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(e tutti i segreti per riconoscere quello buono)
RICETTE SUGAR FREE
Dolci sani e golosi
SALUTE NATURALE
La medicina placentare
ECOTURISMO
Sciare senza impianti
SENZA VELENI
Coltivare alberi da frutto
SICUREZZA VS PRIVACY
Smart cities e sorveglianza
CARCERI
Un aiuto dalla mindfulness

10 In primo piano

24 Ricette

32 Salute
8 Tanto per cominciare
Elogio alla Pecora Nera
Arianna Porcelli Safonov
9 L’eco del mese
Notizie, idee, eventi per vivere l’ecologia tutto l’anno!
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10 In primo piano
Come l’Italia rovina ogni giorno il suo caffè (e tutti i segreti per riconoscere quello buono)
Luca Bassi
24 Ricette
Dolci al naturale: la pasticceria verso una rivoluzione
Francesca Luise
32 Salute
Placenta, una risorsa di salute
Alexis Myriel
I benefici del Lotus Birth
Beatrice Salvemini
42 Ecoturismo
Sciare senza impianti
Mario Catania
53 Agricoltura
Ogni albero è una promessa: coltivare frutti bio, riscoprire i sapori, seminare cultura
Daniel Tarozzi



Ecoturismo
64 Attualità
Smart cities: le ombre del capitalismo della sorveglianza
Linda Maggiori
92 Terra Nuova Libri Il catalogo dell’inverno di Terra Nuova
14 Il punto biodinamico
Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica
23 Forum agroecologia
Franco Ferroni, responsabile agricoltura e biodiversità di Wwf Italia
72 Esperienze
Ritrovare se stessi per sopravvivere al carcere
Mario Catania
90 Il Segnalibro
Libri, teatro e video a cura di Alessandra Denaro
100 Spunti di vista
Dove nasce la meraviglia
Richard Louv
50 L’Almanacco di Terra Nuova
Il rimedio del mese del mese: il sambuco
62 Coltiviamo la diversità
News e aggiornamenti dalla Rete semi rurali
71 Ecovillaggi.it
News e aggiornamenti dal mondo degli ecovillaggi
86 L’Ecocircuito di Terra Nuova
Scopriamo le econovità e le realtà che diffondono una «ecologia della mente»
Terra Nuova n. 420 (209) novembre 2025 Reg. Tribunale di Firenze n. 4937 del 14/02/2000 ISSN: 1121-178X
Proprietà della testata: Editrice Aam Terra Nuova Srl, Via del Ponte di Mezzo 1, 50127 Firenze P. iva 05373080489 tel 055 3215729 - fax 055 5390109
Chiusura del numero: 10 ottobre 2025
REDAZIONE (info@terranuova.it)
Direttore responsabile: Nicholas Bawtree
Consiglio di redazione:
Mimmo Tringale, Claudia Benatti, Gabriele Bindi, Alessandra Denaro
Hanno collaborato a questo numero: Luca Bassi, Claudia Benatti, Mario Catania, Alessandra Denaro, Francesca Luise, Linda Maggiori, Arianna Porcelli Safonov, Daniel Tarozzi.
Editing: Alessandra Denaro (segreteria@terranuova.it)
Progetto grafico: Loris Reginato
Impaginazione: Daniela Annetta, Loris Reginato, Sabrina Scrobogna Stampa: Boccia Industria Grafica S.p.A. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Salerno
UFF. STAMPA: ufficiostampa@terranuova.it
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Luca Bassi
È giornalista freelance, fotografo, social media manager, copywriter. È autore del libro
Come l’Italia rovina ogni giorno il suo caffè (Terra Nuova Ed.).

Andrea Carrubba
Fotoreporter e giornalista freelance con un forte interesse per le tematiche sociali e umanitarie.
Corrispondente per quotidiani e televisioni, si occupa di reportage e breaking news.

Elena Benigni
È medico di famiglia, ricercatrice indipendente di scienze noetiche, appassionata di medicine tradizionali e spiritualità. È scrittrice e autrice di Medicina Placentare. (Terra Nuova Ed.).

