 100 anni fa e che ha reso i suoi semi privi di buccia.
Gleisdorf,
è diventato arancione. Raccolti i semi, questi vengono puliti ed essiccati, infine ridotti in farina e aggiunto poco sale per facilitare l’estrazione della parte oleosa e acqua.
La purea che si è ottenuta viene tostata, in modo da rafforzare gli aromi dell’olio. Dai 40 °C si passa ai 90 °C in un contenitore che mantiene rimestato il liquido fino a ottenere un certo grado di viscosità. La pasta ottenuta è inserita in un cilindro e spremuta. «Da una zucca si ottengono tra i 70 e gli 80 grammi di semi e da 2,5 kg di semi si ottiene 1 litro d’olio. Serve quindi raccogliere in media 35 zucche per ottenere 1 litro di olio» continua la signora Berghofer.
L’olio non subisce filtrazione ma viene lasciato decantare per una settimana prima di essere messo in bottiglia. La parte solida si destina in pannelli all’a-
limentazione animale, pesci e bovini in particolare.
Per l’IGP la macinazione e la spremitura dei semi deve avvenire esclusivamente in oleifici che si trovano nelle aree della Stiria, della Bassa Austria e del Burgenland e l’olio deve ottenersi dalla prima spremitura.
L’aspetto finale è viscoso, il colore marrone con striature verde scuro e rosso mattone. Al naso si coglie aroma di nocciola e tabacco e al palato si percepiscono sentori di nocciola e crosta di pane con un retrogusto di affumicato. «Le virtù salutari dell’olio di semi di zucca della Stiria IGP sono numerose. Contiene, con l’80%, uno dei valori più alti di acidi grassi insaturi semplici e complessi rispetto a tutti gli altri tipi di olio e un alto contenuto di selenio e vitamina E» commenta la Berghofer.
La produzione di olio di semi di zucca della Stiria IGP interessa una quarantina di oleifici e oltre 3.000 aziende agricole che coltivano la zucca. Su ogni bottiglia una fascetta verde e bianca e la presenza del simbolo del Consorzio, oltre al logo gialloblù dell’UE, garantiscono l’originalità del prodotto
Al pari dell’olio extravergine di oliva è facilmente deperibile e fotosensibile. Anche per questo i produttori lo confezionano in bottiglie di vetro verde scuro o marrone. Il suo utilizzo in cucina avviene esclusivamente a freddo come condimento della verdura.
Gli abbinamenti con un altro sorprendente prodotto della terra stiriana, i fagioli Käferbohnen DOP, cremosi e dall’apprezzabile gusto di castagne, minestre e zuppe sono altrettanto gradevoli. Oggi la produzione di olio di semi di zucca della Stiria IGP interessa una quarantina di oleifici e oltre 3.000 aziende agricole che coltivano la zucca. Una fascetta verde e bianca e la presenza del simbolo del Consorzio, oltre al logo gialloblù dell’Unione europea, garantiscono la originalità dell’olio di semi di zucca della Stiria IGP.
La versatilità all’uso dei semi di zucca ha indotto Liane Berghofer e alcune aziende agricole a ricoprire gli stessi di cioccolato e altre specialità alimentari. Come aperitivo o fine pasto i semi di zucca sono rivestiti di wasabi, polvere di lampone e limone. Sgranocchiando, ci si riempie di salute.
Riccardo Lagorio
>> Link: steirisches-kuerbiskernoel.eu
A sinistra: la raccolta delle zucche avviene a settembre, quando il colore esterno è diventato arancione. A destra: Liane Berghofer.
A GONFIE VELE!
I miei extravergine sulla Vespucci
di Fabrizio Bertucci
Questa ve la devo raccontare.
In occasione della Festa della Repubblica, l’ultimo 2 giugno, ho ricevuto il privilegio di far parte della brigata di cuochi dell’associazione Euro-Toques Italia incaricata di realizzare la cena di gala sulla nave scuola Amerigo Vespucci, il meraviglioso veliero della Marina Militare del 1931 ancorato per l’occasione nel porto di Civitavecchia, insieme con il presidente ENRICO DERFLINGHER ed i preziosi colleghi ANTONINO FRATELLO e FRANCO BRANCATELLA. Quattro chef per cinquanta commensali, alla presenza del ministro dell’Agricoltura FRANCESCO LOLLOBRIGIDA e della segretaria dell’Agricoltura degli Stati Uniti BROOKE LESLIE ROLLINS. Un menu articolato che prevedeva il gran finale con un gelato artigianale e il dessert del maestro SAL DE RISO Quale occasione migliore per promuovere le eccellenze enogastronomiche del made in Italy e, per me, quale grande opportunità per raccontare oli extravergine di oliva di qualità facendone godere le meraviglie organolettiche agli ospiti, prima attraverso la degustazione tecnica nei bicchierini sul ponte della nave adibito ad aperitivi e poi in abbinamento ai nostri piatti?
