Partenope Misteriosa - Storie antiche per ragazze e ragazzi moderni

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A gnese P A lumbo

PARTENOPE MISTE RIOSA

Storie antiche per ragazze e ragazzi moderni

Illustrazioni di Alessandra Vitelli

P arteno P e misteriosa

Storie antiche per ragazze e ragazzi moderni

Illustrazioni di Alessandra Vitelli A gnese P A lumbo

L a B ELL a ’M B r I a N a

– Carlo, saluta la Bella ‘Mbriana. – Mia nonna è pazza. Chiaramente... –mormora Carlo, guardandosi intorno senza vedere nessuno, mentre la nonna ondeggia con passo insicuro tra la tavola apparecchiata e la credenza. È ora di pranzo e, da che ricordi, nei dieci anni della sua vita, tra i posti assegnati a tavola c’è sempre stata una sedia vuota.

Vacante , dicono a Napoli. Dalla stanza accanto arriva profumo di polpette fritte, ma Carlo è distratto: normalmente fisserebbe la porta aspettando che la nonna varchi finalmente la soglia con la piramide di palline di carne fumanti e, invece, se ne sta a fissare la sedia vuota. – Perché? – Cosa perché? – gli fa eco zio Toni. – Perché, da che mi ricordi, a tavola c’è sempre una sedia vuota? Mi sembra una cosa stupida. A volte nemmeno ci stiamo tutti, tanto che ci dobbiamo stringere uno addosso all’altro e c’è una sedia che resta vuota.

– Non sempre le cose che non capisci sono stupide, Carlo. Vai in cucina, aiuta la nonna mentre io finisco di apparecchiare.

Mezz’ora dopo, il rumore del pasto si è diffuso nell’intera stanza: un vociare brillante di risate, di frasi ripetute come “passami questo” e “finisci quell’altro” e di piatti finalmente puliti, perfino quello delle verdure. È impossibile lasciare le zucchine, sennò la nonna chi la sente!

– Zio?

– Sì?

– Scusami, non volevo dire “stupida”.

– Che cosa volevi dire?

– Strana?

– Ok, strana è meglio.

– Ok, mi fa strano che ci sia una sedia vuota, mi spieghi perché?

– Non è vuota, innanzitutto. Qualche volta lo è e qualche volta no, ma non è importante: è importante che in ogni casa ci sia un posto dove la Bella ’Mbriana possa sedersi e condividere i momenti con la famiglia. È lei l’anima della casa, la presenza

protettrice, quella che salutiamo quando entriamo dalla porta.

Buonasera, casa.

Buonasera, Bella ’Mbriana mia.

– Io non la saluto mai!

– E d’ora in poi la saluterai anche tu. Lei mi ha cresciuto, mi ha visto piangere da piccolo quando mi sbucciavo un ginocchio giocando a pallone o litigavo con qualche ragazzino prepotente. Mi ha visto mentre mi affaticavo a studiare e mentre preparavo gli esami all’università, io sapevo che lei c’era e che mi faceva compagnia.

– Solo a Napoli c’è?

– Sì, ma la sua origine è molto antica. I nostri parenti di duemila anni fa, all’imbrunire, quando accendevano le lampade, salutavano il genio della casa, la personificazione della casa stessa.

– Allora quando mi lamento che la stanza è troppo stretta lei si dispiace?

– Eh, sì, lei si dispiace. Tu faresti lo stesso se

La Bella ’Mbriana

qualcuno parlasse male di qualcosa che ami e di cui hai cura, no? La casa ci accoglie perché lei è la casa.

– Ma tu l’hai mai vista?

– No – adesso zio Toni fa un grande sorriso, uno di quei sorrisi che nascono spontanei quando pensi a qualcosa di segreto, qualcosa che conosci solo tu. – Però l’ho immaginata mille volte, e altrettante l’ho sognata: ho visto il suo volto benevolo, le sue movenze aggraziate e la sua espressione dolce e accogliente. Io so per certo che lei esiste, a volte muove le tende nella controra. È lo spirito dell’ora mediana, l’ora più luminosa, un fantasma della luce. Strano, vero?

– Sì! – sobbalza Carlo – I fantasmi si vedono solo di notte e sono sempre spaventosi: spostano oggetti, producono suoni strani e soprattutto si nascondono nell’oscurità.

– Eh, ma lei è speciale, è bianca e fulgida. E bellissima. E ha un piccolo alleato che ne annuncia la presenza e che fa le sue veci, quando ha bisogno di mostrarsi: il geco.

