BIMESTRALE DI INFORMAZIONE CULTURALE del Centro Culturale Ariele
Hanno collaborato:
Giovanna Alberta Arancio
Monia Frulla
Rocco Zani Miele
Lodovico Gierut
Franco Margari
Irene Ramponi
Letizia Caiazzo
Graziella Valeria Rota
Alessandra Primicerio
Enzo Briscese
Giovanni Cardone
Susanna Susy Tartari
Cinzia Memola
Concetta Leto
Claudio Giulianelli
Rivista20 del Centro Culturale Ariele Presidente: Enzo Briscese Vicepresidente: Giovanna Alberta Arancio
tel. 347.99 39 710 mail galleriariele@gmail.com
CORRADO PORCHIETTI
«Senza la finzione e il suo sforzo creativo, il mondo sprofonda in un’opacità indifferenziata, precipita su un piano inanimato, si blocca su uno sfondo inespressivo senza parola. L’unico modo per sentirne la vita pulsante e il senso implicito che lo vivifica è quello di dargli un abito estetico e di consegnarlo alla verosimiglianza del racconto. Lo sa bene l’arte che di questo gioco narrativo è maestra e artefice, che tradisce nel gesto originario del possibile, sempre nuovamente ripetuto, l’intenzione veemente del conoscere. Lo sa bene Corrado Porchietti che accosta quel gesto alla potenza dell’ironia, all’astuzia di uno sguardo che, fingendosi ingenuo e inconsapevole, dissimula il quadro convenzionale che ospita gli oggetti, smaschera i suoi infingimenti e li colloca entro il quadro di un’altra realtà, un’altra simulazione, ma ora non conciliata e scontrosa, scomoda e irritante».
Annamaria Chiara Donini
GIACOMO SOFFIANTINO
L’arte, umile dentro il mistero
Nello studio di Giacomo Soffiantino. I suoi lavori recenti come sempre una sorpresa. Mi trovo di fronte a una complessità non ostentata; grande pittura che, contro ogni concessione formalistica, nasce da idee e da emozioni, da intensa e sofferta partecipazione agli eventi del mondo. “Il mistero della vita deve entrare nella pittura”, mi dice Giacomo ed è professione di modestia. La pittura non tenta spiegazioni; del mistero dà soltanto incerti indizi per simboli. I simboli nei dipinti di Giacomo inevitabilmente riguardano la natura e l’uomo che intrecciano le loro vicende. La natura: boschi (l’intrico degli itinerari di vita) , sorgenti (nascita della vita dal profondo e il suo scorrere), conchiglie (altro simbolo del nascere), frammenti (in ogni cosa ci sono il tutto e il nulla, il passato e il presente), aperture di cielo (quel poco che l’uomo riesce a vedere nel mistero), distese marine (l’orizzonte che mai si raggiunge), luce (che è anche calore come condizione di esistenza delle cose). La luce non ha una fonte esterna d’irradiazione; nasce lentamente da profondità e si espande sulle cose. La luce è presenza indiretta dell’uomo come gli alberi. “L’albero come l’uomo che si trasforma nel
tempo, è il ciclo della vita” , mi dice Giacomo. È il tempo che ha come simboli anche teschi, bucrani, fossili, su vie che non si sa dove conducano.
Rovine, collage di frammenti di vecchi manoscritti. Nelle opere l’uomo e le sue vicende sono presenti senza comparire come immagini. Il bosco è folla di uomini.
ARTURO CARLO QUINTAVALLE, Panorama, 8 giugno 1982.
Immensa è la voluttà nascosta tra questi residua , tra queste immagini altere, truccate da povere. “Tutti i vizi alla moda vengono giudicati virtù”, annotava Molière. Tutti gli strilli pittorici assordano gli orecchi e fanno solo mercato. Soffiantino invece ama il sussurro, il gesto ripiegato, il segreto che c’è nell’oggetto.
Ed il magico, l’irreale, l’improponibile nascono dal vero, dal verissimo, addirittura dall’usuale.
Chi è esperto di malinconie, sa perfettamente come la malinconia diventi, a lungo andare, un male inguaribile.
Ma vi è una malinconia degli oggetti che solo un pittore sa spiegare e restituire. Soffiantino vi riesce, in punta di piedi.
E ci dice che anche gli oggetti si ammalano. A poco a poco, tacendo, svuotandosi, rnutando posizione per una caduta, uno spostamento provocato da mano umana.
GIOVANNI ARPINO, “Atlante Fantastico”, Stamperia del Borgo Po, Torino, 1983.
Dunque l’assenza di prospettiva trova conferma nelle cancellazioni e nelle sottrazioni, nella luminescenza sommessa che elimina punti d’illuminazione. Se non temessi di cadere nel contenutismo direi che su cose/relitti si stende una luce/relitto. Specie nelle ultime opere spesso la differenziazione figurale si srnaterializza e restano quasi solo trasparenze nelle estese e compatte campiture che passano l’una nell’altra senza contrasti.
Gli elementi di natura si riflettono, trasformandosi, su uno specchio interno, e di questo accettano le regole: regole di¬vergenti rispetto alle stereotipie visive, ai codici pratici, alle consuete organizzazioni percettive.
Contenuti e simboli nelle trasformazioni della pittura
Per Giacomo la pittura è un destino, un modo di vivere che non ha scampo di fronte alla complessità; crea opere che rivelano la loro qualità in lunghe attente ripetute osservazioni. Il valore simbolico riguarda non solo singoli oggetti ma anche l’insieme della composizione. Perché tanti contrasti, il moltiplicarsi di piani di profondità non ordinati secondo regolarità geometriche, forme fuori scala, disseminazioni di particolari che spesso sono frammenti, segni con lo stesso peso espressivo di vaste stesure? È la vita: rapporti di eventi, coincidenze, alogicità, caso. L’ordine, ed è rigoroso, va ricercato nella qualità della pittura. In mostra lavori del 20082009. Dipinti a olio alchidici e opere in tecnica mista su carta. Alla tecnica mista concorrono l’acquarello e l’intervento grafico. Il passaggio da una tecnica all’ altra la qualità è egualmente alta. Acquarello e costruzione segnica si dividono lo spazio del supporto o vi coesistono; due tecniche per stati d’animo e simboli diversi. Il segno che si oppone alle aree sfumate e leggere in distensioni tonali ha forza pittorica come nei dipinti. La diversità tecnica è simbolo di contrasto come impossibilità di permanere in uno stato di omogenea e durevole quiete. Il colore spesso è gioia di contemplazione e di scoperta, contraddetta dall’inquietudine del segno. Il dipinto a olio del 2008, Le mani, si colloca con discrezione e delicatezza lungo una sicura linea innovativa. Mani si sporgono dall’ alto su una sorta di parete a dominanza rosa chiaro e un segno discontinuo lungo la verticale crea un rapporto con la mano che è alla base: accoglienza, invito a entrare nello spazio di luce. Le campiture di colore nel passaggio dall’ ocra rossa al rosa e le variazioni tonali fanno nascere un flusso di strutture plastiche leggere. Ed è movimento come di carezze che sfiorano appena.
trittico della vita 1 la terra
GIORGIO RAMELLA
Giorgio Ramella nasce a Torino il 24 febbraio 1939. Compiuti gli studi classici, frequenta l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino dove segue il corso di pittura di Enrico Paulucci e di tecniche incisorie di Mario Calandri. L’esordio sulla scena artistica torinese è negli anni Sessanta con un’esposizione alla Galleria La Bussola insieme a Ruggeri, Saroni, Soffiantino e Gastini; nella stessa galleria allestisce la prima mostra personale nel maggio del 1964.
I lavori iniziali, gli Incidenti, sono caratterizzati da forme e frammenti metallici che compongono strutture drammatiche e allo stesso tempo rigorosamente calibrate. Un’opera di questa serie è acquisita nel 1962 dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, mentre altre vengono esposte in importanti mostre nazionali, come il Premio San Fedele a Milano nel 1961, il Premio Michetti a Francavilla al Mare, il Premio Scipione a Macerata nel 1964 e la Quadriennale Nazionale di Roma. Nel 1965 Ramella ottiene il primo premio di pittura al Premio Nazionale Villa San Giovanni e nell’anno successivo partecipa al Salone Internazionale dei giovani, mostra itinerante alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, alla Scuola Grande di San Teodoro a Venezia e alla Promotrice delle Belle Arti di Torino. Durante questa mostra, curata da Guido Ballo, Ramella incontra e frequenta artisti milanesi come Pardi, Colombo, De Filippi, Marzot, Spagnulo, Baratella e altri stranieri quali Arroyo, Aillaud, Schmidt, Ramosa. Nel 1970 è presente all’esposizione “Quelques tendences de la jeune peinture italienne” a Ginevra, Parigi e Bru-
xelles, curata da Luigi Carluccio. Dopo aver sviluppato ricerche di impronta più astratta e geometrica, nei primi anni Settanta, l’artista torna alla figurazione partecipando a diverse mostre nazionali e internazionali quali, “6 grabadores italianos” alla Casa del Siglo XV di Segovia; il Premio Ramazzotti al Palazzo Reale di Milano; “Perché ancora la pittura” alla Reggia di Caserta; “Grafica italiana contemporanea” al Museo d’Arte Moderna di Buenos Aires, San Paolo del Brasile e di Toronto; la FIAC al Grand Palais di Parigi; “Il museo sperimentale” al Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli.
Nel 1985, curata da Paolo Fossati per le Edizioni Fabbri, esce la monografia Un pittore dipinge la pittura, che illustra l’orientamento assunto in quel periodo: attraverso una messa in scena quasi cinematografica Ramella rappresenta con affettuosa ironia la figura del pittore tradizionale ottocentesco en plein air.
Nel 1990 a Palazzo Robellini di Acqui Terme la mostra “Due stagioni allo specchio”, curata da Lorenzo Mondo e Francesco Tedeschi, mette a confronto le opere del primo periodo, Incidenti, con quelle realizzate alla fine degli anni Ottanta Lettere e Pavimenti.
Nel 1991 partecipa all’esposizione, curata da Enrico Crispolti, “Segni, strutture, immagini” alla Galleria Salamon di Torino. L’esposizione personale del 1993 al Palazzo del Comune di Spoleto, curata da Flaminio Gualdoni, documenta un momento significativo nella tecnica e articolazione del mezzo pittorico nel lavoro di Ramella.
Nel 1994 una sua grande Crocifissione, esposta nel Convento di San Bernardino di Ivrea in una mostra presentata da Giovanni Romano, è acquistata dalla Fondazione De Fornaris per la GAM di Torino. La stessa opera è anche esposta a Lione e al Palazzo Ducale di Mantova in occasione della mostra “La croce e il vuoto” curata da Raffaella Morselli.
Tra il 1994 e il 2000 l’artista lavora, dopo un viaggio negli Stati Uniti, ai Graffiti che espone alla Maze Art Gallery di Torino e al Castello di Barolo, e alla Galerie Unter Turm di Stoccarda e al Musée Départemental de la Préhistoire a Solutré, Mâcon.
Nel 2001 alla Galleria La Nuova Gissi di Torino, espone per la prima volta il ciclo dedicato a Vincent Van Gogh, che successivamente porta alla Galerie di Lione e al Centre Le Polaris di Corbas.
Nel 2003 la Regione Piemonte dedica a Giorgio Ramella una retrospettiva al Convento dei Cappuccini di Caraglio; nella mostra che copre circa dieci anni di lavoro sono esposte le prime opere in cui l’artista elabora una personale visione del mito orientalista.
Nell’estate del 2006 presenta a Roma, nel Complesso del Vittoriano, una trentina di grandi opere in una mostra inti-
tolata “Ramella: dai Graffiti all’Oriente 1994-2006” curata da Enrico Crispolti.
In questi anni prosegue il viaggio esotico di Ramella, dall’Oriente si spinge più a Sud verso atmosfere africane per approdare nel settembre del 2009 con la mostra “A Oriente verso Sud” in uno degli spazi espositivi più affascinanti della città: l’ottocentesca fabbrica per la costruzione e manutenzione di locomotive e vagoni ferroviari. Nell’ Officine Grandi Riparazioni di Torino la curatrice Lea Mattarella propone venticinque tele di grandi dimensioni che ben si fondono negli imponenti spazi di questa architettura industriale. Così, quasi come per contrasto, altrettanto distintamente le opere di “A Oriente verso sud” vengono esposte nelle raffinate sale di Palazzo Litta a Milano.
Fanno da sfondo paesaggi africani attraversati da bimotori e ricordano vecchi francobolli le tele di “Fly Zone”; l’esposizione curata da Marco Di Capua a dicembre del 2011 nelle prestigiosa sede di Palazzo Chiablese di Torino. Circa trenta opere di diverso formato si accompagnano a piccoli aereoplani in legno costruiti e dipinti dallo stesso Ramella in un allestimento che li vede sospesi al soffitto e riflettere le ombre sulle pareti e nei dipinti a olio.
mail. giorgioemilioramella@gmail.com
Schwarz Volker
1960 Ulm (Germania). Studi: 1984-87 Università di Tubinga, corso di laurea in germanistica e scienze politiche, 199092 Accademia di Belle Arti di Budapest, corso di laurea in pittura, student ospite.
Il tema del paesaggio viene esplorato anche dall’artista Schwarz Volker, che cuce il filo narrativo delle sue opere attraverso intense macchie di colore volte a cambiare il modo in cui percepiamo la natura. L’approccio astratto aumenta l’intensità
del messaggio, poiché i panorami abituali vengono sintetizzati fino a diventare pura emozione.
schwarzvolli@gmail.com
Schwarz Volker 1_80x80 cm, su tela acrilica
Schwarz Volker 80x80 cm, su tela acrilica
Schwarz Volker 3_56x56 cm, tecnica mista su carta
Schwarz Volker 4_56x56 cm, tecnica mista su carta
Victoria Ileana Dragomirescu
1967 Bucurest, Studii: Istituto di Arti Plastiche Nicolae Grigorescu, Bucarest
Dal punto di vista dello spazio intimo, dominato da una forte presenza femminile, Victoria Ileana-Dragomirescu studia il potenziale ludico del colore, creando attraverso elementi decorativi messaggi apparentemente casuali che diventano oggetto di un autentico epilogo artistico
Tel.: 0724 506 190
Victoria lleana Dragomirescu _88x88 cm, t.m. su tela
Victoria lleana Dragomirescu 2 88x88 cm, t.m. su tela
Victoria lleana Dragomirescu 3_56x56 cm, t.m. su carta
Victoria lleana Dragomirescu 4 56x56 cm, t. m. su carta
Lehel Endre
È nato il 18 luglio 1957 a Budapest e da allora vive a Dunaharaszti. Il suo maestro paterno è stato lo scultore Ottó Artner. Ha studiato a Szeged, presso il dipartimento di disegno dell’Istituto magistrale Juhász Gyula.