Ho cercato di rappresentare l’Italia in maniera trasversale. Dalla cultivar Coratina pugliese di Lamacupa (lamacupa.it), al Maurino laziale di I&P (www.iandp.it), fino al Grignano veneto di Frantoio Famiglia Orlandi (www.oliofamigliaorlandi.it).
Dalla cultivar Coratina pugliese di Lamacupa al Maurino laziale di I&P, fino al Grignano veneto di Frantoio Famiglia Orlandi: divulgazione e assaggi dell’olio extravergine di oliva sull’Amerigo Vespucci per una cena di gala speciale. Ma il mondo dell’Olio ha bisogno di divulgazione e assaggi anche a casa!
Ho guidato i miei ospiti attraverso le diverse tonalità di struttura ed intensità, profumi ed aromi del nostro oro verde, offrendo sensazioni che difficilmente dimenticheranno. Al resto della suggestione hanno pensato la location unica ed il tramonto, regalando una serata speciale. Poi gli abbinamenti a cena mediante i soliti criteri, cercando di far prendere per mano la pietanza con il suo olio al fine di esaltarsi a vicenda. Quindi il Grignano sul risotto, il Maurino sul trancio di spigola al forno fino alla Coratina sul gelato.
Tralasciando il momento di autocelebrazione —semplicemente funzionale al racconto e che sono certo mi perdonerete —, è un concetto che voglio esprimere. Io non mi stancherò mai — e dico mai — di girare il mondo per far scoprire il meraviglioso mondo dell’Olio E lo farò su piani trasversali.
Che sia una mangiata tra amici, piuttosto che un evento istituzionale, una chiacchierata in oleoteca o una demo in un supermercato, una cena a domicilio
o una degustazione in enoteca, una visita in frantoio ed un post sui social, un aperitivo in riva al mare piuttosto che un articolo su una rivista di settore… È la divulgazione unita all’assaggio ad essere determinante. Il palato del ministro ha captato i piaceri sensoriali e le differenze tra le varie cultivar tanto quanto può fare il palato della casalinga di Voghera che, se guidata nei riconoscimenti, sa apprezzare ed acquistare. E abbiamo bisogno di entrambi. L’uno per promuovere nei siti opportuni il territorio, la filiera, i sacrifici ed i relativi strabilianti risultati, assistendo il processo con leggi mirate. Tanto quanto l’altra, che racconterà in famiglia e alle amiche di aver assaggiato un extravergine dai profumi erbacei, freschi e persistenti, come non le era mai capitato.
Godetevi una bella estate in giro e, se trovate un olio extravergine che vi piace, compratene due bottiglie. Una per la vostra tavola, l’altra da portare agli amici quando sarete ospiti per cena. Passate il favore. Vi tornerà.
Fabrizio Bertucci sulla nave scuola Amerigo Vespucci.
La Goccia Pura
testi e foto di Massimiliano Rella
Nel cuore del Parco nazionale del Pollino, tra i comuni di Saracena e San Basile, in provincia di Cosenza, l’azienda olivicola biologica La Goccia Pura vanta una storia d’impegno famigliare nella produzione di olio lunga più di un secolo. Da cinque generazioni, infatti, la famiglia Bloise coltiva la terra e custodisce un mestiere antico come l’olivicoltura, traghettato nel futuro dalle sorelle Deborah e Alessandra, nuove anime operative dell’impresa, con accanto naturalmente il papà Francesco. «Tra noi c’è stata una divisione naturale dei compiti» mi spiega Deborah. «Alessandra si occupa con nostro padre dell’uliveto, io seguo la parte commerciale e amministrativa». Un equilibrio spontaneo, che riflette la stessa armonia ricercata nell’olio extravergine d’oliva prodotto in azienda.
La tenuta dei Bloise si estende per 30 ettari, 21 dei quali coltivati ad oliveto con circa 18.000 piante. Le cultivar raccontano una storia di biodiversità e selezione attenta: Coratina, Nocellara del Belice, Frantoio, Leccino e Tondina, una varietà autoctona calabrese valorizzata nel Blend firmato La Goccia Pura Il tutto secondo un protocollo biologico, con controlli costanti pianta per pianta, raccolta meccanizzata al giusto grado di invaiatura (una fase fenologica della maturazione dei frutti, che si manifesta con il viraggio di colore dell’epicarpo) e la frangitura immediata. Le olive sono trasportate immediatamente presso il frantoio dopo la raccolta e qui vengono lavorate entro poche ore.
L’olio extravergine è estratto a freddo grazie ad un impianto a ciclo continuo di ultima generazione, a due fasi, senza aggiunta di acqua: una scelta tecnica che preserva le componenti aromatiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto. Lo stoccaggio in silos d’acciaio,
in ambiente controllato, garantisce freschezza e stabilità nel tempo. Il risultato di tanta cura? Quattro etichette certificate bio, vendute prevalentemente all’estero ma richieste anche da ristoratori e consumatori italiani e calabresi attenti alla qualità.
