RASSEGNA STAMPA
AGOSTO2025
RINNOVATOILCOMITATOSCIENTIFICODELLAFONDAZIONEDOLOMITIUNESCO
L’Adige|1agosto2025
p. 12
ComitatoscientificoDolomitiUnesco,dentroGenelettifuoriSalsaeAngonese
Due settimane fa il Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco ha nominato il nuovo Comitato Scientifico che, per i prossimi tre anni, fornirà consulenze e supporto su questioni tecniche e scientifiche. Entra nel Comitato Scientifico Davide Geneletti, ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria civile ambientale e meccanica dell’Università di Trento, i cui interessi di ricerca sono incentrati sulla pianificazione territoriale, le valutazioni di impatto ambientale, la sostenibilità e i servizi ecosistemici. Il Consiglio di amministrazione ha approvato anche la nomina di Thomas Streifeneder, geografo con una pluriennale esperienza nell’insegnamento nelle Università di Bolzano, Monaco e Trento e che dal 2009 è direttore dell’Istituto per lo sviluppo regionale di Eurac Research a Bolzano. Continuano il loro impegno all’intero del Comitato Scientifico Piero Gianolla, geologo, docente di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara, Cesare Lasen, botanico, primo presidente del Parco nazionale Dolomiti bellunesi, e Mauro Pascolini, docente ordinario di Geografia dell’Università di Udine. Il CdA ha ringraziato per l’impegno e la professionalità Annibale Salsa, antropologo, già presidente del Cai e ordinario di Antropologia Filosofica e Antropologia Culturale all’Università di Genova, che dal 2011 ha portato il suo prezioso contributo ai lavori del Comitato, e Walter Angonese, architetto bolzanino e direttore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio.
L’Adige|2agosto2025
p. 13, segue dalla prima
DavideGeneletti,uningegnerechesaleinquotaperleDolomiti
FABRIZIO FRANCHI
Davide Geneletti, bergamasco di origine, ma da vent’anni docente all’Università di Trento, è appena stato nominato nel comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco. Lui e il geografo Thomas Streifeneder sostituiranno l’antropologo Annibale Salsa e l’architetto Walter Angonese. Dovranno per i prossimi tre anni fornire consulenze e supporto su questioni tecniche e scientifiche alla Fondazione. Un compito impegnativo in un momento in cui le Dolomiti stanno dimostrando tutta la loro fragilità. Geneletti si è laureato a Milano e si è specializzato all’Università di Amsterdam ed è stato ricercatore ad Harvard. Poi è arrivato a Trento e non si è più spostato, apprezzando la città delle Terre alte, occupandosi di pianificazione territoriale, valutazione di impatto ambientale. In particolare analizzando gli effetti dei cambiamenti nell'uso del suolo, degli ecosistemi e della capacità di fornire servizi, delle acque, del controllo dell’erosione del suolo, ma anche di cultura con i cambiamenti permanenti sull'uso del suolo e dell’espansione delle aree urbane sugli ecosistemi e la loro capacità di fornire servizi, quali la regolazione delle acque, il controllo dell’erosione del suolo, ma anche benefici di natura estetica e culturale. Professore, lei subentra nel Comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco a
Salsa e Angonese, due figure di spicco. È un incarico importante, come lo affronterà? «Senz’altro l'incarico è importante. Ma il ruolo è consultivo, dovremo fornire pareri su questioni specifiche, che rientrano nella competenza della Fondazione. Chi mi ha preceduto ha una grande conoscenza. Una delle prime cose che ho pensato è la complessità di gestire un contesto geografico che include le Terre alte, prevalentemente sopra i 1000 metri, ma dovrà per forza interessare anche i fondo valle. C’è il tema della connettività e delle reti ecologiche. Quello delle Dolomiti è un sito che è un arcipelago di aree elevate. Sarà una delle cose più importanti su cui riflettere». Le Dolomiti stanno subendo frane e crolli preoccupanti. Secondo lei che cosa si può fare? «L'incremento delle instabilità è accelerato dal cambiamento climatico, lo zero termico si è elevato a 5 mila metri, il permafrost è instabile. Ci saranno aumenti dei movimenti franosi nei prossimi anni. Sul pericolo si può fare poco, ma sul rischio possiamo intervenire: su quante persone ci vanno, chi sono, quanto sono preparate e come gestire una escursione, si può intervenire sui flussi turistici. Dal punto di vista climatico solo la Fondazione è impossibile che possa intervenire, ma può essere un esempio di buona pratica, sul piano simbolico. Ad esempio sul traffico privato. Interventi simbolici, ma che possono avere ripercussioni su altre politiche». Il cambiamento climatico quanta influenza ha? «Sono convinto, leggendo la letteratura scientifica che ci sia poco da discutere sull’evidenza di questo impatto». Eppure c’è chi nega il cambiamento climatico... «Trovo certe teorie totalmente infondate. Non saprei quantificare quanti crolli dolomitici sono legati al cambiamento. Ma le temperature si stanno alzando, il permafrost non tiene più, perché il terreno che una volta era gelato, ora è soggetto a cicli di gelo e disgelo che innescano le instabilità che conosciamo. In più la diversa distribuzione delle piogge favorisce l'instabilità dei versanti. Ma sono dati inconfutabili, scientifici». Secondo lei c'è un luogo, una montagna, che è più in pericolo di altre? «Sul pericolo di crolli non mi esprimo, non sono un geologo, immagino che ce ne siano, caratterizzati da un grado di pericolo». C'è il problema dell'afflusso turistico. Molti operatori lamentano il sovraffollamento in montagna. Lei che ne pensa? «Ci sono diverse questioni, anche a me hanno fatto impressione le code di persone alle funivie per salire in quota. C’è un cambiamento delle aspettative di chi va in montagna. Certe scene farebbero rabbrividire un montanaro tradizionale. Abbiamo un certo numero di persone che non cercano più la solitudine, a cui non importa l’affollamento. Non sono un antropologo, ma credo che bisogna riflettere. Dal punto di vista ambientale quello che mi pare importante è che bisogna fare un ragionamento e un’analisi sugli effetti turistici determinati in termini di calpestio, di compattazione del suolo e frammentazione degli ecosistemi, di disturbo alla fauna. Bisogna fare un monitoraggio, in particolare negli alpeggi. E poi c’è la questione degli accessi che vanno senz'altro rivisti e ripensati nella loro modalità, anche con la possibilità di introdurre una quota massima di accessi». Dunque prima o poi si arriverà a una sorta di "numero chiuso" per la montagna? «Penso che possa essere discusso quantomeno per alcuni luoghi emblematici, come si fa in alcune luoghi del mondo, ma non dell’intero sistema Dolomiti, che però non vuol dire mettere tornelli». Quindi una regolamentazione? «Sì, c’è anche l'altra questione degli accessi sia ai passi che in alta quota attraverso le funivie». Per sopperire a una "ignoranza ambientale" dei turisti che cosa bisognerebbe fare? «Ci sono persone che non sono consapevoli dei possibili rischi, mi sembrerebbe opportuno. Non saprei che cosa sia più efficace, siamo di fronte a un nuovo fenomeno di persone che vanno in montagna e non sono scoraggiate dalle file, dal rumore. Non cercano un’esperienza, come anni fa, del silenzio. Persone che non pensano che andare in montagna significa pensare all’incolumità personale». L’anno scorso il presidente del Cai, Antonio Montani, si chiedeva provocatoriamente a che cosa servisse la Fondazione Unesco che ha lasciato passare il turismo di massa... «Credo che fermare i flussi non riguardi la Fondazione,
ma sia una decisione che riguarda tutte le amministrazioni coinvolte. Però io mi sono appena approcciato, devo capire. Un ruolo di armonizzazione delle varie scelte può essere svolto, ma ritorno al tema di prima: abbiamo a che fare con fenomeni che riguardano l'intero territorio o addirittura extraitaliano e penso che sia abbastanza complicato». È contento di essersi trasferito a Trento? «Sì. Ci vivo con tutta la famiglia». Ci va in montagna? «La frequento regolarmente. E l’estate la passo in Lagorai. Per la tranquillità, senza le folle...».
GLIEFFETTIDELLACRISICLIMATICASULLEDOLOMITI
IlGazzettino|10agosto2025
p. 26, edizione Belluno
«Ighiacciaidigrottasistannosciogliendoaritmimaivistiprima»
L'EVENTO BELLUNO
Le Dolomiti e le grotte del Bellunese approdano al XIX Congresso Internazionale di Speleologia, ospitato nei giorni scorsi a Belo Horizonte, in Brasile. Un evento di portata mondiale che ha riunito oltre 1.500 esperti, ricercatori e speleologi da ogni continente per condividere studi, scoperte e nuove sfide legate agli ecosistemi sotterranei. Tra i protagonisti, il gruppo italiano con 43 membri provenienti da Veneto, Friuli e Lombardia che ha portato al centro della scena internazionale le nostre montagne: il cambiamento climatico e i suoi effetti visibili sulle Dolomiti bellunesi. «Negli ultimi anni spiega il professor Alberto Riva, geologo dell'Università di Ferrara stiamo assistendo a fenomeni accelerati: i ghiacciai di grotta si stanno sciogliendo a ritmi mai visti, le riserve d'acqua sotterranee si riducono e la stabilità delle montagne è sempre più compromessa». Un esempio concreto è la Grotta di Pan, nel gruppo della Moiazza, dove il ghiaccio un tempo perenne oggi scompare in estate. Situazioni analoghe si osservano nelle cavità delle Cime d'Auta, a Falcade e in altre aree dolomitiche, con conseguenze dirette sul regime delle sorgenti e sulla sicurezza dei versanti. I BATTERI Un altro filone di ricerca, seguito con particolare attenzione, riguarda lo studio dei batteri di grotta, organismi microscopici che vivono in condizioni estreme e che potrebbero aprire la strada a nuovi antibiotici o fornire informazioni preziose sulle prime forme di vita. «Abbiamo campioni raccolti anche tra le grotte del Cansiglio e alcune cavità dolomitiche sottolinea Riva e le prime analisi hanno già suscitato l'interesse della comunità scientifica internazionale. Potremmo trovarci davanti a risorse biotecnologiche uniche al mondo, ancora tutte da esplorare». Ma il congresso è stato anche l'occasione per discutere di due comunicazioni scientifiche di forte interesse anche per la zona del trevigiano. La prima ricerca, legata al Progetto di Castelsotterra, ha analizzato le grotte in conglomerato, tra cui la Busa di Castelsotterra sul Montello, quinta al mondo per lunghezza (8 km). Si tratta di un sistema unico, sviluppato in un materiale geologico fragile e particolare, che apre nuove prospettive per la comprensione della morfologia sotterranea delle Prealpi venete. La seconda comunicazione ha riguardato il clima delle grotte e le abitudini dei pipistrelli durante l'ibernazione, informazioni utili per la conservazione delle specie e per il monitoraggio degli ecosistemi ipogei del territorio. IL RUOLO La partecipazione italiana al congresso è stata tra le più numerose dopo quella dei padroni di casa brasiliani e ha confermato il ruolo di primo piano del nostro Paese nella speleologia mondiale, disciplina di cui l'Italia è storicamente una delle culle, accanto a Slovenia e Francia. Oltre alla parte scientifica, non sono mancati i
momenti di confronto tra gruppi di ricerca, con l'avvio di collaborazioni internazionali per futuri progetti, anche in territorio bellunese, con l'obiettivo di valorizzare e proteggere ulteriormente il patrimonio sotterraneo delle Dolomiti bellunesi. «La provincia di Belluno, con le sue numerose cavità naturali ancora in parte inesplorate, si conferma infatti un laboratorio a cielo aperto unico, dove si intrecciano geologia, biodiversità e cambiamenti climatici. Le Dolomiti conclude Riva ci offrono uno sguardo privilegiato sugli effetti del riscaldamento globale e sulle dinamiche sotterranee ancora poco conosciute. Portare queste ricerche in un contesto internazionale significa dare voce al nostro patrimonio Unesco che, pur remoto e di montagna, oggi resta al centro delle future sfide ambientali globali». Alessandra Dall'O' © RIPRODUZIONE RISERVATA.
AltoAdige|26agosto2025
p. 17
Ighiacciaimuoiono«Serveunpianoperevitaretragedie»
DAVIDE PASQUALI BOLZANO
Quando il geologo nonché glaciologo - polesano di nascita ma altoatesino e dolomitico di adozione - durante una recente conferenza ha mostrato le due foto di com’era il ghiacciaio della Marmolada quarant’anni fa e com’è oggi, dal pubblico si è levata, vibrata, una critica: facile distorcere la realtà mostrando la foto di inizio anni Ottanta scattata in inverno con tanta neve e confrontarla con una odierna, estiva, senza neve. Non si credeva fossero entrambe foto estive. Tanto ghiaccio prima, quasi più niente ghiaccio oggi. L’episodio, autobiografico, è stato raccontato ai partecipanti alla Carovana dei ghiacciai di Legambiente, che ieri e oggi ha fatto tappa a Bolzano, dal responsabile scientifico del Servizio glaciologico del Cai Alto Adige, Franco Secchieri. Una cartina di tornasole esemplare, per chiarire come l’italiano medio ma potremmo tranquillamente dire l’europeo medio - per usare un eufemismo non abbia una percezione corretta di cosa stia accadendo ai nostri ghiacciai in quota. Lo hanno confermato ieri sera alla sede del Cai Alto Adige gli stessi responsabili della Carovana dei ghiacciai, annuale e ormai diventata internazionale con il coinvolgimento di altre nazioni alpine. Si è raccontato che a Macugnaga, ai piedi del Monte Rosa, con la collaborazione dell’università di Torino, a centinaia di turisti ed escursionisti si è somministrato un questionario sui ghiacciai. La sintetizziamo senza tanti giri di parole: una caporetto. Manca la percezione. Si percepiscono i ghiacciai come qualcosa di eterno, immutabile, non si conoscono i legami fra ghiacciai e risorse idriche. Eccetera. Ben venga, dunque, la carovana dei ghiacciai, per sensibilizzare. E ben venga il volume I ghiacciai dell'Alto Adige appena pubblicato per i tipi della Cierre di Verona da Secchieri assieme al generale Pietro Bruschi, presidente del Servizio glaciologico Cai Alto Adige. Decenni di esperienza Capelli bianchi, Secchieri e Bruschi. Sono vecchi del mestiere e ne vanno fieri. Un bene, perché hanno avuto la ventura di ammirare i ghiacciai quando erano ancora in buona salute, e di studiarli, monitorarli e fotografarli da terra e dal cielo, per decenni, da fine anni Settanta-inizio anni Ottanta. E ora possono raccontare agli interessati. Per sensibilizzare. Ieri lo hanno fatto. Poche parole, tante immagini. Com’era, com’è. Tutti a bocca aperta. Compresi i partecipanti alla Carovana. E i soci Cai, che frequentano la montagna e sanno bene quale sia la situazione odierna. Finora, ma i rilievi 2025 sono iniziati dopo ferragosto, il ritiro dei ghiacciai si conferma significativo. Fronti glaciali sempre più frammentate, ghiaccio che diminuisce di spessore, zone periglaciali sempre più caotiche e pericolose pure per gli stessi rilevatori
volontari, in aumento detriti e finestre rocciose in mezzo alle lingue di ghiaccio. Unico dato esteticamente fascinoso: laghetti glaciali che si moltiplicano, ma il fenomeno dimostra la gravità della situazione. Dati impietosi A metterci il carico da 90, ieri sera alla sede del Cai Alto Adige di viale Europa, è stato Roberto Dinale, direttore dell’ufficio provinciale Idrologia, idrografia, dighe e glaciologia. Basandosi sul catasto dei ghiacciai dell’Alto Adige, gli ultimi dati esaustivi esistenti dicono questo: se nel 2017 in provincia si contavano 85,9 kmq di superficie ghiacciata, nel 2023 erano scesi a 72,1 kmq. I ghiacciai sono passati da 205 a 203, ma, soprattutto, si sono divisi, frammentati, passando dalle 571 unità glaciali del 2017 alle 729 del 2023. Un trend opposto a quello della superficie glaciale che va diminuendo. E, si è spiegato, per una discreta quota di porzioni glaciali rimaste non sarebbe nemmeno più il caso di chiamarli ghiacciai. Niente di dinamico. Ghiaccio morto, lo ha chiamato Dinale. Servirebbe una governance «La situazione attuale fa tristezza», così ammettono da Legambiente, dopo la tappa altoatesina alla scoperta dei ghiacciai di Solda. Non ci si dà per vinti. Qualcosa si può e si deve fare. Si è sottoscritto un manifesto, sostenuto da 81 realtà, Cai Alto Adige compreso. Un fenomeno terribile, da monitorare, studiare con approccio multidisciplinare. Le istituzioni? Latitano, in troppi casi. Ai decisori manca il coraggio. Un male. Anche perché ormai, al di là del dato estetico, paesaggistico, c’è di mezzo anche la sicurezza, la protezione civile. Il permafrost che si scioglie, per dirne una, rischia di portare a pesanti ripercussioni, sia in territorio non antropizzato che antropizzato. Pure in Dolomiti. Sul Sella, per dire, si sono avviati sondaggi, perché il permafrost, ossia il ghiaccio che regge quei ghiaioni dolomitici, sciogliendosi potrebbe dar luogo a frane, smottamenti. E sotto, c’è la statale del passo Gardena... Insomma, non è solo un problema da alpinisti, con la via normale all’Ortles diventata più difficile perché il ghiaccio si ritira lasciando paretine difficili, da attrezzarsi con catene per consentire agli alpinisti della domenica di salire. Pericoli, veri Il ritiro dei ghiacciai e l’innalzamento dello zero termico aumentano infatti la probabilità di crolli, come avvenuto in Marmolada nel 2022 o a Blatten, in Svizzera, a giugno. Come ha precisato Dinale, a livello nazionale si è aperto un tavolo tecnico. Del gruppo di lavoro fa parte anche l’Alto Adige. Quest’autunno verrà pubblicato un documento programmatico: come riconoscere per tempo le criticità, e come gestire le situazioni, per evitare tragedie.
