Primo Piano - Luglio Agosto 2021

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a cura di Mauro Degola

INTERVISTE IMPROBABILI A CORREGGIO

LA PIAVE MORMORÒ Mi sarebbe piaciuto intervistarlo. A modo suo, per generazioni è stato una leggenda del paese. É indubbio che il suo aspetto provocasse repulsione, ma non è per questo che la gente lo nominava senza rispetto, anche se non aveva mai fatto del male a nessuno. Piccolo, infagottato, con un profilo che sembrava una caricatura, me lo ricordo vagamente quando, già decrepito, si manteneva lavando le scale di qualche condominio. Puzzava di stracci bagnati e portava nel cesto legato alla vecchia bicicletta due chihuahua petulanti che sbucavano da un sacco: «I miei tesorini», cantilenava lui. Le leggende servono a raccontare com’è il mondo nel bene e nel male, e per generazioni a Correggio “la Piave” ha impersonato l’immoralità, uno scandalo che a quei tempi appariva estremo perché riguardava il sesso e soprattutto, questo è il punto, il sesso definito “non normale”.Comunque la Piave se n’è andato da molti anni e io non potrò di sicuro intervistarlo. Troppo improbabile. Però quarant’anni fa, sul giornale di paese che tuttora si chiama “Primo Piano”, Catia Morgotti e Celestino Pantaleoni pubblicarono un servizio sulla Piave, una conversazione esclusiva che si dice avesse sollevato polemiche. Così ho interpellato la redattrice di allora, pensando di realizzare con la Piave un’intervista per interposta persona. E anche il titolo è preso da quell’articolo.

Disegno di Francesco Ferrari. Nato nel 1997 a Correggio, vive a Mandrio. Ha frequentato il Liceo Corso sezione linguistica, (disegnando un sacco anche durante le lezioni, per sua stessa ammissione). Ha frequentato la sezione di Illustrazione della Scuola Internazionale di Comics, diplomandosi nel 2020.

D - Chi era “la Piave”? R - Non so l’origine di quel soprannome. Emilio Barbieri era il penultimo di quindici figli, di una famiglia molto pia, avviato fin da bambino a umili lavori, analfabeta. All’epoca aveva settantaquattro anni e viveva in un’unica stanza disordinata e puzzolente. Ci disse che non era per questione di soldi, ma perché gli piaceva così. «Mi piace andare come va la mia natura, tenere i miei denti (gliene rimanevano due); i soldi li avrei per l’apparecchio, ma voglio rimanere come sono, così come ha fatto la mia mamma. Mangio del buon cibo, basta che non ci sia da masticare troppo. Le briciole le do ai passeri sul davanzale»

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D - Non sempre a uno può far piacere passare per proverbio. Ma ad Emilio importava? R - Gli chiedemmo: «Lo sa, vero, che la gente l’ha sempre considerata un po’ male». E lui: «Io non ci faccio mica una malattia, perché in coscienza… la guerda, a go di zuvnot quand a pas in piasa dal volti i disen “Adio nimela”. Ma me an g’no mia a mel. In mezzo a loro poi c’è qualcuno a cui io ho fatto…» E ancora: «Eh sì, ho conosciuto molti giovani, dai trenta in giù diciamo. Erano loro a chiedermelo, mica ero io a corrergli dietro o domandare dei soldi. Perché io non ho mai fatto male a nessuno, e non mi ritengo un viziante come certi

ricconi del paese» D - Non lo faceva per denaro quindi, ma, parafrasando De Andrè, per vocazione R - Un po’ di soldini, non so come, li aveva fatti, diceva “cento milioni”, senza spendere nulla per sé: li aveva sempre regalati agli altri, soprattutto ai parenti. Gli chiesi se i suoi clienti gli piacevano proprio tutti, perché mi sembrava strano. E lui: «Beh, proprio tutti no. Ma in genere erano giovani e io non facevo distinzione tra ricchi e poveri. Non l’ho mai fatto per denaro! Figuratevi che a militare mi sono fatto delle camerate intere: grave, eh, la cosa! Comunque erano sempre loro a cercarmi, anche se io non

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