La Goccia Pura non si ferma poi alla produzione. In cantiere c’è lo sviluppo dell’oleoturismo: visite guidate tra gli ulivi, esperienze in frantoio e degustazioni pensate per raccontare la cultura dell’olio e il legame con la terra. «Per noi — spiegano le sorelle Bloise — l’o-
lio non è solo un prodotto. È passione, fatica e identità, un modo di essere, prima ancora che un mestiere».
L’extravergine La Goccia Pura si distingue per la sua limpidezza naturale, il colore giallo dorato con riflessi verdi e un profilo sensoriale elegante: un fruttato medio con note erbacee delicate al naso; al palato, gusto intenso ma bilanciato, amaro e piccante in perfetta armonia.
Abbiamo apprezzato in particolare il Blend e il Monovarietale di Coratina. Il primo ha sentori complessi di erba
Il Blend La Goccia Pura e il Monovarietale di Coratina.
tagliata, agrumi, foglia di pomodoro, seguite da note di carciofo, origano e mandorla; un fruttato medio-intenso con al palato un amaro e un piccante decisamente ben equilibrati. L’evo da cultivar Coratina potrebbe far pensare alla Puglia; in realtà, grazie al microclima del Pollino, l’effetto è quello di un extravergine particolarmente armonico ed elegante, con un ammandorlato persistente e note vegetali di foglia di pomodoro, cardo, cicoria, sentori di salvia e agrume maturo. Al palato ha buona struttura, armonia e persistenza. E se il Blend si sposa con piatti di pesce, il Monovarietale di Coratina predilige carni rosse, zuppe di legumi, ortaggi e verdure amare e piccanti. Massimiliano Rella
È l’ultima etichetta dell’azienda Ceraudo, produttrice in Calabria di vino e olio extravergine d’oliva, tutto da agricoltura biologica a Strongoli Marina (KR). L’olio di cui parliamo è il Fidelia, un fruttato medio con sentori di origano e pomodoro, un palato dolce seguito da sentori amari e piccanti ben equilibrati e lunghe note di origano, pomodoro e mandorla. Grande complessità e persistenza per un olio che predilige fette di pane caldo, grigliate di pesce, zuppe delicate di verdure, crostini con i funghi della Sila.
>> Link: www.ceraudo.it
Le sorelle Alessandra e Deborah Bloise, nuova generazione in attività del frantoio La Goccia Pura di Saracena (CS).
MASSIMAGO
di Gian Omar Bison
Massimago combina agricoltura biologica, ristorazione e accoglienza ma i protagonisti assoluti restano i vini e l’olio extravergine d’oliva. A guidare l’azienda c’è Camilla Rossi Chauvenet
Massimago — da Maximum agium, ovvero zona di massimo benessere come i Romani chiamavano questi territori della Val Mezzane nel Veronese —, è un’azienda agricola dedita all’hospitality e rientra tra le proprietà della famiglia padovana Cracco dalla metà del 1800. Una realtà composita, tra relax e gusto, con tre pozzi d’acqua naturale e in grado di integrare agricoltura biologica, ristorazione e accoglienza con tanto di attività sportive e outdoor a cui gli ospiti possono dedicarsi durante il soggiorno. Protagonisti assoluti l’olio extravergine di oliva e i vini. Tra questi ultimi, in particolare, le diverse declinazioni della Valpolicella DOCG, dal Valpolicella base all’Amarone, espressione di una piramide del valore che ha il suo apice tra i vigneti posti sul cucuzzolo delle colline comprese nella superficie vitata aziendale.
Convertiti al biologico dal 2008, dal 2003 le redini dell’attività sono in
mano a Camilla Rossi Chauvenet. Diverse le strutture dedicate all’accoglienza: Agriturismo Massimago Wine Relais, il corpo principale di tutto il complesso che somma sei camere e due appartamenti, piscina e Spa; Corte Massimago, la location più recente, un caseggiato storico che dista qualche centinaio di metri dall’agriturismo con dieci suites; Massimago Wine Suites, sei stanze in pieno centro storico a Verona, a 300 metri da Piazza Brà e dall’Arena; infine, la Wine Tower, torre trecentesca immersa in un parco secolare in centro a Padova che fa parte, col suo bastione, delle antiche mura difensive della città, con tre suites e una sala eventi per la degustazione dei vini e dell’olio prodotti dalla famiglia nelle proprietà venete.
Cucina tradizionale e km 0
Per quanto riguarda la ristorazione, entriamo nel regno di chef ERVIN BASHKIMI Una cucina aperta sia a pranzo che a cena, dal mercoledì alla domenica, per
un massimo di 35 coperti, che esprime quanto di più tradizionale e identitario troviamo nel Veronese attraverso le verdure dell’orto e le erbette spontanee, i funghi e i tartufi che si trovano nei boschi della tenuta.
