MARINO BARTOLETTI (Forlì, 1949) è uno dei più celebri giornalisti italiani oltre che una delle figure televisive più amate dal pubblico. È anche un grande esperto di musica, in particolare della storia del Festival di Sanremo, del quale è stato giurato, opinionista e anche selezionatore delle canzoni in gara. Con Gallucci ha in corso di pubblicazione la serie per ragazzi La squadra dei sogni, mentre la Serie degli dei, il cui ultimo romanzo, Il Festival degli dei, è proprio dedicato a Sanremo, ha riscosso un incredibile successo di pubblico e di critica.
A mio padre Gualtiero che mi ha insegnato ad amare la musica Marino Bartoletti
Marino Bartoletti
Almanacco del Festival di Sanremo con il contributo di Lucio Mazzi
ISBN 979-12-221-0974-9
Seconda edizione Gallucci dicembre 2025
Prima edizione Gallucci dicembre 2024
Una versione parziale è stata pubblicata in altre edizioni nel 2019 ristampa 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
Le foto sono dell’Archivio Ansa, per gentile concessione all’autore Si ringrazia Mario Fornarola
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Marino Bartoletti
DA PIÙ DI TRE QUARTI DI SECOLO È IL NOSTRO COMPAGNO DI VIAGGIO
Quella di Sanremo, dopo il Giro d’Italia, è la più longeva e certamente amata manifestazione popolare del Paese
Tre quarti di secolo (più… un anno) significano un presidio tutt’altro che banale nel contesto sociale di un Paese. Siamo, in pratica, attorno alle quattro generazioni. Fra le grandi manifestazioni popolari solo il Giro d’Italia è più vecchio del Festival di Sanremo. In pratica ha “accompagnato” l’Italia repubblicana nel suo ritorno alla serenità: quell’Italia fatalmente spaventata e disorientata del dopoguerra, ma allo stesso tempo con tanta voglia di guardare avanti e di cantare. In poche parole, di tornare a vivere.
Quest’anno verranno superate le 2.200 canzoni eseguite. Sfido chiunque a non trovarne almeno una decina o ventina che –al di là dei gusti e delle mode –non abbia accompagnato la nostra vita (di ragazzi, di adolescenti, di giovani innamorati, di adulti e – parlo per me – anche di nonni).
Sfido chiunque a non trovare una decina di canzoni del Festival che, da quando eravamo adolescenti, non abbiano scandito la nostra vita
Potrebbe essere un gioco stilare la propria playlist di Sanremo. Certo, tradirebbe un pochino l’età, ma alla fine sarebbe una gioia ascoltarla: perché no, con accanto la persona giusta. Non vi annoio con la mia che ha inevitabilmente radici lontane, ma che ogni anno mi piace mettere in discussione: perché anche se… sono più vecchio del Festival, cerco sempre di apprezzarne gli slanci in avanti. E se accade – com’è accaduto – che la mia nipotina Alice mi chieda come regalo dei dodici anni di accompagnarla a vedere il concerto dei Pinguini Tattici Nucleari, sono ben felice di dividere la sua gioia e anche… di essere preparato sull’argomento.
Non amo la prevenzione fine a se stessa. Sono sempre stato dell’idea che un Festival vada giudicato “dopo”, non “prima”. Me lo hanno insegnato le cantonate clamorose che tutti abbiamo preso limitandoci a esaminare frettolosamente le liste dei cantanti in gara nelle varie
edizioni. Per fare un esempio, ci fu un anno, il lontano 1961, in cui si puntò audacemente sui giovani “urlatori” e “cantautori”, e per questo, pur… in mancanza dei social, scoppiò una mezza rivoluzione da parte di critica e pubblico che ne decretarono a priori il “fallimento”. Peccato che quei “pischelli” che debuttarono tutt’in una volta – come documentato dalla “Domenica del Corriere” della pagina accanto – si chiamassero Adriano Celentano e Gino Paoli, Giorgio Gaber e Pino Donaggio, Milva e Tony Renis, Edoardo Vianello e Little Tony, Umberto Bindi e Gianni Meccia, cioè buona parte della generazione che avrebbe fertilizzato i decenni successivi della nostra canzone (in quell’occasione c’era anche una certa Mina, ventenne, che per la verità aveva esordito l’anno prima, peraltro accompagnata dallo stesso scetticismo di chi sosteneva che sapesse “urlare e basta”). Mi rendo conto che al cospetto di questi padri della patria canora diventi difficile azzardare paragoni con i “volti nuovi” degli ultimi anni, ma il mio motto è sempre stato “lasciamoli cantare”, perché non è detto che la nostra “non conoscenza” collimi con l’“inadeguatezza” (basta guardare quanti giovani, in un decennio, grazie a Claudio Baglioni, Amadeus e Carlo Conti, siano decollati proprio da Sanremo, raggiungendo in certi casi anche una fama internazionale).