Laura Ferrari
Avvocato e responsabile delle relazioni istituzionali della Rete per i diritti umani digitali. Avvocato e public affairs specialist di The Good Lobby

Esercente dell’impresa editoriale esclusivamente per l’edicola: Sprea S.p.A. Via Torino 51, 20063 Cernusco sul Naviglio (Milano) tel 02924321P. iva 12770820152
Iscrizione camera commercio 00746350149
CdA: Luca Sprea (Presidente), Alessandro Agnoli (AD), Maverick Greissing (Consigliere Delegato)
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Editoriale
Nicholas Bawtree direttore responsabile

C’è un gesto che milioni di italiani compiono ogni mattina, quasi in automatico: ordinare un caffè al bar. È un rito, un segnale d’inizio, una piccola certezza quotidiana. «Un buon caffè, grazie» – e in pochi secondi la tazzina fumante è lì, tra le dita, come un piccolo atto di civiltà. Ma cosa c’è davvero dentro quella tazzina? E soprattutto, cosa c’è dietro?
Dietro, spesso, c’è un mondo che non vogliamo vedere: piantagioni sfruttate, deforestazione, acqua sprecata, pesticidi, lavoratori sottopagati. Ma anche baristi sottovalutati, filiere opache, consumatori disinformati. È la fotografia di un sistema che ci ha reso dipendenti da una consuetudine tanto rassicurante quanto inconsapevole. Un gesto piccolo, ma non innocente. Eppure, proprio lì, tra l’aroma bruciato e la crema troppo scura, si nasconde anche un’opportunità straordinaria. Basta accendere una luce su quello che diamo per scontato, e all’improvviso il quotidiano si trasforma in un campo d’azione. Il caffè, il pane, l’olio, la maglietta che indossiamo: ogni gesto, ogni scelta, è un voto espresso silenziosamente su che tipo di mondo vogliamo costruire.
Da quasi cinquant’anni Terra Nuova cerca di fare proprio questo: raccontare i retroscena nascosti nei nostri gesti più banali, ma anche aprire spazi di possibilità, mostrando che un altro modo di vivere – e di bere un caffè – è davvero possibile.
Non basta denunciare: serve indicare strade, nomi, esperienze. Serve mostrare le tante persone che hanno deciso di rimettere coscienza e bellezza nel quotidiano. C’è chi ha scelto di coltivare il caffè in modo rigenerativo, chi ha rinunciato ai contratti-capestro dell’industria, chi ha fatto della torrefazione un atto etico, chi al bancone
non serve più tazzine, ma storie. Il cambiamento spesso nasce così: non dall’alto, non per decreto, ma da una serie di piccole disobbedienze luminose. Da chi si ferma un attimo prima di bere e si chiede: «Da dove viene ciò che sto per consumare? Chi ci ha lavorato? Che impatto ha sul Pianeta?».
Domande semplici, ma rivoluzionarie. Perché ci ricordano che ogni volta che scegliamo, votiamo. E che ogni euro speso è una dichiarazione politica, ambientale, umana.
Sarà anche vero che un caffè non cambia il mondo. Ma può cambiare la direzione in cui il mondo si muove.
E se milioni di persone cominciassero a orientare in modo diverso le proprie scelte, se anche solo una parte di quelle tazzine quotidiane diventassero consapevoli, la differenza sarebbe gigantesca.
È questo il messaggio che ci accompagna ogni mese: smontare gli automatismi, scovare la verità dietro la superficie lucida delle abitudini, e al tempo stesso accendere riflettori sulle buone pratiche che già esistono, sugli artigiani del futuro che stanno costruendo nuove filiere, nuove relazioni, nuovi modi di pensare il gusto, la terra, il lavoro.
Perché la sostenibilità non è una moda: è una rivoluzione che comincia dalla vita di tutti i giorni.
E forse, la prossima volta che diremo: «Un buon caffè, grazie», sapremo davvero cosa stiamo bevendo – e chi stiamo ringraziando.

N° 104 - Novembre 2025 Il mensile del
Claudio Tomaello, attore di teatro e narratore, porta in scena le fiabe invitando a coglierne la chiave interpretativa per grandi e piccini. Di seguito gli eventi di novembre. Il 3, 10, 17 e 24 corso «Le fiabe sono vere» a Cesiomaggiore (Belluno): biblioteca@comune.cesiomaggiore.bl.it
• Il 6, 13 e 20 corso «I cavalieri del ritorno», a Conegliano (Treviso): conegliano@psicosintesieducativa.it • Il 7 a Modena, al Teatro Cittadella, in piazza della Cittadella 11, ore 20.30, lo spettacolo «Le chiavi d’oro delle fiabe»: per prenotare scansiona il qrcode qui a lato (ingresso a offerta libera). • L’8, a Montagnana (Padova), seminario «Il tuo vero nome»: manganella3@gmail.com
• Il 15 seminario «Comare morte e sorella vita» a Parma: tel 3291562120 • Il 16, due narrazioni teatrali a Firenze «La forza e la grazia» (9.3017.00, salvemini@libreriasalvemini.it), e a San Casciano «Il coraggio di sognare» (ore 20:00, info@campostelle.it) • Il 22 e 23 sarà a Sandrigo (Vicenza) per lo spettacolo «Il segreto di Francesco» (prenotazioni su https://shorturl.at/TPVOA) e per un seminario (tel 338 7747541) • Il 27 e 28 sarà a Reggio Emilia e Valdobbiadene con «Il coraggio di sognare» e il 29 e 30 terrà un seminario a Trieste. Per saperne di più: https://claudiotomaellonarratore.com/eventi