– La lucertolina?

Bella ’Mbriana

– La piccola lucertola che cerca la luce, cammina sotto al soffitto e qualche volta mangia gli insetti. I napoletani non scacciano

mai un geco, lo adottano come se fosse di famiglia, lo considerano un portafortuna: averlo in casa è come avere un piccolo animale domestico.

Qualcuno gli dà anche un nome!

E, mentre parla, zio Toni si alza e collega il

cellulare via bluetooth a una piccola cassa.

Bonasera Bella ‘Mbriana mia

Buonasera Bella ‘Mbriana mia

ccà nisciuno te votta fora qui nessuno ti butta fuori

bonasera bella ‘Mbriana mia

buonasera bella ‘Mbriana mia

rieste appiso a ’nu filo d’oro

resti appesa a un filo d’oro

bonasera aspettanno ’o tiempo asciutto

buonasera aspettando il tempo asciutto

bonasera a chi torna a casa c’o’ core rutto

buonasera a chi torna a casa con il cuore rotto

– Abbi cura di lei ora che la conosci.

È dolcissima ma anche molto permalosa. In sua presenza non ci si lamenta mai di una casa troppo piccola o troppo buia, e guai a dire ad alta voce di voler traslocare altrove.

Lei sa essere generosa e vegliare sulla famiglia, ma è anche vendicativa. Noi siamo suoi ospiti e, ogni volta che avremo bisogno della sua protezione, basterà invocarla:

Bella ’Mbriana, scetate !

– Svegliati!

– Bravo, svegliati e portami fortuna. Vedo che stai imparando il napoletano, bene!

allora che l’eroe interrogò la Sibilla per capire quale sarebbe stato il suo destino…

Dal fondo buio della sala del teatro una voce racconta le gesta di Enea in fuga dalla città di Troia in fiamme.

– Enea era un eroe?

– Sì, lo era, ora ascolta…

– E la Sibilla?

– Ne parliamo dopo.

Al teatro Mercadante l’appassionante lettura

dell’Eneide è accompagnata da una musica trionfale. Massimo aveva borbottato tutto il pomeriggio, convinto che sarebbe stata una noia mortale e invece, adesso, a luci spente, se ne sta ipnotizzato a guardare la scenografia… le onde del mare battono e battono con insistenza lungo il fianco della nave di cartapesta.

Ma che sia di cartapesta o di pregiato legno d’ulivo, a Massimo interessa davvero poco.

Che destino avrebbe avuto Enea in balia di una tempesta così violenta?

Che cosa lo aspettava al di là del mare?

Sarebbe riuscito ad arrivare sulla terraferma?

L’uovo di Virgilio …Fu

I tamburi gli fanno battere più forte il cuore, se lo sente salire in gola a ogni colpo.

Che tutto questo dolore un giorno ci sarà utile.

– Il dolore, Fabrizia?

– Il dolore, sì – e lo accarezza piano in testa. – Che vuol dire?

La sorella maggiore in quel pomeriggio pieno di impegni di lavoro si era fatta carico anche del fratellino che, saltato lo sport, non sapeva come riempire il pomeriggio.

– Ti porto al teatro – gli aveva detto – ma tu devi stare in silenzio tutto il tempo. E adesso in silenzio il bambino ci sta davvero, quella frase sul dolore gli risuona in testa anche ora che sono all’aria aperta. Fa fresco, lo spettacolo è finito già da mezz’ora e lui tiene in mano il suo cono panna, cioccolato e pistacchio che, lentamente, gli inzuppa la manica della felpa, ma lui non sembra accorgersene.

Piazza Municipio è un trionfo di luci e lo scrosciare dell’acqua che viene fuori dalla fontana del Nettuno gli ricorda il tormento dell’eroe in viaggio.

– Perché il dolore di Enea doveva essere utile, Fabrizia?

– È la sua speranza, Massimo. Nel momento di difficoltà Enea ha paura. È un eroe ma ha paura come accade a tutti noi. E allora l’unica cosa che gli dà fiducia è il pensiero che, quando tutto sarà finito, il dolore gli avrà insegnato qualcosa di speciale. Succede: si impara dagli errori, dalle difficoltà, e si impara anche quando sembra che non ci sia niente da imparare.

L’uovo di Virgilio

– Pulisciti, sei tutto sporco di pistacchio –sorride, mentre gli porge una salvietta imbevuta. Vanno a recuperare l’auto parcheggiata, Massimo respira a pieni polmoni e si sente felice.