Persino un Papa (molto amato) si è preso la briga di “benedire” il Festival, sottolineando la capacità della musica di “unire”, di “aprire il cuore all’armonia e alla gioia di stare insieme”. Chi siamo noi per contraddirlo?
Dunque, buon Almanacco a tutti. Con la certezza che quello che avete fra le mani non sia solo un libro di “canzonette”, ma un po’ anche di storia.
Carlo Conti
SALGO ANCH’IO SUL PODIO, NEL RICORDO DI DUE AMICI
Un pensiero particolare a Pippo Baudo e ai suoi insegnamenti
e a Lucio Dalla che mi rammenta il primo Festival della mia vita
Non posso non dedicare questa prefazione a Pippo Baudo, maestro di tutti noi e grande protagonista della storia del Festival. È stato lui a trasformare il mestiere di presentatore in quello di conduttore. È stato un grande regista in scena che dettava i tempi, che osservava, che guidava. Tutti abbiamo cercato di imparare qualcosa dal suo metodo e di portare avanti, col nostro stile, la sua insostituibile lezione. Dopo l’edizione del settantacinquennale torno sul palco di Sanremo per la quinta volta: un piccolo record che mi rende orgoglioso e che mi appaia a Nunzio Filogamo e all’amico Amadeus (il primo e l’ultimo della lunga serie che va dal 1951 al mio ritorno). Salgo dunque anch’io sul “podio” ideale, alle spalle di Mike (con 11 presenze) e dello stesso Pippo (con 13). È un grande privilegio e una grande responsabilità che farò di tutto per onorare, mettendo in campo tutti gli insegnamenti che ho cercato di trarre dalle esperienze precedenti
Il Festival di Sanremo irruppe in casa mia oltre mezzo secolo fa sotto le spoglie di un signore piccolo e con la barba accompagnato da un violinista che, nella mia fantasia di bimbo, cantò per me e solo per me “4 marzo 1943” (aggiungendoci, sempre nelle mie suggestioni, un omaggio personale al… nostro comune mese di nascita). Io avevo nove anni e ne rimasi folgorato. Non avrei mai immaginato che la mia strada e il mio futuro si sarebbero così prepotentemente incrociati con quella manifestazione. Se è vero che i sogni son desideri, sappiate che né allora, né per tanto tempo ancora avrei potuto immaginare – e neanche sognare, appunto – quello che Sanremo sarebbe stato per me, per il mio lavoro, per la mia stessa vita professionale. Già toccai il cielo con un dito quando, meno di quindici anni dopo l’apparizione del “signore con la barba”, a Sanremo ci andai veramente: alla guida della mia 127 arancione, per Radio Fantasy di Firenze. Il
bilancio? Quasi una settimana trascorsa (mangiando poco) in una pensioncina che credo non ci sia nemmeno più e l’essere riuscito a sfiorare col microfono gli Spandau Ballet e i Duran Duran. Ci rimisi i soldi della benzina, però tornai felice, con ancora al collo una specie di accredito che per me valeva quanto una laurea.
Quella settimana mi diede anche una grande lezione che avrei messo in pratica quando mi sarebbe capitato di tornare al Festival – diciamo così – in altre vesti: mai scoraggiare un giovane cronista, un giovane speaker di una qualsiasi radio o tv locale o di qualsiasi sito web, mai metterlo in difficoltà o sottovalutarlo. E per questo, da direttore artistico, sono andato più volte fisicamente nella sala stampa radiotvweb per le conferenze del mattino. In realtà il mio avvicinamento al Festival vero e proprio è stato frutto anche di tanti momenti in cui il mio amore per “l’argomento” è stato tutt’altro che sottinteso: da “Sanremo Top” a “Sanremo Estate”, da “Sanremo si nasce” a “Sanremo contro Sanremo”. Praticamente una piccola… malattia, più che una passione. Ma è evidente che l’ho sempre considerato un posto magico: e non parlo solo di lavoro.