Quattro incontri gratuiti a Pordenone, presso la sala della Casa del Volontariato, via de Paoli 19, tenuti da Sandra Conte, trainer di meditazione heartfulness, con letture, condivisioni, tecniche di rilassamento e meditazione ispirati al libro di Kamlesh Patel, Anatomia spirituale (Terra Nuova edizioni). Dalle 17.45 alle 19.00 Info e iscrizioni: tel 335 6938039 - Whatsapp 340 1004102
14 - 16 novembre a Brescia
Festival dell’oriente
Evento dedicato alla magia dell’oriente
6 - 9 novembre
Biolife (Fiera di Bolzano)
La fiera dello stile di vita consapevole
16 novembre
Chiamata a raccolto (Rasai di Seren del Grappa – Bl)
Mercatino bio e scambio di
sementi locali all’insegna della biodiversità
28 - 30 novembre
Mantra (Bologna)
Fiera del benessere e delle discipline olistiche orientali
3 novembre, Bonate Sopra (Bergamo) Mara Zambelli presenta il suo libro Fiori bio (Terra Nuova edizioni) alla biblioteca Don Lorenzo Milani, in via Vittorio Emanuele II n. 23, ore 20.30. 5, 19, 26 novembre, online Martin Halsey, autore di Cucina che cura e Dimagrire con la Italian Rice Diet, tiene tre webinar alle ore 20.30 su zoom. Ecco giorni e titoli. Il 5 «Minerali essenziali per la salute»; il 19 «Dieta depurativa o rafforzante?»; il 26 «Freddo e reni: perché proteggerli oggi significa prendersi cura del futuro». Per iscriversi: www.lasanagola.com/eventi.
9 e 16 novembre, Pioppe di Salvaro e Marzabotto (Bologna) Andrea Magnolini, autore del manuale Fare cesti,
tiene due corsi di cesteria. Info e iscrizioni: www.passileggerisullaterra.it.
10 novembre, Padova Maria Falvo, curatrice del libro Tutto l’amore che resta, presenta il libro a Palazzo Moroni, via VIII Febbraio 6, dalle ore 17.00 alle 19.00. Saranno presenti anche due co-autrici, Ines Testoni e Manuela Macelloni.
15 e 16 novembre, Santa Lucia di Piave (Treviso) Stefano Cattinelli, autore di Vite connesse, tiene il laboratorio di Costellazioni sistemico familiari per gli animali e medicina narrativa «Dal senso di colpa alla responsabilità spirituale». In località Ca’ dei Morer, via Sarano 11. Info e iscrizioni: messaggio whatsapp 347 7210174.
28, 29 e 30 novembre, St. Christophe (Aosta) Il 28 evento con Raffaella Cataldo, autrice di Outdoor education, pedagogia della selva e del selvatico, e Christian Mancini presso «Il Richiamo del bosco», località Senin 185: proiezione del documentario «L’altra connessione, una scuola nella natura selvatica» e presentazione del libro della Cataldo. Il 29 e 30 Cataldo e Mancini tengono un workshop sulla didattica esperienziale per accompagnare lo sviluppo dello spirito critico verso i paradigmi culturali in ragazzi e bambini dal titolo «Out of the box school special edition: la cultura, nascosta in bella vista».
Info e iscrizioni: 391 4160212.



In primo piano
Luca Bassi
Un’inchiesta giornalistica indaga i retroscena del mercato del caffè in Italia, svelando perché non è affatto il più buono al mondo.