Proprio il tartufo nero locale è alla base di un’esperienza che viene messa a disposizione dei clienti: la cerca con i cani. Il tutto poi si esprime in un menù degustazione interamente dedicato al tartufo, dall’antipasto al dolce, passando per il risotto. «Abbiamo le nostre galline e l’orto biologico curato dalle stesse maestranze che si occupano delle vigne» racconta chef Bashkimi. «Nel 2020, dopo un annetto di sperimentazione e nonostante le limitazioni e le difficoltà della pandemia, abbiamo capito che la nostra clientela viene da noi soprattutto per l’Amarone e per questo abbiamo pensato ad una proposta gastronomica adeguata al vino. Complessivamente il nostro è un km 0 che parte dal vino cercando il cibo giusto da abbinarvi, e non, come consuetudine, viceversa. Se ad esempio pensiamo all’aroma balsamico del vino non esiste ingrediente più balsamico delle bacche di cipresso che usiamo nei nostri piatti». In carta troviamo anche il Risotto alla betulla, gambe secche, gelato ai mandriani e mazze di tamburo,
polvere di porcini, un risotto ai funghi misti cotto con brodo di corteccia di betulla, ingrediente che si usava molto un tempo, e sopra gelato ai mandriani (varietà di funghi), una spolverata di erbe aromatiche, barbabietola e polvere di porcini. Oppure il Risotto alla foglia di fico in quattro consistenze con estratto e crema di foglia di fico, spolverata di foglia di fico essiccata, gorgonzola e gelato al fico. In estate ogni venerdì sera si cena in vigna accompagnati dal racconto della storia dell’Amarone.
Il vino è il protagonista di Massimago
Storicamente il vino a Massimago veniva prodotto per autoconsumo e integrava le attività allevative e di orticoltura portate avanti dai contadini. L’arrivo in azienda di Camilla ha stravolto tutto nonostante la giovane età. «Abbiamo avviato diverse linee produttive — evidenzia — per un totale di 85.000 bottiglie che finiscono solo ad enoteche e ristorazione: Innovazione, Ritratti e Massimago». In una proprietà a corpo unico di 30 ettari in totale, 10 sono piantumati ad ulivo e 11 sono vitati a guyot e pergola veronese. La linea Innovazione ha nello spumante Metodo Classico rosè vinificato con le stesse uve dell’Amarone (Corvina, Corvinone e Rondinella) il punto di
riferimento. Un brut con sentori di fragola, floreali e dotato di buon equilibrio tra freschezza e sapidità. Nella linea Ritratti troviamo tutta la produzione dal Valpolicella base all’Amarone. Una linea originale fin dalle etichette, che nascono dalla collaborazione con l’artista FRANCO CHIANI. A fianco di ogni ritratto c’è il nome del protagonista con una sua breve descrizione. «Un vino che crea amicizia — puntualizza Camilla — non austero, non esclusivo, dove troviamo il Valpolicella classico, il Ripasso e l’Amarone oltre alla Garganega». Proprio il Valpolicella Ripasso 2022 Ritratti degustato si è mostrato particolarmente intenso e complesso al naso: sentori di spezie, pepe verde e vaniglia, piccoli frutti a bacca rossa e balsamico. Il Valpolicella Superiore, invece, lo troviamo solo nella linea Massimago
L’appassimento delle uve è il metodo unico e distintivo della Valpolicella. Nel corso dei secoli questa tecnica, eseguita prima della pigiatura delle uve, si è perfezionata ed è oggi utilizzata per la produzione dei migliori vini dell’area. Le uve perfettamente mature e sane vengono selezionate al momento della raccolta manuale e poste nel fruttaio costruito per garantirne la costante aerazione, così da evitare ristagni di umidità e permettere il graduale cambio di temperatura. Massimago ha scelto di adottare una nuova tecnica, di ispirazione giapponese, che utilizza venti naturali al posto delle macchine. «Inoltre, i nostri ospiti — sottolinea Camilla — possono prendere parte alla vendemmia: un’esperienza a contatto con la natura cui segue un messaggio di augurio alla buona riuscita dell’appassimento delle uve raccolte. Tanti post-it colorati che garantiscono un’atmosfera calda all’interno del nostro fruttaio. Per quanto riguarda la cantina, nel 2017 abbiamo ampliato la superficie dedicata alla lavorazione e all’affinamento del vino e iniziato a sfruttare la forza di gravità per spostare le masse di vino dalla zona di fermentazione a quella di stoccaggio. Lo stoccaggio è dislocato in due cantine, quella dedicata a barriques e tonneaux e la bottaia sotto la casa padronale per i vini più importanti». Gian Omar Bison
In questo 2025 la pugliese Cupertinum spegne le sue prime 90 candeline. Un traguardo importante per una delle cooperative vinicole più storiche e identitarie del Sud Italia. Fondata nel 1935 da 36 viticoltori, rappresenta da quasi un secolo l’anima agricola e culturale di Copertino, piccolo comune in provincia di Lecce, nel cuore del Salento, tra lo Ionio e l’Adriatico. Oggi sono 300 i soci che portano avanti quell’idea originaria di cooperazione e valorizzazione del territorio, coltivando ben 300 ettari di vigneti.