Ah, sapete a chi è intitolata adesso la “Sala stampa radiotvweb” che, fra l’altro, ha diritto di voto per la classifica finale? Proprio al “signore con la barba”, cioè a Lucio Dalla, del quale, nel 2026, ricorre il sessantennale dell’esordio a Sanremo.
Un motivo in più per dare il meglio di me stesso, nel rispetto di questa grande manifestazione “popolare” (un aggettivo che a Pippo piaceva tantissimo) e anche nella speranza di poter lanciare tanti giovani com’è accaduto in tutte le edizioni che ho diretto e condotto. E ovviamente di potervi proporre tante canzoni che, come la storia del Festival certifica, entreranno nella vita di tutti.
Pippo Baudo
QUANDO PIPPO MI CONFIDÒ: SANREMO È LA MIA VERA CASA
“Come potrei rinunciare all’affetto che mi viene dato?
Io qui ho un certificato di residenza che non scadrà mai”
Credo che tutti abbiamo nel cuore un pezzo di Pippo: un suo ricordo particolare. Qualunque sia stato il nostro “rapporto” con lui: da normale telespettatore, da appassionato di Sanremo, o – come nel mio caso – da amico di una vita. All’inizio di questo Almanacco che racconta la storia del Festival – del “suo” Festival – mi piace riproporre questo pensiero che mi regalò in occasione del settantennale della manifestazione. Praticamente una lettera d’amore (M.B.)
Sì, tredici Festival li ho condotti e a tanti altri ho partecipato, ma certamente li ho ascoltati e vissuti tutti sin da quando a Militello in Val di Catania – liceale – ascoltavo le primissime edizioni accanto alla radio. E ricordo che mi colpì una frase di Nunzio Filogamo: “L’intento della manifestazione è quello di valorizzare e di elevare qualitativamente l’espressione della musica leggera del nostro Paese”. Ed è stato proprio così: perché ci sono stati anni – e io ho avuto la gioia di esserne testimone diretto – in cui Sanremo è stato letteralmente trainante per il movimento musicale italiano. E pensare che il Festival era nato quasi con intenti “commerciali”, quando nel 1949 Pier Busseti, titolare di un’agenzia turistica, partecipò all’asta per rilevare l’attività del Casinò. Ma dopo poco tempo – e grazie al decisivo contributo del maestro Giulio Razzi, violinista, direttore della radio e nipote di Giacomo Puccini –entrò nel cuore di tutti.
In breve gli italiani se ne innamorarono. Anche perché, dopo alcuni brani eccessivamente romantici o addirittura patriottici, fece tornare la gente a ballare: soprattutto nei cosiddetti
“veglioni” di Carnevale, dove piccoli maghi della musica riuscivano a trascrivere la partitura e a eseguire canzoni ascoltate al massimo un paio di volte, per l’allegria di un Paese che si stava rialzando anche così.
Non avrei mai pensato di presentare Sanremo. Sognato forse sì. E quando nel 1968 ci arrivai in treno da Milano dove conducevo Settevoci, il primo talent della televisione, per me fu una sensazione straordinaria. Ero emozionato, forse un po’ spaventato (oltretutto era l’anno successivo alla morte di Tenco), ma certamente felice. E fra gli incredibili big italiani e stranieri di quell’edizione toccò proprio a me “fermare” Louis Armstrong a cui nessuno aveva spiegato che quello non era un concerto, ma un’esibizione. Quando terminò di eseguire “Mi va di cantare” si girò verso la sua band composta da Henghel Gualdi, Franco Cerri, Sergio Catellani e alcuni dei migliori jazzisti italiani e disse: “C’mon boys. And now ‘When the saints go marchin’ in’”. Gianni Ravera mi spinse – anzi mi buttò – sul palco e io, con un fazzoletto in mano, feci smettere di suonare il più grande mito vivente della musica.