La profondità artistica della natura assume una nuova dimensione nelle opere dell’artista Lehel Endre, che esplora con tenacia il rapport tra terra e acqua. La trasformazione modellata dall’erosione assume un ruolo apoteotico, conferendo alle
opere un motivo di continua ricerca. La genesi di un rilievo inghiottito dale acque mostra il groviglio di piante in decomposizione e induce lo spettatore a valutare in ogni istante I doni della terra.
lehelendre@gmail.com
Lehel Endre -56x56 cm, t.m. su carta
Lehel Endre - 80x80 cm, tecnica mista su carta
Lehel Endre - 80x80 cm, tecnica mista su carta
Lehel Endre -56x56 cm, t.m. su carta
Hideg Margit
È nato nel 1958 a Gheorgheni. Ha studiato alla Scuola Superiore di Belle Arti e Arti Industriali Ion Andreescu di Cluj-Napoca. Sono un artista interdisciplinare e docente con sede in Canada/ Ungheria. Utilizzo diversi mezzi espressivi, dalla pittura alle installazioni, Dai progetti artistic partecipativi ai video, dalla scultura all’arte naturale. L’interazione tra pratiche artistiche tradizionali e Sperimentali gioca un ruolo importante nella creazione artistica. La Mia arte apre un dialogo con il pubblico sul valore intrinseco della natura e sul rapport tra l’uomo e la Terra. Il fremito della foresta, la cui memoria non tradisce la natura umana, si percepisce nelle opere dell’artista Hideg Margit, che esplora con precisione, determinazione e sensibilità il rapporto tra uomo e natura. Ramificazioni fra gili riproducono connessioni sociali che obbediscono a un ecosistema interdipendente, la cui voce può essere decifrata attraverso un intreccio ponderato di line grafiche.
margit.hideg@yahoo.ca
Hideg Margit 1_56x80 cm, tecnica mista su carta
Hideg Margit 3_80x80 cm, installazione t.m. su tela
Hideg Margit -_23x16 cm, t.m. su carta
Hideg Margit 5_18x18 cm, t.m. su carta
Mariana Papară
È nata nel 1955 a Brăila. Nel 1978 si è laureata all’Università di Arte e Design di Cluj Napoca, intraprendendo poi la carriera di insegnante, principalmente come professore al Liceod’Arte “Victor Brauner”. Nel 2000 si è trasferita a Torino, dove ha fondato la prima Galleria d’Arte Contemporanea Rumena in Italia. Si dedica all’organizzazione di numerose mostre e progetti artistici, in cui ricopre sia il ruolo di artista che quello di coordinatrice e curatrice. È presidente dell’Associazione Artistica Internazionale “ARIPA”, membro dell’Unione degli Artisti Plastici di Romania, dell’Associazione Internazionale degli Artisti Professionisti, membro dell’Associazione delle Donne
Mariana Papapra _56x56 cm, t.m. su carta
Mariana Papapra _56x56 cm, t.m. su carta
Creatrici nell’Arte Plastica di Romania e membro dell’Enciclopedia dell’Arte Italiana dal 1900 ad oggi.
Su un territorio visivamente fertile si media l’equilibrio tra materialità ed emozione, così la natura per Mariana Papară diventa uno strumento di introspezione volto a suscitare la meditazione. Linee grafiche tracciate con fermezza sulla tela ricuciono superfici di colore cosparse dalla sabbia del tempo che passa, lasciando che la voce della ragione vaghi verso l’infinito.
marianaaripa@gmail.com
Mariana Papapra _80x80 cm, t.m. su tela
Mariana Papapra _80x80 cm, t.m. su tela
Gheorghe Coman
1961 Bucurest, Studii: Istituto di ArtiPlastiche NicolaeGrigorescu, Bucarest
Concentrandosi sulla natura osservata, Gheorghe Coman porta il paesaggio a uno stadio di sintesi plastica e invita lo spettatore a vagare per sentieri sconosciuti e ad apprezzare le possibilità interpretative degli oggetti tangibili.
Tel.: 0730 512 630
Gheorghe Coman 80x80 cm, su tela acrilica
Gheorghe Coman 80x80 cm, su tela acrilica
Gheorghe Coman 4_56x56 cm, carta acrilica
Gheorghe Coman 5_18x18 cm, t.m.su carta
È nato il 1959 a Miercurea Ciuc
Fazakas Csaba
Università di Pécs, Facoltà di Belle Arti - Terapia attraverso le arti figurative - Università Eötvös Lóránd, Facoltà di ScienzeSociali Politica sociale Università dell’Ungheria occidentale, Facoltà di Scienze della Formazione Benedek Elek Pedagogia sociale Studi privati di belle arti, Bucarest (Mircia Dumitrescu) Liceo pedagogico di musica e belle arti, Târgu Mureș
Per completare il discorsocuratoriale, Fazakas Csaba sceglie
di esporre opere monocromatiche il cui contenutomette in discussione la fragilitàumanaevocandolimitifisicisegnati da vulnerabilità, colpa e introspezione. Attraverso un processovolto a separare la veritàdallasimulazione, l’artista ci sfida a chiederci, in definitiva, quale sia il ruolo dell’arte e se le instancabiliaspirazionidell’uomo non rappresentino solo “uno schizzo per una preghiera incompiuta”.
csaba.fazakas@gmail.com
Fazakas Csaba _56x56 cm, su carta grafite.jpg
Fazakas Csaba 80x80 cm, t. m. su tela
Fazakas Csaba 80x80 cm, tecnica mista su tela
Fazakas Csaba 18x18cm, t.m.su carta
Ráduly Mária-Piroska
Artista figurativo, artistatessile e insegnanted’arte, è nato l’8 gennaio 1976 a MiercureaNirajului, nellacontea di Mureș. 1999 - Università di Belle Arti di Timișoara
Dedicata a reti sociali complesse, l’artistaRáduly Mária-Piroska si distacca dal figurativo e concentra la sua attenzione su macchie di colore destinate a costruire legami la cui sonorità o tensione sono destinate a essere percepite dallo spettatore.
“L’artista cerca di creare impronte di vita in cui siamo testimoni di una vivacità visiva.
Le sue opere non possono essere scomposte nei loro elementi costitutivi perché i loro strati sono sinergici e si intrecciano tra loro. Attraverso le interpretazioni individuali, gli eventi dell’esistenza stessa prendono vita nelle sue creazioni. Ci svela il misterioso scrigno di una libertà creativa estatica, dove le sue immagini di sé, allegramente meditative e fluttuanti, sono sempre guidate dalla curiosità creativa. Nelle sue opere, la calma suggerita da una tavolozza di colori equilibrata trasmette sempre un senso di sicurezza.” Botár László
raduly.maria.pir@gmail.com
Raduly Maria-Piroska 80x80 cm, su tela acrilica
Raduly Maria-Piroska 80x80 cm, su tela acrilica
Raduly Maria-Piroska 56x56 cm, tecnica mista su carta
Raduly Maria-Piroska _56x56 cm, tecnica mista su carta
László BOTÁR
È nato nel 1959 a MiercureaCiuc
Nel 1984 si è laureate all’Istituto di Arti Plastiche e Decorative Ion Andreescu di Cluj Napoca, sezione design.
Designer, artistaplastico, curatore di mostre e laboratori creativi.
Perfezionando l’approccio astratto attraverso superfici di colore accuratamente costruite e una gestualità voluta e controllata, BotárLászló analizza relazioni bizzarre attraverso stati d’animo non privi di sincerità. La serie di opere raffigura frammenti di pensieri umani attraversati da un ampio spettro di emozioni che sensibilizzano e stimolano la critica in egual misura. “Non cerchiamo di trovare un contenuto narrativo, quello di László Botár è esclusivamente pittorico - disegnato in un sistema rigoroso e chiuso, ma non privo di umorismo, cinismo e autoironia. Non mi lascio ingannare dale condensazioni formali figurative, che suggeriscono contenuti non traducibili in linguaggio. Piuttosto, si tratta solo del soggetto - e della sua
semplice esistenza, non di come o cosa sia. Queste opere non hanno una storia narrabile; la loro esistenza inizia dove finisce la parola, il verbalizzabile.
Gli elementi di base della sua iconografia sono forme autonome - le giustapposizioni freddamente contorte di contenuti formali in un’immagine, nel tempo, che giustificano solo la loro esistenza. Con infinito rispetto per la dimensione fisica prescelta, I suoi dipinti formano spesso una superficie che ricorda un rilievo paesaggistico, dove le texture e le strutture intensificano il senso di pulsazione pittorica. Questa qualità realistica, familiare e sconosciuta, è il veicolo della particolare finzione visiva e contenutistica costruita a partire dalla realtà che caratterizza I suoi dipinti.
Le sue opere sono un esempio da manuale di costruzione pittorica organica.”
Fazakas Csaba
botarlaszlo@gmail.com
Botar Laszlo 80x80 cm, su tela acrilica
Botar Laszlo 80x80 cm, su tela acrilica
Botar Laszlo 56x56 cm, t.m. su carta
Botar Laszlo 18x18 cm, t, m, su carta
Fábián Zoltán
È un artista ungherese nato nel 1976 a Budapest. In un contest caratterizzato da forme minimaliste, la natura per l’artista Fábián Zoltán si traduce in formule geometriche in grado di bilanciare superfici vuote e piene. Il rapporto cromatico tra bianco e nero prende in prestito l’impronta degli elementi vegetali, dando significato a voci incomprensibili.
hitunkasan@gmail.com
i 10 artisti hanno partecipato al FREE Camp - Miercurea Ciuc - 2025, un workshop internazionale di arti figurative.
Gheorghe COMAN (RO) - Ileana Victoria DRAGOMIRESCU (RO) - FAZAKAS Csaba (AT) FÁBIÁN Zoltán(HU) HIDEG Margit (CAN, HU) - LEHEL Endre (HU) - Mariana PAPARĂ (RO) . RÁDULY Mária Piroska (RO) SCHWARZ Volker (DE) - BOTÁR László (RO)
Fabian Zoltan 56x56 cm, tecnica mista su carta
Fabian Zoltan 56x56 cm, t. m. su carta
Fabian Zoltan 180x180 cm, tecnica mista su carta
Fabian Zoltan 18x 18 cm t. m. su carta
MARIA HALIP
Il percorso di Maria Halip è intrinsecamente connesso alla ricerca e alla sperimentazione, elementi fondanti della sua opera sin dagli
esordi, maturati attraverso il contatto con l’arte e l’artigianato.
La sua infanzia e adolescenza, trascorse nella natia Romania, sono state profondamente influenzate dall’impatto del patrimonio artistico bizantino, il quale ha lasciato un’impronta significativa sulla sua sensibilità e visione estetica.
Nel 1997, Maria Halip ha scelto Torino, in Italia, come nuova sede e centro per i suoi studi. Dopo aver completato la formazione presso il Liceo Artistico, ha perfezionato il suo percorso accademico conseguendo la laurea in Cinematografia e Videoarte al DAMS presso l’Università degli Studi di Torino.
La sua attività professionale si è successivamente sviluppata in un contesto multidisciplinare, spaziando tra arte, cinema e comunicazione. Questo sviluppo è stato sostenuto dall’esperienza acquisita in aziende e istituzioni educative, che le ha permesso un costante confronto con professionisti e figure di spicco del settore.
Allegro N5 - MARMO
Ritmo N12 - MARMO
La produzione artistica più recente di Maria Halip si concentra sull’analisi delle interazioni tra luce fluorescente, colore e design.
L’alternanza studiata di superfici monocrome e stratificazioni cromatiche genera un’estetica essenziale e dinamica, all’interno della quale la percezione dello spettatore diviene una componente attiva e costitutiva dell’opera stessa. La vibrazione luminosa emanata dai materiali non solo trasforma l’ambiente in un’esperienza immersiva, ma dissolve anche i confini netti tra immagine e sensazione, aprendo così a nuove prospettive percettive.
www.mariahalip.com info@mariahalip.com
ALBERTO MONTANARI
L’artista, formatosi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, non ha disdegnato, nel corso della sua crescita formativa, la sperimentazione con i linguaggi espressivi più diversi, non escluso l’informale e le performances. L’approdo all’attuale dimensione pittorica, di natura sintetico-figurativa, lungi dal denotare insulsa piaggeria verso i crismi della pittura accademica, di cui viene comunque assimilato ed elaborato il dettato basilare, si spiega invece come volontà di trasmettere tramite l’immagine un contenuto umano che si rispecchia in valori universali.
Questo messaggio si comunica senza nessuna intermediazione al visitatore, perché trova in lui un’adesione intima non conculcata; non necessita, per legittimarsi, di etichette intellettualistiche pretenziose, che celano spesso, sotto l’altosonante manifesto programmatico, una misera vuotaggine di significato. Se è vero, come sosteneva De Sanctis, che “la semplicità è la forma della vera bellezza”, queste opere non possono lasciare nello spettatore, grazie all’eleganza severa con cui forme e tinte vengono combinate, la sensazione di un mirabile equilibrio interno, all’apparenza immoto, in realtà ottenuto con grande sforzo.
L’ambizione dell’autore non è quella di fotografare l’attimo, in un’istantanea casuale che congela per sempre la cangiante mutevolezza di un paesaggio, un tratto di mare, un volto femminile. Le soluzioni espressive vogliono di ogni soggetto trattato disvelare l’essenza immutabile ed eterna, quella geometria segreta che, grazie a percettibili accordi, crea l’armonia. E’ una bellezza che non ha bisogno di trovare eclatanti o di giochi virtuosistici per dichiararsi, né deve dire qualcosa di nuovo a tutti i costi. Nuovo è ciò che è sempre stato. Gli esiti della ricerca sfociano perciò in una sintesi composta da pochi elementi essenziali: la tavolozza è fatta al massimo di tre colori, combinati con sottile finezza ed impregnati di luce; i soggetti non variano mai: ritratti di donna, paesaggi marini, lembi di litorale disseminati di vestigia classiche, il tutto trattato con un rigore portato al limite estremo. Le figure che popolano il quadro, emergono dalla bruma tenue del fondo, sembrano casuali: un busto antico, un muretto, un’ombra,
uno stralcio di sole; in realtà esse rompono l’immobilità piatta dell’insieme, senza per questo costituire un fattore di contrasto o di dissonanza, al contrario animando il quadro di un improvviso palpito di vita e di significato. La ricerca di un significato ultimo che vada oltre l’effimero è, in definitiva, sottesa a tutto il percorso artistico ed esistenziale di Alberto Montanari: egli la traduce in un’ansia religiosa tesa a riscattare e rivitalizzare i valori spirituali dell’uomo, ed in una pittura fatta di corrispondenze arcane ed eterne, di silenzi colmi di parole.