Al centro del progetto di Cupertinum c’è il Negroamaro, vitigno simbolo della
Puglia meridionale. Non mancano però la Malvasia nera, il Primitivo, la Malvasia bianca e altre varietà tipiche. Vitigni coltivati su suoli argillosi, poggiati sulla roccia calcarea, tra i 30 e i 60 metri sul livello del mare, un mix di fattori ideale per ottenere vini strutturati ma freschi, longevi ed eleganti.
La DOC Copertino, ottenuta nel ‘76 grazie anche all’impegno della cantina, è attualmente uno dei marchi di qualità territoriale più rappresentativi del Salento, ma la storia della viticoltura in zona è molto più antica: a Copertino si produce vino infatti da almeno ventotto secoli. I Greci, i Romani, Federico II e i nobili del Cinquecento lasciarono tracce importanti nel percorso verso l’eccellenza di queste terre.
Una tradizione vivissima che Cupertinum ha saputo traghettare nel presente, con una visione coerente tra qualità, identità e sostenibilità. Grazie anche ad alcuni personaggi chiave: per quasi cinquant’anni, dal ‘60 al 2008, la guida enologica è stata affidata a Severino Garofano, padre dell’enologia pugliese. Dopo di lui, dal 2010, è l’enologo Giuseppe Pizzolante Leuzzi a firmare i vini della cantina e a cui si deve l’introduzione di nuove linee come Glykós, primo passito da uve Negroamaro in purezza, lo spumante extra dry Giortì, i rossi Aldieri, Poggiani e le linee Squarciafico e Petra di Sole. Vini di qualità premiati in Italia e all’estero e riconosciuti anche da critici autorevoli come LUIGI VERONELLI e HUGH JOHNSON
Il presidente FRANCESCO TRONO ha puntato molto sul coinvolgimento culturale e sociale dell’azienda sul territorio. Il progetto “Il Vigneto sul Castello” ne è un esempio: nel 2013 sono stati impiantati filari di Negroamaro Cannellino, una varietà antica precoce, sui bastioni del Castello Angioino, restituendo vita ad un giardino pensile citato già nel XVI secolo. Lo è anche l’impianto fotovoltaico realizzato con Sorgenia per la produzione di energia rinnovabile e la collaborazione con la Caritas diocesana per il reinserimento sociale dei giovani disagiati. E ancora: le visite educative nelle scuole, il parco sportivo aperto ai più giovani, il Bike Park Cupertinum fino al liturgico Ex Vite, primo vino in Puglia autorizzato con decreto vescovile.
Sul fronte produttivo Cupertinum continua a raccontare il Salento attraverso le sue etichette. In cantina, durante vinificazione e affinamento, l’obiettivo è mettere in risalto il carattere del vino. Tra i prodotti di punta abbiamo dunque apprezzato il Copertino DOC Rosso da uve Negroamaro, un “nettare” che si distingue per le note di mora, pepe nero, caffè tostato e il tipico amarognolo del vitigno; ideale con carni rosse, selvaggina e formaggi stagionati. La struttura è elegante e tenuta all’invecchiamento molto lunga. Molto interessante il rosato Squarciafico, fresco, leggero e fruttato, da uve Negroamaro raccolte a fine agosto; un bel vino di colore rosa corallo ottimo con crudi di pesce, grigliate miste del Mediterraneo, zuppe di verdure e
legumi. Aldieri, Primitivo IGT, è invece un rosso intenso e avvolgente con sentori di ciliegia, spezie e confettura, ideale compagno di primi piatti con sughi intensi e secondi a base di carne, ma anche formaggi stagionati. Tutti vinificati con cura: macerazioni mirate, affinamenti in acciaio, cemento o barrique, per esaltare il carattere varietale e il terroir www.cupertinum.it
A Usini, in provincia di Sassari, piccolo comune collinare nel Nord-Ovest della Sardegna, il vino è più di un prodotto: è radice, espressione, identità territoriale. Tra i vigneti che ricamano il bel paesaggio del Coros, come è chiamata quest’area interna, spicca a 200 metri sul livello del mare Cantina Cherchi, pioniera nella valorizzazione del Vermentino e del vitigno Cagnulari. Qui la famiglia Cherchi coltiva 30 ettari di vigneti su colline assolate e terreni calcarei, divisi tra Vermentino (55%), Cagnulari e Cannonau.
Fondata nel 1970 da Giovanni Cherchi, detto Billìa, con appena 2 ettari di vigna ricevuti in eredità, l’azienda è oggi simbolo di resilienza agricola e lungimiranza enologica. In tempi in cui si parlava poco di vini sardi fuori dai confini regionali, Giovanni cominciò infatti a imbottigliare il Vermentino di Usini, scommettendo su un vino bianco che, di lì a poco, avrebbe conquistato critica e pubblico. Fu Luigi Veronelli, nel 1987, a scoprirlo e celebrarlo, aprendo una nuova stagione per la cantina.