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CIMAFALKNER:ILCROLLO
CorrieredelTrentino|3agosto2025
p. 4
CimaFalkner:unboato,poiilnuovocrollocosìsièmodificatoilprofilodellavetta
Matteo Sannicolò
Trento
Cima Falkner torna a sbriciolarsi e, dopo il crollo di venerdì sera, la montagna ha cambiato volto. Un nuovo, potente boato ha squarciato il silenzio delle Dolomiti di Brenta a pochi giorni dal precedente distacco. Ancora una volta a franare è stato il versante ovest di Cima Falkner, che sta mutando il suo profilo a vista d’occhio a causa di una serie di distacchi di roccia che, quest’estate, stanno preoccupando esperti e autorità. L’evento, avvenuto alle 20.55 di venerdì sera e seguito da una vasta nube di polvere, è stato avvistato dal personale di un rifugio che ha
immediatamente lanciato l’allarme. Le immagini del timelapse ripreso dalla webcam di Madonna di Campiglio mostrano in maniera eloquente la forza e l’entità del fenomeno. Il Soccorso alpino è prontamente intervenuto per delimitare le aree a rischio ma il nuovo crollo, che ha raggiunto il sentiero Sat 305, ha reso necessaria una nuova ordinanza di chiusura da parte della Provincia di Trento: oltre al 305, la via ferrata “Alfredo e Rodolfo Benini”, è stato chiuso per sicurezza anche il sentiero 331 nel tratto tra il bivio con il 316 e il 305. Quest’ultimo distacco si aggiunge al crollo avvenuto lo scorso 27 luglio alle 2.36 del mattino che aveva coinvolto una massa di circa 36mila metri cubi. Le analisi del Servizio Geologico della Provincia di Trento, basate su un modello tridimensionale e sui rilievi dei droni, hanno stimato in 700mila metri cubi la massa totale potenzialmente instabile sulla cima: un dato che, a fronte di questi crolli a catena, assume un peso sempre più preoccupante. Gli esperti del Servizio Geologico della Provincia, in attesa di poter effettuare un nuovo sopralluogo diretto con i droni e i Vigili del fuoco, attribuiscono questi fenomeni a una condizione di instabilità sempre più evidente. “Un aspetto importante è la presenza del permafrost, una parte di acqua in forma di ghiaccio che esercita una forza tipo collante spiega Mauro Zambotto, dirigente del servizio provinciale trentino . Se viene meno il permafrost per l’aumento di temperature, non c’è più questa forza che tiene assieme le frazioni di roccia e quindi avvengono i crolli perché prevale la forza di gravità”. “Le temperature che oscillano intorno allo zero termico, con cicli di gelo e disgelo continui, agiscono come un cuneo che spacca la roccia con forza enorme, circa 200 chili per centimetro quadrato”, spiega il dirigente del Servizio Geologia della Provincia di Bolzano, Volkmar Mair. Il cambiamento climatico e le condizioni meteorologiche estreme, con forti piogge e alternanza di caldo e freddo, sono il motore di questo fenomeno che sta rendendo l’alta montagna sempre più a rischio. “Abbiamo immesso troppa energia nel sistema geologico”, ammette Mair. Le cime montane, che prima erano stabili e permanentemente ghiacciate, ora sono esposte a questi cicli di gelo-disgelo anche a grandi profondità, rendendo il terreno instabile e vulnerabile a crolli massicci. Di fronte a un fenomeno che, secondo gli esperti, “non può essere fermato”, la raccomandazione per gli escursionisti resta la prudenza. “Essere testardi non porta a nulla di buono: adattatevi alle condizioni” ammonisce Mair invitando a informarsi sul posto, consultando il meteo locale e chiedendo consiglio a chi vive la montagna ogni giorno, evitando zone a rischio o itinerari compromessi. Anche Emilio Perina, vicepresidente dell’Ordine dei geologi di Trento, commenta l’ultimo «rilevante» distacco avvenuto a cima Falkner: «Ci troviamo di fronte a processi di fratturazione tipici delle strutture rocciose verticali e fortemente fratturate come quelle dolomitiche». E la prospettiva non sembra essere incoraggiante: «Penso che ulteriori collassi, anche di diversa entità, siano possibili nei prossimi giorni, settimane o mesi», aggiunge Perina, ribadendo quanto siano «necessarie la chiusura dei sentieri e la delimitazione delle aree a rischio». Tuttavia, il vicepresidente dell’Ordine dei geologi di Trento ricorda come la storia geologica delle Alpi sia caratterizzata da continui cambiamenti: «Le montagne non sono immobili rimarca Perina . Si muovono, si modellano e si trasformano nel tempo. Il nostro compito, come geologi, non è fermare questi processi naturali, ma interpretarli con consapevolezza attraverso un costante monitoraggio e prevenzione». Infine, Perina sottolinea la «fondamentale importanza della responsabilità individuale»: «Chi frequenta l’ambiente alpino deve rispettare le ordinanze e fidarsi delle valutazioni tecniche».
L’Adige|3agosto2025
p. 9
«LaCimanonèpiùlastessa,misonosentitospaesato»
FABRIZIO FRANCHI
Alimonta, che succede alle vette dolomitiche? «Secondo me non succede niente di straordinario, se non che il decorso del tempo di queste antiche montagne, aiutate anche dalla perdita del permafrost e dalle situazioni invernali che hanno tolto il ghiaccio, hanno favorito questi crolli. Noi lo stiamo vivendo con apprensione perché siamo testimoni di una cosa davvero importante, dalle dimensioni e dalle conseguenze sul terreno e sul territorio che lasciano davvero il segno. Credo che tanti crolli sono successi nei secoli, nei millenni, nei milioni di anni che ci hanno preceduto e altri ne seguiranno. È inevitabile pensare che il mutamento climatico, in qualche modo, incida fortemente». È quasi fatalista, Adriano Alimonta, guida alpina campigliana, già presidente del Soccorso alpino, davanti al nuovo crollo di Cima Falkner. La cima è crollata nella serata di venerdì e solo in quota se n’è uditoil rumore. A fondovalle, nessun grido della roccia: solo all’alba, chi ha alzato lo sguardo ha capito: qualcosa di profondo era cambiato. Cima Falkner non era più la stessa. È sparito un pezzo di montagna. È letteralmente cambiato lo skyline, ma per molti più che altro è come se si fosse staccato un pezzo di sé. Una forma familiare, che da anni faceva parte dell’orizzonte, del cammino, della memoria. A Campiglio, a sentirne parlare, la voce si abbassa. Gli occhi cercano le crepe, i dettagli nuovi, le linee inedite di una parete diventata all’improvviso “più pulita” ma anche più spoglia, più nuda. Come dopo una perdita. Poi la razionalità prende la parola: il permafrost che si scioglie, le torri dolomitiche in bilico, le fratture che maturano come frutti amari del cambiamento climatico. Ma prima viene il silenzio di chi ama la montagna e la ritrova diversa. Adriano Alimonta cerca di restare lucido. Ma anche lui dice: «Mi sento spaesato. La montagna che vedevo non è più la stessa». Per lui è il normale corso della natura. Non che questo però non lo tocchi nel profondo. Anzi. È colpito da questo nuovo crollo? «Personalmente mi trovo spaesato. Mi sono alzato (ieri mattina ndr) e la montagna era un’altra. Non vedo l'ora, appena ci saranno le condizioni, di salire per rendermi conto di quanto è successo. Il crollo è molto grande, non è la classica franetta stradale, è un crollo di una fetta importante di dolomia che da tempo stava maturando la sua instabilità perché la frattura esistente c’era sempre stata. Quella recente di qualche giorno fa, l'abbiamo vista che da tempo maturava. Per certi versi adesso guardi la montagna e ha l'aspetto, rispetto a prima, di una montagna più pulita, la parete è priva di massi appoggiati, di torri un po' sospese. La parete di prima, era più “sporca”». Dunque, un crollo inevitabile? «Le montagne sono destinate a crollare. Le nostre Dolomiti poi, rispetto alle Alpi occidentali, sono più verticali, con torri fatte da anelli di rocce sedimentarie. Se gli anelli non sono appoggiati perfettamente danno adito a scivolamenti. Direi che tra un po’, serenamente lo annoteremo come tanti altri fatti successi anche in questo nuovo secolo. Ma certo questa frattura è davvero grande...» Però, sostiene, crolli ce ne sono sempre stati... «Ricordiamoci della torre Jandl, in val d'Ambiez, sopra il rifugio Agostini, alla fine degli anni ’50. Crollò con il rifugio aperto e pieno di persone. Ora, a distanza di più di 60 anni, scopriamo un nuovo crollo importante. Nel Brenta ci sono stati altri crolli di grandi dimensioni, ma questo di Cima Falkner, è stato vissuto praticamente in diretta, anche se, grazie ai monitoraggi in corso, eravamo stati avvisati». Emotivamente, le dà tristezza? «Sì. La montagna che vedevo, non è più lo stessa. È un po’ come dopo Vaia, che è stata però più disastrosa. La cima non è più coperta dal velo delle rocce sommitali che la facevano sembrare una cima unica. Dalla parte ovest il taglio si vedeva benissimo». Salirete ancora in vetta? «Se ci sarà data la possibilità, certamente. Così avremo anche il panorama che si apre su Madonna di Campiglio». Ma sarà possibile nei prossimi giorni? I sentieri sono stati chiusi. «Certo non si potrà passare dalla parete ovest. Per un bel po’ di tempo
andrà monitorata la zona. La Vedretta di Vallesinella sarà da approcciare con attenzione. Invece dalla via normale, dal sentiero Bernini non credo ci saranno problemi. Ma è monitorato e ci saranno le persone più competenti di me a decidere». Secondo lei l’afflusso di turisti può aver causato problemi alla zona? «Ma no. Le persone pesano niente... È proprio un fenomeno naturale, che per il peso della roccia ha perso gli ancoraggi». Ma dobbiamo pensare che la natura va rispettata? «Siamo in un ambiente naturale. La natura fa il decorso della propria vita, e i suoi mutamenti sono di gran lunga superiori a quelli che avvengono per l'intervento dell'uomo». Comunque c’è stato un cambiamento... «Sì, pare di essere dall'altra parte. È proprio totalmente diversa. Il vallone è si è riempito, con il volume di massa e di roccia che è caduto». Avete sentito qualcosa durante il crollo? «No. Forse chi era nei pressi, ma dal paese nessuno se ne è accorto nella notte». Nessun problema per i rifugi? «Il Tucket è molto distante, lontano dal conoide. Del resto la prudenza che è stata messa nei giorni scorsi per impedire che gli escursionisti arrivassero in zone prospicienti alla frana ha evitato problemi. La gestione è stata attenta e oculata. Ora noi guide dobbiamo dare per primi il buon esempio e gli appassionati dovranno seguire senza dubbi i consigli alla prudenza».
CorrieredelTrentino|5agosto2025
p. 4
OcchisuCimaFalkner«Infuturoaltricrolli,ancoraporzioniinstabilimanonèunacatastrofe»
TRENTO
«Sicuramente ci saranno altri crolli, probabilmente meno violenti e voluminosi dell’ultimo». Siamo ancora nel campo delle impressioni da esperto del settore più che in quello dei rilievi matematici, ma quando Mauro Zambotto, dirigente del Servizio geologico della Provincia, ha sorvolato in elicottero il nuovo profilo di Cima Falkner, la percezione è stata chiara: «Ci sono ancora porzioni instabili spiega con fratture in ribaltamento soprattutto verso occidente». I rilievi sono ancora in fase di elaborazione eppure, dalle ultime stime, alle 20.55 dello scorso venerdì si è staccata dalle Dolomiti di Brenta una massa che potrebbe aver raggiunto perfino i 400 metri cubi. Il Servizio geologico provinciale ha già stimato la massa totale potenzialmente instabile su Cima Falkner in circa 700 mila metri cubi, quindi, considerando anche i 36 mila metri cubi collassati il 27 luglio, ci sarebbero ancora almeno 300 metri cubi di roccia da monitorare. «Non parliamo però di catastrofe», invita a evitare gli allarmismi il capo della Protezione civile, Stefano Fait. Anche se precisa: «Si tratta di un’evoluzione importante. Il secondo crollo ha davvero cambiato la morfologia della cima e segnato grandi cambiamenti, dei quali bisogna tenere conto anche per come si vive e si sfrutta il territorio». A certificare la portata del secondo distacco sono stati anche i sismografi della Provincia: «L’ultimo crollo inquadra Zambotto è stato circa 32 volte più forte rispetto al primo». Quindi il geologo ricostruisce: «Ci sono state avvisaglie già prima del primo crollo, cadute abbastanza frequenti di sassi. Perciò, dopo alcuni sopralluoghi, abbiamo verificato fratture che davano la sensazione di essere più ampie rispetto al passato. E in effetti è stato così». Per questo erano stati chiusi precauzionalmente alcuni percorsi escursionistici, a partire dal sentiero 305 detto «Benini», che comprende la via ferrata delle Bocchette, e dal numero 331. A entrambi è ancora vietato l’accesso. «E per fortuna che sono stati chiusi prosegue Zambotto Si è prevenuto possibili tragedie». Rimarrà aperto, invece, il sentiero 316, che unisce i rifugi Stoppani e Tuckett. «È importante che vengano rispettate le indicazioni sottolinea accoratamente Fait Non bisogna accedere ai percorsi
chiusi e tantomeno alle vie alpinistiche in prossimità, perché anche le aree vicine alle zone di collasso sono instabili». Intanto la Provincia ha stretto accordi con due università italiane per implementare il monitoraggio di Cima Falkner. L’ateneo di Firenze, sotto la supervisione di Nicola Casagli, professore esperto di frane, si occuperà di analizzare i cambiamenti morfologici alla luce di dati satellitari. Con i primi risultati già disponibili entro un mese. La seconda collaborazione sarà invece con l’Università di Milano Bicocca e verrà coordinata dal professor Giovanni Crosta, che studierà le deformazioni di alcune pareti rocciose. «Queste attività di monitoraggio sono fondamentali osserva Fait Ci consentono di cogliere, anche rispetto a dati del passato, evidenze in grado di mostrare l’evoluzione dei fenomeni in quest’area, e serviranno anche in prospettiva futura».
CROLLOINCIVETTA
IlGazzettino|26agosto2025
p. 34, edizione Belluno
TorreVenezia,unboatosordoecrollailCivetta:doppiodistacco
CLAUDIO FONTANIVE
TAIBON AGORDINO
Un forte boato e una grande nuvola di fumo, in una nitida giornata d'estate, per lo stupore e il timore degli escursionisti. La montagna crolla, e stavolta a staccarsi è un pezzo della Torre Venezia sul Civetta, meta privilegiata per arrampicatori esperti ma anche per camminatori ed escursionisti che la ammirano dal basso dei sentieri. In quest'estate 2025, dunque, non si registrano soltanto le frane dalla Croda Marcora, a San Vito di Cadore, che hanno bloccato più volte la statale 51. Stavolta però sotto il Civetta, lato comune di Taibon, non c'è l'Alemagna e la strada regionale 203 Agordina è ben distante. Così, c'è stato solo tanto spavento, ieri. E guardando la maestosità della Torre Venezia, che con ieri ha subito un'ulteriore metamorfosi, ci si accorge sempre più che le Dolomiti sono montagne fragili. La via Tissi sulla Torre Venezia già non esisteva da cinque anni, quando si verificò un distacco di circa 200 metri di parete, e quindi, essendo il percorso non praticato da alpinisti, è già stato escluso il coinvolgimento di persone nel fatto avvenuto ieri. Ma andiamo con ordine. IL FATTO Erano le 13.30 quando i volontari della sezione agordina del Soccorso alpino stavano effettuando un intervento di supporto a due escursionisti. «Si trattava di due ragazzi che si sono trovati in difficoltà nel percorrere l'Alta Via n. 1 - spiega dal Soccorso alpino Giorgio Farenzena - nel tratto dal rifugio Vazzoler al Carestiato. Giunti alla forcella dell'Orso anziché proseguire hanno sbagliato percorso finendo in val de le Laste che però non ha sentieri. Sono riusciti a contattarci col telefono e quindi siamo partiti per soccorrerli partendo da Malga Framont. Quindi li abbiamo condotti fino all'imbocco di Capanna Trieste. Qui improvvisamente, intorno alle 13.30 mentre stavamo percorrendo la discesa, abbiamo sentito un boato che sembrava un aereo e abbiamo visto il crollo del "tetto" di Torre Venezia, seguito dopo una decina di minuti da uno ulteriore ma di entità minore. Impossibile non notare la grandissima nube di polvere. Poco dopo, siamo saliti al rifugio Vazzoler per un altro soccorso e abbiamo quindi verificato che il distacco non aveva interessato la strada silvopastorale che dal rifugio stesso porta alla zona di Casere Favretti. Abbiamo quindi constatato che il crollo si è fermato nel ghiaione sottostante la parete». COLPA DEL CALDO
Maledizione o forza della natura? Le Dolomiti da sempre sono interessate da fenomeni franosi. In particolare, gli esperti indicano come l'elevata temperatura dilati la roccia in superficie mentre all'interno questa resta fredda. Si creano quindi fratture di tensione e questo favorisce i crolli. In più, l'elevata escursione termica fra il giorno e la notte, come in questi ultimi giorni, può causare una certa accelerazione di tali fenomeni. Quello di ieri sulla Torre Venezia del Civetta è solo l'ultimo di alcuni crolli avvenuti in passato. Nel 2020 in particolare, un distacco sempre dalla parete sud, aveva investito la via alpinistica Tissi, cancellandone la metà inferiore, compresa la variante che era stata da poco aperta da Manrico Dell'Agnola, in cordata con Andrea Peron, Alcide Prati e Paolo Colle. Si ricorda anche che in passato, ma d'inverno, sulla Torre Venezia, sempre nel gruppo Civetta-Moiazza, avvenne un cedimento di neve, ghiaccio e sassi. Claudio Fontanive © RIPRODUZIONE RISERVATA.