Annalisa Sacchetti nasce a Reggio Emilia, dove vive e lavora. Si diploma come designer e stilista di moda, acquisendo competenze nell’ambito del disegno, appassionandosi allo studio dei materiali e addentrandosi sempre di più nella ricerca degli accostamenti cromatici. Negli anni Annalisa, grazie anche all’incontro con la religione buddista, rivolge la propria attenzione al proprio sé interiore e capisce che l’arte è la via attraverso la quale ella può trovare lo spazio per la propria necessità di esprimersi. Il disegno si arricchisce di un nuovo significato e, partendo dal pastello, attraverso l’acrilico, Sacchetti si rivolge all’olio. Frequenta, quindi, un laboratorio di pittura ed inizia a produrre opere che sempre di più coniugano le diverse tecniche. E così l’olio, più raffinato, viene utilizzato per i particolari minuti riservando al resto l’acrilico. L’acrilico è sempre mantenuto fluido, e viene comunque preferito all’acquerello per la sua minor trasparenza e il maggior impatto. La materia è uno degli elementi protagonisti delle opere: per i suoi quadri materici, di una materia corposa, utilizza come base dapprima la tela, poi il legno a volte la carta resa più spessa e consistente per mezzo di gessi, sovra spalmati con pazienza. I quadri della pittrice sono infatti di forte effetto, quasi tutti di notevoli dimensioni. La sua carriera artistica si snoda parallelamente alle vicende della vita interiore: passiamo dalle prime opere dove ella disegna i fiori di loto, espressione di bellezza nella cultura buddista, alle successive immagini naturalistiche dove raffigura paesaggi ideali, cascate di forte consistenza materica, rocce dalle tinte surreali, spiagge aspre e nerissime. In rari momenti si cimenta in quadri di minor dimensioni dal sapore astratto per le forme e le relazioni fra i
colori. Ecco, dunque, che l’artista sente di doversi concentrare sulla figura umana e in particolare su quella femminile. Riaffiorano negli ultimi anni le nozioni di anatomia apprese nei suoi studi più giovanili e ora applicate non più ai modelli della moda, ma alle persone che animano i suoi dipinti. Abbiamo donne, come quelle qui raffigurate ed esposte ad ArtFair di Parma 2025, dai lineamenti marcati e sensuali. Si scorge subito la tensione del movimento e dell’espressione, appena racchiusa dalla bidimensionalità del quadro, l’accesa femminilità espressa dal contrasto acceso fra i neri dei corpi e i rossi delle labbra. La sua passione per la nitidezza del bianco-nero trova in questi quadri piena realizzazione: esso, infatti, gioca un ruolo perfetto di sfondo all’elemento ’rosso’, simbolo di femminilità ed intensa emozione. L’atteggiamento misterioso delle figure femminili, i colori accesi, le linee pure e definite ricordano le forme vigorose di Tamara de Lempicka. Fin dalla prima personale – al Tcaffè di Parma nel 2019 – Annalisa Sacchetti ha, infatti, puntato sull’abbinamento, che è al tempo stesso un forte contrasto, fra bianco e nero da un lato e rosso vivo, dall’altro. Il titolo della mostra è stato, non a caso, ‘Tradizione Rossa’. Si può dire che questo è il suo canone di lettura, soprattutto oggi che il suo dipingere è giunto a maturità. Parma, 26 ottobre 2025 a cura di Paola Maggiorelli
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AMABILE BARILI
Amabile Barili e’ nata a Parma dove vive tuttora. tel 0521773280/3468590280.
Dipinge da quando era adolescente la prima personale a 18 anni . Mostre e collettive e personali in tutta Italia ed estero (Roma Milano Parma ecc..Esposto alla Quadriennale di Roma e al Palazzo Reale in collettiva Bolaffi ann70/Quadrato con i pittori di tutto il 900 /e il Comed . La pittrice mostra una pittura intensa come colore sempre agitata nella composizione nel gesto pittorico i personaggi colti in prospettive spesso ardite.in certi colori smeraldo azzurri e rosa carichi . Valori estetici e pittorici e di contenuto si assommano in modo ottimale.
Dobbiamo riconoscere che ci troviamo di fronte a una personalità complessa che ha numerose corde al suo arco, c’è una sigla personale che e’ venuta formandosi con un paziente intelligente lavoro di ricerca perché l’artista può fare affidamento sulle sue indubbie doti naturali.(Riesce a cogliere ed esaltare con grazia singolare anche certe sfumature preziose che ad altri potrebbero sfuggire . . Dino Villani critico d’arte. Colleziona dipinti antichi e moderni
mail: amanda05028@gmail.com cell. 346 859 0280
ArtGallery28/10
Dove l’arte incontra la storia, nel cuore di Alessandria
La Galleria ArtGallery28/10 nasce nel cuore pulsante del centro storico di Alessandria, pittoresca città piemontese situata in una posizione strategica tra Torino, Milano e Genova. Un crocevia non solo geografico, ma anche culturale, dove si intrecciano secoli di storia, arte e tradizione. Alessandria è una città dall’anima elegante e profonda, celebre per la storica Battaglia di Marengo del 14 giugno 1800 e per il mito intramontabile del cappello Borsalino, simbolo di eccellenza artigianale italiana nel mondo. Ma è anche terra natale e di passaggio di grandi protagonisti dell’arte: Carlo Carrà, Pietro Morando, Angelo Morbelli, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Pellizza da Volpedo. Artisti che hanno contribuito a scrivere pagine fondamentali dell’arte italiana del Novecento.
È in questo contesto ricco di suggestioni che ArtGallery28/10 apre le sue porte a chi desidera vivere l’arte con intensità, curiosità e passione.
La nostra collezione abbraccia una pluralità di linguaggi espressivi: pittura, disegno, grafica, arti antiche, ceramica, scultura, installazioni. Un viaggio attraverso i secoli e gli stili, dove il dialogo tra passato e futuro diventa l’essenza stessa della nostra visione.
Entrare nella nostra galleria significa intraprendere un viaggio nell’anima dell’arte: ogni opera racconta una storia, ogni dettaglio è un invito a lasciarsi ispirare, riflettere, emozionare. Federico Bonfiglio
Direttore Artistico – ArtGallery28/10
INTORNO A NOI (28 ottobre 2025)
“La musica è intorno a noi, non bisogna fare altro che ascoltare.”
Questa mostra nasce sotto il segno dell’arte e della musica. È con grande piacere che presenterò questo evento itinerante, unico nel suo genere, anche nel mio spazio Art Gallery 28/10 di Alessandria. Dopo il Museo Bilotti di Villa Borghese, a Roma, sarò lieto di offrire agli amici e al pubblico della Galleria il meglio di questa esposizione. Il dialogo tra arti visive e sonore prende vita attraverso due protagonisti d’eccezione: Giorgio Laveri e la sua scultura, Mitzi Simonetti e la sua pittura. Laveri propone un’elaborazione poetica dell’archetto cuo-
opera: Musica da vedere, 2025 " Archetto per Violino" Colore in pasta di vetro incamiciato con vetro di Murano Canne di filigrana scaldate e attorciliate a 1.100 gradi lunghezza cm. 72 circa. Completamente modellati a mano.
re pulsante degli strumenti ad arco trasformandolo in scultura. La sua maestria nel manipolare materiali e significati conferisce nuova identità all’oggetto: fragile simbolo del suono, diventa emblema di forza e permanenza. Così l’archetto si fa opera, intrecciando la leggerezza della musica con la solidità della forma. Mitzi Simonetti, invece, reinterpreta l’universo degli archi con pennellate che evocano violinisti, strumenti, emozioni. La musica si fa colore, gesto, immagine. Le sue tele vibrano di una figurazione sensuale e dinamica, in cui il suono prende corpo in una danza visiva sospesa tra sogno e realtà.
“Arte e musica ci avvolgono, sottili e luminose come l’aria basta offrire l’anima allo sguardo e all’ascolto per sentirle parlare.” Federico Bonfiglio.
GIGLIO ITALIANO:
PAESAGGI E NATURE MORTE
Giglio Italiano ha scoperto la passione per l’acquerello piuttosto tardi, durante i giorni tremendi del Covid. Ma non è certo nuovo al demone dell’arte: da ragazzo ha fatto il Liceo Artistico, si è poi laureato in Architettura e ha insegnato per tantissimi anni Storia dell’Arte. Nell’intraprendere il suo percorso quasi per gioco (ma Italiano prende tutto con molta serietà), ha vissuto questa esperienza con grande umiltà, lavorando con uno scrupolo e una serietà veramente eccezionali, anno dopo anno, senza forzature inutili. E ha rivelato, come confermano le sue ultime opere, un piglio intatto di valente paesaggista, oltre che - cosa rara - di ottimo acquerellista. Quella dell’acquerello è arte molto difficile, di cui il pittore calabrese ha saputo impadronirsi grazie soprattutto ai consigli e agli aiuti di un vecchio compagno di scuola ormai maestro riconosciuto come Pasquale Marino, trovando in questa tecnica quasi per naturale congenialità la sua misura ideale. A differenza della pittura ad olio, che consente tutti i necessari ritocchi, l’acquerello richiede una mano agile, che faccia guizzare il pennello con rapidità e sicurezza, senza la minima esitazione o il minimo pentimento. Il colpo di colore è irreversibile, incancellabile e fa corpo con la carta immediatamente e per sempre: ritoccato perde di spontaneità, di freschezza, di limpidezza. Se il pennello non ha dato il colpo giusto, con la densità giusta, l’errore viene subito notato da chi ha l’occhio esercitato. Tenendo presenti queste difficoltà tecniche dell’acquerello, penso che si possa apprezzare meglio l’arte di Giglio Italiano.
Diciamo subito che ci troviamo di fronte a un artista che, anche a costo di sembrare un pittore anacronistico, non cerca di ingannare se stesso e gli altri con astruse indagini extra pittoriche, correndo dietro mode passeggere. Egli
affida al proprio sentimento il compito di nutrire di poesia ciò che la mano fattasi esperta traccia sul foglio. Ed è proprio quest’aspetto nativo (per nulla naif, beninteso), di genuina sincerità, che in primo luogo colpisce della sua pittura. Questa condizione coscienziosa di libertà e di chiarezza ha dato a questo punto della sua carriera i suoi frutti e rivela una fedeltà a se stesso e una coerenza che meritano di essere sottolineate. Basta guardare ora queste carte per convincersene: esse sono riassuntive di un percorso durante il quale ha progressivamente saputo definire il proprio mondo pittorico, acquisendo una sua autonoma personalità e giungendo ormai a un traguardo che non tanti possono vantare di aver conquistato così rapidamente.
Mentre tanti artisti con le loro sperimentazioni negano la pittura (forse per il fatto che non riescono a raggiungerla), o esagerano il proprio tormento di artisti caricandosi di tutti i mali del mondo, Italiano ama la pittura fatta con l’antico mestiere di pittore, e cerca nei suoi soggetti il colloquio piano e più privato possibile, ritraendo con cura minuta la poesia di un mondo familiare e popolare nascosta dietro piccoli brani di natura o di realtà. Con lui ci ritroviamo insomma in quel buon vecchio clima degli artisti che credono ancora nella vitalità della pittura e vedono scorrere i loro giorni davanti all’emozione di un vaso di fiori disposto sul tavolo, di un angolo di periferia o uno squarcio di paesaggio innevato da ritrarre.
Egli si pone di fronte alle sue vedute naturali, alle sue nature morte con uno sguardo limpido e onesto; dipinge spesso all’aria aperta, (sul motivo, come dicono i francesi, ma non disdegna l’uso della fotografia) scegliendo punti di vista che non vogliono avere nulla di spettacolare o di suggestivo, di eloquente. Preferisce le situazioni raccolte, quasi sempre concentrate in primo piano, viste attraverso il filtro di uno sguardo romantico che insegue fantasie di luce e trasparenze, con una stesura morbida e sempre molto fine. Il suo linguaggio è quello collaudato della tradizione figurativa che dall’800 è passata nel secolo successivo attraverso le lezione di tanti autorevoli maestri. Egli è pittore di fiori, di molti fiori di ogni tipo, di alberi, di marine, di cieli aperti, di barche ormeggiate sulla spiaggia, di luoghi e cose della sua Calabria che, ricreati nei vari timbri di verdi teneri, gialli accesi, rossi, azzurri, turchesi, bruni, conservano una incantata semplicità. Particolarmente belle, fra i suoi acquerelli, sono le nature morte, tutte di felicissimo taglio. Italiano guarda gli oggetti che lo circondano quotidianamente nello studio, dalla frutta ai piatti decorati ai fiori che ama tanto: li isola, li scruta dentro, li illumina e immobilizza, ne esalta la bellezza e le forme che sembrano ora nuovamente inventate e di nuovo significato. Sul filo di questa poetica naturalistica, Italiano dipinge per il piacere di dipingere, ma lo fa con molta perizia e meticolosità. Ha una pittura pulita, una pittura fresca, diretta, lontana da qualsiasi intellettualismo, che vive essenzialmente nel colore e dal colore riceve incanto, dalla luce e dall’ombra plasticità. Nel colore che disegna, definisce,
costruisce la forma degli oggetti e suggerisce lo spazio, tenuto sempre su un tonalismo misurato e controllato, passa un mondo di mille suggestioni, di mille riverberi che ti permettono di ritrovare il gusto, la ”lezione” della vera pittura, cioè di quell’arte che sa parlare a tutti, e sa dare agli uomini qualcosa che li arricchisce e li migliora. Paolo Ciro
FIERA DI PARMA - Ottobre 2025
ARTISTI PARTECIPANTI:
Enzo Briscese - Aurora Cubiciotti - Giorgio BilliaMariana Papara - Lazlò Botàr - Monica Macchiarini - Fausto Beretti - Egizia Black - Angelo Buono - Giorgio Della Monica - Gabriele IeronimoAlena Masalkina - Stefano Dotti - Lalla LucianoSabrina Marelli - Roberta Popoli - Pier Pramori -
Francesca Cassoni - Mirella Caruso - Ester AimiFernando Sala - Raffaella PasqualiJessica Spagnolo - Alberto MontanariStefania Popoli - Alessandra NunzianteFrancesca Oppici - Stefano De StabileAnnalisa Sacchetti -
STEFANIA POPOLI
Ares vs Kalos
Nel dittico Ares vs Kalos, l’artista realizza una delle sintesi più compiute e complesse del suo percorso espressivo: un paesaggio mitologico e atemporale, immerso in un silenzio visivo che si distende tra tensione ed introspezione.
L’opera si presenta allo sguardo come un enigma e un’icona allo stesso tempo: un manifesto visivo capace di incarnare ed indagare il legame inestricabile fra distruzione e bellezza. Si impone, infatti, un dialogo significativo tra due archetipi essenziali: Ares, dio della guerra e della forza distruttrice e Kalos, incarnazione della bellezza ideale e dell’armonia. Un confronto che si traduce in un’opera raffinata, nella quale composizione e simbologia si fondono, facendo emergere la colta cifra stilistica di Popoli. Una dicotomia amplificata anche dallo sfondo arancione del dipinto, vibrante e quasi ipnotico, che si pone in netto contrasto con la purezza algida delle figure scultoree emergenti da acque trasparenti, quasi a voler segnare un confine tra visibile e invisibile, tra memoria e mistero. Questa dualità si rivebera, inoltre, sugli elementi simbolici in primo piano, come il melograno trafitto dalla spada, emblema di una bellezza ferita e intreccio tragico di fecondità e dolore;
Stefania Popoli è nata a Parma, dove ha conseguito la Maturità Artistica in Decorazione Pittorica. Successivamentesi è laureata in Storia dell’Arte. Ha partecipato a innumerevoli manifestazioniartistiche in Italia e all’estero come Roma, Milano, Firenze, Padova, Parma, Parigi, Londra, Montecarlo. È stata pubblicata in riviste specializzate ed enciclopedie di arte contemporanea. come l’Atlante dell’Arte Contemporanea 2024Patrocinato dal MetropolitanMuseum di New York, e il Catalogo Dell’Arte Moderna Mondadori numero 61.
la farfalla, fragile e fugace, evocazione dell’anima e della metamorfosi; la conchiglia, archetipo femminile e richiamo all’origine della bellezza; ed infine, il pavimento a scacchi, bianco e nero - spazio di tensione razionale e metafisica - nonché il gioiello con rubino e perla, simbolo di un’eterna dialettica tra passione e purezza eterea, tra impulso terreno e idealizzazione sublime.