Ma è con il Cagnulari che Cherchi scrive una pagina importante dell’enologia sarda e della rinascita del Coros. Vitigno “rustico”, poco coltivato e considerato marginale fino a pochi decenni fa, era impiegato soltanto come uva da taglio. La buccia sottile, l’instabilità in cantina, la difficoltà nella vinificazione richiedevano una buona dose di coraggio imprenditoriale che alla Cherchi non è mancato: lo vinifica in purezza per la prima volta in Sardegna nel 1970.
Oggi l’azienda— guidata dal figlio di Giovanni, Salvatore Cherchi —, produce 30.000 bottiglie di Cagnulari, su un totale di 180.000 bottiglie annue. «Il Cagnulari – spiega Salvatore – è un vino difficile, ma se trattato con attenzione sa regalare profondità e longevità. Da giovane è spigoloso, ma col tempo si arrotonda e diventa elegante». Le etichette dedicate sono tre, oltre ad un blend: la Linea classica, Billìa da vigne giovani e Soberanu, selezione di uve eccellenti prodotta in appena 1.000 bottiglie e solo nelle migliori annate.
Il Coros è anche una terra ricca di storia: a Usini, per esempio, sono stati trovati vinaccioli di vite in scavi
archeologici e una vasca romana per la vinificazione. Ma è sempre più la vite la protagonista principale, i vini e adesso l’enoturismo. «I produttori sono aumentati negli anni. Oggi si contano 12 cantine imbottigliatrici» racconta Giovanni Antonio Sechi, vicesindaco di Usini e vicepresidente e coordinatore regionale dell’associazione Città del Vino. «In totale abbiamo 360 ettari di superficie vitata, 116 ettari dei quali con il vitigno Cagnulari. Siamo il primo comune in Sardegna per estensione di questa varietà. Inoltre, abbiamo 100 ettari di Vermentino, il resto di altri vitigni. In media le 12 cantine producono complessivamente oltre 500.000 bottiglie: siamo quindi una realtà importante della regione, il tredicesimo comune per superficie vitata in Sardegna».
Torniamo a Cherchi. Tra i vini di punta segnaliamo il Tuvaoes Vermentino di Sardegna DOC, da trent’anni punto di riferimento per questo vitigno a bacca bianca. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, al naso prevalgono le erbe selvatiche e la foglia di pomodoro, mentre al palato colpiscono la bella struttura acida
Salumeria Italiana, 4/25
e il finale persistente. Un bianco che sorprende per capacità di evoluzione, anche a distanza di anni, mantenendo freschezza e aromaticità.
Il Cagnulari IGT Isola dei Nuraghi è invece l’anima più identitaria della cantina: un rosso rubino intenso con sentori di confettura, spezie e geranio, in bocca asciutto e sapido, con tannini morbidi e buona capacità d’invecchiamento. Infine, il Luzzana, blend di Cagnulari e Cannonau, una sintesi in rosso del territorio: affinato in legno e poi in bottiglia per almeno un anno, regala un bouquet complesso di prugna e vaniglia, corpo deciso e lunga persistenza.
Oltre alla qualità del vino, Cherchi continua ad essere custode di un patrimonio culturale e paesaggistico. «Ci sentiamo vignaioli legati alla nostra terra e alle persone» conclude Salvatore. Una filosofia che si traduce in attenzione all’ambiente, rispetto dei ritmi naturali e cura artigianale in ogni fase produttiva. A 55 anni dalla prima bottiglia, la sfida è ancora raccontare l’autenticità di Usini, del Coros e dei suoi vini. www.vinicolacherchi.com
Massimiliano Rella
CAESAR SALAD, STORIA DI UN TRASMIGRATORE ITALIANO
di Giovanni Ballarini
Sul Palazzo della Civiltà Italiana a Roma, che avrebbe dovuto ospitare l’Esposizione Universale del 1942, vi è una famosa iscrizione che dice: “Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori”, espressione di Benito Mussolini tratta da un suo discorso del 2 ottobre 1935. Una frase che oggi potrebbe essere completata con l’aggiunta di coloro che hanno portato nel mondo i valori della nostra cultura culinaria, come nel caso della Caesar Salad, italiana nata all’estero lo scorso anno ha compiuto cent’anni e la cui storia merita di essere raccontata.
Cesare Cardini
CESARE CARDINI (1896-1956) nacque a Baveno, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, in una famiglia molto numerosa. Giovanissimo, insieme a due fratelli, Alessandro e Gaudenzio, emigrò in Messico dove iniziò un’attività di ristorazione. Poco più che ventenne — siamo agli inizi degli anni ‘20 del secolo scorso —, Cesare si trasferì negli Stati Uniti, dove cambiò il suo nome in Caesar e avviò un ristorante a Sacramento, per poi spostare successivamente la sua attività di ristorazione a San Diego, in California.