Da allora sono passati più di cinquant’anni, altrettanti Festival, centinaia di cantanti e di canzoni, e altre… dodici mie conduzioni. Con me si sono esibiti Freddie Mercury e i Queen, Bruce Springsteen e Madonna. In fondo non mi è mancato, perché mi è sembrato di essere stato sempre presente. E quando sono tornato, invitato gentilmente dai vari conduttori, a chi mi chiedeva “che senso ha venire di nuovo qui?” ho sempre risposto come nell’ultima edizione nella quale mi è stata tributata una standing ovation: “Come si fa a rinunciare a questo affetto? A questo abbraccio? Io a Sanremo ho un certificato di residenza senza scadenza. E quando inizia quella festa, sono come ET: il Festival è la mia ‘casa’”!
In questo Almanacco di Marino c’è la storia della mia vita!
IO E IL FESTIVAL/ Marino Bartoletti
LA MIA “QUINTA”/Carlo Conti
QUANDO PIPPO MI CONFIDÒ/Pippo Baudo
LE 75 EDIZIONI
1951 1ª edizione
1952 2ª edizione
1953 3ª edizione
1954 4ª edizione
Pag 5
Pag 6
Pag 8
Pag 13
Pag 15
Pag 19
Pag 23
Pag 27
1955 5ª edizione Pag 31
1956 6ª edizione Pag 35
1957 7ª edizione Pag 39
1958 8ª edizione Pag 43
1959 9ª edizione Pag 47
1960 10ª edizione Pag 51
1961 11ª edizione Pag 55
1962 12ª edizione Pag 59
1963 13ª edizione Pag 63
1964 14ª edizione Pag 67
1965 15ª edizione Pag 71
1966 16ª edizione Pag 75
1967 17ª edizione
Pag 79
1968 18ª edizione Pag 83
1969 19ª edizione Pag 87 1970 20ª edizione Pag 91
1971 21ª edizione Pag 95
1972 22ª edizione Pag 99
1973 23ª edizione Pag 103
1974 24ª edizione Pag 107
1975 25ª edizione
1976 26ª edizione
Pag 111
Pag 115
1977 27ª edizione Pag 119
1978 28ª edizione Pag 123
1979 29ª edizione
Pag 127
1980 30ª edizione Pag 131
1981 31ª edizione
Pag 135 1982 32ª edizione Pag 139 1983 33ª edizione Pag 143
34ª edizione Pag 147
35ª edizione Pag 151 1986 36ª edizione Pag 155
1987 37ª edizione Pag 159
1988 38ª edizione Pag 163
1989 39ª edizione
1990 40ª edizione
1991 41ª edizione
Pag 167
Pag 171
Pag 175
1992 42ª edizione Pag 179
1993 43ª edizione Pag 183
1994 44ª edizione Pag 187
1995 45ª edizione Pag 191
1996 46ª edizione
Pag 195
1997 47ª edizione Pag 199
1998 48ª edizione Pag 203
1999 49ª edizione
Pag 207
2000 50ª edizione Pag 211
2001 51ª edizione Pag 215
2002 52ª edizione Pag 219
2003 53ª edizione Pag 223
2004 54ª edizione
2005 55ª edizione
2006 56ª edizione
235 2007 57ª edizione
2008 58ª edizione
2009 59ª edizione Pag 247
2010 60ª edizione
2011 61ª edizione Pag 255
2012 62ª edizione Pag 259
edizione
edizione
73ª edizione
74ª edizione
2025 75ª edizione
IL DIZIONARIO DEL FESTIVAL Pag 315 I cantanti, gli autori, i conduttori, i direttori, i protagonisti
Musica, spettacolo, costume e cultura: il Festival di Sanremo è in assoluto la manifestazione più significativa del nostro panorama radiotelevisivo. Una tradizione che attraversa due secoli di storia italiana, ne rispecchia la società, le tendenze, i cambiamenti. Questo almanacco racconta tutte le edizioni, fin dalla prima del 1951. Una preziosa raccolta che ci restituisce un patrimonio inestimabile di artisti e canzoni. Un resoconto rigoroso dei fatti, ma anche di aneddoti, atmosfere, pulsioni, curiosità e colpi di scena.