Moltissimi bar italiani servono una bevanda ottenuta da miscele scadenti, cariche di Robusta economica, tostate fino al nero carbone per coprire ogni difetto.
I chicchi spesso provengono da forniture massificate, senza identità, senza storia.
Carlo ogni mattina si alza e la prima cosa che fa è raggiungere la cucina, accendere la macchina del caffè e prepararsi un espresso. È la sua benzina quotidiana e senza quella non riesce a iniziare la giornata con il piede giusto. Come lui, ci sono quasi 55 milioni di italiani che compiono questo rituale mattutino ogni giorno, come prima cosa. Lo conferma uno studio realizzato nel luglio del 2025 da AstraRicerche per il Comitato italiano del caffè, che fotografa usanze, passioni e gusti legati a questa bevanda. I numeri dicono che la quasi totalità degli italiani tra i 18 e i 65 anni (98,6%) consuma, almeno occasionalmente, caffè o bevande a base di caffè, mentre oltre 7 italiani su 10 (71,3%) lo bevono ogni giorno, più volte al giorno. Per il 91% degli italiani la giornata inizia davvero solo dopo la prima tazzina. Il caffè espresso, del resto, fa parte della cultura italiana. È un mostro sacro, di quelli che proprio non si possono toccare, così come non si può mettere in discussione la convinzione che in Italia si beva il miglior espresso del mondo. Non a caso ogni giorno milioni di italiani consumano caffè convinti di compiere un gesto di cultura, di gusto, persino di superiorità. Ma dietro a tutto ciò c’è una verità che in pochissimi conoscono: nella stragrande maggioranza dei casi quella tazzina è pessima. Amara, bruciata, standardizzata, scollegata da qualsiasi idea di qualità reale. Proprio così: il mito del caffè italiano, per quanto possa sembrare assurdo e irreale, va smontato pezzo per pezzo. E capire questo
concetto – non semplice – è il primo passo per iniziare a gustare davvero un buon caffè.
Consumatori disinformati
In Italia l’espresso è un atto di fede che non si discute. È l’unico rito rimasto intatto nel tempo liquido della modernità: un italiano può cambiare città, partner, lavoro, persino squadra di calcio ma, è certo, non rinuncerà mai alla tazzina del mattino. E guai a chi osa insinuare che quel caffè, forse, non è poi così buono. Sarebbe come dubitare del Colosseo, della pizza, della mamma. Eppure, proprio l’espresso che in Italia viene difeso con tanto orgoglio è spesso il suo peggior nemico. Non solo perché è preparato male – il che già basterebbe – ma perché è diventato il simbolo di un’identità nazionale tanto compiaciuta quanto cieca. Nel Belpaese è stato costruito un monumento a una bevanda che, nella sua forma più diffusa, è spesso mediocre, a volte imbevibile. Il dramma, però, non è solo tecnico: è culturale. È lì che vive il paradosso. La cultura italiana del caffè ha sacrificato la sostanza all’estetica. Ha trasformato la crema (che poi nella stragrande maggioranza dei casi altro non è che schiuma) in un feticcio, dimenticandosi che non è affatto sinonimo di qualità. Ha idealizzato il gusto amaro scambiandolo per intensità. Ha idolatrato la «tazzulella», il bar sotto casa, l’espresso bevuto in piedi come un atto d’eroismo popolare. E intanto ha rinunciato alla trasparenza, alla tracciabilità, alla competenza, all’aroma.
Moltissimi bar italiani servono una bevanda ottenuta da miscele scadenti, cariche di Robusta economica, tostate fino al nero carbone per coprire ogni difetto. I chicchi spesso provengono da forniture massificate, senza identità, senza storia. La tostatura non è più un’arte, ma una bruciatura sistematica, e ciò che finisce nella tazzina è un liquido oleoso e amaro. «È ancora molto triste parlare del caffè del nostro Paese» spiega Alberto Polojac, titolare di Imperator srl, società che da tre generazioni importa i migliori caffè crudi di tutto il mondo, e direttore di Coffee Today, «perché l’Italia è stata letteralmente la culla dell’espresso e ci si aspetterebbe di bere un grande caffè un po’ ovunque. Invece sappiamo tutti benissimo che non è così. Ed è un peccato, perché solitamente nel nostro Paese si trovano le esecuzioni migliori delle ricette nelle città in cui sono state inventate. Penso, ad esempio, alla pizza: a Napoli è facile trovare una pizzeria che serva una grande pizza. L’espresso invece no». Il mondo, nel frattempo, è andato avanti. Ha riscoperto la complessità del chicco, la variabilità delle origini, la raffinatezza dei metodi di estrazione. In Australia, in Scandinavia, in Corea del Sud, negli Stati Uniti – luoghi privi di una tradizione rigida – ci si è aperti a una cultura nuova del caffè, fondata sulla curiosità e sulla ricerca. Hanno fatto del caffè una scienza sensoriale, un prodotto gastronomico. In Italia, invece, si è rimasti inchiodati all’abitudine confortante e all’identità che rassicura. Ogni volta che un italiano si trova