Nel 1920 negli Stati Uniti iniziava il proibizionismo (finirà nel 1933) che vietava la fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcool. Cardini aprì quindi un locale a Tijuana, in Messico, nello stato della Bassa California, proprio sul confine, in modo da aggirare le restrizioni e attirare clienti americani. Ed è qui che, in occasione della festa del 4 luglio 1924, o almeno così si narra, Cesare Cardini inventò un’insalata per i piloti statunitensi del Rockwell Field Air Force arrivati per festeggiare l’Independence day con una bevuta “legale”. In loro onore il piatto venne infatti inizialmente denominato Insalata dell’Aviatore (Aviator’s Salad) Nel 1929, con il nome del suo inventore, la Caesar Salad diventò un piatto molto popolare fra le celebrità di Hollywood. Nel 1935 Cardini si trasferì a Los Angeles e da quel momento si occupò della produzione e commercializzazione del suo condimento per l’insalata, registrato come marchio nel 1948. Sposato con Camille, Cardini morì il 3 novembre 1956 nella sua abitazione. L’azienda di famiglia venne gestita dalla figlia Rosa Maria Cardini (1928-2003) che in seguito cedette il marchio. Oggi sono in commercio i condimenti contrassegnati dal nome Caesar in una dozzina di varianti.
Negli anni la famiglia Cardini ha dovuto difendersi da accuse di plagio da parte di un cameriere e di un altro cuoco italiano emigrato negli USA, ma questo non ha impedito di avere fama e successo economico producendo su scala industriale la Salsa Caesar.
Caesar Salad e Salsa Caesar
La Caesar salad è un piatto semplice composto da lattuga, Parmigiano, limone, crostini di pane, olio, uova e salsa Worcestershire. La Salsa Caesar brevettata da Cesare Cardini per condire l’insalata combina i sapori italiani e americani. Simile nella consistenza alla maionese, la ricetta originale prevede uova fresche, aglio, limone, aceto e salsa Worcestershire. Aggiungendo a questi ingredienti l’olio extravergine d’oliva, versato a filo ed emulsionato con il frullatore a immersione, si crea una crema densa e vellutata simile alla maionese. La ricetta tradizionale della salsa Caesar prevede l’uso dell'uovo crudo. Esistono innumerevoli varianti e alcune versioni prevedono l’aggiunta di acciughe, senape e Parmigiano. La salsa Caesar si può usare per condire l’insalata, per esaltare il sapore di sandwich e panini come quello con il pastrami, carni grigliate o l’arrosto, verdure, piadine, hamburger e polpette.
La ricetta aperta di un trasmigratore
La Caesar Salad supera un secolo di vita con una crescente diffusione, dal semplice bar all’albergo di lusso. Diversi i motivi di questo indubbio successo e tra questi i più importanti sono quelli di essere una “ricetta aperta” a più interpretazioni, utilizzi e usi, quindi a culture gastronomiche differenti, onnivore o vegane e dei più diversi Paesi,
da quella messicana prima a quelle dei diversi stati americani poi e di tutto il mondo oggi. Questa caratteristica è già presente alla sua nascita e trova sempre più spazio nell’odierna globalizzazione non solo degli alimenti, quanto e soprattutto degli stili alimentari, in un continuo e sempre più rapido sviluppo e conseguente espansione.
Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
La Caesar Salad originale non prevede l’aggiunta di pollo grigliato, che, ad oggi, resta la variante più diffusa (in foto) spesso arricchita con bacon croccante. Tra le alternative più amate ci sono quella con i gamberi, che si sposano alla perfezione con tutti gli ingredienti base di questa ricca insalata, oppure tofu o cubetti di tempeh per l’opzione veg, con salsa di anacardi.
Modena DOP disegnata da Giorgetto Giugiaro nel 1987
L’iconica ampolla dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, progettata dal noto designer Giorgetto Giugiaro nel 1987, è stata recentemente presentata durante l’incontro “Il Design del Cibo: il rapporto tra design e cultura alimentare”, svoltosi presso l’ADI Design Museum, il luogo nato attorno all’intero repertorio di progetti appartenenti alla collezione storica del premio Compasso d’Oro (nato a sua volta nel 1954 da un’idea di Gio Ponti) e gestito dall’associazione ADI. Qui la bottiglietta ha infatti uno spazio dedicato da aprile, a testimonianza concreta del legame tra tradizione produttiva e linguaggio del design industriale.