– Possiamo passare davanti al mare? – le chiede. – Voglio immaginare Enea. Allora alla sorella viene un’idea. Guida tra le luci del traffico, tra i clacson e la musica che entra dai finestrini, fino a quando passano davanti al gigantesco castello di tufo che a quell’ora sonnecchia placido in mezzo al mare.

– Ecco, Massimo, guarda: la storia di Napoli comincia qui, sull’isolotto di Megaride. E lo scrittore della bellissima storia di stasera, di questo “poema epico”, così si chiama, è Virgilio. È conosciuto come uno tra i più grandi poeti di tutti i tempi, ma a Napoli non era solo questo, a Napoli era anche un mago.

– Come poteva essere un poeta e pure un mago?

– Faceva magie e incantesimi. Li faceva con le parole inventando storie emozionanti e li

di Virgilio

faceva con il suo grande potere: alchimie, talismani e forze segrete, tutto solo per Napoli, per proteggere la città.

– E quali sono queste magie?

– Sono ancora tutte qui se sai dove cercarle.

In questo castello, per esempio, dove sistemò un uovo come amuleto. L’uovo è il simbolo della rinascita e, finché l’uovo resterà intatto, la città sarà protetta da ogni pericolo.

Per sicurezza Virgilio mise l’uovo in una caraffa di vetro, che chiuse dentro una gabbia sospesa in una stanzetta. Una stanzetta tra le fondamenta del castello che ancora oggi resta segreta.

Ma ce ne sono altri di prodigi memorabili. Fece nascere delle terme bollenti che curassero i malanni delle persone, sorgenti d’acqua miracolose; fece incidere un pesciolino di pietra al mercato per aiutare i pescatori a riempire le reti; con due grandi amuleti d’oro, una mosca e una cicala, teneva lontani gli insetti; invece, i cavalli malati guarivano come per magia girando intorno a una gigantesca statua forgiata nel bronzo.

L’uovo di Virgilio

E infine c’è una galleria che il mago ha scavato in una sola notte. Un traforo lungo 711 metri che attraversa la collina di Posillipo da parte a parte, un tragitto tanto preciso che, durante gli equinozi, la luce del sole lo attraversa per intero.

Pensa a questa galleria che normalmente sprofondava nel buio assoluto e due volte l’anno era invasa dalla luce. Da un accesso potevi vedere illuminato l’altro!

– Wow, mi piacerebbe attraversarla, sai che paura!

All’improvviso scoppiano in una risata.

– Anche a me piacerebbe attraversarla –aggiunge la sorella.

– Questo mago napoletano mi piace!

– Sì, ma non era napoletano, Publio Virgilio Marone era nato a Mantova, ma era così tanto innamorato di Napoli che chiese di essere seppellito qui. C’è un’iscrizione in latino sulla sua tomba, che ricorda proprio questo suo desiderio:

Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope.

L’uovo di Virgilio

– Che vuole dire?

– Più o meno che nacque a Mantova e morì in Puglia, che all’epoca si chiamava Calabria, e che ora Partenope, la città di Napoli, lo tiene con sé. E pensa che, per arrivare alla sua tomba, bisogna percorrere un viale

– Dai, Fabrizia, vediamo quante te ne ricordi!

– Ricordo la quercia castagnara che ispira

la forza e il nutrimento, l’alloro che cinge il capo dei poeti e premia la saggezza, il giacinto che infonde la delicatezza, l’edera che rappresenta la forza della poesia. E poi ancora, le fragole, il pioppo, il faggio che rappresenta la pace e la tranquillità, il mirto che è la pianta sacra a Venere, le rose e le viole, ma più di tutto le piante che fornirono il legno per realizzare il cavallo di Troia: il pino nero, la quercia, l’abete bianco, l’acero campestre. È un piccolo orto botanico per poeti.

– Fabrizia, mi è venuta fame.

– Pizza?

– Sììì!

– Qualcuno racconta che l’antenata più antica della pizza la mangiasse proprio Enea, ma che quella pasta di farina, allora, facesse solo da piatto su cui poggiare la cena. E che, per la fame, si finisse col mangiare anche il piatto!

La pizza, quella napoletana, dovrà aspettare

L’uovo di Virgilio ricchissimo di alberi e piante di ogni tipo!

un bel po’ di secoli per arrivare sulla nostra

tavola.

– La margherita?

– Sì, ma non cominciamo con la storia inventata della regina. La pizza margherita, pomodoro mozzarella e basilico, è ben più antica di come racconta questa fake news .

di Virgilio

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