Ancora una volta, Popoli non si limita a rappresentare il mito: lo reinventa, lo attraversa e lo trasfigura, proiettandolo in una dimensione estetica e psicologica fortemente contemporanea. L’opera si configura così come uno spazio mentale e sensibile, in cui lo sguardo dello spettatore è invitato a sostare e ad interrogarsi, lasciandosi trasportare tra la ricchezza dei simboli e la profondità del pensiero.
Francesca Callipari Art critic and Art curator
Un Dialogo Tra Vedova e Tintoretto una Conversazione durata tutta la vita
di Giovanni Cardone
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Emilio Vedova apro il mio saggio dicendo : Potrebbe sembrare oziosa la ragione per cui ho pensato forse, di mutare la datazione tradizionale del periodo artistico più recente , che parte in genere dal secondo dopoguerra, cioè dal 1945: considerando quindi gli anni delle guerra quasi una coda, o una logica conseguenza degli sviluppi del decennio precedente, se non, quasi, un’interruzione nel flusso degli eventi artistici. Se in parte sono vere tutte e tre queste cose , è anche vero che per ragioni magari contingenti, il periodo bellico, più ancora della vittoria finale americana, è stato quello che ha determinato lo spostamento della capitale internazionale dell’arte da Parigi a New York ed ha rappresentato un importante momento di incubazione di esperienze che sono esplose nel periodo immediatamente successivo, come la grande fase internazionale dell’ Informale. In questo periodo siamo nei primi anni quaranta dove un gruppo di artisti e fotografi europei andarono in esilio in America ed in particolar modo a New York . Da tante fotografie dell’epoca si evince che erano di nazionalità francese iniziando dal capo storico del Surrealismo Andrè Breton , gli artisti Masson , Tanguy , Ernest, Duchamp e Matta tra loro è presente anche Piet Mondrian che avrebbe vissuto gli ultimi anni nella città di New York lascandovi l’eredità della sua complessa speculazione sullo spazio e sulla superficie pittorica. Inoltre erano tornati in America anche come emigranti altri esponenti della cultura surrel-dada , oppure astratta e costruttovista , come Man Ray, Laslò Monholy – Nagy, e Hans Hofmann, un artista tedesco sottovalutato ma che la sua influenza fu determinante per la nuova generazione degli artisti americani. Altri artisti arrivarono in America come l’armeno Gorky e l’olandase De Koorning ma nel contempo molti di loro furono influenzati anche da Mirò, Picasso ed arrivarono anche gli echi di Kandiskij. Ecco perché nasce il dripping grazie al giovane Pollock, egli fu influenzato in parte dai colori di Marx Ernest. Bisognerà attendere il 1947 prima che questo
procedimento diventi per lui abituale, con le dirompenti conseguenze che lo hanno reso celebre . Definiamo con il termine onnicomprensivo di ‘Informale’ tutta una serie di esperienze verificatesi negli Stati Uniti e in Europa tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni sessanta. E’evidente che, nello spazio di tempo di un quindicennio , in una situazione tanto articolata e vasta quanto quella intercontinentale presa in esame, non ha quasi senso parlare di ‘un’ solo ‘movimento artistico’ ; ed evidente che le sfaccettature sono tante e molteplici da risultare in alcuni casi incomprensibili tra loro. Dobbiamo pensare che in questo periodo vennero battezzate numerose etichette che solo oggi comprendiamo lo stesso temine: Action Painting e Abstract Expressionism in America , ovvero: ‘Pittura Materica o gestuale’ in Italia ‘Tachisme’ in Francia ecc….E’ ovvio in questo senso , che non solo il termine ‘Informale’ , come verrà qui usato , ha un suo valore ‘riassuntivo’ rispetto a queste esperienze diverse limitiamoci per ora a constatare delle differenze che sono solo fondamentalmente di orientamento e di scelta puramente formale dividendo tra gestuale , materica e segnica . Possiamo dire che l’Informale risolve il suo approccio all’arte apparentemente in modo formale con un ritorno al quadro, alla pittura, e alla scultura. Questo ritorno alla pittura consiste quindi nel coprire la superficie della tela con materie colorate questa distinzione tradizionale tra fondo e figura e tra forma e spazio che era sopravvissuta in linea di massima in ogni caso tutto è cambiato c’è quasi un’aggressione al quadro ed inoltre la pittura ‘veloce’ come l’informale richiedeva una trasformazione tra ‘forma e dinamica’ tutto diviene un movimento tralasciando la staticità che c’era nella tradizione astratta. La pittura è un’attività ‘autografica’ , quindi quasi una ‘scrittura’ , privata del pittore , determinata nel tempo ( che coincide col tempo, in genere veloce , di esecuzione del quadro ) , una pulsione interna che viene espressa attraverso il gesto oppure attraverso una sequenza di gesti.
Alla base c’è il gesto questa è la novità della nuova ‘pittura’ che si evince in primis dal gesto, ma anche dal concetto di ‘improvvisazione’ come avviene anche nella musica ‘jazz’. Poiché la superficie del dipinto si presenta come un insieme in cui non sono realmente distinguibili figura e sfondo , il disegno, quando compare , non si presenta come contorno di una campitura ben delineata , ma come ‘struttura di segni’, che innerva la superficie del dipinto , così come il colore non riempie nessuna forma, ma si contrappone liberamente ad altri colori , facendosi esso stesso disegno , figura’, o superficie , o tutte e tre le cose contemporamente. In effetti tutti i residui di illusionismo spaziale che è dato di cogliere sono dovuti alla libera contrapposizione dei colori tra loro. Dato che la superficie è alla base del nuovo percorso comunicativo dell’artista e nel contempo si denota una differenza tra l’astrazione e la pittura informale alla base, c’è un linguaggio lirico di ascendenza espressionista. Negli Stati Uniti si inizia ha definire un tipo di pittura ‘Espressionismo astratto’ , come quella di De Kooning che cerca di percorrere sia il linguaggio figurativo e astratto la stessa cosa avviene in Europa dove si afferma il gesto e l’improvvisazione. Molti sono gli esempi l’informale figurativo è una pittura che procede con larghe stesure di superficie , in cui il disegno interviene spesso come una struttura ulteriore , che ricopre la superficie ‘a griglia’ . La gabbia dei segni non è necessariamente astratta , pur opponendosi alla nozione di ‘forma’ . Anche la linea paradossalmente si fa superficie. Appaiono quindi , a volto, delle ‘figure’ : quasi dei graffiti infantili, come nei quadri di Dubuffet , di De Kooning e di Antonio Saura. La seconda Guerra Mondiale porta un mutamento all’interno dell’arte, perché l’arte non è indifferente alla storia degli uomini. Mutamento che riguarda soprattutto la fiducia nel progresso e nella scienza che ha portato alla bomba di Hiroshima, con una conseguente idea di sfiducia nella possibilità di riscatto per la razza umana e di sfiducia nel futuro. La scienza non è sempre evoluzione, ma può essere anche morte
e distruzione, può portare una idea di futuro radioso o disastroso. Basti pensare a tutto il periodo della guerra fredda, all’ipotizzato futuro pieno di alieni comunisti, basti pensare alla nascita dell’esistenzialismo di Sartre (che tanta influenza ha nel cinema, nel teatro ed in molte manifestazioni dell’arte), con il suo senso del tragico, con una idea di impotenza rispetto ad un mondo che sta andando verso distruzione e depressione. E’ un mutamento negativo, ma non rassegnato né depresso: c’è una ricerca di nuove forme espressive da parte degli artisti, che creano una via di uscita e si danno una possibilità attraverso la codificazione dell’Informale. ‘Informale’ è storicamente definita una tendenza più che una corrente o movimento dell’arte contemporanea che si distacca dalle forme artistiche delle precedenti avanguardie ed i cui attori, per risultati, caratteri e temperamenti del tutto imparagonabili e specifici, pongono in luce le ragioni esistenziali della propria ‘rivolta’ nelle singole poetiche meditative e vanno alla ricerca di un senso del ‘profondo’ con svariate tecniche, al di là delle apparenze nelle storiche modificazioni delle forme. Vedova eroicizzò sé e i compagni del Fronte come «bestie rare, come personaggi scandalistici» agli occhi di una maggioranza incapace di leggere la protesta e l’«estrema necessità di rivelazione» nei loro quadri. Riferendosi indirettamente al dilemma sulla priorità tra astrattismo o realismo come arte socialmente significativa e al clima della campagna elettorale allora in corso Vedova aggiunse: «in questo momento così teso dipingere una nostra azione all’infuori delle convenzionalità significa per noi costruire, attraverso un primordio, una ragione che ci spinga a credere». Non esitò a definire il Fronte Nuovo delle Arti «trampolino verso la Terra Promessa», un «gridare nel deserto», di «uomini nel deserto, legati alla nostra sorte di uomini di punta».
Tuttavia mitigò l’antagonismo e profetismo avanguardisti con i temi, già sartriani, dell’umanismo esistenzialista e dell’impegno dell’intellettuale (di lì a qualche mese, Sartre sarebbe stato evocato a difesa dell’astrattismo anche dagli espositori alla mostra
nazionale d’arte contemporanea di Bologna nella nota polemica con Togliatti su «Rinascita»). Infatti fece appello alla responsabilità, che ciascuno deve assumersi, di dare testimonianza di sé come «uomini nuovi»; al compito degli intellettuali «di liberarci e di portarci parole strette nel pugno»; alla volontà di «risolversi nella morale dei suoi compagni e con essi», come base di un nuovo umanismo solidarista. L’annuncio avvenirista così evidente portava il discorso dalla contingenza della politica o dai semplici proclami estetici a un livello più alto di implicazioni per l’umanità. Per il catalogo della personale al museo nazionale di Poznan, in Polonia, nel 1958 Vedova si compiacque di utilizzare un primissimo piano, fattogli dal fotografo Nino Migliorini, pubblicandolo in posizione di assoluta evidenza subito dopo l’apertura della copertina, come iconica auto-presentazione. Il volto che occupa l’intera pagina, affiancato dai grandi caratteri del cognome in verticale sulla bandella, l’intensità dello sguardo che intercetta quello del lettore implicando un contatto empatico, suggeriscono una consapevole regia della propria immagine carismatica, e il confronto con una famosa xilografia di Emil Nolde di un profeta dal volto emaciato e gli occhi brucianti in orbite incavate, che veicolano l’idea di un’ispirazione interiore, non mi pare peregrino . Nel 1961 Vedova collaborò a Intolleranza 1960, un’azione scenica per soli, coro e orchestra musicata da Luigi Nono da un’idea di Angelo Maria Ripellino, rappresentata il 13 aprile di quell’anno alla Fenice. L’opera gli era congeniale non solo perché gli permise di sperimentare con proiezioni luminose e schermi metallici traforati, in movimento e sospesi sulla scena, ma perché la vicenda drammatizzava una storia di scontri di forze antitetiche tra uomini che prendono coscienza di sé e si ribellano e le forze dell’oppressione, economica e di classe che egli condivideva. La vicenda narra le traversie di un minatore emigrato che decide di rimpatriare, per trovarsi ad assistere lungo il viaggio a un comizio antinazista, venire arrestato, torturato, portato in un campo di concentramento,
da cui poi fugge e infine solidarizza con un non meglio identificato algerino. Nel secondo tempo, l’emigrante si aggira tra proiezioni, voci, mimi simboleggianti le assurdità, le idiozie massmediatiche e le minacce della società contemporanea, e la scena culmina con un’esplosione atomica; subentra quindi il canto della compagna dell’emigrante, che inneggia alla vita, all’amore e alla fraternità perduti dall’uomo imbestiato. Seguono episodi di violenza e fanatismo razziale, finché l’emigrante e la compagna giungono al paese natale che però trovano sommerso dalla piena del fiume, mentre una voce dirama il palesemente assurdo comunicato ufficiale: «Il Governo ha provveduto, la colpa è del metano». Solo sul sipario finale sono proiettate parole di Bertolt Brecht che schiudono un po’ di speranza nella solidarietà tra gli uomini: Voi che siete immersi dai gorghi dove fummo travolti, pensate anche ai tempi bui da cui siete scampati. Andammo noi, più spesso cambiando paese, che scarpe, attraverso guerre di classe, disperati, quando solo l’ingiustizia c’era. Voi, quando sarà venuta l’ora che all’uomo un aiuto sia l’uomo, pensate a noi con indulgenza . Il collage di testi da cui Nono compose il libretto sono un florilegio di letteratura materialista, rivoluzionaria, e inchieste di controinformazione inclusi Brecht, Vladimir Majakovskij, Paul Eluard, Sartre, Julius Fucik e Henri Alleg. Ripellino e Nono trassero spunto da episodi odiosi della storia recente, incluse la strage di minatori (molti emigrati italiani) a Marcinelles, l’alluvione in Polesine, le torture della polizia francese a Parigi e in Algeria, le repressioni di lotte sindacali. Secondo Argan, in questo episodio di teatro d’avanguardia la musica di Nono e le violente mutazioni scenografiche di Vedova, nel drammatizzare i misfatti della reazione, sottoponevano il pubblico a uno shock sensoriale che lo avrebbe scosso dal torpore emotivo e dall’inerzia morale che costituiscono il tipo umano borghese, eterno spettatore indolente. «La forza e la successione incessante delle emozioni» avrebbe riscattato il borghese, spingendolo all’azione al fianco degli oppressi del mondo .
