Cultura
Il mio amato O
TERZANI
La moglie dello scrittore scomparso sette anni fa racconta il lato inedito del suo compagno. Il diario segreto. Le lettere intime. Le passioni. E apre la loro casa a “l’Espresso”
DI MALCOM PAGANI
ANGELA TERZANI NELLO STUDIO DEL MARITO A ORSIGNA. A FIANCO: TIZIANO TERZANI IN VIETNAM NEL 1974
86 | lE ’ spresso | 21 luglio 2011
ra, dice Angela Terzani, «è tempo di raccontare un altro Tiziano». E si siede, tra volumi di Régis Debray, teli indiani e ragnatele, al centro di un ricordo. Orsigna, tra Pistoia e il cielo, è un’astrazione appenninica. Quattro case nel nulla del tutto, dove il figlio di un meccanico comunista e una ventenne tedesca di stirpe diplomatica, si issarono al principio degli anni Sessanta. Erano due ragazzi. Le tasche vuote. I sogni incerti. La montagna di fronte. Le estati a incastrare le pietre di fiume, interrogare
i castagni, pitturare le pareti, attenti a richiudere, al tramonto: «Il nostro sipario tra noi e il mondo». Angela è salita in macchina a Firenze e ha aperto un varco per “l’Espresso”. Con un mazzo di foto sulle ginocchia, i capelli biondi, l’emozione incerta di chi spalanca il sacrario di un’esistenza. Intorno, mentre il sole della mattina si trasforma in pioggia e le zanzare danzano, l’ultima stazione del giornalista che narrò il Vietnam si rivela per la giungla che è. Tutto è scomodo, precario, essenziale. Le gocce battono su una tettoia di plastica, i tuoni rincorrono il silenzio, la natura veste
chiome selvagge, i chiodi arrugginiscono, anche a 800 metri d’altezza. Angela ti offre un caffè, manca lo zucchero. Niente serve davvero, in fondo. I Terzani l’hanno capito. Tavole di legno, mura rosse, persiane grigie, salici piangenti e, intorno, la valle. Dietro il velo, un’empatia profonda tra luoghi e persone. Una semplicità da pionieri. Dopo quasi mezzo secolo di pericoli e viaggi, nel luglio di sette anni fa, Tiziano Terzani venne a morire qui, nel posto «più esotico» della sua geografia sentimentale. Dove le fiabe, le streghe e i contrabbandieri si smarriscono nella leggenda e i daini, di notte, si riappropriano del territorio. Esplorano il giardino. Smuovono il terreno. Scavano buche. Bussano alle stanze. La sua è intatta. Sembra una cella. Travi di legno. Lo spazio per il letto. Due mensole, qualche libro, una finestra. Meno del lusso, più dello sfarzo inteso da Tiziano. Asceta e gaudente. Indefinibile. La testimonianza dell’addio (“La fine è il mio inizio”) l’ha accudita il figlio Folco, dopo tre mesi di conversazioni all’ombra di un albero e protocolli farmacologici rifiutati dal padre non sempre con garbo. «Ascoltava i dottori e poi li congedava: “Lei parla di cure, ma non mi conosce. Crede di avermi capito. Non ha capito nulla”» sintetizza Angela. Era un inganno anche quello. La necessità di non dover sostenere, oltre al peso della malattia, anche quello della spiegazione inutile. Terzani si ammalò nel ’97. Lottò. Perse. Nell’ultimo tratto di strada, dopo aver cercato rimedi ovunque, si abbandonò al destino. Lasciò le medicine nel cassetto. Meditò. Immaginò di ricongiungersi alle vette himalayane e la consapevole accettazione della fine, sussurra Angela cercando un punto davanti a sé: «Lo aiutò a non soffrire fisicamente». Nei molti abiti che l’ex impiegato dell’Olivetti indossò, sua moglie ha sempre scorto la stessa veste. «Era duro e passionale. Contraddittorio». Ha scritto di presidenti e operai, treni a vapore e torture, rivoluzioni e violenze. Il sollievo dall’apocalisse quotidiana era picchiare la Lettera 22. «Aveva un occhio curioso. Parlava con tutti e diffidava dei potenti. “I governanti mentono per contratto Angela, sono pagati per non dire la verità”». Dal 1988, in segreto, Tiziano Terzani teneva un diario intimo, segreto. 21 luglio 2011 | lE ’ spresso | 87