OVERTOURISM:ESTATE2025
MessaggeroVeneto|15agosto2025
p. 8
LagoSorapissselfieinabitodaseraCode,spintonietantirifiuti
Alessandro Michielli/cortina
Chi vuole realmente capire il significato di "overtourism in montagna" deve affrontare in un qualsiasi giorno di agosto, magari soleggiato, il sentiero 215 che dal passo Tre Croci porta al rifugio Vandelli e al lago del Sorapiss. Ma partiamo dal principio: chi conosce l'area, sa benissimo che il primo ostacolo da affrontare per intraprendere questa gita è il parcheggio. E per avere qualche chance di trovare un posto sicuro, bisogna arrivare con largo anticipo nei pressi dell'ex hotel Tre Croci e cercare di accaparrarsi uno stallo di prima mattina. Bisogna quindi studiare una strategia ben precisa e noi l'abbiamo fatto. il nostro piano Per cercare di ridurre al minimo i tempi di raggiungimento del passo Tre Croci, abbiamo pernottato la sera prima della gita a Cortina. Dal centro alla partenza del sentiero 215 sono circa 20 minuti di macchina. Ma per raggiungere la Conca ampezzana siamo partiti due giorni prima da Belluno, facendo il passo Tre Croci a causa della chiusura della Statale 51, interdetta per un forte temporale che si era scatenato a San Vito. Nel passaggio notturno sul passo Tre Croci, già all'una di notte erano ben visibili e in pole position decine di camper, auto e minivan parcheggiati sul lato della strada e nei pochi stalli presenti in zona, con le persone che dormivano al loro interno pronti l'indomani a presentarsi per primi ai nastri di partenza del trekking. Il nostro pensiero è stato questo: "Ma a che ora dovremo svegliarci il giorno della gita? Di sicuro presto". La ricerca parcheggio È arrivato il giorno del nostro trekking sul Sorapiss. Ci svegliamo prestissimo, raggiungiamo il passo Tre Croci verso le 07.25 e restiamo subito impressionati: i parcheggi e le varie aree a lato strada sono quasi del tutto occupati. Andiamo avanti con la macchina, ma siamo costretti a fare un'inversione a U nel primo piazzale disponibile. Torniamo quindi indietro con la speranza di trovare uno stallo nel parcheggio che si trova sotto al ristorante Son Zuogo: dotati di un mezzo fuori strada, riusciamo a posteggiare nell'area in un angolo un po' sconnesso: "Speriamo solo di non trovare strisci al nostro ritorno". La partenza Ecco, finalmente si parte: "Ma quale percorso facciamo? ". Il sentiero più comune e consigliato è il 215: un percorso ben segnalato che offre un'escursione di circa 2 ore, con alcuni
tratti esposti non particolarmente difficili, ma non accessibili a tutti, soprattutto a chi soffre di vertigini. Ci sono anche i sentieri 213/216, che fanno passare per la forcella Marcuoira e il sentiero 217, che da Federavecchia (sulla strada tra Auronzo e Misurina) arriva al lago passando per il versante opposto, meno frequentato e più ripido. Ma noi scegliamo il 215, la principale arteria dell'overtourism. il percorso Partiti molto presto, l'andata non si rivela troppo affollata e ci permette di godere dello straordinario panorama che ci circonda non appena usciamo dal bosco. Ma in più occasioni dobbiamo adeguarci ai ritmi di chi ci precede, cercando di superare ove possibile e con non poca difficoltà la gente, con reazioni che a volte fanno nascere in qualcuno quasi un senso di sfida. Lungo il sentiero ci sono bambini, giovani adolescenti, uomini, donne, anziani e animali domestici. In molti sono attrezzati con vestiti e calzature adeguate per una gita di questo tipo, altri con jeans e scarpe da ginnastica, mentre alcuni procedono direttamente a petto nudo visto il caldo. Si trova un po' di tutto, ma la voglia di raggiungere il lago è tanta e spinge chiunque a resistere sognando la meta. La prima a cedere lungo il percorso, però, è una ragazza italiana seduta a terra: parla ansimante al proprio ragazzo: "Non mi avevi detto che il sentiero era così esposto!". Alcune persone si avvicinano e chiedono: "Cosa succede?". La ragazza risponde: "Ho guardato giù nel vuoto ed ora sono paralizzata". Noi quella giovane donna non l'abbiamo poi vista arrivare al Sorapiss. L'arrivo al rifugio e poi al lago Dopo meno di due ore – abbiamo un buon passo – raggiungiamo il rifugio Vandelli. La prima cosa da fare è andare a salutare la famiglia Pais Bianco che da 26 anni gestisce la struttura. Come sempre l'accoglienza è calorosa: certo, ci conosciamo, ma non è mai scontato. Da grandi lavoratori ci congedano subito con gentilezza e senza parlare. Ad ognuno il proprio lavoro, loro in cucina e noi a raccontare quello che vediamo. Ma ora è arrivato il momento tanto atteso: finalmente, dopo un anno, è giunta l'ora di rivedere il lago del Sorapiss: "È sempre bello, ma c'è poca acqua!". In effetti, le scarse precipitazioni di neve (in particolare quelle autunnali che un tempo rappresentavano il fondo per la stagione invernale) hanno impattato e non poco sulle scorte d'acqua del lago. Dopo aver riempito anima e cuore con l'immagine del lago, è ora di guardarsi attorno: siamo a metà mattinata e si contano già diverse centinaia di persone, per il 90% di origine straniera. Bisogna dire che la maggior parte si comporta in maniera adeguata, di certo non come la sera prima. Il 13 agosto, infatti, un guardia boschi delle Regole d'Ampezzo si è sentito dire "Hijo de puta" da un gruppo di ragazzi ai quali stava semplicemente spiegando cosa era vietato fare nell'area, nel caso specifico il campeggio abusivo. La priorità della gente: i selfie Se un tempo raggiungere la meta significava festeggiare con una buona merenda pane e salame, ora la priorità sono prima di tutto i selfie. Quegli scatti così agognati per mesi osservando le immagini pubblicate dalle persone sui diversi canali social. "Il selfie con il lago color indaco: mi sento già meglio, anzi no: prima devo pubblicarlo su Instagram", il ritornello. Come spesso capita negli ultimi anni, ecco alcune persone farsi numerose foto vestite eleganti, con abiti lunghi e scarpe da ginnastica, pronte ad immortalare quell'indimenticabile scatto griffate come se fossero allo Ushuaia di Ibiza. Spesso al lago arrivano anche sposini con tanto di fotografo: "Se non è il Canal Grande di Venezia, tutti al Sorapiss". Il grande problema Il grande problema del turismo di massa si può notare tra i cespugli che si trovano a meno di 100 metri dal lago: sono pieni di fazzoletti, escrementi e sporcizie di vario genere, assorbenti compresi. Questo accade tutti i giorni, per la disperazione dei rifugisti e delle guardie: "Ma cosa si potrebbe fare? Forse potenziare i controlli?". Nessuno ha una soluzione a tutto, ma quello che pare evidente ai nostri occhi è che il lago del Sorapiss, oggi, ha raggiunto un punto di non ritorno, purtroppo. Il patema del ritorno Il ritorno, come sempre da almeno 10 anni, è un patema: lunghissime file nei diversi sensi di marcia, incroci, spintoni, perdite di equilibro, arrabbiature, storte, urla dei bambini: "Speriamo di arrivare in fretta alla macchina", il pensiero comune.
All'auto ci arriviamo, la giornata è finita: in questi momenti la parte che ama Cortina soffre, ma porta dentro di sé il bello di ciò che ha visto. La parte che scrive l'articolo, invece, spera di dare una visione critica che spinga enti ed istituzioni a fare meglio, per tutelare un luogo più unico che raro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
MessaggeroVeneto|17agosto2025
p. 10
Elicotteriperturisti
sulleDolomitiIlCai:«Insostenibile»
Francesco Dal Mas Era il 24 luglio 2023 quando l'influencer Giulia Calcaterra raggiungeva in elicottero la Torre Trieste, nel Gruppo del Civetta, e poi si lanciava col paracadute. Le proteste divennero virali. Ma da allora la pratica dell'eliturismo, anzichè spegnersi progressivamente, si è sviluppata fino a raggiungere, per aspetti, il turismo cosiddetto cafone. A scendere in campo, di nuovo protestando, è stato ieri il Cai nazionale, strigliando anche Fondazione Dolomiti Unesco e Provincia. Ma il Club alpino viene subito ripreso – per presunta incoerenza – dagli ambientalisti di Mountain Wildernes che rimproverano all'associazione di non aver operato a sufficienza contro questa pratica. Che si sta moltiplicando: in eliski, in elibike, in elicene, in transfert in elicottero di ospiti elitari. Perché Gigi Casanova, presidente nazionale di MW, ha rimarcato l'incongruenza? Perché il Civetta, ma non solo, è attorniato da rifugi, tutti del Cai, è frequentato da guide alpine, da chissà quanti altri escursionisti ed alpinisti, «ma la Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del Cai è stata sensibilizzata sul tema soltanto da un gruppo di alpinisti tedeschi che hanno testimoniato un'inconsueta frequenza di voli turistici commerciali di elicotteri che portavano persone sulla Torre Trieste». Come dire che tanti altri, o meglio i più, danno per scontata questa pratica? Assolutamente no, a sentire il Cai stesso. Infatti, il suo presidente nazionale Antonio Montani, dopo essere stato a Seceda, in Val Gardena, per disapprovare l'estrema forma di assalto alle alte quote, prende severamente posizione anche contro l'eliturismo, così come il Cai Veneto aveva fatto, altrettanto severamente, nel 2023. «La posizione ufficiale del Club alpino italiano è fermamente contraria all'utilizzo ludico dei mezzi motorizzati in montagna, primo tra tutti l'elicottero che è sicuramente il più impattante», puntualizza Montani. «Tale posizione è data anche dalla convinzione che non è questo il modello di sviluppo turistico che giova alla montagna. Per questo motivo invito fermamente tutte le sezioni a rispettare le posizioni ufficiali del sodalizio astenendosi da iniziative inappropriate». Quindi, anche Montani ammette che c'è chi sgarra. O meglio, chi chiude un occhio. «Si tratta», spiega il Cai, anzitutto ai suoi operatori, oltre che ai tesserati, «di attività turistico-commerciali che si stanno progressivamente consolidando in modalità non consone alla montagna e alla sua più che lecita fruizione in maniera responsabile ed effettivamente sostenibile». E a proposito del Civetta ricorda: «Questa area dolomitica ricade in pieno nel territorio delle Dolomiti Unesco, potendosi quindi fregiare di un riconoscimento di alto valore internazionale il quale sta purtroppo dimostrando alcune debolezze nella conservazione dei luoghi». E, guarda caso, anche dal Cai parte una strigliata. A un doppio indirizzo politico. «La Fondazione Dolomiti Unesco ha il prestigioso e oneroso compito di promuovere e garantire una efficace e coordinata gestione dell'intero sito». In particolare la Provincia di Belluno è incaricata della promozione del turismo sostenibile secondo questi principi: «Non tutti i tipi di turismo sono compatibili con il riconoscimento Unesco attribuito alle Dolomiti. In alcuni casi i flussi di turisti possono diventare
dei veri e propri fiumi in piena. Si deve dunque elaborare un modo "dolomitico" di fare turismo, che tenga in considerazione i valori del Bene e la possibilità di conservarli per le generazioni future». Mountain Wilderness denuncia, dal canto suo, che «regolarmente, nonostante una legislazione ritenuta tanto severa, in Alto Adige (passo Gardena, Ortisei) si gioca con questi voli. Il Veneto ha sempre rifiutato una legge di regolamentazione dei voli che», denuncia appunto Casanova, il presidente, «si diffondono ovunque anche grazie al supporto di patrocini locali del Cai. Ovunque in estate come in inverno si sorvola a pagamento lo straordinario patrimonio paesaggistico che ci è stato offerto». Il Club alpino vanta 360.000 tesserati. «Non si vuole polemizzare con questo sodalizio, con il Cai vogliamo collaborare, ma è necessario portarlo a coerenza attiva», conclude la disamina di Casanova. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelVeneto|17agosto2025
p. 11, edizione Treviso – Belluno
TroppielicotterisulleDolomitiL’iradelCai:«Noncirispettano»
DIMITRI CANELLO
BELLUNO
Il fenomeno dell’eliturismo sulle Dolomiti torna al centro del dibattito ambientale della montagna bellunese. La Commissione Centrale Tutela Ambiente Montano del Club Alpino Italiano (Cai) ha lanciato un durissimo richiamo contro l’uso ricreativo di elicotteri per trasportare turisti sulla Cima della Torre Trieste, nel gruppo del Civetta, denunciando la frequenza crescente di voli commerciali che mettono a rischio l’integrità del territorio e disturbano la fauna selvatica. Il Cai sottolinea come tali attività, definite «turistico-commerciali», non siano compatibili con una fruizione responsabile e sostenibile della montagna. L’area interessata rientra nel Patrimonio Mondiale delle Dolomiti Unesco, un riconoscimento internazionale che impone obblighi di tutela ambientale e di gestione attenta dei flussi turistici. La Fondazione Dolomiti Unesco, secondo il Cai, «ha il compito di promuovere un turismo coerente con questi principi, mentre la Provincia di Belluno è chiamata a garantire che ogni attività ricreativa sia compatibile con la salvaguardia dei valori universali del sito». Il Consiglio Centrale del Cai, il 23 marzo 2024, ha approvato un documento di posizionamento specifico sull’eliturismo, ribadendo la contrarietà dell’associazione all’uso ludico di mezzi motorizzati in montagna. Il presidente Antonio Montani ha dichiarato: «Non è questo il modello di sviluppo turistico che giova alla montagna. Invito tutte le sezioni a rispettare le posizioni ufficiali del sodalizio, astenendosi da iniziative inappropriate». Mario Vaccarella, delegato alle attività ambientali del Cai, ha aggiunto che il fenomeno è «fine a se stesso, non sostenibile e in contrasto con il senso del limite invocato dall’Associazione». La risposta delle istituzioni bellunesi è arrivata immediata e congiunta. Il presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, e la presidente della Fondazione Dolomiti Unesco, Mara Nemela, hanno sottolineato l’importanza di distinguere tra due livelli del problema, quello regolamentare e quello culturale: «Dal punto di vista normativo – spiegano – i sorvoli turistici sono vietati in ampie porzioni del patrimonio mondiale, come i Parchi Naturali delle Dolomiti d’Ampezzo e del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Tuttavia, fenomeni come quello della Torre Trieste si verificano al di fuori di queste aree, dove la Fondazione non può imporre vincoli ulteriori e la gestione dei divieti spetta alle amministrazioni locali». Sul piano culturale, Padrin e Nemela evidenziano che la Fondazione lavora da anni per promuovere un turismo «lento e responsabile», coerente con la
conservazione dei valori universali Unesco. Progetti come «Montagna Consapevole» e il tavolo di lavoro sulla comunicazione responsabile del Patrimonio Mondiale mirano a educare turisti e operatori, incentivando esperienze rispettose dell’ambiente e della fauna locale. Le istituzioni bellunesi e il Cai concordano sull’urgenza di rafforzare l’educazione dei visitatori e la collaborazione tra soggetti pubblici e privati, per garantire che le Dolomiti continuino a rappresentare un esempio di equilibrio tra valorizzazione turistica e protezione del patrimonio naturale.
Corrieredell’AltoAdige|17agosto2025
p. 3
Ferragostoselvaggio:inmotolungoisentieri
BOLZANO
Non è solo il discreto presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad aver eletto, come d’abitudine, l’Alto Adige a località prediletta per le vacanze. Quest’estate sono moltissimi i turisti che hanno deciso di trascorrere le ferie all’ombra delle Dolomiti, non sempre adottando comportamenti rispettosi delle vette e di chi le abita. In una stagione in cui infuriano le polemiche per le «cafonate» d’alta quota da pienoni in luoghi insoliti spinti da tornelli diventati virali sui social, come la funivia del Seceda e Passo Sella, a infradito e ombrellini da sole a tremila metri, fino ad aggressioni con spray al peperoncino a gestori di rifugi e porte di malghe sfondate a calci per un’indicazione sbagliata Ferragosto non poteva essere risparmiato dai «nuovi trend» della maleducazione esibita senza criterio. L’ultimo eclatante esempio è stato immortalato con dei video in Val Badia, con alcune moto che sono arrivate rombando e alzando polvere fin sotto il Santa Croce, nel Parco naturale protetto Fanes - Sennes - Braies. Un paradiso violato nella sua quiete e nelle sue regole dalle due ruote che hanno fatto velocemente il giro dei social, sollevando indignazione e polemiche. Le immagini mostrano alcune motociclette sfrecciare, incuranti dei divieti, lungo i sentieri dei prati dell’Armentara: lo splendido percorso che da La Valle conduce fino al santuario di Santa Croce ai piedi dell’omonima montagna. Un episodio che trasporta il cuore della Val Badia, un territorio che è patrimonio Unesco nonché uno dei luoghi più amati dell’Alto Adige, in un incubo moderno. Un piccolo Eden in cui sorgono la storica chiesetta datata 1010 e l’antica osteria, mete di pellegrini ed escursionisti, è diventato l’ennesimo bersaglio del turismo cafone, questa volta turbato da centauri che non è dato sapere se abbiano imboccato il sentiero dell’area protetta consapevolmente o per errore. Uno sfregio avvenuto nel caos di Ferragosto, in cui i paesi della Val Badia erano già invasi dal traffico di auto, camper, suv e moto.