Al di là delle aspettative eccessivamente ottimistiche di Argan sull’efficacia rivoluzionaria di uno spettacolo d’avanguardia, Vedova condivise con Nono il lugubre scenario storico e una visione pessimista che trascurava che gli ultimi quindici anni potevano anche essere letti come storie di ricostruzione, di progressivo aumento del benessere, di avvio del processo di integrazione europea, e anche col citato metano estratto dall’ENI a Cortemaggiore di prospettive di sviluppo industriale. L’enfatico stile gestuale di Vedova, che negli anni ha raggiunto dimensioni spettacolari per il gigantismo delle tele, declinando sempre convulsi significanti di indignazione, denuncia, e ribellione, è diventato ampiamente ripetitivo. Assumendosi la responsabilità del ribelle che si solleva in nome della salvezza dell’uomo contro la violenza, le ingiustizie e la disumanità del sistema, Vedova rimase fedele al rifiuto della figurazione. Seguendo implicitamente l’estetica di Theodor Adorno, Vedova riteneva che il principio strutturale dell’opera d’arte non-organica fosse già in sé stimolo di emancipazione, in quanto permette il disgregarsi della struttura chiusa, quindi del principio di autorità che Vedova detestava. Tuttavia la Terra Promessa ai tempi del Fronte Nuovo delle Arti cedette il passo all’eterno conflitto storico della libertà e dell’oppressione; non arrivando mai a costruire un’immagine intellegibile, Vedova non ha intravisto alcuna evoluzione e rimase essenzialmente il sismografo di perduranti emozioni negative. Il percorso espositivo si snoda nelle sale delle Cannoniere con una sequenza non strettamente cronologica, volta a sostenere la tesi dell’esposizione, indirizzata ad esplorare quei periodi-episodi della vita artistica di Vedova in cui – tralasciando il suo forte impegno civile e silenziando quella sua ben nota, carismatica voce di protesta davanti alle tragedie della storia e agli eventi della cronaca – l’artista sembra dedicarsi all’esercizio della pittura, lasciandoci così prove straordinarie di quella sua impetuosa energia creativa, che ha incontestabilmente segnato la pittura europea del secondo dopoguerra. Un eccezionale percorso espositivo concepito per accostare l’arte di due grandi pittori veneziani, ciascuno tra i massimi interpreti della propria epoca – Jacomo Robusti detto il Tintoretto (Venezia, 1518-1594) ed
Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) – letti in parallelo, così da affrontare lo sviluppo dell’opera di Vedova nel suo confronto con quello che è stato il maestro d’elezione, indagando similitudini e temi consonanti (o dissonanti) alla base delle singole scelte espressive. Tintoretto è stato fondativo per la formazione artistica di Vedova e la mostra a Palazzo Madama sottolinea l’impeto e la forza dell’articolato rapporto che lega i due artisti attraverso l’accostamento di capolavori del maestro rinascimentale e dell’artista informale. Il progetto dell’esposizione prende avvio dalla straordinaria opportunità di ospitare a Torino una delle opere conclusive, e paradigmatiche, della parabola umana e artistica di Tintoretto: l’Autoritratto del 1588, in prestito dal Musée du Louvre. Una tela che è stata più di un modello iconografico, rappresentando, come si evince dalle interpretazioni di Edouard Manet – che la replica e la considera il più bel quadro al mondo – e dagli scritti di JeanPaul Sartre, una sorta di identificazione poetica e concettuale per molti artisti. Sia per Vedova e Tintoretto la quotidianità di una consuetudine con Chiese, Scuole e Palazzi di Venezia in cui cercare e trovare il proprio Maestro, l’unico che gli rivela il segreto per trasformare la tecnica da mero strumento espressivo di belle forme in una lama affilata capace di incidere nella storia. Da lui Vedova trae ispirazione per temi e contenuti, ricava basilari insegnamenti per dominare lo spazio della tela, tradurre in colore la luce delle sue composizioni, modellare nel gesto rapido senza esitazioni le forme, che scaturiscono dal suo nuovo segno, che già nel 1948 lascia ogni tentazione figurativa per risolversi nell’astrazione. Giungendo infine alla sequenza indimenticabile dell’opera …in continuum, compenetrazioni-traslati ’87-’88 riprova di quanto l’incontro di una vita abbia reso grande anche il discepolo, gli abbia offerto lo slancio necessario per andare oltre. A completare il dialogo e l’esposizione è Vedova con la monumentale installazione … in continuum, compenetrazione-traslati ’87/’88: più di cento grandi tele, assemblate le une con le altre in uno sviluppo che sfiderà la verticalità della sala del Senato, testimonianza dell’evoluzione di Vedova che continua con potenza visionaria il suo confronto col maestro ideale.
Jessica Spagnolo
Jessica è nata a Torino , si è diplomata al Primo Liceo artistico e laureata in Architettura. Dipinge alla ricerca del nuovo romanticismo. La sua irrequietezza pittorica la spinge a sperimentare alla ricerca del se, chimera di ogni espressione artistica di introspezione.
Gran parte della formazione avviene grazie all’artista olandese Marta Nieuwenhuijs e agli insegnamenti del maestro Daniele Fissore.
Ha partecipato a numerosissime collettive ed ha al suo attivo una decina di mostre personali, è stata per quattro edizioni la curatrice della Mostra Internazionale Artes – Torino, ad oggi giudice e madrina di eventi e manifestazioni d’arte.
“Chimera di ogni espressione artistica di introspezione” frutto di irrequietezza creativa e del desiderio di esplorare nuovi orizzonti. Le sue opere nascono dal rigore tecnico e dalla libertà interpretativa di un figurativo astratto capace di coniugare la bellezza ai più profondi contenuti.
Impatto cromatico e lievità, caratterizzano tutto il suo lavoro che esprime un’anima lirica e uno spirito sperimentale originale e contemporaneo.
Sito web: www.jessicaspagnolo.com
FB: JEXartist IG: jex._art Cel. 3289616162
PIER PRAMORI
Pier Pramori nasce a San Sisto di Poviglio nel 1965. Durante la crescita, la vena artistica del piccolo Pier emerge immediatamente. Dapprima diplomandosi al Liceo Musicale. Per poi passare a diplomarsi anche all’Istituto d’Arte Paolo Toschi di Parma, in arti Grafiche. Quella per la musica è una sconfinata passione che dura ancora oggi e che lo rende sia un grande collezionista, sia un grande esperto del settore. La musicalità e la sensibilità sono probabilmente quello che dirompe dalle sue opere una volta passato alle arti figurative. Una sensibilità a tutto tondo che tocca i soggetti rappresentati con rispetto, ma estraendone una profondità emotiva unica.
Non inventa nulla. I soggetti sono conosciuti, fanno parte del suo mondo, sono: cantanti, animali, statue classiche e soggetti cinematografici. Vero che non inventa nulla, ma la rilettura con occhi diversi è la chiave di una nuova visionein un mondo dove quasi tutto ormai è stato fatto. Una rilettura che mostra un’anima sensibile che modella materiali grezzi. Una dicotomia sensoriale che riesce a colpire nel profondo chi osserva le opere di Pier. Ci si trova a chiedersi come si possano avere le lacrime agli occhi osservando uno Stormtrooper di Star Wars. È un soldato ed è uno dei cattivi. Ma se fosse lì vorresti abbracciarlo e aiutarlo. Pier annulla in un istante la linea di demarcazione tra bene e male. Il caos generato diventa commovente. Pier utilizza la calce per le sue opere. La calce è una materia grezza che già di per sé incarna il senso del costruire. Costruire case, costruire muri, costruire: o protezione, o separazione. Qui sta la novità più grande, Pier con la calce i muri li abbatte. Mescola, unisce, integra e rende una materia inerte, calda e accogliente. Non più per dividere. Ma per emozionare.
Alessandra Nunziante nasce a Torino il 16 maggio 1991. L’arte e la musica si dimostrano sin da subito pas-sioni forti, tanto che nella sua adolescenza comincia a frequentare il Conservatorio A. Vivaldi di Alessandria e in concomitanza intraprende il Primo Liceo Artistico di Torino. Durante questi anni la sua sensibilità artistica au-menta sempre di più, tanto da farle intraprendere progetti artistici come Torino Word Design, i 150 anni dell’unità d’Italia, l’armeria reale, ecc. Nel giugno 2015 decide di spostarsi dall’Italia e-sponendo le sue opere a Paratissima Skopje, in Ma-cedonia. Da quel momento decide di farsi conoscere sempre di più in questo ambito ed espone in tutte le manifestazioni che le si presentano. Nel maggio 2017 entra a far parte dell’Associazione d’Arte Magica Torino e, insieme ad altri pittori, espone nella Biblioteca Multimediale di Settimo.
cell. 380 156 6144
alessandranunziante91@gmail.com
ITALO ZOPOLO
L’urlo, incontenibile, disperato, irrefrenabile valvola di sfogo per il caotico, ribollente calderone di eccitazioni, emozioni del nostro inconscio mondo psichico è il prototipo di ogni forma di comunicazione, la rottura di ogni imbrigliamento convenzionale. Noi l’abbiamo udito in alcune opere di Zopolo.
La sua eco riverberante è fisicamente percepibile in quelle tele dove tra i corrugamenti e le asperità materiche s’intravvedono ferite ancora beanti che a fatica stentano a rimarginarsi. Sussurri e grida emergono tra le pietre riarse, tra le croste dissecate, tra le terre calcinate. La tellurica magmatica vampa infuocata con ignee deflagrazioni ha liberato energetiche tensioni che per una sorta di germinazione di panica naturalità lascia le sue tracce pietrificando
la luce in un dialogo cosmico e plastico.
In altre opere, pennellate decise, vigorose senza ripensamenti, annullano vaste campiture di colore e si caricano di valenze arcane che si situano e si espandono nelle regioni profonde e oscure dell’inconscio, negli insondabili meandri della mente.
Il gesto lapidario dell’artista subisce in questo modo, un processo di cristallizzazione e testimonia in modo imperituro l’attività fisica di Zopolo nel contatto con il materiale pittorico che rimanda per le sue suggestioni alle intenzioni della poetica del movimento concettuale.
Le immagini acquistano l’efficacia di segnali: talvolta dotati di un carattere simbolico, spesso di una forza corrosiva e sediziosa. Giovanni Cordero
SALVATORE ALESSI
Salvatore Alessi nasce in Sicilia, a Mazzarino (CL) nel 1953, dove vive e lavora. Dopo aver conseguito il diploma di maturità artistica presso il Liceo Artistico di Catania, silaurea in Architettura presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Da sempre svolge la sua attività di ricerca artistica ed espositivaparallelamente a quella di architetto, rivolta alla ricerca espressiva del segno grafico e del colore. Ha partecipato a numerose mostre e premi su tutto il territorio nazionale ed all’estero, in spazi espositivi privati ed istituzionali.Tra le ultime mostre ricordiamo: Rassegna d’arte “Incontemporanea 2020” Italia-Svizzera, Laboratorio 29 Santa Lucia del Mela (ME) – Galleria l’Atelier, Hunibach (Bern); “Genova Art Expo 2020”, 6^ Esposiz. Internaz. d’Arte Contemporanea, Satura Pal. Stella Genova; IV^ EsposizioneTriennale Arti visive a Roma “Anni venti – Global Change” Palazzo Velli Expò; Mostra biper-
sonale presso VI.P. Gallery Milano; Mostra collettiva “Siamo Ancora Vivi !” Galleria ItinerArte Venezia e Muef Art Gallery Roma; I^ Biennale d’arte contemporanea in Valcanonica.Inoltre si riportano le ultime pubblicazioni: Atlante dell’Arte Contemporanea 2021 Ed. DeAgostini; Pubblicaz. su rivista d’arte “Biancoscuro” n.44-2021;Catalogo Sartori “Artisti Italiani 2022” Ed. Archivio Sartori; “Fra Tradizione e Innovazione” Vol. V° di Rosario Pinto, Ed. Napoli Nostra 2022. mail: arcalessi@alice.it tel. 328.860 5093
GIULIANO CENSINI
Giuliano Censini nasce a Sinalunga (SI) nel 1951, vive ed opera a Torrita di Siena (SI). Dopo essersi diplomato all’Istituto d’arte “Piero della Francesca” di Arezzo (Sez. Arte dei metalli e dell’orificeria), frequenta i corsi della facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze e consegue l’abilitazione per l’insegnamento di discipline artistiche e storia dell’arte. Censini inizia a dipingere fin da giovanissimo: le prime mostre e i primi concorsi risalgono infatti alla fine degli anni ‘60 quando, non ancora ventenne, allestisce la sua prima mostra personale. Dal 1973 e fino al 2010 è docente di “Design e Progettazione dell’oreficeria” presso gli Istituti d’arte di Macerata, Pistoia, e per oltre trent’anni, presso l’Istituto d’arte “Piero della Francesca” di Arezzo. Dal 1975 al 1977 frequenta, sotto la guida del Maestro Remo Brindisi, i corsi di disegno presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata e, da quegli anni, inizia a partecipare attivamente alla vita artistica italiana esponendo in mostre personali, collettive e rassegne. Gli anni ‘80 e ‘90 sono caratterizzati da svariati soggiornistudio nelle principali capitali europee dove ha avuto la possibilità di studiare e approfondire le varie correnti artistiche. Grazie a queste esperienze, Censini è riuscito ad arricchire la sua tavolozza, maturando nuove espressioni artistiche, tecniche combinando e contaminando così la sua arte con nuove conoscenze. Fin dagli anni ‘90 la sua pittura è tesa ad esaltare, in un intimo percorso, i segni di quella terra Toscana ricca di umori e di luce presenti nel rincorrersi delle colline e delle stagioni in un dialogo proiettato a celebrare il ritmo del tempo dove l’uomo, con la sua storia e la sua quotidianità, idealizza il suo domani; le
sue opere sono quindi lo spaccato di un momento, una finestra immaginaria che si apre sulla quotidianità della vita. Nel corso degli anni, Censini, oltre ad aver progettato varie opere pubbliche, sia di carattere pittorico che scultoreo, collocate in contesti civili e religiosi, ha esposto in numerose mostre collettive e rassegne sia in Italia che all’estero. Grazie alla partecipazione ai numerosi concorsi di pittura sia a livello nazionale che internazionale, ha conseguito inoltre molti consensi e significativi riconoscimenti. Autorevoli storici e critici d’arte hanno parlato di lui e delle sue opere, così come quotidiani e riviste specializzate si sono interessate alla sua attività artistica. Le sue opere si trovano esposte in musei, enti e amministrazioni pubbliche, in collezioni private non solo in Italia e in Europa, ma anche negli Stati Uniti d’America e in altri continenti.
La sua pittura è tesa ad esaltare in un intimo percorso i segni di quella terra Toscana ricca di umori e di luce, nel rincorrersi delle colline e delle stagioni in un dialogo proiettato a celebrare il ritmo del tempo dove l’uomo, con la sua storia e la sua quotidianità idealizza il suo domani; le sue opere sono quindi lo spaccato di un momento, una finestra immaginaria che si apre sulla quotidianità della vita in una trama pittorica luminosa. in una ipotesi del suo futuro.
I riflessi rossi della sera” - 2022 - Tecnica mista su tela - cm80X80
“Intrecci di Colore e Anima: La Mia Poetica Artistica”
di Letizia Caiazzo
Per me, l’arte è sia uno specchio che un ponte: un modo per esplorare le profondità dell’introspezione, cercando al contempo di entrare in contatto con gli altri. Il mio lavoro intreccia ritratti vibranti, forme astratte ed elementi del fashion design, creando un linguaggio visivo che è al tempo stesso personale e universale. Ogni dipinto si basa su colori audaci e pennellate dinamiche, con texture stratificate che evocano la complessità delle emozioni e dell’esperienza umana. I temi dell’identità, della connessione e della trasformazione percorrono il mio portfolio. Che si tratti di catturare una figura contemplativa, di intrecciare volti in un momento di unità o di fondere arte indossabile con tele dipinte, mi sforzo di creare opere che risuonino su più livelli. L’interazione di luci e ombre, la tensione tra astrazione e realismo e la fusione tra arte e design sono tutti elementi centrali del mio processo creativo.