La forma della bottiglia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, che il Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena ha adottato dal 1988, racconta una storia, un valore legato al tempo e all’artigianalità. «La bottiglietta che Giorgetto Giugiaro progettò per noi negli anni ‘80 su commissione della Camera di Commercio fu veramente una idea antesignana che ha permesso nel tempo di distinguere fra i diversi tipi di aceto l’autentica eccellenza di Modena, cioè l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP» commenta Leonardo Giacobazzi, vicepresidente del Consorzio di tutela. «La bottiglia, unica per tutti i produttori, è di per sé stessa garanzia di originalità e della qualità che viene raggiunta solo grazie alle strettissime procedure del Disciplinare di produzione. E il Consorzio di tutela, nella consapevolezza dell’importanza della bottiglietta che ancora oggi chiamiamo “di Giugiaro”, ha oggi in atto nuove strategie promozionali per incentivarne ulteriormente la riconoscibilità sul mercato nazionale ed internazionale, perché, oltre che come garanzia di originalità e qualità, sia testimone storico delle procedure artigianali che caratterizzano il nostro territorio fin dall’Impero Romano».
La forma della bottiglia dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP “di Giugiaro” richiama il “matraccio” degli assaggiatori e tutti i produttori la utilizzano con il sigillo che ne suggella l’apertura a garanzia di autenticità, perché significa che il prodotto è passato attraverso un rigoroso controllo e ha superato l’esame degli assaggiatori. È la sola bottiglietta ufficiale per tutti i produttori ed è venduta nella confezione da 100 ml. È inconfondibile e una garanzia per il consumatore. Ne vengono prodotte 165.000 per un valore di circa 7 milioni di euro, con una quota di export del 70%, principalmente verso USA, Francia, Germania e Giappone.
>> Link: www.balsamicotradizionale.it
Che meraviglia il design del cibo, quel rapporto tra design e cultura alimentare che stimola un dialogo bellissimo tra forma, storia e sapore.
FIONA BECKETT
Come bere senza bere
Drink analcolici per ogni occasione e ogni momento della giornata
Editore: Guido Tommasi www.guidotommasi.it
208 pp. — € 20,00
Evitare o limitare il consumo di alcol non significa rinunciare al sapore o al piacere di bere. In questo splendido libro, ottima fonte di ispirazione, troverete consigli e ricette per preparare non solo cocktail analcolici e succhi, ma anche bevande fermentate, cordial, shrub e kvass. FIONA BECKETT, editorialista del GUARDIAN e una delle maggiori esperte internazionali di vino, offre un’alternativa all’alcol squisita e accattivante. Preparate una caraffa di St. Clement’s Punch per una festa d’estate, provate un Mojito al lime kaffir per trascorrere in allegria un venerdì sera diverso dal solito oppure stupite i vostri ospiti con uno Shrub di amarene e anice stellato Questo volume è una fonte inesauribile di idee creative e fantastici aromi.
PIETRO PAGANINI (a cura di)
A spasso con Lucy Perché mangiamo come parliamo?
Virtù e valore delle proteine animali
Editore: Guerini e Associati www.guerini.it
120 pp. — € 14,00
Cosa mangiavamo tre milioni di anni fa? E perché ciò che mangiamo oggi è così discusso? In questo viaggio tra evoluzione, scienza e cultura alimentare, è Lucy – la nostra antenata australopiteca – a guidarci alla scoperta del ruolo che la carne ha avuto nello sviluppo umano e del dibattito attuale sul suo consumo. Con un linguaggio accessibile e rigoroso, il testo affronta le sfide ambientali, etiche e nutrizionali legate alla produzione di proteine animali, superando ideologie e semplificazioni. Dalle proteine al benessere animale, dalla zootecnia rigenerativa alla sicurezza alimentare, fino al ruolo della carne all’interno della Dieta Mediterranea, il libro promuove un’alimentazione equilibrata, consapevole e sostenibile. Un racconto critico e documentato che invita il lettore a riflettere, conoscere e scegliere con libertà e responsabilità.
JEREMY FOX
On Meat
Modern Recipes for the Home Kitchen
Editore: Phaidon, phaidon.com
352 pp. — € 39,95
Questo è il sequel del best seller mondiale “On Vegetables” dello chef americano J EREMY F OX “On Meat. Modern Recipes for the Home Kitchen” mette a nudo la sua filosofia sulla carne, con 115 ricette che dimostrano un approccio alla cucina sostenibile e zero spreco. Ogni ricetta è accompagnata da note personali e aneddoti tratti dal suo percorso professionale e privato. I vari capitoli sono dedicati a “Maiale”, “Pollame e Coniglio”, “Manzo e Agnello” e “Deli”, sezione dedicata a carni stagionate e affumicate, in vaso e alle salsicce. Pubblicato da Phaidon, non può mancare nella libreria di un vero carnivoro.
Non è tenera, è SUPER TENERA!
Una bresaola finalmente diversa, grazie ad un processo produttivo unico, completamente ripensato per ottenere una texture morbida e succosa ed un gusto ancora più rotondo. Una novità che ridefinisce gli standard di settore, con caratteristiche organolettiche di altissimo profilo e ottimi valori nutrizionali.
Storie di persone, territori e sapori www.ibis-salumi.com