IlGazzettino|17agosto2025
p. 11, edizione Belluno
«NoaDolomitiluna-parkmailturismocifavivere»
CLAUDIO FONTANIVE
IL DIBATTITO BELLUNO
«Le Dolomiti come parchi giochi? No grazie. Ma non lamentiamoci dell'eccesso di presenze turistiche sui sentieri, sui passi e nei paesi. Dieci anni fa la situazione era diametralmente opposta: ci si lamentava del poco lavoro estivo». Il sindaco di Val Di Zoldo, Camillo De Pellegrin, entra a gamba tesa su un tema di stringente attualità. TUTTO ESAURITO È stato infatti un Ferragosto da tutto esaurito nelle strutture ricettive delle Dolomiti Bellunesi, con la montagna in questi giorni presa d'assalto dai turisti, complici anche le elevate temperature della pianura che spingono i turisti verso luoghi più freschi, anche per il classico selfie da esibire sui social. I luoghi più conosciuti, come Tre Cime di Lavaredo, lago di Sorapis, Cortina o i passi del circuito Sellaronda, assomigliano in questi giorni alle strade dello struscio cittadino. Un incremento senza pari per il turismo estivo in quota dunque, grazie anche a quello internazionale, ma da più parti monta la polemica sull'eccesso dei flussi turistici. Fra le soluzioni proposte c'è chi arriva a ipotizzare numero chiuso o ticket sui passi dolomitici. «C'è un atteggiamento esasperato da parte di chi ritiene che la montagna sia un proprio bene esclusivo - afferma De Pellegrin - e questo non è accettabile, ma non si possono non apprezzare le fortune legate a questo incremento del turismo». CRESCITA ESPONENZIALE Fino a pochi anni fa, la montagna estiva era per lo più funzionale all'inverno. Impianti di risalita, alberghi, attività commerciali non erano così competitivi come ora rispetto all'economia del mare. «La montagna sta crescendo per diversi fattori - continua De Pellegrin -. In primis quello climatico, con l'innalzamento delle temperature che, specie in estate favorisce, l'approdo di turisti alla ricerca di refrigerio. C'è poi una più diffusa mentalità vicina allo sport e al benessere fisico: le camminate e le escursioni, spesso legate all'utilizzo degli impianti di risalita, trovano sempre più adepti e c'è la crescita non secondaria del turismo della bicicletta. L'inserimento delle Dolomiti nel patrimonio Unesco ha portato inoltre a un maggiore arrivo di visitatori dall'estero come coreani, cinesi, statunitensi. In tempi in cui tutti questi fattori non erano presenti, ricordo che il turismo estivo faceva fatica. Siamo in una fase nuova che dobbiamo solo imparare a gestire». Da anni si parla di una possibile chiusura a tempo dei passi dolomitici intorno al massiccio del Sella, e più recentemente per il contenimento del traffico il sindaco di Livinallongo Oscar Nagler, con la sua amministrazione, raccogliendo il malcontento di alcuni operatori turistici, sta valutando come possibili soluzioni limitazione della velocità e monitoraggio dei decibel, fino a ipotizzare addirittura un contingentamento dei mezzi. SCELTE CONDIVISE «Qui ci devono essere scelte condivise fra politica, amministratori e attività economiche che sono spesso anche elemento di frizione con chi amministra - continua De Pellegrin -. Servono forti campagne di sensibilizzazione per far meglio comprendere i messaggi dei social e quindi integrare quelle comunicazioni con le realtà del luogo. Dico no alle limitazioni degli accessi o ai pagamento di ticket. Sul passo Giau è vero che ci sono automobili dappertutto, ma non servono nuovi parcheggi bensì portare i turisti da fondovalle con i bus navetta. Dobbiamo preservare questi territori e non farli diventare dei fast food. Le automobili devono comunque poter transitare ma non fermarsi. Bisogna fare delle scelte, ma allo stesso tempo ringraziare che siamo in questa situazione, quando invece molti la vivono come una condanna a morte. Serve ragionare su come crescere per il futuro delle nostre generazioni. Dobbiamo farlo - conclude De Pellegrin - con i Comuni, le Regole che hanno la proprietà di molti terreni, ma anche Provincia e Regione perché molte strade sono loro. Anche la Fondazione Unesco, tanto criticata, dovrebbe avere l'umiltà di dire la sua. Possiamo farci aiutare in questo anche da altri soggetti: ci sono tantissimi professionisti che analizzano tali fenomeni e che sanno dare delle soluzioni». Claudio Fontanive ©
IlGazzettino|17agosto2025
p. 11, edizione Belluno
«Bastaelicotterisullecime»L’altdelCaialleascese-show
LA POLEMICA VENEZIA
Ascensioni senza sforzo fin sulle cime più alte delle Dolomiti, a bordo di elicotteri inquinanti, con andata e ritorno "volanti" oppure con lancio col paracadute. Il tutto ben pubblicizzato sui social con l'utilizzo di influencer. È l'ultima moda dell'"eliturismo in montagna", che dopo aver sollevato le proteste di ambientalisti ed escursionisti ha trovato anche il no del Club alpino italiano. A bocciare la pratica è stata la commissione centrale Tutela ambiente montano dell'associazione, che ha così risposto a una segnalazione giunta da alcuni alpinisti tedeschi: c'è da tempo una «inconsueta frequenza» di voli turistici commerciali di elicotteri sulla cima della Torre Trieste, nel gruppo del Civetta. Lo scorso anno aveva fatto discutere l'"impresa" di una influencer Giulia Calcaterra, che aveva utilizzato un elicottero per farsi portare in compagnia di quattro amici sulla Torre Trieste, per poi lanciarsi con il paracadute, con altrettanti sorvoli dell'elicottero, un giro per ciascuno. L'associazione Mountain Wilderness aveva stigmatizzato la cosa, ricordando che l'elicottero in montagna ha un forte impatto ambientale per inquinamento acustico e disturbo della fauna selvatica, e contribuisce in modo importante all'inquinamento atmosferico con i gas di scarico. «Si tratta - sottolinea oggi il Cai - di attività turistico-commerciali che si stanno progressivamente consolidando in modalità non consone alla montagna e alla sua più che lecita fruizione in maniera responsabile ed effettivamente sostenibile». AREA TUTELATA L'ultracentenaria organizzazione ricorda che l'area oggetto dell'eliturismo ricade in pieno nel territorio delle Dolomiti Unesco, un riconoscimento di alto valore internazionale, «il quale - nota il club - sta purtroppo dimostrando alcune debolezze nella conservazione dei luoghi. I fatti posti alla nostra attenzione dagli alpinisti tedeschi testimoniano quanto complesso e difficile sia fare coincidere i buoni propositi con la realtà». Il presidente Antonio Montani da tempo sostiene e ribadisce la posizione ufficiale contraria all'utilizzo ludico dei mezzi motorizzati in montagna, primo tra tutti l'elicottero, che è il più impattante. Ma soprattutto il fenomeno dell'eliturismo è «fine a se stesso, non sostenibile per l'ambiente montano, e per alcune aree protette particolarmente sensibili. Dovremmo smetterla di "usare" la montagna per qualsiasi finalità ludica si voglia praticare, perdendo quel senso del limite tanto invocato dalla nostra associazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredellaSera|20agosto2025
p. 25
Freniamol’invasionedeituristiguidatidailike
GIAN ANTONIO STELLA
«Ci sono luoghi speciali, pochi e piccoli, che sono stati promossi dagli influencer», ha spiegato Reinhold Messner a Hoara Borselli de Il Giornale : «Questi girano coi portatili e i cellulari e fanno le foto a una certa località, a una chiesa, a un prato. E quelli diventano luoghi cult. Tutti vanno là perché pensano che sia il posto più bello del mondo. È una forma di propaganda ma è una propaganda che non fa bene a quei luoghi, anzi fa male». Una denuncia nella scia di tante altre lanciate negli anni dal mitico scalatore contro la musica sparata a tutto volume in certi rifugi alpini dove dovrebbe regnare il silenzio o la «montagna troppo facile» alla portata di tutti: «La
montagna non può diventare un luna park. Oggi si arriva ovunque, cavi e corde fisse tolgono la responsabilità. Si perde il senso dell’avventura». Certo è che il boom del turismo montano preferito al caldo torrido di quest’estate sotto ombrelloni spesso vuoti, vede riemergere dubbi sugli eccessi dell’overtourism che parevano fino a ieri riservati solo alle riviere marine. Dice tutto lo sfogo dei 78 albergatori e ristoratori dolomitici guidati da Osvaldo Finazzer (Pordoi) e Stefano Illing (Falzarego) ripreso da Francesco dal Mas sul Corriere delle Alpi contro la «notorietà superficiale, di facciata, legata solo all’immagine da cartolina e come racconto da catturare col telefonino e condividere sui social» dovuti secondo loro al «bollino Unesco». Esempio? «Il Lago di Braies: l’essere scenario delle riprese di Un passo dal cielo ha amplificato la notorietà del luogo e i social hanno fatto il resto creando un circuito vizioso: la serie televisiva rende famoso un luogo accessibile, i social amplificano». Risultato? Dolomiti, Costiera Amalfitana o Cinque Terre sono «territori venduti solo come immagine da cartolina condannati a una notorietà mondiale e ora vittime e prigionieri addirittura con le Ztl come si ipotizza per le Dolomiti». L’opposto di «un’economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosce l’identità e la cultura dei luoghi». Da qui la sfida: «Le due cose, immagine da cartoline e turismo di qualità, non possono convivere... Forse è giunto il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco, che ha fatto un danno incredibile...». Una provocazione? Certo. Però...
IlGazzettino|26agosto2025
p. 27, edizione Belluno
Gliinfluencerinmontagnaconingaggiaprezzifolli:«E’unmarketingsbagliato»
LA TENDENZA BELLUNO
Overtourism figlio della montagna "instagrammabile"? Può essere: un post pubblicato su una vetta o su un luogo iconico delle Dolomiti da un influencer con milioni di followers crea curiosità e in qualche caso emulazione, attraendo sul luogo migliaia di persone. Ma quanto costano queste operazioni di comunicazione e chi ne è il committente? Unexpected Italy risponde al presidente di Federalberghi Belluno Walter De Cassan, che qualche giorno fa aveva affermato che l'eccesso dei flussi turistici è presente soltanto in alcuni luoghi e in precisi periodi dell'anno. La start up travel tech fondata a Londra da Elisabetta Faggiana e da Savio Losito, recentemente premiata anche alle Nazioni Unite per il suo approccio etico e innovativo al turismo, punta invece il dito proprio sui social. SCARSE CONOSCENZE «Nelle Dolomiti ci si sta lamentando degli influencer -afferma Losito- il problema in questo caso è che le montagne vengono promosse dalle persone sbagliate. Spesso lo fanno esclusivamente per motivi economici senza un'adeguata conoscenza del territorio e quindi fanno una comunicazione senza contenuti. Abbiamo avuto esperienze dove abbiamo visto influencer noti a livello nazionale che chiedevano addirittura 40mila euro a post, ma c'è anche chi con 100mila followers chiede 1800 euro per un reel. E siamo incappati anche in un influencer che, forte dei suoi 500mila followers, chiede 8000 euro per un solo reel, mentre per una storia o un post si parte da un compenso di 1500, più ovviamente vitto e alloggio. Di altro approccio Unexpected Italy, che descritta dal The Guardian come "una bussola per viaggiatori consapevoli", chiede a tutti i propri aderenti di firmare il "Manifesto per un turismo etico" per diffondere la propria visione. «La nostra è una piattaforma che seleziona, profila e racconta territori e persone per connettere viaggiatori e destinazioni in base a passioni ed interessi -spiega Faggiana- Il manifesto è solo un primo
passo per sottoscrivere un impegno collettivo verso un modo etico di fare ospitalità, a cui segue un rigido processo di screening e visita in loco, oltre a un sistema di monitoraggio e a collaborazioni con enti e istituzioni locali per creare strategie di marketing territoriale che vadano ad analizzare i punti di forza e debolezza della destinazione e capire come lavorare per attrarre flussi turistici in linea con la destinazione, mettendo anche in luce necessità infrastrutturali, su cui ovviamente serve un intervento pubblico». E proprio l'ente pubblico più volte è alla base delle scelte di comunicazione sui social. COLPE E RESPONSABILITA' «Vengono colpevolizzati gli influencer -prosegue Faggiana- ma i loro cachet vengono spesso pagati dalle amministrazioni pubbliche o dai consorzi turistici che inseriscono nei bandi questo tipo di comunicazione. Poi però, nonostante il corposo numero di "like" ottenuti, i committenti sono scontenti in quanto i contenuti sono vuoti e quindi noi veniamo contattati per riparare ai danni fatti. I social portano grandi numeri, ma potrebbe non durare così a lungo. Sono circa 500 gli host che hanno sottoscritto il "manifesto etico" che inizia ad attecchire anche nelle Dolomiti Bellunesi. «Il turismo di massa ha tradito la sua promessa: doveva portare ricchezza, ha lasciato frustrazione; doveva creare relazioni, ha generato alienazione -conclude Faggiana- Finché si continua a percepire il turista come un pollo da spennare non si può pretendere un'offerta equilibrata, autentica e con un buon rapporto qualità/prezzo. E il turista, oggi più informato, se ne accorge e non ritorna. Anche sul riconoscimento Unesco siamo abbastanza scettici, perché crea una visibilità istantanea che però non ha una strategia alla base per far fronte ai flussi che attrae». C.F. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredellaSera|26agosto2025
p. 22
Ilnuovoturismoinventatodaisocial
CARLOTTA LOMBARDO
Se non ti sei scattato un selfie, è come se non ci fossi stato. Perché oggi, a guidare i flussi turistici, non sono più i cataloghi delle agenzie, ma gli influencer. Nell’era della documentazione visiva digitale, a disegnare le mappe del desiderio turistico sono infatti loro: i content creator, croce e delizia del turismo 2.0. Bersagliate da migliaia di visitatori sedotti dalla viralità dei loro contenuti, le mete da visitare sono quelle più «instagrammabili», degne cioè di essere fotografate e postate su Instagram. Riducendo così l’esperienza di viaggio in una lista di cose da spuntare e condividere. Il risultato? Un serpentone umano che si muove alla ricerca del video più spettacolare e dello scatto più ardito, ma anche luoghi un tempo sconosciuti che, da un giorno all’altro, si ritrovano invasi da frotte di turisti. Il fenomeno è noto anche come «TikTok tourism» e sta riscrivendo le regole dei viaggi, portando alla ribalta località inaspettate salite così all’attenzione globale. Il segnale È successo a fine gennaio a Roccaraso, tranquilla meta sciistica abruzzese invasa in un solo giorno da 10.000 persone e 220 autobus dopo un video su TikTok dell’influencer Rita De Crescenzo (1,7 milioni di follower). Succede ora, in questa folle estate governata dall’overtourism: il video e le immagini, virali sui social, delle migliaia di persone in fila alla stazione intermedia Furnes, a Ortisei, per salire sul Seceda alla ricerca della foto perfetta sullo sfondo delle Odle ha fatto il giro del mondo. La medaglia, è la foto da esibire sui social. Autobus sovraffollati per l’Alpe di Siusi, frotte di turisti al lago di Carezza, a quello di Braies (561 mila post Instagram) o al Sorapis (47.300 post e fino a 3 mila persone sul posto al giorno), il bacino indaco di Cortina d’Ampezzo che, con quell’azzurro glaciale, soddisfa in un
click la fame insaziabile di «luoghi da vedere» invece che da vivere. È un caso il successo di «Dolomites for Beginners», la comunità online creata da Anna Zandegiacomo, studentessa 24enne cadorina di Planning and Management of Tourism Systems, a Bergamo, che indirizza i turisti principianti in visita sulle Dolomiti. Nata a fine 2023, oggi conta 239.305 membri ma tra questi, sull’onda del successo del portale, ora c’è anche chi promuove i propri servizi. «Sì, è vero. Alcuni fotografi propongono photo shooting per matrimoni tra le vette puntualizza , ma su Dolomites for Beginners si trovano soprattutto consigli su camminate facili e dritte per raggiungere i posti. Ora sto lavorando al tema della mitigazione dell’overtourism e presto ci saranno anche percorsi alternativi poco affollati». I numeri Nel turismo ridotto a performance digitale, ipertrofia dell’overtourism, il podio spetta poi alle località di mare: le falesie candide della Scala dei Turchi, in Sicilia (262.568 post Instagram e quasi 5000 su TikTok), Punta Prosciutto, nel Salento (87.600 post Instagram e 8000 su TikTok), i trulli fiabeschi di Alberobello, in Puglia (5 mila). Le immagini di questi giorni delle centinaia di persone appiccicate le une alle altre nelle più belle spiagge della Sardegna fanno venire i brividi e, di certo, il titolo di «spiaggia più bella del mondo» che il World’s 50 Best Beaches ha attribuito quest’anno a Cala Goloritzé, nel Golfo di Orosei, ha fatto schizzare l’algoritmo dei post e il corto circuito emozionale (83.834 post, come per la vicina Cala Mariolu). Non solo natura Amate il buon cibo? Sappiate che i krapfen più virali dell’estate sono a Baita Friedrich August, sul Col Rodella: un bancone infinito carico di bomboloni con vista mozzafiato sulle Dolomiti. Famosissimi, grazie al reel (oltre 300 mila su Instagram) dell’influencer Sonia Peronaci, fondatrice di Giallozafferano, anche i croissant cubici della Farmacia del cambio a Torino e, a Milano, i dolci da forno di «Signor Lievito» (la coda ormai è inevitabile). A Bologna, la finestrella di via Piella era tra i segreti meglio custoditi della città, un romantico affaccio sul Canale delle Moline... oggi è virale. Anche quella. Scrive Louiskoby, su Instagram: «Questa finestra nascosta è diventata virale per la sua bellezza. Non c’è molto da vedere, ma ho potuto fare questo video!». Probabilmente lo stesso, identico, postato da tutti e visto milioni di volte: stesso angolo, stessa posa. Nient’altro. L’analisi «In realtà questa fluidità spinta dai social si posa su una posizione rigida: la domanda turistica continua a concentrarsi sugli stessi luoghi iconici del grand tour» osserva Jan Van Der Borg, professore di Economia e Politica del Turismo all’Università di Venezia. «Il risultato è paradossale: un’enorme staticità globale della domanda e, dentro questa, una fluidità di mode che si accendono e si spengono in poche settimane. Basta un video virale per spostare folle di visitatori, creando disagi notevoli a chi abita e a chi vorrebbe vivere i luoghi in modo tranquillo. Ma i problemi strutturali restano, e con l’intelligenza artificiale la velocità del passaparola rischia di accentuarsi ancora di più».