Credo che l’arte debba invitare alla riflessione e stimolare il dialogo. La mia speranza è che ogni spettatore trovi un frammento della propria storia nelle mie opere, che si tratti dello sguardo silenzioso di un ritratto, dell’esplosione di colore di un’opera astratta o dell’armoniosa fusione tra moda e belle arti. In definitiva, la mia arte è un invito a fermarsi, a sentire e a connettersi.
La Potenza dell’Unità Modulare: Un Ponte tra i Secoli
C’è un filo segreto che lega le cupole bizantine di Ravenna, i sogni dipinti di Georges Seurat e le sculture di mattoncini di Riccardo Zangelmi. È un’idea semplice e al tempo stesso geniale: la realtà, per essere compresa e rappresentata, chiede di essere scomposta in piccoli, pazienti frammenti. Perché la magia non risiede solo nel Tutto, ma palpita in quelle singole, umili unità che lo compongono. Nell’arte, in fondo, i grandi temi sono sempre gli stessi. Ciò che rinasce eternamente, trasformandosi, è il vocabolario. E Riccardo Zangelmi, l’unico italiano Certified Professional LEGO, ha scelto il suo in un oggetto che il mondo crede di conoscere: il mattoncino. La sua opera non è una rottura con il passato, ma una sua brillante riconfigurazione, un dialogo con la storia dell’arte attraverso il linguaggio universale del gioco. Prima di lui, molto prima, operavano i mosaicisti delle cattedrali. Il loro “mattoncino” era la tessera: un cubo di pietra, vetro o oro. Con queste unità minime, edificarono universi divini. La luce, colpendo le tessere d’oro, non si limitava a illuminare un volto di Cristo: lo rendeva vivo, vibrante, trascendentale. Il miracolo non era nel singolo frammento, ma nel modo in cui migliaia di essi, osservati da una giusta distanza, si fondevano in un’immagine capace di commuovere e atterrire. Era un’arte collettiva, lenta e meticolosa, esattamente come quella di Zangelmi e del suo team. Poi, nella Parigi della modernità, irruppe un giovane pittore che osò portare la scienza nell’arte. Georges Seurat. La sua vita fu una corsa contro il tempo – morì a soli 31 anni – ma la sua rivoluzione fu immensa. Il suo “mattoncino” era il punto di colore puro. Immaginò che, invece di mescolare le tinte sulla tavolozza, si potessero accostare piccoli punti sulla tela, lasciando che fosse l’occhio dello spettatore, da lontano, a fondere quel giallo e quel blu in un verde più luminoso e vibrante di qualsiasi altro.
Il suo capolavoro, “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte”, fu inizialmente deriso. Lo tacciarono di freddezza, di meccanicismo, di “lavoro da ingegnere”. Quel primo, apparente insuccesso, è il destino di chi rompe gli schemi. Ma Seurat non si arrese. Con pazienza da certosino, popolò i suoi pomeriggi parigini di milioni di punti, costruendo figure solenni e silenziose che ancora oggi ci ipnotizzano. Era un visionario: aveva intuito il “pixel” un secolo prima dell’avvento
del computer.
Ed ecco che il cerchio si chiude con Riccardo Zangelmi. La sua genialità sta nell’aver riconosciuto nel mattoncino LEGO il legittimo erede contemporaneo della tessera bizantina e del punto di Seurat. Il suo medium è la plastica, il suo metodo è il gioco, ma la sua ambizione è la stessa: costruire emozioni partendo da un’unità modulare.
Come Seurat, Zangelmi sfida lo scetticismo di chi, in un giocattolo, non vede lo strumento di un artista. E come Seurat, risponde con una maestria inconfutabile e una visione chiara. Le sue opere, scrutate da vicino, sono un trionfo di ingegneria e pazienza, un puzzle tridimensionale di complessità affascinante. Ma è allontanandosi che avviene il miracolo: i singoli mattoncini si dissolvono, e ciò che emerge è un volto, un paesaggio onirico, un’onda di pura gioia.
La sua arte ci sussurra che i linguaggi non muoiono, ma si evolvono. Che la ricerca del bello percorre strade antiche, seppure con strumenti sempre nuovi. E che forse, in un’epoca di grande complessità, il gesto più rivoluzionario è proprio quello di riconquistare la libertà del gioco, l’audacia di costruire un mondo migliore, punto dopo punto, mattoncino dopo mattoncino.
Brick Art:
Dove il Gioco Svela la sua Anima Metafisica
di Letizia Caiazzo
L’unico artista LEGO certificato italiano ci guida in un viaggio emozionale.
C’è un luogo dove l’infanzia, quella pura e ostinata che non ci abbandona mai del tutto, ha trovato una voce inattesa. Non è fatta di parole, ma del clic rassicurante di un mattoncino sull’altro. Questo luogo è la mostra “Brick Art - Un viaggio emozionale”, retrospettiva dedicata a Riccardo Zangelmi, l’unico italiano che ha trasformato il LEGO in un linguaggio artistico riconosciuto e certificato dal colosso danese. Un’esperienza che sfida le nostre definizioni consuete di gioco e arte. Ad orchestrarla è la visione dello stesso Zangelmi, che LEGO ha insignito del titolo di Certified Professional, unico artista italiano a poterlo vantare. Una consacrazione che suona quasi come un incarico ufficiale a custodire la magia dell’immaginazione.
Entrare nel suo mondo significa accettare un paradosso affascinante: quello in cui l’oggetto più ordinario, il simbolo stesso del gioco domestico, viene sublimato in una forma d’arte straordinaria. Zangelmi non costruisce semplicemente modelli; evoca presenze. Le sue creazioni, che siano ritratti di un’intensità sorprendente o architetture di puro sogno, vivono
di una doppia vita. Da lontano, incantano per la loro forma compiuta e la potenza narrativa; da vicino, rivelano la loro anima fatta di centinaia di migliaia di tasselli, un mosaico moderno dove la precisione ingegneristica serve una poetica della meraviglia.
La mostra si dispiega non come una sequenza di stanze, ma come una geografia di sentimenti. Ci si muove attraverso paesaggi emotivi, guidati dalla luce e dal colore, ritrovando quella sensazione dimenticata di stupore senza filtri. È un invito, de licato e insieme potentissimo, a reimparare a guardare il mondo con gli occhi di quando tutto era possibile.
E in questo risiede la sua profonda lezione: l’arte di Zangelmi non ci chiede solo di ammirare la sua maestria tecnica, ma ci spinge a ricordare che la creatività più autentica nasce dal coraggio di dare forma concreta ai propri sogni, pezzo dopo paziente pezzo. Non è una mostra su cosa si può costruire con i LEGO, ma su ciò che i LEGO, in mano a un poeta, possono costruire dentro di noi.
Informazioni
Dal 11 October 2025 al 8 February 2026 NAPOLI
Chiesa delle Crocelle ai Mannesi - Piazza Crocelle
ORARI: Dal Lunedì al Venerdì: dalle ore 10,00 alle ore 19,00. Sabato e Domenica: dalle ore 10,00 alle ore 21,00. Ultimo ingresso trenta minuti prima della chiusura
COSTO DEL BIGLIETTO: € 15,00 Biglietto intero WEEKEND E FESTIVI € 13,00 Biglietto intero Feriali € 10,00 Biglietto Ridotto (tutti i giorni): Disabili Gruppi min. 10 partecipanti (solo su prenotazione € 10,00 Biglietto Ridotto (DA LUNEDÌ A VENERDÌ) € 13,00 Biglietto Ridotto (WEEKEND E FESTIVI)
Gratuito fino a 5 anni
TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 081 376 9343
E-MAIL INFO: info@worldillusion.it
Lydia Dambassina. Olympus Offshore
11/10/2025 - 30/11/2025
Bari, Muratcentoventidue Artecontemporanea
Muratcentoventidue Artecontemporanea è lieta di presentare Olympus Offshore, una mostra personale dell’artista greca Lydia Dambassina. Nata a Salonicco, Lydia Dambassina si è trasferita a Lione in giovane età, dove ha completato gli studi secondari. Successivamente ha frequentato la Scuola di Belle Arti di Grenoble e ha conseguito le lauree in psicopatologia e pedagogia presso le Università di Parigi V e Grenoble. Il suo percorso professionale comprende anche ricerche in epidemiologia psichiatrica e l’attività di art director in produzioni cinematografiche.
La sua pratica multidisciplinare spazia tra pittura, video, installazioni, fotografie e testi che indagano questioni sociali e filosofiche: disuguaglianze economiche, crisi ambientale, identità personale e collettiva, ruolo della donna e impatto delle migrazioni. Molte sue opere esplorano la dualità tra vita umana e natura, tra passato e presente, utilizzando oggetti trovati come teschi di animali, bilance d’epoca, terreno in decomposizione o semi — trasformati poeticamente in strumenti di riflessione. Lydia Dambassina è un’artista le cui opere sono una riflessione sull’umanità e sulla società contemporanea. Attraverso una pratica interdisciplinare, sviluppa un discorso che unisce rigore estetico e impegno politico, elevando il quotidiano a una visione universale. I suoi temi — dall’economia al clima, dall’identità all’ingiustizia sociale — sono oggi più attuali che mai. Le sue installazioni spaziano dal personale al politico, invitando lo spettatore a confrontarsi con realtà al tempo stesso
globali e intime. «Gran parte del mio lavoro ruota attorno alla vita e ai suoi vincoli traumatici causati dalla disuguaglianza economica e dalla distruzione della natura... L’identità e la sua formazione, spesso autobiografica, sono al centro della mia ricerca...»
Dambassina definisce la sua arte come “uno spazio terapeutico collettivo» volto a liberare la mente dai vincoli imposti dalle disuguaglianze strutturali.”
Ha sviluppato una poetica personale in cui narrazione simbolica e ricerca estetica si fondono in un linguaggio visivo potente, capace di interrogare lo spettatore e sollevare domande profonde sul rapporto tra individuo e collettività. Le sue opere riflettono una tensione continua tra privato e pubblico, tra intimo e politico, mettendo in scena oggetti, immagini e suoni che diventano strumenti di riflessione.
Dal 2004 la sua ricerca si è concentrata sulla crisi economica e morale globale e sulle disuguaglianze in crescita esponenziale, come dimostra il progetto Party’s over – Starts over che affronta vari aspetti della crisi che ha colpito la Grecia e non solo , dovuta al dominio assoluto dei mercati internazionali sulla sovranità popolare sancita dalla Costituzione. Il progetto si articola in grandi fotografie che combinano immagini e frammenti testuali, spesso tratti dalla stampa greca e francese, che dialogano sulla crisi globale, con particolare attenzione alla Grecia e al crollo della Lehman Brothers.
Dal 15 aprile 2025, Alberobello accoglierà nelle sale di Casa Alberobello una mostra unica nel suo genere: “Banksy e altre storie di artisti ribelli”, che racconta il mondo attraverso gli occhi di alcuni tra i più influenti artisti viventi. Il conflitto, la ribellione, la forza dell’innocenza contro la brutalità del mondo. Sono questi i temi che la street art cattura e trasmette in modo dirompente sotto forma di messaggio sociale universale: l’identità personale diventa evanescente e a sua volta si trasforma in identità artistica forte, chiara e inconfondibile.
Un viaggio nell’arte al femminile: la nuova mostra al MAM di Cosenza
l’arte della resilienza e della memoria femminile.
Femminile. Variazione sul tema nasce da un’idea tanto semplice quanto potente: celebrare l’universo creativo delle donne attraverso una mostra che pone al centro la loro voce artistica. L’esposizione, ospitata presso il MAM di Cosenza, riunisce le opere di quattro artiste – Diva Caputo, Mimma Galtieri, Ornella Imbrogno e Sara De Cristoforo – che, con i loro linguaggi espressivi, esplorano la complessità del femminile, intrecciando tradizione e innovazione, memoria e futuro. L’iniziativa, curata con un approccio che riflette l’esperienza professionale maturata alla Galleria Nazionale di Cosenza da Rosanna Caputo e Annamaria Lico, si propone di dare visibilità a un’arte che incarna eleganza, bellezza e seduzione, ma anche dolore e introspezione, offrendo uno spaccato poliedrico dell’identità femminile contemporanea. Attraverso un allestimento armonioso, che valorizza il legame spontaneo tra donna, natura, tempo e memoria, la mostra si configura come un laboratorio di idee, dove segni, forme e colori si fondono in un linguaggio emotivo e diretto, capace di raccontare storie universali. Più che una semplice esposizione, è un invito a riflettere sul ruolo dell’arte come spazio di espressione e conquista per le donne, in un mondo che, nonostante i progressi, richiede ancora luoghi dedicati alla loro “spettacolare bellezza”.
In occasione dell’evento, ho avuto il piacere di rivolgere alcune domande alle curatricie organizzatrici della mostra: Rosanna Caputo e Annamaria Lico, figure di rilievo nel panorama storico-artistico ed etnoantropologico.
D. Come nasce l’idea di una mostra tutta al femminile?
R. La mostra celebra l’arte al femminile e permette, attraverso le opere esposte, di dare maggiore visibilità a quattro artiste che contribuiscono, in modo significativo, ad allargare la co-
noscenza dell’arte contemporanea con l’interpretazione di un femminile importante e affascinante che affonda le radici nella grande tradizione artistica del passato.
D. Qual è stato il bisogno o l’ispirazione che vi ha spinto a dare voce esclusivamente a donne artiste?
R. Perché le donne artiste riescono ad esprimere, contestualmente e compiutamente, sia la complessità del mondo sia la continua veloce evoluzione che collega insieme memoria e futuro, tradizione e innovazione.
D. Che tipo di messaggio avete voluto trasmettere attraverso la selezione delle opere esposte?C’è un filo conduttore che lega i linguaggi espressivi delle artiste?
R. Il messaggio trasmesso è quello della poliedricità femminile con le intricate sfaccettature della loro personalità quali l’eleganza, la bellezza, la seduzione, il dolore o l’angoscia elementi questi tutti presenti nelle opere di Diva Caputo, Mimma Galtieri, Ornella Imbrogno, e Sara De Cristoforo.
D. In molti testi delle artiste si parla di introspezione, visione poetica, emozione… quanto conta l’interiorità femminile nel percorso artistico che avete voluto raccontare?
R. Nel caso di queste artiste l’analisi dell’interiorità è stata importante per interpretare e decodificare temi e sentimenti riportati nei rispettivi dipinti.
D. Qual è secondo voi il ruolo dell’arte nel dar voce all’identità femminile oggi?
R. L’arte si conferma laboratorio di idee con segni, forme e colori che si materializzano in personalità complesse che rielaborano linguaggi nuovi e schemi svariati.