di fronte a un caffè più chiaro, profumato, acido – magari preparato con un metodo a filtro o estratto con un’attenzione diversa – reagisce con sospetto. Pensa che non sia caffè perché è stato educato a rifiutare in partenza ciò che non riconosce come suo. La qualità, se non combacia con il ricordo, viene vista come un’eresia.
E così è stato trasformato il conservatorismo gustativo in ideologia e
se non altro perché è abbastanza chiaro che gli manca la capacità di scegliere, di capire cosa è buono e cosa non lo è. Finora ha bevuto sempre e solo quello, come può prendere parte a un cambiamento così importante se l’offerta è sempre, più o meno, la stessa? E poi, parliamoci chiaro: il caffè buono è più difficile da proporre perché è spiazzante rispetto a quello che siamo stati abituati a bere fino a
Il caffè buono è più difficile da proporre perché è spiazzante rispetto a quello che siamo stati abituati a bere. Dev’essere fatto un vero e proprio percorso. E qui deve entrare in gioco il barista, che va formato
correttamente.
tutto questo ha finito per celebrare il difetto.
Baristi «esecutori» improvvisati
«Purtroppo in Italia manca la voglia di specializzarsi» spiega ancora Polojac. «Il caffè non è un prodotto facile perché ha bisogno di ricerca e di studio, molto più di un vino, ad esempio, che una volta stappato è subito a disposizione del consumatore finale. Il caffè va estratto nel modo giusto e poi va spiegato altrettanto bene. Un barista oggi deve fare tante cose, per questo capisco che, anche se dovrebbe, non abbia la possibilità di formarsi se la spinta non gli arriva dall’alto. Non sono molto dell’idea di incolpare il consumatore finale
pochi anni fa. Dev’essere fatto un vero e proprio percorso. E qui deve entrare in gioco il barista, formato correttamente. E sono convinto che il ruolo di questa figura nei prossimi anni sia destinato a cambiare: la tecnologia sta arrivando sempre di più in supporto di chi lavora dietro al bancone, l’idea del barista macchinista è destinata a venire meno, ma questo non è da vedere come un male perché domani il barista dovrà e potrà occuparsi soprattutto del racconto, del rapporto con il cliente. Il futuro secondo me sarà anche questo: vedremo più cantastorie del caffè e meno semplici esecutori». Il cambiamento, quindi, dipenderà anche dalla figura del barista, che dovrà smettere di stare dietro
il bancone come fosse un arredo, un automatismo umano, una mano che serve la tazzina in meno di trenta secondi. Il suo ruolo, nella realtà delle cose, è cruciale. È lui – o lei – a macinare, dosare, pressare, estrarre. È lui a chiudere il cerchio, a trasformare la materia prima in tazzina. Eppure, in Italia, il barista è forse il più trascurato dei mestieri legati al cibo. Lo si considera un lavoro di passaggio, da fare in attesa di altro: per pagarsi l’università, per riempire un vuoto, per sbarcare il lunario.
Ma perché succede tutto questo? «Semplicemente perché in Italia il ruolo del barista esperto in caffetteria non esiste più» risponde con sicurezza Dario Ciarlantini, consulente e formatore del mondo del caffè. «Mi spiego meglio: oggi la persona addetta alla preparazione dell’espresso deve fare tante altre cose dietro al bancone, di fatto è più un operatore. Al proprietario del locale serve una persona sveglia, veloce, che faccia quello che le viene detto in tempi rapidi. Quasi nessuno negli ultimi anni ha avuto particolare interesse ad assumere un barista che sapesse indicare una materia prima di qualità, che sapesse tenere pulita la macchina, che sapesse estrarre un espresso perfetto, perché il cliente medio entra nel bar e consuma un espresso amaro e sporco. E va bene così a tutti: al cliente stesso, che pensa che quella sia la massima espressione del caffè; al titolare del locale, che vede il cliente uscire soddisfatto; e al barista, che pensa di aver svolto un ottimo lavoro».