AltoAdige|26agosto2025
p. 27, edizione Belluno
Gliinfluencerinmontagnaconingaggiaprezzifolli:«E’unmarketingsbagliato»
LA TENDENZA BELLUNO
Overtourism figlio della montagna "instagrammabile"? Può essere: un post pubblicato su una vetta o su un luogo iconico delle Dolomiti da un influencer con milioni di followers crea curiosità e in qualche caso emulazione, attraendo sul luogo migliaia di persone. Ma quanto costano queste operazioni di comunicazione e chi ne è il committente? Unexpected Italy risponde al presidente di Federalberghi Belluno Walter De Cassan, che qualche giorno fa aveva affermato
che l'eccesso dei flussi turistici è presente soltanto in alcuni luoghi e in precisi periodi dell'anno. La start up travel tech fondata a Londra da Elisabetta Faggiana e da Savio Losito, recentemente premiata anche alle Nazioni Unite per il suo approccio etico e innovativo al turismo, punta invece il dito proprio sui social. SCARSE CONOSCENZE «Nelle Dolomiti ci si sta lamentando degli influencer -afferma Losito- il problema in questo caso è che le montagne vengono promosse dalle persone sbagliate. Spesso lo fanno esclusivamente per motivi economici senza un'adeguata conoscenza del territorio e quindi fanno una comunicazione senza contenuti. Abbiamo avuto esperienze dove abbiamo visto influencer noti a livello nazionale che chiedevano addirittura 40mila euro a post, ma c'è anche chi con 100mila followers chiede 1800 euro per un reel. E siamo incappati anche in un influencer che, forte dei suoi 500mila followers, chiede 8000 euro per un solo reel, mentre per una storia o un post si parte da un compenso di 1500, più ovviamente vitto e alloggio. Di altro approccio Unexpected Italy, che descritta dal The Guardian come "una bussola per viaggiatori consapevoli", chiede a tutti i propri aderenti di firmare il "Manifesto per un turismo etico" per diffondere la propria visione. «La nostra è una piattaforma che seleziona, profila e racconta territori e persone per connettere viaggiatori e destinazioni in base a passioni ed interessi -spiega Faggiana- Il manifesto è solo un primo passo per sottoscrivere un impegno collettivo verso un modo etico di fare ospitalità, a cui segue un rigido processo di screening e visita in loco, oltre a un sistema di monitoraggio e a collaborazioni con enti e istituzioni locali per creare strategie di marketing territoriale che vadano ad analizzare i punti di forza e debolezza della destinazione e capire come lavorare per attrarre flussi turistici in linea con la destinazione, mettendo anche in luce necessità infrastrutturali, su cui ovviamente serve un intervento pubblico». E proprio l'ente pubblico più volte è alla base delle scelte di comunicazione sui social. COLPE E RESPONSABILITA' «Vengono colpevolizzati gli influencer -prosegue Faggiana- ma i loro cachet vengono spesso pagati dalle amministrazioni pubbliche o dai consorzi turistici che inseriscono nei bandi questo tipo di comunicazione. Poi però, nonostante il corposo numero di "like" ottenuti, i committenti sono scontenti in quanto i contenuti sono vuoti e quindi noi veniamo contattati per riparare ai danni fatti. I social portano grandi numeri, ma potrebbe non durare così a lungo. Sono circa 500 gli host che hanno sottoscritto il "manifesto etico" che inizia ad attecchire anche nelle Dolomiti Bellunesi. «Il turismo di massa ha tradito la sua promessa: doveva portare ricchezza, ha lasciato frustrazione; doveva creare relazioni, ha generato alienazione -conclude Faggiana- Finché si continua a percepire il turista come un pollo da spennare non si può pretendere un'offerta equilibrata, autentica e con un buon rapporto qualità/prezzo. E il turista, oggi più informato, se ne accorge e non ritorna. Anche sul riconoscimento Unesco siamo abbastanza scettici, perché crea una visibilità istantanea che però non ha una strategia alla base per far fronte ai flussi che attrae». C.F. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
IlGazzettino|26agosto2025
p. 27, edizione Belluno
PannolinonelpiattocafonialTalamini:«Epoiprotestano»
CLAUDIO FONTANIVE
IL CASO VODO DI CADORE
Essere ammaliati dalla vista dei monte Pelmo, Antelao e Civetta accade spesso, ma ciò non giustifica lasciare i pannolini del bebè sul piatto dopo il pranzo. Eppure è successo, solo qualche
giorno fa, al Rifugio Talamini di Vodo di Cadore per l'esasperazione dei gestori che lamentano, specie quest'estate, sempre più casi di turismo cafone e non rispettoso per i sacrifici di chi quotidianamente si prodiga per servire un pasto caldo e un letto a chi ne ha bisogno. Michaela Del Favero, con l'aiuto della sorella Deborah e di altri familiari, da dieci anni gestisce la struttura, distante 7 chilometri da Vodo e appena 3 da Zoppè. Il Talamini è raggiungibile da strada asfaltata ma i più preferiscono arrivarci con una comoda passeggiata piuttosto che con l'auto. Non tanta fatica certo, ma all'arrivo per gli escursionisti si apre il cielo. RABBIA INGIUSTIFICATA In molti casi però, anziché gioire per il traguardo raggiunto, si manifestano rabbia, frustrazione e pretese inverosimili. «Siamo esasperate perché quest'estate abbiamo sempre più turisti maleducati e incivili, e purtroppo penso che in futuro sarà sempre peggio -tuona Michaela- Si lamentano perchè non abbiamo i tavolini tutti in tinta, per menù con piatti troppo semplici. Poi ci sono comitive che prenotano per 10 persone e si presentano in 20; altri lamentano l'attesa di 40 minuti per le portate. La lista sarebbe infinita e potremmo scrivere un libro. Per cercare di scongiurare questi gesti siamo costrette nostro malgrado a mettere cartelli ovunque». E in più nel pieno caos di agosto, il caso limite. «Si è accomodata ai tavoli una comitiva di italiani che ha consumato il pasto -racconta Deborah- raccogliendo i piatti ho notato che su uno di questi era stato lasciato un pannolino da bebè. Gliel'ho fatto notare con la massima gentilezza possibile, rimarcando alla signora che c'erano dei cestini, ma mi ha risposto che non li aveva visti, neanche in bagno. Ovviamente non è così, ma ho ho taciuto, perché ne va della mia salute».
VITA DURA Già, perché la vita lavorativa di chi gestisce un rifugio come il Talamini inizia spesso alle 5 di mattina e finisce alle 22 quando gli ospiti si recano nella camerata per dormire. Sul sito internet della struttura campeggia in evidenza la scritta "rifugio vero". «Da quando l'ho preso in gestione il rifugio ho fatto diversi investimenti e pago l'affitto al Comune -continua Michaela- Fin dall'inizio ho deciso di tenerlo aperto anche d'inverno, anche se nei primi tempi passavano mesi senza vedere ospiti. Nel periodo freddo e con la neve dobbiamo andare quasi quotidianamente in paese a prendere noi stesse le derrate alimentari. Da sempre non c'è corrente elettrica e dobbiamo alimentarla con un generatore, batterie d'accumulo e pannelli solari». SVOLTA POST COVID Non tutti però sono consapevoli e rispettosi di tutto ciò: «Dopo la pandemia le persone hanno iniziato a rapportarsi con noi con aggressività, pensando di parlare con uno schermo anziché con persone di carne, ossa e sentimenti -prosegue- L'errore più grande, che ha portato a tutto questo, è che ormai ci sono attività in alta quota che non sono rifugi ma alberghi di lusso che servono ostriche e caviale. Noi invece da 10 anni manteniamo la stessa linea di alimenti, perchè vogliamo la qualità e la quantità». «L'altro giorno una donna ha rimarcato che il caffè costava 1.50 euro -conclude Michaela- e mi ha detto che era poco». Ecco: qualche soddisfazione arriva. E speriamo siano sempre di più. Claudio Fontanive © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelVeneto|27agosto2025
p. 2
«Turisticafoni,adessobasta»
IlgovernatoresiinfuriaeinvocailDaspourbanoperchinonrispettailVeneto
Venezia L’album fotografico dell’estate ormai agli sgoccioli rischia di restituire un Veneto ben diverso da quello della scintillante narrazione di «prima regione turistica d’Italia». Si tratta di istantanee innegabilmente trash in cui il «nudismo» noncurante la fa da padrone. Eclatante il
caso dei turisti che si lavano o si cambiano accanto al «furgone camperizzato» in pieno centro a Cortina d’Ampezzo.
Così il presidente della Regione Luca Zaia invoca il Daspo urbano per i «turisti cafoni». A dire il vero, un provvedimento simile è già previsto, ad esempio, nel regolamento cittadino del Comune di Venezia. Del resto, il capoluogo ha fatto da apripista anche sul fronte del decoro. E il Daspo (o qualcosa che gli somiglia) è stato introdotto contro chi vaga serenamente fra le calli a petto nudo o chi ha preso il Canal Grande (è successo innumerevoli volte) per una piscina da tuffi.
«Il Veneto è la regione dei record nel turismo, ma non può e non vuole diventare terra fertile per il turismo cafone.
Non siamo un luna park in cui ognuno fa quello che vuole senza regole» tuona il governatore. A far infuriare Zaia sono, appunto, gli ultimi esempi di maleducazione spinta citati poco sopra: «In Prato della Valle a Padova alcuni soggetti si sono messi a prendere il sole in mutande a ridosso delle statue; in centro a Cortina diversi turisti si sono spogliati accanto al loro camper, stendendo i panni sul monumento alle Olimpiadi 1956; a Jesolo ed Eraclea non si contano i bagnanti in tanga o a torso nudo per le strade della città e nei negozi; non ultimo, il gestore del rifugio Talamini a Vodo di Cadore ha lamentato inciviltà da parte di alcuni avventori che hanno lasciato addirittura dei pannolini sporchi nei piatti. C’è un limite a tutto. Noi accogliamo chi porta rispetto.
Ma a chi pensa di venire qui per fare i propri comodi, per lasciare caos e degrado, diciamo chiaramente che non sarà tollerato. Il Veneto non è e non sarà mai la terra del turismo selvaggio». Ecco allora il «sì» di Zaia a «strumenti normativi che prevedano anche il Daspo per chi viola il decoro dei nostri luoghi di villeggiatura in modo pesante, ripetuto, e con palese disprezzo degli operatori e della comunità locale».
Una linea abbracciata anche da Massimiliano Schiavon, presidente di Federalberghi: «Credo che il turismo che si approccia a politiche di sostenibilità e rispetto ambientale debba considerare anche il rispetto delle comunità ospitanti. Non è nelle nostre corde “evangelizzare” il turista ma le regole per garantire il rispetto luoghi sono doverose. Anche da parte degli operatori ci può essere maggiore sensibilizzazione, rientra nei compiti degli addetti ai lavori. Purtroppo questo è un effetto collaterale dell’overtourism ma l’educazione e il rispetto valgono ovunque e non parlano lingue diverse». Più prudente Andrea Colasio, assessore con delega al Turismo di Padova: «Sono più propenso a valutare un approccio sanzionatorio a livello di multe, il Daspo mi pare francamente eccessivo dato che attiene all’ambito dell’ordine pubblico ma qui si parla della pubblica decenza. È come voler uccidere un cardellino con una mitragliatrice, parliamo di uno strumento spropositato rispetto al problema». E Roberta Alverà, vicesindaca di Cortina, è altrettanto prudente: «Purtroppo, la novità di quest’anno sono i furgoni attrezzati a camper, quindi senza servizi a differenza dei camper tradizionali che ci sono sempre stati, che si sono moltiplicati. Li si vede occupare tutte le piazzole di sosta verso i passi ma solo per una notte, poi si spostano. Da qui la difficoltà di sanzionare comportamenti di questo genere. Se restano con lo sportello chiuso non li si può neppure far muovere».
CorrieredelleAlpi|27agosto2025
p. 1 e 11
Camperistinudi,pannistesisuimonumenti,abbronzaturatralestatuedell'IsolaMemmia
Zaia:«Nonsiamounlunapark,allontaniamoimaleducati».Ostellari:«Fattibile»
Sabrina Tomè
Tuffi in laguna, simil abiti-da-sera sulle vette dolomitiche, nudi integrali nei parcheggi, abbronzature in mutande (bianche) sui monumenti storici, passeggiate in costume in centro. Il campionario del turismo cafone si arricchisce ogni estate di un nuovo articolo. Cresce la maleducazione nella fruizione delle bellezze naturali e artistiche del Veneto e aumenta proporzionalmente l'indignazione. Che, sia chiaro, con lo snobismo nulla ha a che vedere. Ma ora che la misura è colma, accanto allo sdegno s'affaccia la prospettiva di una misura di tutela. E questo non perché viviamo in una società di divieti, ma perché abitiamo in un territorio pieno di fragili bellezze che, in quanto tali, vanno protette e preservate. Nasce così il daspo urbano per allontanare il turista cafone. A lanciare la proposta, con una nota diffusa ieri, il governatore Luca Zaia; a condividerla il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari che ne sottolinea la praticabilità tecnica.
Gli episodi L'elenco degli sfregi è lungo e variegato: all'inizio fu Venezia e furono i tuffi da Rialto, le nuotate in Canal Grande, le scene hot tra le calli. Poi il fenomeno si è propagato, investendo democraticamente tutto il territorio. In montagna: gli escursionisti in infradito lungo i sentieri, i camperisti nudi in parcheggio a Cortina e i panni stesi sul monumento alle Olimpiadi 1956. Ha del surreale il racconto del gestore del rifugio Talamini a Vodo di Cadore: pannolini sporchi lasciati nei piatti. Sulle spiagge: a Jesolo ed Eraclea i bagnanti in tanga o a torso nudo per le strade della città e nei negozi. In città: i turisti in mutande che prendono il sole sdraiati sui muretti dell'Isola Memmia a Padova. Tanto, troppo. Il daspo Così il governatore Luca Zaia è sbottato: non siamo un luna park, ora basta. «Il Veneto», ha detto, «è la regione dei record nel turismo, ma non può e non vuole diventare terra fertile per il turismo cafone.
Non siamo un luna park in cui ognuno fa quello che vuole senza regole: ogni anno accogliamo 73 milioni di visitatori ed investiamo enormi risorse per rendere l'esperienza di viaggio sicura e di qualità. Tutto questo merita rispetto, perché è un patrimonio culturale, paesaggistico e storico su cui abbiamo investito per offrirlo al mondo». E dunque: «C'è un limite a tutto, noi accogliamo chi porta rispetto. A chi arriva nelle nostre città d'arte, nei nostri borghi, sulle nostre spiagge e nelle nostre montagne con la voglia di conoscere, apprezzare e magari anche tornare, diamo il benvenuto. Ma a chi pensa di venire qui per fare i propri comodi, per lasciare caos e degrado, diciamo chiaramente che non sarà tollerato. Il Veneto non è e non sarà mai la terra del turismo selvaggio o cafone». Ecco allora la soluzione daspo: «Sono più che favorevole a strumenti normativi che prevedano anche il daspo per chi viola il decoro dei nostri luoghi di villeggiatura in modo pesante, ripetuto, e con palese disprezzo degli operatori e della comunità locale».
La fattibilità Una boutade? Niente affatto.
La strada è percorribile. Lo attesta il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari: «Sono d'accordo con Zaia», afferma il senatore, «il daspo urbano è uno strumento che è già utilizzato in diversi ambiti per contrastare il degrado e garantire la sicurezza.
Estenderne l'utilizzo per difendere la dignità delle nostre comunità è un'ottima idea che può essere realizzata tecnicamente in tempi rapidi». Di fatto, a Venezia è già applicato a casi simili, in base a un regolamento di polizia urbana.
Che cosa prevede Il daspo urbano (acronimo di divieto di accesso alle manifestazioni sportive, in questo caso esteso in ambito urbano), è una misura amministrativa nata per contrastare degrado, violenza o comportamenti che compromettono la sicurezza e il decoro urbano. Esso inizia con un ordine di allontanamento rivolto a chi compie atti di ubriachezza molesta, spaccio o uso di droga, accattonaggio molesto, bivacco o a chi disturba l'ordine pubblico o mette a
rischio la sicurezza dei cittadini. L'ordine di allontanamento immediato viene emesso da polizia, carabinieri, polizia municipale; in caso di persona recidiva o pericolosa, il questore può disporre il divieto di accesso.