D. Quanto delle vostre esperienze personali avete messo nella scelta delle artiste e nella costruzione del percorso espositivo?
R. L’esperienza professionale, acquisita durante il percorso professionale e di vita nella Galleria Nazionale di Cosenza, ha certamente influenzato la realizzazione di un allestimento il più armonioso possibile e compatibile con la bella sede del MAM.
D. Nella mostra si percepisce un forte legame tra donna, natura, tempo e memoria: è stata una scelta consapevole o è emersa spontaneamente dalle opere?
R. Il legame tra donna, natura, tempo e memoria emerge spontaneamente dalle opere con un linguaggio espressivo diretto ed essenziale, profondamente emotivo, in cui arte e vita si fondono mirabilmente.
D. Avete dato spazio anche ad artiste esordienti?
R. No. Le artiste che hanno partecipato vantano tutte esperienze espositive.
D. Che tipo di ricerca c’è dietro la selezione delle opere? Avete seguito un tema preciso o lasciato libertà interpretativa alle artiste?
R. A parte naturalmente la figura femminile, i dipinti hanno convalidato belle dimostrazioni della tematica, interpretando, esprimendo ed idealizzando sentimenti e stati emotivi.
D. Secondo voi, c’è ancora bisogno di creare spazi “al femminile” nell’arte, o siamo già in una fase di reale parità?
R. Ogni giorno le donne dovranno acquisire o promuovere la nascita di nuovi e stimolanti spazi dedicati alle loro performance perché per secoli sono stati loro negati e preclusi.
D. Se doveste sintetizzare il cuore di questa mostra in una parola, quale utilizzereste?
R.Spettacolare bellezza.
Alessandra Primicerio (critico d’arte).
“L’attesa” di Lucia Paese:
l’arte della resilienza e della memoria femminile. un silenzio verticale nel cuore pulsante di Cosenza
“L’attesa” di Lucia Paese: l’arte della resilienza e della memoria femminile.
Lucia Paese, artista figurativa espressionista, performer e fotografa, impegnata nella ricerca nel campo delle arti visive haprogettato, inaugurato e donato al comune di Castiglione Cosentino (CS) la scultura “L’Attesa”, realizzata dalla fonderia Zicarelli su richiesta dell’amministrazione comunale. La didascalia scritta dall’artista recita: “Il vento spinge lontani i tuoi passi mentre afferro la tua anima. Mi terrà viva in attesa del tuo ritorno”, sottolineando la forza silenziosa della donna, resiliente custode della famiglia e della speranza, che saluta chi parte per la guerra o il lavoro. Racconta un legame che non si spezza, la presenza che permane anche nell’assenza.La scultura, alta quasi 4 metri, è realizzata in corten, un materiale che resiste agli agenti atmosferici trasformandosi nel tempo, simbolo perfetto della resilienza: le donne cambiano e si adattano, ma restano forti. La figura femminile, ritagliata nel metallo con
un braccio alzato verso il cielo e i capelli mossi dal vento, trasmette attesa, speranza e fermezza. La sagoma umana è vuota al centro; esteticamente colpisce per il contrasto tra forma piena e vuota, che crea un impatto potente soprattutto quando collocata in mezzo alla natura o in contesti urbani significativi.In un’epoca in cui il corpo è spesso sovraesposto e ridotto a immagine, questa scultura ci riporta all’essenziale: ciò che siamo non si definisce solo da ciò che mostriamo, ma anche da ciò che lasciamo passare. Queste sagome prive di volume e materia parlano profondamente pur nella loro apparente assenza. “L’Attesa” non contiene, ma lascia filtrare luce, paesaggio e frammenti di tempo. È una forma aperta che non imprigiona, ma invita a guardare oltre: il corpo non è un involucro chiuso, ma un varco. L’identità è una costruzione continua, permeabile alla vita, agli affetti e alla natura. A seconda del punto di vista, lo spettatore vive un’esperienza mutevole e personale.
La scultura, vuota all’interno, attraversata da cielo, alberi e strade, ci spinge a riflettere su chi siamo: non solo un corpo pieno e chiuso, ma qualcosa di aperto che cambia ogni giorno. Questa sagoma evoca anche chi non c’è più: un’assenza che si imprime nella memoria. Osservarla è come non vedere la persona amata, ma sentirne la presenza. Ci invita a guardare oltre, a sentire con il cuore. L’opera è un omaggio alle donne che hanno scritto la storia silenziosamente, con piccoli gesti quotidiani e ci sprona a fermarci per osservare oltre, attraverso il suo corpo trasparente che lascia scorrere il paesaggio, il tempo e la vita, mentre la figura rimane ferma, silenziosa e potente. E’ una figura aperta, attraversata dalla luce e dalla vita, perché la resilienza non è chiusura, ma apertura al cambiamento, alla speranza e al futuro. Questa figura femminile, che rappresenta tutte le donne in attesa, richiama anche Penelope dell’Odissea, che attendeva giorno dopo giorno il ritorno di Ulisse. Tuttavia, le nostre donne non si sono limitate ad aspettare: hanno agito nel silenzio, tessendo la loro esistenza con forza e dignità. Penelope tesseva di giorno e disfaceva di notte per rimandare una scelta imposta, mentre le nostre donne hanno costruito quotidianamente la trama della resistenza nella solitudine, nella fatica e nella cura della famiglia e della terra.“L’Attesa” suggerisce una riflessione a me molto cara: ancora oggi la donna è spesso segnata da solitudine, invisibilità e mancanza di reale libertà. In un’epoca in cui avrebbe dovuto superare queste barriere, resta spesso imprigionata in ruoli imposti, relazioni squilibrate e contesti che negano autonomia. Quotidianamente i notiziari riportano nuovi casi di femminicidio, testimonianza di quanto la libertà femminile venga ancora perce-
pita come minaccia anziché come diritto.Questa scultura assume quindi un duplice significato simbolico: da un lato rappresenta la resilienza di chi aspetta, dall’altro denuncia il vuoto di ascolto e riconoscimento che molte donne ancora vivono. L’opera diventa così una presenza silenziosa che grida, una forma che accoglie in sé dolore, memoria e richiesta di cambiamento.
Cenni biografici: Lucia Paese ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue opere, esposte in musei, gallerie e collezioni private. Attiva nella difesa del popolo tibetano, ha partecipato a importanti eventi internazionali. Nel luglio 2023 ha inaugurato ad Acri “La casa d’artista”, uno spazio dedicato alla creatività e all’esposizione.L’artista affronta temi di grande rilevanza globale collegati alle Giornate Internazionali ONU e UNESCO, invitandoci a riflettere su bellezza, ingiustizie e drammi del mondo attraverso cartoline artistiche. Realizza inoltre borse d’artista uniche, fatte a mano in laboratori italiani, caratterizzate da colori intensi e dettagli in pelle toscana.Tra le sue mostre più significative “Black Time”, in cui il nero domina come simbolo di assenza di colore, di tempo oscuro e vuoto, riflettendo la società contemporanea. Nelle sue creazioni intitolate “Le radici”, elementi animali, umani e divini, pur terreni, assumono caratteristiche divine e mostruose, suscitando meraviglia e stupore tramite immagini simboliche e allegoriche.Lucia è un vulcano di passione e creatività. Le sue opere e iniziative affrontano tematiche delicate come il ruolo della donna, il femminicidio e i diritti umani.
AlessandraPrimicerio (Critico d’arte)
GENI COMUNI 2025.
Un omaggio a Pinocchio che unisce tradizione e creatività contemporanea.
Anche quest’anno il Museo del Presente di Rende ha dato vita a GENI COMUNI 2025 – Omaggio a Pinocchio, un tributo al celebre burattino della letteratura italiana creato dalla fantasia di Carlo Collodi. La mostra, esperienza culturale unica che unisce memoria, arte e immaginazione, è stata realizzata da Luigi Le Piane e curata con dedizione da Mariateresa Buccieri e Roberto Sottile.L’esposizione ha riunito cinquanta artisti provenienti da tutta Italia, con un’attenzione particolare ai talenti calabresi di cui alcuni hanno reinterpretato la figura di Pinocchio attraverso la loro sensibilità. Il percorso espositivo si è aperto con un omaggio al celebre film del 1974 di Luigi Comencini, con Nino Manfredi, Gina Lollobrigida, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Tra le opere spicca la collezione di sculture in legno dell’artista cosentino “Il Geppetto Calabrese”, che ha riprodotto il Pinocchio del film, accompagnata da fotografie originali e dalle autentiche scarpe indossate da Geppetto-Manfredi.Tra gli artisti di spicco presenti nomi ricorrenti come Antonio Oliva, Roberto Mendicino, Mariella Costa, Gabriele Ferrari, e Antonio De Rose, Aurelio Guaglianone, Imma Lavorato, Francesca Lo Celso, Assunta Mollo, Pierpaolo Nudi, Gianmarco Pulimeni, PaoloViscardi, Antonio Viscardi, Luigia Granata, Giuseppina Irene Groccia… e molti altri, che hanno portato il loro contributo esclusivo alla mostra. Tra le opere, originale eumoristica è risultata quella che ritrae Vittorio Sgarbi: un insieme di cubi rotanti che trasformano il suo volto in quello di una capra, suscitando sorrisi
e riflessioni. Di grande impatto anche un’opera di “design” che rappresenta una sorta di“Big Bang” visivo, con un grande mezzo uovo a destra e frammenti sparsi che, grazie a giochi di luce e ombre, creano l’illusione di petali di fiori. Suggestiva è il quadro in negativo di Pinocchio e Geppetto, che rivela il positivo e straordinari effetti visivi attraverso un QR code scansionabile con lo smartphone.Non mancano creazioni di straordinaria raffinatezza, come i quadri di Guaglianone realizzati con la sabbia, l’Atlante di Paolo Viscardi, di una precisione anatomica impressionante o l’opera realizzata con l’aerografo che cattura l’attenzione per la sua finezza. Tra le sculture spicca l’eleganza stilizzata di Mariella Costa.La mostra offre un’esperienza immersiva che celebra la creatività in tutte le sue forme.All’inaugurazione del 18 settembre ha partecipato Andrea Balestri, l’attore che interpretò Pinocchio bambino nel film di Comencini. La sua presenza ha arricchito l’evento con una testimonianza diretta, rendendo il viaggio tra le opere ancora più emozionante. GENI COMUNI si conferma come un evento di grande richiamo, grazie alla visione di Luigi Le Piane e alla capacità di Mariateresa Buccieri di raccontare l’arte con trasporto e competenza.
La mostra non è solo un omaggio a Pinocchio, ma un ponte tra la grande tradizione letteraria italiana e la creatività contemporanea, capace di parlare a generazioni diverse e di lasciare un segno nel panorama culturale.
Per offrire uno sguardo più approfondito sull’evento e le sue prospettive future, ho raccolto le parole dei protagonisti Luigi Le piane e Maria Teresa Bucceri ideatore e curatrice di Geni Comuni.
In questa intervista esclusiva ci raccontano la reazione del pubblico, il valore dell’accessibilità culturale ai progetti che intendono sviluppare per continuare a valorizzare la creatività e la tradizione nella regione.
D. Qual è stata la reazione del pubblico e della critica all’apertura della mostra? Vi aspettavate un simile coinvolgimento?
R. La risposta del pubblico è stata sorprendentemente calorosa. Fin dai primi giorni, abbiamo percepito un entusiasmo autentico, una curiosità viva che ha superato le nostre aspettative. Molti visitatori hanno trovato nella mostra non solo un percorso artistico, ma un’esperienza emotiva e partecipata. È stato bello vedere come arte, territorio e pubblico abbiano trovato un linguaggio comune
D. Che importanza ha per voi l’accessibilità culturale, e come pensate che eventi come GENI COMUNI possano influenzare il rapporto tra arte e comunità?
R. L’accessibilità culturale è un tema centrale: crediamo che l’arte debba appartenere a tutti, non solo a chi la frequenta abitualmente. GENI COMUNI nasce proprio da questa idea — quella di creare spazi inclusivi, dove le persone possano riconoscersi, partecipare, sentirsi parte di un dialogo. Quando l’arte incontra la comunità, diventa più di un linguaggio estetico: si trasforma in strumento di crescita, di consapevolezza, di identità condivisa. L’obiettivo è quello di abbattere distanze, rendendo la cultura un’esperienza quotidiana, viva e accessibile.
D. Ci sono progetti futuri o iniziative legate a GENI COMUNI che intendete sviluppare per continuare a promuovere la creatività e la tradizione nella vostra regione?
R. Sì, ci sono diverse idee in cantiere. GENI COMUNI è pensato come un percorso, non come un evento isolato. Stiamo lavorando per costruire una rete di collaborazioni tra artisti, istituzioni e realtà locali, affinché il dialogo tra creatività e territorio diventi permanente. L’obiettivo è dare continuità a questo progetto, ci piacerebbe portare la mostra nei vari borghi, Un Geni Comuni in Tour con autobus piena di arte e artisti che sosta in diverse città d’Italia, è da sempre il nostro sogno, ma è dura trovare finanziamenti per questa idea. Crediamo che la vera innovazione culturale nasca proprio da qui: dal confronto tra memoria e futuro.
Dopo aver letto la visione condivisa dell’ideatore e della curatrice approfondiamo ora il contributo specifico della storica dell’arte Maria Teresa Bucceri che ci racconta come ha coinvolto il pubblico con le opere interattive e ci spiega il significato contemporaneo di Pinocchio.
D. Come hai coinvolto il pubblico nella fruizione delle opere interattive, come quella del QR code? Hai ricevuto feedback particolari dai visitatori?
Mariateresa Buccieri: L’idea era proprio quella di far “muo-
vere” il pubblico dentro l’opera, non solo attorno ad essa. Il QR codeè stato un piccolo espediente magico: io, il “grillo parlante” che li ha guidati invitava il pubblico a curiosare oltre la superficie dell’opera e i fruitori alla fine erano tutti piacevolmente sorpresi.
D. Quali elementi di innovazione artistica emergono secondo te dalla reinterpretazione contemporanea della figura di Pinocchio?
Mariateresa Buccieri: Oggi Pinocchio non è più soltanto il burattino che vuole diventare bambino, ma l’emblema di un’identità fluida, in trasformazione continua. Gli artisti in mostra lo hanno reinterpretato come simbolo del nostro tempo, sospeso tra reale e virtuale, tra autenticità e finzione. È una figura antica che continua a parlarci con parole nuove, e questo è, credo, il segreto della sua forza. Per concludere ed approfondire il significato e l’organizzazione di Geni Comuni ho rivolto alcune domande a Luigi Le Piane ideatore e coordinatore dell’evento. Ecco cosa ha raccontato riguardo agli obiettivi alle sfide e al legame con la Calabria.
D. In che modo GENI COMUNI 2025 si inserisce nel più ampio programma culturale del Settembre Rendese? Quali obiettivi culturali e sociali vi siete posti con questa iniziativa?