OVERTOURISM:ILCASOSECEDA
Corrieredell’AltoAdige|1agosto2025
p. 2
Seceda,cartelliperindicareilsentierogratuito
Benedetta Pellegrini
BOLZANO
Mentre il tornello a pagamento sul sentiero del Seceda continua a far parlare di sé e a dividere le opinioni, accanto alla struttura c’è ora un addetto incaricato di informare i turisti: non è obbligatorio pagare. Esiste infatti un percorso alternativo, poco più lungo, che consente di aggirare il varco e raggiungere comunque il celebre punto panoramico sulle Odle. Anche Dolomites Val Gardena, l’organizzazione che coordina la promozione turistica della valle, sta preparando un cartello informativo da posizionare proprio accanto al tornello, per chiarire che si tratta di un’iniziativa privata e che, camminando un po’ di più, esiste un’alternativa gratuita. Intanto si susseguono le prese di posizione. Helmut Sartori, presidente altoatesino dell’Associazione esercenti funiviari (Anef) sottolinea che: «Le funivie vengono spesso indicate come principali imputate del problema, ma il contingentamento degli ingressi dovrebbe avvenire alle porte delle città». E aggiunge: «Non dobbiamo generalizzare. Abbiamo giorni ad altissima affluenza in determinati hotspot dell’Alto Adige, ma anche periodi molto più tranquilli. Non tutte le valli vivono la stessa pressione. Alcune sono semplicemente più esposte di altre». Sartori fa riferimento anche alla giornata più discussa dell’estate: martedì 22 luglio, quando immagini e video di code chilometriche all’impianto di risalita Seceda hanno fatto il giro del web, accendendo le polemiche. «Il giorno prima pioveva e anche le previsioni successive non erano buone. Quel martedì è stato l’unico giorno con bel tempo in tutta la settimana. È normale che i turisti abbiano scelto di salire proprio quel martedì». Per Sartori, dunque, non si tratta di un sintomo permanente, ma di una criticità episodica amplificata da determinate circostanze. Sullo sfondo, tuttavia, c’è un cambiamento profondo: quello dei flussi turistici guidati dai social. Secondo i dati della società di pagamenti mobili SumUp, il 77% degli utenti di TikTok usa la piattaforma come ispirazione per scegliere la meta delle vacanze, il 62% ritiene affidabili i contenuti dei travel creator e uno su due ha acquistato un soggiorno dopo aver visto un video. Stando all’analisi, proprio le Dolomiti si trovano al primo posto tra le mete italiane più consigliate dagli utenti di TikTok, davanti a località come Portofino, Val d’Orcia, Alberobello, Matera e tante altre. È la logica dei trend virali: un panorama suggestivo, un video ben montato e in pochi giorni una meta, anche da sconosciuta, può diventare irrinunciabile. Ma così si amplifica il fenomeno del turismo “mordi e fuggi”: si arriva, si scatta una foto e si torna indietro. E la pressione si concentra sempre più in pochi punti iper-iconici, mettendo a dura prova il territorio e le sue capacità di accoglienza, oltre che la quotidianità dei residenti.
IlGazzettino|4agosto2025
p. 10, edizione Belluno
AmigliaiaincodasulSecedaperl’effettoAppleeYouTube
Venerdì il vertice sul tornello
IL FENOMENO VENEZIA Basta la parola: "overtourism". E subito si pensa a calli e campielli traboccanti, tanto che in 54 giornate di applicazione del contributo di accesso, quest'anno Ca' Farsetti ha incassato 5,4 milioni da 720.000 visitatori. Ma il sovraffollamento turistico ormai non è più confinato alla città d'acqua, anche se il riferimento all'esperienza lagunare è inevitabile pure per Paul Köllensperger, ex pentastellato che nel Consiglio provinciale di Bolzano è il capogruppo del Team K, in queste ore in cui commenta sui social il fenomeno sempre più marcato sulle Dolomiti: «Il pedaggio non serve a nulla, basta vedere Venezia. Serve un numero chiuso. Ed ovviamente precedenza ai possessori dell'Alto Adige Pass». Il fatto è che lungo il sentiero che conduce al monte Seceda, nel gruppo delle Odle, esattamente da un mese è attivo un tornello che applica già il balzello: 5 euro ad escursionista, da moltiplicare per picchi che ultimamente sono arrivati a 8.000 transiti al giorno, incamerati dai quattro proprietari dei terreni attraversati. La situazione è tale che per venerdì 8 agosto è stato convocato un vertice con gli amministratori locali e gli operatori economici della Val Gardena. NUMERI E FLUSSI Le code in montagna, non solo sull'Alemagna acciaccata ma anche nei pressi dei rifugi d'alta quota e attorno agli specchi d'acqua, sono ormai un dato di fatto con cui le istituzioni si devono confrontare in tutto il Nordest. Dalle 14.000 presenze giornaliere registrate sulle Tre Cime di Lavaredo, alle 15.000 riscontrate sul lago di Braies, i numeri hanno incanalato il dibattito pubblico sulla necessità di regolare i flussi attraverso sistemi di prenotazione e di pagamento, come appunto i 40 euro per le auto, 26 per le moto e 60 per i camper richiesti per percorrere i 6 chilometri asfaltati che partono da Misurina e arrivano al rifugio Auronzo. Tuttavia il casello privato di Ortisei è un caso decisamente più singolare. Innanzi tutto perché l'iniziativa non riguarda una strada bensì un sentiero, con effetto moltiplicatore per la relativa funivia. Inoltre perché la provocazione, spiegata dal co-promotore Georg Rabanser con la necessità di reagire a problemi di «danni ai pascoli e rifiuti nei prati», è gravata da illegittimità secondo la valutazione espressa dalla Provincia autonoma sullo sbarramento: «Avrebbe comunque bisogno di un'autorizzazione paesaggistica, essendo installato in una zona protetta», ha dichiarato il presidente Arno Kompatscher. Ma ad aumentare ulteriormente la particolarità della vicenda altoatesina è anche l'origine dell'affollamento rilevato in quel particolare luogo. Nel mondo digitale è infatti noto il legame fra Seceda e Apple, il gigante informatico che prima nel 2017 per il nuovo iMac e poi nel 2023 per iPhone15 ha utilizzato quel profilo mozzafiato come fondale per le presentazioni, visualizzate in diretta streaming da milioni di utenti in tutto il mondo. SELFIE ED EMOJI Se dunque il lago di Braies deve la sua complicata fortuna a una serie televisiva come "Un passo dal cielo", tutto sommato una causa quasi analogica, il fenomeno selfie sul monte Seceda è legato a una moda decisamente più digitale. Come scoperto dal sito sudtirolese Salto, infatti, su YouTube spopola il video di due influencer cinesi che si fotografano sullo sfondo della vetta di Ortisei, scelta appositamente in quanto con il suo profilo aguzzo e i suoi versanti erbosi ricorda notevolmente l'emoji della montagna presente nei principali modelli di smartphone. Eloquente è il commento registrato nel filmato, così tradotto dal mandarino: «Questo è un parco giochi estivo senza soffitto. I prati fioriti sono tappeti, le cime montuose sembrano castelli dipinti». Non è un caso che, sempre più spesso, ad incolonnarsi sul sentiero (e al tornello) siano escursionisti asiatici. Compresa una coppia di sposi, impegnati nel servizio fotografico nuziale con tanto di
ombrello più riflettente che parasole, vestiti in abiti e calzature da cerimonia. Ma questa è un'altra storia, emblematica di un fenomeno trasversale alle nazionalità, sulle Dolomiti in cui c'è chi si avventura in infradito e poi dev'essere recuperato dal Soccorso alpino. A.Pe. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelTrentino|9agosto2025
p. 2
Seceda,modelloBraies:accessosuprenotazionecontrol’overtourism
Benedetta Pellegrini
BOLZANO
Il turismo di massa non è più un problema ignorabile. Lo ha confermato anche la Provincia autonoma di Bolzano, che ieri ha convocato un vertice a Ortisei per capire in che modo gestire i flussi sugli hotspot più gettonati, come il Seceda. Presenti gli assessori provinciali Luis Walcher (Turismo) e Daniel Alfreider (mobilità), il direttore del Dipartimento Ambiente, Natura e Protezione del clima Alexander Gruber, i rappresentanti dei Comuni, le associazioni turistiche locali, Idm e la società Funivie Seceda SpA. All’ordine del giorno: come evitare che si ripetano le scene dello scorso 22 luglio, quando le file chilometriche alla partenza della funivia del Seceda e il conseguente caos diffuso sui social hanno acceso i riflettori su una situazione che i residenti conoscono bene da anni. I partecipanti hanno riconosciuto all’unanimità che negli ultimi anni l’impatto del turismo è cresciuto al punto da mettere a rischio la qualità della vita locale. «Non si tratta solo di reagire alla situazione sul Seceda sottolinea l’assessore Walcher ma di creare un sistema trasferibile che possa essere utilizzato anche in altre zone molto frequentate. Il turismo è e rimane un fattore economico importante, ma non deve andare a scapito della qualità della vita della popolazione locale». Il primo passo sarà l’attivazione di un gruppo di lavoro incaricato di elaborare «tempestivamente» misure concrete, con il sostegno tecnico di Idm. Ovvero soluzioni da implementare già la prossima stagione. Tra le proposte già emerse c’è quella del numero chiuso. Ovvero un sistema di prenotazione online con fasce orarie, deroghe per i residenti e una gestione più efficace dei flussi, ispirata proprio all’ormai noto modello Braies. L’assessore Alfreider ha inoltre ricordato gli sforzi sul fronte della mobilità pubblica: «Il nostro obiettivo è quello di ridurre il traffico individuale nella Val Gardena, motivo per cui negli ultimi anni si è investito maggiormente nel potenziamento dei mezzi pubblici» ricorda. Ma ha anche ribadito l’urgenza di nuove misure per gli ingressi giornalieri, nonché i principali imputati della congestione turistica: «Dobbiamo adottare ulteriori misure per gestire meglio la mobilità dei visitatori giornalieri, con interventi infrastrutturali, una migliore informazione e prenotazioni di slot contingentati». Il messaggio, dunque, è chiaro: servono soluzioni «dalla Val Gardena per la Val Gardena». Tra gli assenti al tavolo di confronto, tuttavia, i 4 proprietari terrieri che hanno installato il tornello sul sentiero che conduce verso lo scenario mozzafiato delle Odle, chiedendo un pedaggio di 5 euro per il passaggio. Tra loro anche Georg Rabanser, che ha commentato: «Ho saputo del vertice dai media», precisando dunque di non esserne stato avvisato.
Corrieredell’AltoAdige|9agosto2025
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IlSecedasaràsolosuprenotazione:funivieeparcheggianumerochiuso
BOLZANO
Svolta nella gestione dell’overtourism sul Seceda e più in generale in Val Gardena. Mentre il tornello all’ombra delle Odle risulta ancora attivo e funzionante, ieri gli assessori provinciali Walcher e Alfreider si sono seduti al tavolo con i sindaci della zona e i gestori degli impianti di risalita. È stata proposta l’introduzione di un sistema di prenotazione con fasce orarie per controllare e dirigere i flussi, in particolare nei periodi di punta stagionali. «Concretamentespiega il sindaco di Ortisei Tobia Moroder - significa che chi vuole salire sul Seceda dovrà passare attraverso un sistema di prenotazione: funivie e parcheggi saranno quindi a numero chiuso. Per capire quali e quanti slot inserire saranno necessari ulteriori studi. I turisti arrivano la mattina: una parte degli arrivi, per evitare il caos, dovrà essere “spostata” necessariamente al pomeriggio». I tempi? Probabilmente il sistema di prenotazione entrerà in vigore dalla prossima stagione invernale per diventare un meccanismo rodato dall’estate 2026. Il modello che si sta seguendo è quello del Lago di Braies: «È un esempio positivo - spiega l’assessore provinciale Luis Walcher - di come gestire i visitatori giornalieri. Il turismo è e rimane un fattore economico importante per il nostro territorio, ma non deve andare a scapito della qualità della vita della popolazione locale». Per Walcher «non si tratta solo di reagire alla situazione sul Seceda, ma di creare un sistema trasferibile che possa essere utilizzato anche in altre zone molto frequentate». Oltre agli accessi con prenotazione, tra le contromisure all’overtourism rientrerà anche un potenziamento del trasporto pubblico. La Provincia ha affidato il “dossier” a Idm, la sua agenzia di sviluppo economico, istituendo un gruppo di lavoro per elaborare le nuove misure. L’accordo è stato trovato al termine dell’incontro svolto Ortisei e comprende un miglioramento dei sistemi già esistenti. Tra questi c’è la guida al parcheggio, ovvero un insieme di tecnologie che aiuta gli automobilisti a trovare e raggiungere rapidamente un posto auto libero, usando sensori, telecamere, software e applicazioni. Il tornello ancora attivo Al momento invece resta attivo il “tornello delle polemiche” (5 euro per il pedaggio) installato sui terreni attraversati dal sentiero del Seceda dai quattro proprietari dei prati, esasperati dal passaggio di centinaia di turisti alla ricerca del selfie perfetto. Georg Rabanser, uno dei titolari, insiste: «Non possono farlo rimuovere perché siamo legalmente perfetti. Siamo a posto con le licenze, anche dal punto di vista fiscale. Nel caso dovremmo deciderlo noi, ma al momento la nostra posizione rimane invariata». Diverso l’avviso dello stesso Walcher, che ribatte: «Stiamo ancora verificando attraverso i nostri uffici la bontà di questo tornello, ma a breve comincerà la procedura per rimuoverlo. Non può essere questo il futuro delle nostre montagne». Per installare il tornello teoricamente servirebbero licenza edilizia e licenza paesaggistica che a quanto pare non ci sono; ma in un eventuale contenzioso i promotori del pedaggio potrebbero far valere il diritto di proteggere la proprietà privata e dimostrare che il ticket servirebbe a “coprire” i danni subiti dal passaggio di colonne di turisti.
OVERTOURISM:PROPOSTEDISOLUZIONI
Corrieredell’AltoAdige|2agosto2025
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«Pedaggio,misuranecessariapergestireilflussoturistico
Il tema dell’overtourism sta tenendo banco in questa estate da tutto esaurito sia in Trentino sia in Alto Adige. Il rischio è di assistere progressivamente a una «Disneylandizzazione» della montagna. Quindi la domanda è semplice: ci sono troppi turisti? La risposta, se un tempo tendeva a sminuire il problema, adesso invece lo mette sotto i riflettori. Perché qualcosa bisogna fare alla luce anche del recente crollo delle Dolomiti di Brenta. Insomma, è arrivato il momento di trovare un nuovo equilibrio tra ambiente e turismo. Ecco che allora si cerca di capire se è possibile introdurre la Ztl anche sui passi dolomitici oppure introdurre un pedaggio per razionalizzare la massa di persone. In val Gardena, ad esempio, non senza polemiche, hanno introdotto un ticket di 5 euro per attraversare il sentiero sul Seceda. Di questo e altro ne abbiamo parlato con la ministra al Turismo, Daniela Santanchè (Fratelli d’Italia). Ministra Santanchè, cosa pensa dell’acceso dibattito tra chi paventa il rischio che le zone di montagne diventino grandi luna park, per esempio con il proliferare di après ski, e chi, invece, non ci vede nulla di male? «Il dibattito sull’equilibrio tra sviluppo turistico e conservazione delle aree montane è fondamentale. Da un lato, è essenziale preservare l’integrità naturale e culturale di questi luoghi; dall’altro, il turismo può portare benefici economici significativi. La chiave sta nel trovare un modello di sviluppo sostenibile che valorizzi le risorse locali senza trasformare le montagne in semplici attrazioni turistiche.» In val Gardena, lungo il sentiero sul Seceda, è stato attivato un tornello che impone il pedaggio di 5 euro agli escursionisti, e questa decisione ha causato opinioni contrastanti. Cosa ne pensa? «L’implementazione del pedaggio è una misura che può apparire controversa, ma necessaria per gestire il flusso turistico, proteggere l’ambiente e avere risorse anche per preservare i territori. Come abbiamo fatto in altre occasioni, penso al Pantheon o alla Via dell’Amore in Liguria, in certi casi è fondamentale richiedere un piccolo contributo per gestire i flussi e preservare i territori affinché tutte le generazioni, presenti e future, possano goderne. È fondamentale perciò trovare un equilibrio tra l’accessibilità per gli escursionisti e la tutela delle risorse naturali ed è quello che, come ministero, stiamo affrontando, mettendo in campo iniziative e risorse per una gestione sostenibile del turismo.» Roberto Failoni, assessore al turismo della provincia autonoma di Trento, invita a investire ulteriormente in vista delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina. Il ministero da lei presieduto cosa prevede? «Il dicastero è componente della cabina di regia per le Olimpiadi perché, come tutti i grandi eventi, sono un volano per il settore, non solo durante gli eventi ma anche e soprattutto dopo. Stiamo lavorando affinché ci sia la giusta promozione e che le Olimpiadi siano occasione di rilancio per i territori coinvolti ma anche per quelli limitrofi e vetrina per l’Italia intera.» Il 10 luglio è stato approvato alla Camera il disegno di legge per il riconoscimento e la promozione delle zone di montane. Sono previste fra l’altro, ha spiegato il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli, «iniziative contro lo spopolamento rivolte a giovani e famiglie a disposizione oltre 200 milioni del fondo per lo sviluppo delle montagne italiane». Immagino che anche lei sia soddisfatta di com’è stato approvato. Entro quando auspica che sarà approvato al Senato? «Certo, sono soddisfatta perché questo disegno di legge rappresenta un passo importante verso la valorizzazione delle nostre zone montane e il sostegno alle comunità locali. Auspico che il testo possa essere approvato al Senato il prima possibile, in modo da poter dare rapidamente attuazione alle misure previste e garantire un futuro migliore per le aree montane». Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) chiede che nel disegno di legge si introduca una norma di coordinamento statale che impegni le Regioni ad adeguare la propria legislazione in materia di
montagne e foreste e a investire risorse economiche pari a quelle che lo Stato riverserà alle Regioni. Ritiene ragionevole questa richiesta? «Ritengo ragionevole la richiesta di un coordinamento statale. È fondamentale che le Regioni siano supportate nell’adeguare la propria legislazione in materia di montagne e foreste, specialmente in un contesto di risorse limitate. Un impegno paritario tra Stato e Regioni può garantire un efficace sviluppo delle politiche montane perché, come dico sempre, bisogna lavorare in squadra per ottenere risultati. E il coordinamento Stato-regioni-territorio e imprese è fondamentale». Negli scorsi mesi un’indagine trentina ha posto sotto la lente degli investigatori della Finanza incaricati dalla Dda della Procura di Trento ben 104 strutture alberghiere per segnalazioni di operazioni sospette o perché avrebbero effettuato acquisti e investimenti poco compatibili con i bilanci. Cosa pensa del rischio di infiltrazioni mafiose in hotel presenti in famose località turistiche, come per esempio Pinzolo, Madonna di Campiglio e Primiero? «La mafia è un male da estirpare ovunque e questo governo è impegnato in prima linea per contrastare ogni forma di organizzazione mafiosa. È chiaro che il tema riguarda tutte le categorie, compresa quella del turismo, e risulta, quindi, importante attenzionare il rischio di infiltrazioni maggiori in località turistiche. È fondamentale, perciò, rafforzare i controlli e le normative per prevenire tali infiltrazioni, garantendo al contempo la sicurezza e la reputazione del settore turistico. Collaborare con le forze dell’ordine e promuovere la legalità è essenziale per proteggere l’integrità del nostro turismo»
CorrieredelVeneto|6agosto2025
p. 10, edizione Treviso – Belluno
Zaia:«Dolomiti,serveunostudioperdefinireillimitemassimodituristi»
DIMITRI CANELLO
VENEZIA
Cortina è tra le mete più desiderate al mondo, ma il successo turistico porta con sé sfide complesse. Il governatore Luca Zaia interviene sull’overtourism, che interessa tanto Venezia quanto la regina delle Dolomiti, chiedendo strategie di gestione rigorose. «Non è una colpa avere turisti – dichiara – fra un po’ si incolperà Cortina per il solo fatto di esistere o di essere l’eredità delle Olimpiadi del 1956, ma il turismo va regolamentato con metodi scientifici e nuove tecnologie, non con il populismo». Il dibattito nasce nel contesto delle trasformazioni che hanno investito il territorio: il riconoscimento Unesco alle Dolomiti e l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Cortina hanno incrementato le presenze in maniera esponenziale. I dati confermano la crescita: il Veneto ha registrato 528 mila presenze con un aumento del 30% rispetto al 2019, e il 66% dei turisti è straniero. Ma a preoccupare sono i flussi giornalieri. Il governatore propone una soluzione concreta: definire la capacità di carico sostenibile di Venezia e delle Dolomiti attraverso uno studio scientifico, sul modello di quanto già avviene per le Tre Cime di Lavaredo o nei musei più visitati al mondo. «Dobbiamo stabilire un numero massimo di visitatori giornalieri, scientificamente sostenibile, e applicare un sistema di prenotazione che inviti chi arriva oltre il limite a tornare il giorno dopo». Un concetto che per Zaia non è una restrizione, ma «un atto di tutela per i residenti, per i turisti stessi e per il patrimonio culturale e ambientale». Il presidente cita due modelli già attivi nel territorio: oltre alle Tre Cime, dove il flusso è contingentato e monitorato, e l’esperienza di Alleghe, dove è stato istituito un meccanismo simile per proteggere l’ambiente e migliorare la vivibilità. «Sono esperienze che
dimostrano come sia possibile, anche grazie alla tecnologia, conciliare turismo e sostenibilità», afferma Zaia, ricordando che «il Veneto non può permettersi un turismo selvaggio: dobbiamo gestirlo, non subirlo». Zaia contesta l’idea che il riconoscimento Unesco o le Olimpiadi siano i soli responsabili del fenomeno: «È normale che i luoghi iconici del mondo abbiano picchi di presenze. È così alla Grande Muraglia, è così a Venezia. L’Italia possiede oltre il 70% dei beni culturali mondiali: è inevitabile che ogni meta sia visitata». Tuttavia, «il turismo è un grande valore, ma deve avere regole». Il tema riguarda anche le Dolomiti e Cortina, dove i grandi eventi hanno portato vantaggi, ma anche squilibri. «La montagna si sta spopolando e ha bisogno di alternative per i giovani: il turismo resta una risorsa fondamentale, purché sostenibile», osserva Zaia. Da qui la proposta di un protocollo condiviso che unisca amministrazioni locali, operatori economici e comunità, per evitare che i benefici economici vengano annullati dai disagi per i residenti e dai danni ambientali. Zaia chiude con un appello: «Quante persone Venezia può sostenere in una giornata? Quante i passi dolomitici? Solo partendo da questo potremo programmare in maniera seria». Il Veneto guarda dunque a un turismo del futuro che sia selettivo, regolato e tecnologico, dove i limiti non siano una barriera ma uno strumento di qualità. «Non è una battaglia contro i turisti – ribadisce il governatore – ma per salvare Venezia, Cortina e la nostra montagna».
PASSIDOLOMITICI:ILDIBATTITO
AltoAdige|1agosto2025
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CorsepazzesuipassiIComunichiedonoduecentoradarfissi
ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO
«Nell’ultimo anno il traffico sui passi è rimasto più o meno lo stesso. Mentre sono aumentate in maniera esponenziale le corse folli di auto e moto sui passi: di giorno, ma soprattutto di notte. La situazione ormai ha raggiunto livelli insostenibili. Le forze dell’ordine non possono presidiare le strade 24 ore su 24. Per questo, come Provincia, sosteniamo i Comuni che hanno avviato le procedure per ottenere l’autorizzazione ad installare 200 radar fissi. Non abbiamo altri strumenti per frenare una moda che sta assumendo dimensioni preoccupanti. E, al momento, non possiamo neppure contingentare il passaggio di veicoli o istituire zone a traffico limitato sulle strade dei passi, perché la legge non ce lo consente». È un grido di allarme quello lanciato ieri dall’assessore provinciale Daniel Alfreider, nel corso di una conferenza stampa, alla quale hanno partecipato anche il direttore del Dipartimento Infrastrutture e Mobilità Martin Vallazza e il presidente del Consorzio dei Comune Andreas Schatzer. Perché chi abita soprattutto in certe zone dell’Alto Adige, oltre a vivere con l’assedio di migliaia di turisti alla ricerca del luogo pubblicizzato dall’influencer del momento per farsi il selfie da pubblicare sui social, deve fare sempre più i conti con il crescente numero di raduni di auto e moto d’epoca e di ultima generazione; di gare clandestine; di motori rumorosi e campeggi abusivi in quota. Le ordinanze dei Comuni prevedono il divieto di parcheggio e l’allontanamento del mezzo, con sanzioni fino a 500 euro. Anche in questo caso però è difficile garantire controlli continuativi. Sui tornanti come in pista L’ultimo episodio - documentato con la foto che pubblichiamo sopra - risale alle ore
23.30 del 30 luglio. I vigili del fuoco volontari sono dovuti intervenire per recuperare un “bolide”, finito fuori strada, su un tornante di passo Gardena. Ma questo, come detto, è solo l’ultimo caso di una lunga serie: le sfide sui passi dolomitici e non solo, sono diventate un “must” dell’estate 2025. Sul Rombo, ad esempio, le forze dell’ordine hanno fermato una moto che sui tornanti del passo, dove c’è il limite dei 70 all’ora, sfrecciava a 180 in salita. Una follia che - a volte - può avere conseguenze tragiche. I controlli anti-velocità Il problema sono i controlli della velocità: non si può pensare di presidiare giorno e notte tutte le strade del territorio. Polizia, carabinieri e la polizia municipale agiscono con l’ausilio di controlli mobili, speed-check-box e radar fissi. In Alto Adige è attivo al momento, solo un radar fisso, posizionato a passo Rombo. «Dai Comuni altoatesini, fino ad ora - ha spiegato Alfreider - sono state inviate 200 richieste al Commissariato del governo. Spetta al prefetto approvarle o rigettarle. Abbiamo bisogno di chiarezza dal Ministero competente su come poter agire rispetto ad una situazione che non è più sostenibile». «Il quadro - ha aggiunto Schatzer, presidente del Consorzio dei Comuni - è peggiorato da quando di fatto gli speed-check sono stati messi fuori legge. Servivano come deterrente. Oggi gli speed-check non ci sono più e, anche se ci sono, gli automobilisti corrono, perché sanno che non sono più in funzione». Alfreider ha incontrato la scorsa settimana il sottosegretario di Stato Tullio Ferrante, per discutere della procedura di richiesta per l’installazione dei radar fissi troppo complicata e l’incertezza relativa al tema dell’omologazione delle apparecchiature. Il rumore spaccatimpani Altro incubo, in particolare per chi vive in certe zone frequentate dagli amanti della velocità, è il rumore. Ma anche contro i decibel le forze dell’ordine hanno armi spuntate. «Il Codice della strada ha spiegato Vallazza - non stabilisce un limite uniforme di decibel valido a livello nazionale: le forze del ordine e la polizia locale possono eseguire controlli con fonometri certificati che verificano se il limite acustico viene superato, ma poi un’eventuale sanzione può essere erogata soltanto se il veicolo è stato elaborato». Alfreider ha promesso di potenziare i controlli sul territorio e per questo verrà messo a disposizione il personale della nostra Motorizzazione per dare un sostegno tecnico alle forze del ordine e polizie locali. Il traffico contingentato Bene i radar fissi - ammesso che vengano autorizzati dal Commissariato del governo ma l’obiettivo di Provincia e Comuni è più ambizioso. «Noi vorremmo introdurre il contingentamento delle auto sui passi o istituire - ha detto Alfreiderdelle zone a traffico limitato, ma la legge al momento non ci consente di farlo su strade di collegamento. È vero però che una norma di attuazione apre un piccolo spiraglio per zone “delicate” dal punto di vista ambientale e paesaggistico come sono le aree Dolomitiche che rientrano nel Patrimonio mondiale dell’Unesco. Stiamo cercando di capire cosa si può fare esattamente. Ci stiamo lavorando con i colleghi della Costa Amalfitana che hanno problemi simili ai nostri per quanto riguarda la gestione dei flussi di traffico».
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Ztlsuipassi,Alfreiderpressailgoverno«Adeguarelaleggeanchesuiradar»
Vittorio Savio BOLZANO
Nuovi autovelox omologati e coordinamento con le varie forze di polizia locali, queste le richieste della giunta Kompatscher al Governo di Roma per combattere gli eccessi di velocità di auto e moto e il parcheggio selvaggio sui passi alpini. Si pensa in futuro anche ad un
contingentamento dell’attraversamento dei passi alpini: una zona a traffico limitato in collaborazione con il Trentino e il Veneto. Ma anche in questo è necessario un intervento legislativo del governo. Ad illustrare i piani della Provincia per tutelare le Alpi dal traffico turistico è stato l’assessore alla mobilità Daniel Alfreider insieme al direttore del Dipartimento Infrastrutture e Mobilità, Martin Vallazza, e al presidente del Consorzio dei Comuni dell’Alto Adige, Andreas Schatzer. «Vogliamo sostenere i Comuni e la polizia locale nella gestione del traffico sui passi dolomitici, ma serve chiarezza a livello normativo da parte del ministero sulla procedura per l’approvazione dei radar e l’omologazione» spiega Alfreider, illustrando le possibilità giuridiche relative alla gestione del traffico lungo i passi alpini. «Dai Comuni altoatesini, ad oggi, ha proseguito l’assessore alla mobilità sono state inoltrate 200 richieste di installazione al Commissariato del Governo, il quale, dopo una verifica, può approvare tramite decreto la richiesta o rigettarla: abbiamo bisogno di chiarezza dal Ministero competente su come poter agire rispetto ad una situazione che non è più sostenibile». Proprio per questo motivo Alfreider ha incontrato la scorsa settimana il sottosegretario di Stato Tullio Ferrante per discutere la questione della procedura di richiesta per i radar fissi tropo laboriosa e l’incertezza relativa al tema dell’omologazione degli autovelox. Ma la problematica riguarda anche analogamente i valichi dolomitici del Trentino e del Bellunese, anche qui da tempo si levano le voci di diversi sindaci che chiedono di essere messi in condizione di agire per contrastare l’utilizzo dei passi come piste per supercar o per moto di grossa cilindrata che fra l’altro, oltre a creare pericoli sulla strada, provocano un notevole inquinamento acustico. Gli enti locali stanno attendendo le direttive dal governo per quanto riguarda le procedure di omologazione degli autovelox e di altri dispositivi di misurazione della velocità: la sola autorizzazione, infatti, stando ormai a molte sentenze, non basta ma serve una procedura diversa con verifiche dirette sugli apparecchi. Il risultato è che al momento la gran parte degli autovelox non sono attivi, come hanno ripetutamente denunciato, negli ultimi mesi, anche diversi sindaci delle Dolomiti Bellunesi, facendo riferimento pure a valichi di confine con il Trentino, presi d’assalto dai bolidi a motore. C’è ne è uno solo in funzione al momento e si trova a passo Rombo tra la Val Passiria e la Ötztal in Austria. Sulle eventuali Ztl da attuare sui passi alpini, Alfreider ha chiarito che al momento non sono applicabili, perché l’attuale normativa prevede le Ztl solamente all’interno dei centri urbani. Anche in questo serve un intervento normativo del Parlamento e dunque non sarà certo quest’anno che si vedranno le prime limitazioni. Finora Trentino e Veneto sono state molto scettiche sul contingentamento ma la questione delle strade trasformate in piste da corsa ha reso gli amministratori locali molto più inclini a introdurre limitazioni sui passi. Il presidente del Consorzio dei Comuni dell’Alto Adige, Andreas Schatzer, ha illustrato infine il quadro giuridico riferito ai parcheggi fuori dai centri abitati e, soprattutto, la questione inerente ai cosiddetti “campeggi selvaggi”. «Le ordinanze sono previste dai singoli Comuni e prevedono il divieto di parcheggio e l’allontanamento del mezzo, con sanzioni fino a 500 euro – ha detto SchatzerAnche in questo caso è difficile garantire controlli continuativi, a fronte di situazioni che provocano inquinamento causate dai rifiuti abbandonati. I campeggi abusivi sono un problema per i nostri Comuni, che vanno sostenuti nelle loro iniziative quotidiane». A stretto giro è arrivato l’apprezzamento degli albergatori dell’Hgv. «Servono regole più rigide» sottolinea il direttore Rafael Mooswalder.
CorrieredelleAlpi|1agosto2025
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«Passidolomitici,fermiamolegare»Provinciaesindaci:verticedalprefetto
Francesco Dal Mas / BELLUNO
«Un vertice in prefettura per blindare i passi dolomitici». Lo chiedono sindaci e Provincia. Passi diventati ormai autodromi in alta quota. Anche di notte. In provincia di Bolzano i Comuni hanno presentato 200 richieste per speed check box e autovelox fissi. Il presidente Arno Kompatcher, dopo averne parlato col ministro dei trasporti, Matteo Salvini, ha presentato una specifica proposta alla Conferenza delle Regioni. E in Provincia di Belluno. fronte comune «L'amico Arno mi trova completamente d'accordo» afferma il presidente della Provincia Roberto Padrin, anche nella veste di vicepresidente della Fondazione Dolomiti Unesco, «È necessario un tavolo fra le Province di Belluno, Trento e Bolzano, in collaborazione con Prefetto e Commissari di Governo, per condividere le prime misure». «Per noi che abitiamo in valle, e per i turisti nostri ospiti» specifica il sindaco di Livinallongo, Oscar Nagler «bisogna mettere fine alle gare, di giorno e di notte, con le moto, e le corse con le auto, Ferrari, Porche e altre macchine sportive. Magari all'alba, in modo da svegliare tutti». Auto che, ormai da tempo, gli ospiti del grandi hotel di Bolzano, Merano, sul lago di Garda, piuttosto che fuori confine, addirittura da Monaco, trovano a loro disposizione – certamente non gratis – per provare l'ebbrezza della velocità sui tornanti dolomitici. Come fermarli? O, quanto meno, farli desistere? «La situazione non è più sostenibile e certamente non possiamo pensare che le forze dell'ordine e la polizia locale possano essere operativi 24 ore al giorno per contrastare il fenomeno delle gare notturne in auto», dice l'assessore alla Mobilità e alle Infrastrutture della Provincia autonoma di Bolzano, Daniel Alfreider, che abita a Corvara, appena al di là del Passo Campolongo, che proprio l'altro ieri ha presentato ieri le possibilità giuridiche relative alla gestione del traffico lungo i passi alpini dell'Alto Adige. «Il controllo della velocità è la prima misura che chiediamo da anni» puntualizza il sindaco Nagler. Ebbene, il dirimpettaio Alfreider ha spiegato l'altro ieri che per i controlli della velocità sono competenti le forze dell'ordine Polizia e Carabinieri e la Polizia municipale, che agiscono con l'ausilio di controlli mobili, speed-check-box e autovelox fissi. Dai Comuni altoatesini, ad oggi, sono state inoltrate 200 richieste al Commissariato del Governo, il quale, dopo una verifica, può approvare tramite decreto la richiesta o rigettarla: «Abbiamo bisogno di chiarezza dal ministero competente su come poter agire rispetto ad una situazione che non è più sostenibile», aggiunge Alfreider. Proprio per questo motivo l'assessore ha incontrato la scorsa settimana il sottosegretario di Stato Tullio Ferrante per discutere la questione della procedura di richiesta per i radar fissi tropo laboriosa e l'incertezza relativa al tema dell'omologazione dei radar. «Ne siamo interessati anche noi» condivide Padrin, «Da qui l'opportunità di condividere un tavolo di lavoro». i controlli Per quanto riguarda invece il tema dei controlli del rumore, il Codice della Strada non stabilisce un limite uniforme di decibel valido a livello nazionale e solo le manipolazioni comprovate ai veicoli sono soggette a sanzioni. Alfreider e i suoi collaboratori hanno spiegato che le forze dell'ordine e la polizia locale possono eseguire controlli con fonometri certificati che verifichino se il limite acustico venga o meno superato, ma poi una possibile sanzione può essere erogata soltanto se il veicolo è stato manipolato. «Questo è in assoluto il tema che dà più fastidio ai nostri ospiti» dice l'albergatore Osvaldo Finazzer, che dal Pordoi coordina il comitato di oltre 70 operatori turistici dei valichi, «Siamo interessati a conoscere le soluzioni che la Provincia di Bolzano individuerà» afferma il sindaco. Valentina Colleselli, direttrice Dmo Dolomiti Bellunesi ha posto nei giorni scorsi, su queste pagine, il problema dei parcheggi fuori dai centri abitati e, soprattutto, la questione «campeggi selvaggi». Le ordinanze sono previste dai singoli Comuni e prevedono il divieto di parcheggio e l'allontanamento del mezzo, con sanzioni fino a 500 euro. «Anche in questo caso è difficile
garantire controlli continuativi, a fronte di situazioni che provocano inquinamento causate dai rifiuti abbandonati» dice Padrin, raccogliendo la preoccupazione di tanti sindaci, «I campeggi abusivi sono un problema per i nostri Comuni, che vanno sostenuti nelle loro iniziative quotidiane».