Luigi Le Piane. Geni comuni è ormai un appuntamento fisso nel calendario del Settembre Rendese. Da molti anni l’evento è stato approvato da diverse amministrazioni e commissari ed è riconosciuto come un evento culturale nazionale, con un’attenzione particolare alla valorizzazione degli artisti calabresi.
D. Durante l’organizzazione della mostra quali sono state le sfide più significative nel coordinare un progetto con così tanti artisti e diverse forme d’arte?
Luigi Le Piane. Unire circa 60 artisti diversi non è semplice. Insieme ai curatori cerchiamo ogni anno di curare al meglio anche l’aspetto estetico della mostra perché “l’occhio vuole la sua parte”. Nonostante la diversità delle forme d’arte, la presenza di artisti di rilievo nazionale, che fanno da mentori, rende l’evento straordinario ma anche impegnativo da organizzare.
D. Quando è stato importante valorizzare il legame con la Calabria e quali aspetti della cultura calabrese emergono attraverso le opere esposte?
Luigi Le Piane. Il legame con la Calabria è fondamentale nel progetto. Diamo sempre maggiore spazio agli artisti della regione, che si mescolano con quelli provenienti da altre parti d’Italia, condividendo usanze, tradizioni e cultura. Inoltre durante le serate di apertura gli artisti locali possono conoscere e confrontarsi con quelli provenienti da fuori regione favorendo uno scambio culturale a tutto tondo.
GENI COMUNI 2025 si conferma come un evento culturale di grande rilievo reso possibile grazie alla presenza e al sostegno costante del Comune di Rende Questa collaborazione permette di valorizzare il talento calabrese e di promuovere un proficuo scambi artistico e culturale tra diverse realtà italiane, grazie all’impegno degli organizzatori e alla partecipazione di artisti di alto livello. GENI COMUNI continua a rappresentare un momento unico di crescita confronto e valorizzazione per tutta la Comunità.
Alessandra Primicerio (critico d’arte)
Rivolta Femminile La seconda collettiva tutta al femminile
E’ stata inaugurata a Trapani con tre performance internazionali, all’ex monastero di San Domenico a Trapani, la seconda edizione di Rivolta Femminile, mostra collettiva interamente dedicata alla soggettività femminile nell’arte contemporanea. L’apertura è stata accompagnata da tre performance di rilievo internazionale: Giovanna Scarcella, attrice di Paceco, con Sottane, insieme a Danilo Fodale, tratto dal celebre testo femminista I monologhi della Vagina (1996); Anitra Berzina, artista lettone, con La vendetta è più dolce del sanguinaccio; Jaanika Peerna, artista estone che ha vissuto tra New York e Lisbona, con La mia calda offerta di freddo. La mostra La collettiva “Rivolta Femminile. Soggettività femminile nell’arte siciliana contemporanea”, a cura della critica d’arte Anda Klavina, riunisce 20 artiste siciliane o legate alla Sicilia. Il progetto mette al centro il dissenso femminile, smascherando i legami patriarcali, in continuità con le riflessioni di Carla Lonzi negli anni Settanta. Le artiste in mostra: Kristine Alksne, Anitra Berzina, Giulia Bonaldi, Jana Brike, Piera Campo, Mariele Chiara, Helena Grompone, Alessandra Lamia, Savior Lunastorta, Giovanna Miceli, Naomi Middel- mann, Jaanika Peerna, Esra Sakir, Joetta Savona, Giovanna Scarcella, Silvia Scaringella, Malgosia Stepnik, Erin Calla Watson, Paula Zvane. Metà delle partecipanti è composta da artiste siciliane, l’al-
tra metà da italiane e straniere che hanno sviluppato un legame con l’isola. Le opere spaziano tra diversi linguaggi: pittura, scultura, installazione, fotografia digitale, danza contemporanea, poesia, teatro e performance. Il progetto l progetto Rivolta Femminile è stato avviato a Trapani nel 2023 da Anda Klavina e trae ispirazione da un ricco patrimonio femminile locale: dal Tempio di Venere a Erice alla teoria di Samuel Butler sulla principessa Nausicaa come possibile autrice dell’Odissea, fino all’eredità femminista della pittrice trapanese Carla Accardi.
“La mostra è uno spazio protetto in cui, in solidarietà con altre artiste, si enfatizzano quegli aspetti autentici dell’identità femminile non ancora assimilati,” dichiara la curatrice Anda Klavina. “La performance di Giovanna Scarcella aggiunge una potenza speciale al progetto, traducendo il destino delle donne siciliane e mettendo in risalto la bellezza della lingua e delle tradizioni isolane.”... leggi il resto dell’artico
La mostra è realizzata con il sostegno di: Comune di Trapani, Ambasciata lettone in Italia, Ville de Lausanne, Estonian Cultural Endowment, Fondazione Capitale Statale della Cultura della Lettonia, Radio 101 Trapani, Ossunarte. Sponsor: Laudicina Srl, A. Occhipinti Srl, Tonno Auriga di Nino Castiglione Srl, Abate Franca Alba Srl, Handball Erice, Trapani in Moda Srl, oltre a numerosi sponsor privati.
Scatti in bianco e nero dall’Albergheria: foto di Maxine Jones in mostra a Palermo
Sono creature complesse – rinoceronti sovradimensionati, gorilla che ci osservano in silenzio, da lontano, struzzi pop, coleotteri, bambini in equilibrio tra cranî fossili –, testimoni muti ma eloquenti di un’umanità smarrita che sta ancora cercando le sue tracce. E in un esempio di resilienza ecologica come è il Parco di Selinunte - luogo dove il tempo non ha distrutto, ma trasformato - trovano uno spunto in più per avviare un nuovo racconto che affronta i grandi temi inevasi del nostro tempo: la difesa dell’ambiente, un’umanità sempre più lontana dal pianeta, senza memoria.
Selinunte ospita la nuova personale di Stefano Bombardieri, Pericolo estinzione. Impronte in suoli antichi, progetto che trasforma uno dei siti archeologici più straordinari del Mediterraneo in una piattaforma di dialogo tra storia e consapevolezza. La mostra, inaugurata sabato 21 giugno, durerà fino al 31 dicembre 2026.
Per il direttore di Selinunte, Felice Crescente, “Il Parco, con il suo impianto verde unico per estensione e varietà, non offre solo uno sfondo alla storia, ma si impone come organismo vivente che continua a parlare il linguaggio della natura. Accogliere qui la mostra di Stefano Bombardieri, che rispetta i templi e li guarda da lontano, significa amplificare un messaggio urgente: la necessità di un nuovo patto tra l’uomo e l’ambiente, tra la memoria del passato e la responsabilità del futuro”.
Curata da Anna Lisa Ghirardi e prodotta da Bottega Creativa, l’esposizione propone un percorso che guarda alla Collina Orientale; quindici sculture monumentali si stagliano come presenze stranianti eppure profondamente evocative, lontane dai templi ma reverenziali. Il lavoro di Bombardieri, noto per la sua potente iconografia animale, si interroga sul tema della fragilità della vita in un’epoca segnata da crisi ambientali, perdita di senso e declino etico.
“Pericolo estinzione” è più di un titolo, è un richiamo all’urgenza e una dichiarazione combattiva di intenti. Le “impronte in suoli antichi” diventano metafore della nostra responsabilità storica, mentre i templi classici di Selinunte sono visti come lo specchio di un presente inquieto. In un paesaggio dove convivono rovine millenarie e forme di vita vegetale straordinariamente persistenti, le opere di Bombardieri attivano una riflessione sulla resilienza come condizione necessaria non solo per la sopravvivenza delle specie, ma per la tenuta stessa della nostra coscienza etica.
“Bombardieri propone una galleria di esseri animali che rimandano all’essere umano – scrive la curatrice Anna Lisa Ghirardi – raccogliendo il filo di Esopo che nell’antichità, narrava virtù e miserie dell’uomo tramite gli animali, così Bombardieri affida a queste creature, la rappresentazione della nostra fragilità”. Se poi dell’animale resta soltanto un’impronta, un calco, allora ci si rende effettivamente conto dell’urgenza del messaggio. Quello di Stefano Bombardieri è un vero atto politico perché mette in crisi l’idea stessa di progresso. I suoi animali, spiazzanti, immaginifici, sono spesso a reale rischio di estinzione: in bilico, sommersi, incatenati o imprigionati in blocchi di cemento, sollevati da corde, compressi in bagagli, rivelano una condizione esistenziale che riguarda non solo la biodiversità, ma anche l’uomo stesso, schiacciato da un sistema che consuma, sfrutta, e dimentica che della Natura è parte integrante....
Palermo raccontata olio su tela in “Luogo comune”: la mostra all’Instituto Cervantes
Palermo è il fulcro attorno al quale ruota “Luogo comune”, la mostra presentata dall’Instituto Cervantes di Palermo e curata da Fulvio Di Piazza, esposta alla Chiesa di Sant’Eulalia dei Catalani e visitabile da giovedì 16 ottobre a mercoledì 5 dicembre 2025.
L’esposizione si configura come un’indagine sul rapporto ideale e poetico che lega l’artista spagnolo Andrés Aparicio e il pittore palermitano Andrea Di Marco sulla percezione del capoluogo.
“Luogo comune”, realizzata in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Palermo, Archivio Andrea Di Marco, Galleria Giovanni Bonelli, Ayuntamiento de Sevilla, Ayuntamiento de Villarasa, Universidad de Sevilla. Cicus, Universidad de Sevilla, Facultad de Bellas Artes, Diputación provincial de Huelva, ed Elenk’art, è composta da venticique opere, olio su tela, con un testo critico a corredo di Alessandro Pinto.
Pur appartenenti a generazioni diverse e caratterizzati da linguaggi pittorici distinti, Aparicio e Di Marco condividono una sensibilità affine nello sguardo attratto dal paesaggio urbano: un’attenzione rivolta agli aspetti marginali e apparentemente insignificanti della città, che divengono, nella loro pittura, luoghi privilegiati per una lettura critica e lirica dello spazio urbano.
Saracinesche abbassate, ombrelloni dismessi, inferriate, scorci nascosti, elementi in apparenza banali che, nella loro ricorrenza iconografica, rivelano una poetica del frammento e del comune.
Andrés Aparicio, che ha vissuto a Palermo nel 2019 come studente Erasmus, ha instaurato con la città un rapporto di scoperta e fascinazione, che gli ha permesso di cogliere i segni di un’identità urbana precaria e in costante trasformazione, percorsa da processi di gentrificazione che hanno alterato profondamente il tessuto socio-spaziale.
Il suo sguardo si è posato sugli aspetti più vulnerabili e obliqui della città, rintracciando in essi una voce autentica e residuale. In questo processo, Aparicio ha individuato in Andrea Di Marco un interlocutore ideale, riconoscendo nell’opera dell’artista palermitano una guida e una fonte di ispirazione, nonché una sorta di traccia visiva da seguire.
L’allestimento mette in risalto le due visioni artistiche e riflette anche sulla possibilità di una narrazione urbana condivisa, costruita a partire dai luoghi comuni nel duplice senso del termine: ciò che è abituale e ciò che è collettivo.
“Spazio Umano” a Palermo: visionari e visioni nella chiesa di San Mamiliano
Una mostra a difesa dell’impegno di artisti che hanno palesato, attraverso la propria arte, scenari di convivenza e ne hanno accettato la complessità, per porre interrogativi e soluzioni. Si intitola Spazio Umano la mostra che segna il debutto a Palermo della Fondazione RIV, neo istituzione siciliana per il contemporaneo, allestita nella Chiesa di San Mamiliano (complesso di Santa Cita) in dialogo con i tesori di arte e di fede riscoperti e restituiti alla città dopo anni. L’esposizione - visitabile dal 27 giugno 2025 al 10 gennaio 2026 - presenta le opere di dodici artisti di varie culture, generazioni, origini geografiche: Adalberto Abbate, Francesco Balsamo, Tony Cragg, Francesco De Grandi, Aziz Hazara, Francesco Lauretta, Urs Lüthi, Rabih Mroué, Dala Nasser, Mimmo Paladino, Hans Schabus, Alberto Scodro.
La mostra, da un’idea di Gianluca Collica e Patrizia Monterosso, si avvale del board curatoriale diffuso che seguirà la progettazione e produzione artistico-culturale di Fondazione RIV composto da: Cesare Biasini Selvaggi, Gianluca Collica, Emmanuel Lambion, Patrizia Monterosso, Alberto Salvadori.
La Fondazione RIV contribuirà a realizzare una rete sinergica di fondazioni e realtà culturali e sociali impegnate, in particolare in Sicilia, nel settore dell’arte contemporanea, dell’arte sacra e dell’arte sociale, e che muovono dalla consapevolezza che le attività di proposta culturale sono generative anche di coesione sociale e crescita individuale.
La prima concretizzazione di questo progetto di coalizione culturale riguarda la collaborazione per la mostra “Spazio Umano” con la Fondazione Brodbeck (Catania), la Fondazione OELLE Mediterraneo Antico (Catania), Pulcherrima Res (Palermo).
Durante il periodo di svolgimento dell’esposizione avrà luogo un programma di approfondimenti con gli artisti coinvolti in “Spazio Umano” insieme ad altri, tra i quali
Silvia Giambrone, Maria Domenica Rapicavoli, Caroline Ricca Lee e Grace Schwindt.
La mostra intende rappresentare, per ciascun visitatore, un laboratorio di riflessione, a salvaguardia dell’arte e della cultura, che si esprimono attenzionando la fragilità del nostro futuro, sempre più configurato in una dimensione umana in bilico. In mostra anche opere che sono testimonianza del ruolo propulsivo dell’arte quale strumento di azione e costruzione di pace, di ricomposizione dell’identità umana nelle varie sfaccettature.
La sede espositiva è una Chiesa, inequivocabile simbolo di incontro che va oltre la fisicità. Spazio privilegiato di riflessione e di testimonianza; luogo di tutti, di dialogo e di garanzia di pacifico confronto. La Chiesa di San Mamiliano a Palermo, un tempo nota come Santa Zita, fa parte dell’antico complesso monastico benedettino. Bombardata durante la Seconda guerra mondiale e successivamente ricostruita, conserva ancora elementi della sua originaria magnificenza.
«La mostra Spazio Umano - spiega Ornella Laneri, presidente della Fondazione OELLE Mediterraneo Antico - è un inizio, un passaggio necessario all’interno di un progetto condiviso tra fondazioni».
«La collaborazione di Pulcherrima Res, che da anni è impegnata nella valorizzazione del patrimonio immateriale, con le Fondazioni che hanno profuso il loro impegno nell’attività progettuale della mostra Spazio umano, conferma la doppia valenza, in cui credo da sempre, dell’arte come espressione creativa e responsabilità sociale”, sottolinea la presidente di Pulcherrima Res Maria Carmela Ligotti.
Dal 27 giugno 2025 al 10 gennaio 2026 Visitabile il lunedì e dal mercoledì alla domenica (inclusi i festivi), dalle ore 10.00 alle 18.00. Ultimo ingresso ore 17.00