IlT|29agosto2025
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«CreiamounaztlnelleDolomiti.Stopalrumore»
L'estate delle Dolomiti assediate dalle orde social, col fardello dell'insostenibile carico di «Patrimonio Cafonesco» che nulla ha di Unesco. «Quello che davvero manca sono servizi contemporanei: digitalizzazione, sostenibilità, accessibilità, in una parola: sensibilità. Verso il turista. Verso se stessi. Il termine “overtourism” è ormai sulla bocca di tutti e sembra che i peggiori nemici del turismo siano diventati… i turisti stessi, ma la colpa è nostra». È un fiume in piena e non fa sconti Michil Costa, fondatore e presidente della Maratona dles Dolomites, anima umanista e illuminista che insieme alla sua famiglia gestisce, seguendo i principi dell'Economia del Bene Comune, a Corvara l'Hotel La Perla (Member of The Leading Hotels of the World) e il Berghotel Ladinia, autore nel 2022 di un libro dal titolo assai emblematico e premonitore, «FuTurismo» (Edition Raetia) … Michil Costa, quando ha visto quell'immagine del serpentone in coda al Seceda, cosa ha pensato?
«Ho pensato male. Ho provato pena per quelle centinaia di persone in coda, ho pensato che sebbene ci siano mille posti belli è gente che ignora il mondo dolomitico. Poi ho anche pensato che a seconda delle offerte che noi facciamo sul mercato arriverà un certo tipo di turista. Ho sentito dire da qualcuno che bisogna velocizzare il tempo di percorrenza della funivia: be', è una benemerita scemenza. Semmai il tempo di percorrenza va allungato, perché almeno il turista si ferma un po' di più e perché più velocizzi più il tutto si velocizza. Lo stesso vale per le strade: in fondo al Passo metti dei semafori a limitare e spalmare gli accessi, vedrai allora che al motociclista che sta fermo venti minuti a 27-28° con la sua bella tutina di pelle passerà la voglia di venire sulle Dolomiti. Non mi pare una cosa poi tanto difficile, no?». A proposito di motociclette, l'inquinamento acustico è un altro problema. «È dal 1998 che lo ripeto in tutte le salse. L'inquinamento acustico è terribile, ti fa andar fuori di testa e di notte ti toglie il sonno, come mi è capitato di recente col passaggio di Harley Davidson dai motori rombanti. La Provincia dovrebbe tutelare la salute dei cittadini: è questo il modo? Per questa ragione ho intenzione di rivolgermi a un avvocato per chiedere se posso presentare denuncia contro ignoti, contro la Provincia e contro le Dolomiti Unesco Patrimonio dell'Umanità». Lüm, la luce, è stato il tema scelto quest'anno per la Maratona dles Dolomites: è una montagna così oscurata da un turismo fuori controllo da aver bisogno di riappropriarsi della sua luce? «A volte certe semplificazioni possono sembrare esagerate, ma sono anche vere. Avanti di questo passo finisce che oscuriamo noi stessi, fino a perdere la voglia di vivere la montagna per quel che è, ma soprattutto rinneghiamo la relazione, che è il fondamento di ogni tipo di ospitalità e accoglienza. Quando noi valligiani ci leggiamo o ci ascoltiamo in tivù iniziamo a dubitare profondamente dell'importanza dell'ospitalità, e questo mi spiace molto». Ormai ad ogni estate si ripete la stessa sinfonia: bisognerebbe fare così o fare cosà, ma alla fine restiamo nell'alveo delle parole. Che fare?
«Il presidente della Provincia Autonoma di Bolzano Kompatscher e il vicepresidente e assessore alla mobilità Alfreider dicono che sono stati dal ministro Salvini e che non si può fare niente in merito alla chiusura del Passi. Non è vero. Io dico che ad esempio si potrebbe iniziare a chiudere il Passo Gardena quattro ore al giorno per vedere quali saranno gli effetti. Abbiamo a disposizione migliaia di dati e statistiche: bene, mettiamo allora tutte queste informazioni insieme e vediamo di trovare soluzioni radicali. Soluzioni magari impopolari, ma la politica dovrebbe pensare più al bene comune che al consenso. La politica almeno intesa come “Polis”, così come la concepivano gli antichi greci».
Un dato di fatto è la crescente mancanza di cultura della montagna. Cosa fare per infondere nel turista maggior sensibilità e consapevolezza?
«Io sono convinto che le Dolomiti dovrebbero diventare una grande parco chiuso, una zona ztl chiusa. In tal modo chi viene sulle Dolomiti dovrebbe prenotarsi con largo anticipo, e noi dovremmo a nostra volta obbligare le persone a muoversi in una certa maniera. Quest'anno alla Maratona dles Dolomites abbiamo imposto a ottomila ciclisti di portarsi appresso una giacca a vento: se tu non hai la capacità di percepire la pericolosità di freddo a pioggia in cima a un Passo, crei problemi a te stesso ma anche a me che devo venire su a soccorrerti. Ergo, tu in montagna coi sandali non ci vai. Ti prenoti con largo anticipo, interiorizzi un bel po' di Dolomiti e ladinità, ti fermi cinque giorni, e non sei ore come sta avvenendo adesso, e poi te ne torni pure in Cina»
Diciamo che i social non aiutano…
«Certo. Ma la colpa è nostra che li utilizziamo male. Possiamo gestire la comunicazione inducendo i turisti a muoversi in un certo modo. Siamo sulle Dolomiti e siamo dei privilegiati nel poter attirare l'ospite che desideriamo. È un lusso incredibile, e dovremmo essere consapevoli di questo!».
Cosa si aspetta di vedere da qui a dieci anni?
«Sono moderatamente ottimista per i prossimi dieci anni, ma se guardo oltre divento pessimista».
Spieghi.
«Nei prossimi dieci anni riusciremo a cambiare qualcosa grazie alla crescita di consapevolezza, ma poi sarà troppo faticoso, e penso alla questione ambientale, e faremo di nuovo passi indietro. Passati dieci anni finiremo nelle mani dei fondi, come del resto sta già avvenendo in località ad alta densità turistica come Davos, Courchevel, Chamonix e Cervinia. Esempio, lo storico hotel Rosa Alpina a San Cassiano acquisito da un imprenditore russo (la famiglia Pizzini che mantiene la guida della struttura, ha ceduto il 49% dell'attività all'imprenditore Vladislav Doronin, presidente e amministratore delegato di Aman, brand di ospitalità e lifestyle di ultralusso, ndr); per un po' riusciremo a portare avanti la nostra concezione di ospitalità e contrastare la nuova tendenza globale, ma poi tra dieci anni sarà finita. Certo non moriremo mica di fame, faremo tanti soldi a vendere gli alberghi, ma perderemo il nostro senso di appartenenza, e questo mi addolora».
Tutto il mondo sta andando in quella direzione, anche le città d'arte con centri storici sempre più simili a centri commerciali senza tetto.
«Esatto, mangiatoie per selfie. La politica dovrebbe intervenire per fare in modo che una grande marca non soppianti i negozi degli artigiani locali. A Barcellona lo hanno fatto in contrasto al dilagare di Airbnb. Il mondo dell'ospitalità ha bisogno di attirare giovani: è un lavoro bellissimo, rendiamolo di nuovo “sexy” e non “pornografico” attraverso il commercio di corpi che non hanno nulla da darci. Ma per riuscirci servono, qualità, attenzione e regole precise che ci liberino
dalle multinazionali, dall'inquinamento luminoso e acustico. Ripeto, siamo dei privilegiati a stare sulle Dolomiti: possiamo farcela!». Lüm.
COLLEGAMENTOCORTINA–CIVETTA–ARABBA:GLIAGGIORNAMENTI
CorrieredelleAlpi|3agosto2025
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Zaia:«LamontagnahabisognodinuoviimpiantipercollegareCortina,CivettaeArabba»
PAOLO CAGNAN
paolo cagnan Overtourism, ancora e ancora. Come si fa a non parlarne in Veneto, prima regione turistica d'Italia? Qui abbiamo anche le tre facce della medaglia, se l'espressione non fosse arbitraria: mari, monti e città d'arte. Più Venezia, e i laghi. Nelle scorse ore, una comunicazione del premio letterario "Pelmo d'Oro" diceva questo: che la montagna è lentezza, fatica, umiltà. Ultimamente, a dire il vero, sembra più il contrario: velocità, sforzo zero, arroganza… Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, mette un sostanzioso paletto davanti alla nostra discussione: «I turisti, in Veneto, non sono un problema ma una risorsa. Sono graditi. Gra-di-ti. Con i suoi 18 miliardi di euro all'anno, il turismo è la prima industria di questa terra». Sembra quasi la guerra dei due mondi. Ricchi e poveri, tradizionalisti e modernisti, caciaroni versus rispettosi. Presidente… «Il buonsenso deve guidare chi governa il territorio. Non può essere tutto amarcord da un lato, tutto lusso e comodità dall'altra. Serve un equilibrio che va ricercato, è indubbio. La promiscuità di questi due mondi è nelle cose. Noi non possiamo, né dobbiamo, scegliere tra un turismo marcatamente elitario e quello, diciamo, saccopelista. La stratificazione sociale c'è sempre stata, a partire da Cortina stessa che aveva gli hotel per i ricchi e le case in affitto per gli altri. In Veneto, tre posti letto su quattro sono extralberghieri. E però, ce la prendiamo con Airbnb che porta troppa gente nelle nostre città. Qui, più che un approccio ideologico, serve una valutazione direi quasi industriale del processo, ovvero della sostenibilità dei flussi». Certo, che quella valutazione ci serve. Ma non ce l'abbiamo? «Il presente di oggi è stato l'innovazione di ieri. C'è stata un'epoca in cui nemmeno esistevano, gli impianti di risalita. E comunque non erano così diffusi. Oggi abbiamo la tecnologia che svolge molti compiti, rende gli impianti più sicuri, aumenta il comfort…» Aumenta la portata… Ha visto le code per il Seceda in Val Gardena. Lì non c'è solo il fatto che vanno tutti lì per farsi un selfie iconico. C'è un impianto di risalita che non regge quell'impatto, e non a caso qualcuno ha detto: bisogna farne uno nuovo e triplicare la portata. È questa la soluzione, vomitare più turisti ancora da valle a monte? Bisogna partire dalla tutela e dal rispetto, dice il governatore. E se la soluzione fosse salassare le brigate meccanizzate dei turisti? Come sulle Tre Cime, come a Braies in Alto Adige. «Le Tre Cime hanno una loro peculiarità, non è che un modello che funziona lo esporti ovunque, un po' a casaccio. Ma certo puoi immaginarti percorsi simili, altrove. A fronte di una antropizzazione eccessiva, bisogna anche pensare ad alternative. Ero stato io a firmare con il ministero delle Infrastrutture l'intesa sul treno delle Dolomiti, sembrava utopia. Epperò, se l'avessimo fatto, avremmo evitato la rottura di carico a Calalzo, con un progetto iconico». Ma non è andata così. Questione di vista lunga, parrebbe: «Ma scusi, secondo lei quelli che nel lontanissimo 1949 hanno fatto l'autostrada A4 si erano basati sul numero di patenti o motorizzazioni dell'epoca o avevano avuto la vista lunga? » Un documento della Fondazione Dolomiti Unesco dice alcune cose.
Bisogna destagionalizzare. Bisogna portare turisti verso più destinazioni, spezzando la catena del must visit che poi è un must selfie. E bisognerebbe anche gestire meglio gli influencer, magari indirizzandoli verso le hidden gems, le gemme nascoste dei nostri territori. O no? «Lo diciamo da decenni che bisogna destagionalizzare, è quasi una ovvietà. Stiamo aumentando i finanziamenti in questo senso. Sa quante aree abbiamo, che vedono turisti per cinque o sei mesi e poi basta? Le stesse Colline del Prosecco, i Colli Euganei, i circuiti termali, il Delta del Po. Ma stiamo migliorando, anche con finanziamenti pubblici accostati ai privati». Il tema si sposta inevitabilmente su quale turismo vogliamo, e il dubbio è se si possa tenere insieme un po'tutto. Zaia è un cultore della tradizione ma non sembra ammaliato dalle sirene del ritorno all'antico, di un certo neo ascetismo. «La montagna deve avere i servizi, ma vive di turismo. Questa è la sua prima opportunità. C'è chi vuole un ritorno al passato, per certi versi lo capisco, ma guardiamo in faccia alla realtà, con quel tipo di turismo non ci si mantiene, c'è poco da fare. Quanto a influencer, social e compagnia cantante: ben venga chi ha la bacchetta magica, ma non si può svuotare il mare col cucchiaino. Quel mondo là esiste. Certe realtà vanno salvaguardate, penso al Sorapiss. Ma non puoi occultarle, anche chi non può andarci ha diritto a goderne della bellezza attraverso i social. Regolamentare ha più senso che proibire». Arrivare in macchina fin sotto il rifugio, mangiare stellato, dormire in una bussola in vetroacciaio. Sono questi i rifugi che ci piacciono? O bisogna tornare ai tavolacci, poveri (di comfort) ma felici? «Intanto, diciamo che non c'è alcuna giungla architettonica, tutti i progetti sono soggetti a vincoli paesaggistici e ambientali e la sovrintendenza sta facendo un ottimo lavoro. Detto questo, è il mercato a regolare la ristorazione. A me personalmente piace la cucina tipica ma rispetto gli chef creativi. E comunque, mi si deve spiegare perché a Venezia posso avere le sarde in saor e uno stellato, e in montagna non posso avere la polenta e uno stellato? » La montagna è di chi la vive, di chi la abita. Su questo dovremmo esserci. La piaga dello spopolamento, anche se Uncem individua una controtendenza. E lo smantellamento dei servizi, quello sì che pesa sui territori. «Non ci sono più gli alpeggi, il bosco si mangia i prati, altro che deforestazione per mano dell'uomo. Ma lo sa che ogni anno abbiamo centomila ettari in più di bosco? Di cosa parliamo? Eppure, tutti disquisiscono sul disboscamento. La montagna non si mantiene con filosofia, ma con azioni pratiche. Le Olimpiadi, cui ho creduto inizialmente da solo, porteranno un nuovo rinascimento a Cortina e creeranno interesse per tutto il territorio. E accanto a uno stellato ci sono sempre state anche le osterie. Quanto alle gemme segrete, a me viene in mente la Val Zoldana, che è bellissima. Ecco. Ci serve il collegamento di Cortina al Civetta, e anche quello ad Arabba». I famigerati nuovi impianti di collegamento. Questo sì che è un tema. Altro consumo di suolo, sarà il prevedibilissimo grido d'allarme. «Ho sentito anche dire che le ultime frane e colate nell'Ampezzano sono state causate da quello, dal consumo di suolo, ma chi lo dice non collega il cervello alla bocca. La natura fa il suo corso, là ci sono franamenti millenari, e tutti quei ghiaioni non li hanno mica portati i cavatori… Le nostre montagne sono scolpite dal dissesto idrogeologico, e da un certo punto di vista è anche la loro potenza. Se non ci fosse stata la statale 51, quegli stessi ghiaioni sarebbero finiti giù sul Boite e si sarebbe certo creato un nuovo lago, per dire».
CABINOVIAAPOLLONIO–SOCREPES:GLIAGGIORNAMENTI
CorrieredelVeneto|17agosto2025
p. 11, edizione Treviso - Belluno
CabinoviadiApollonio-Socrepes,c’èunnuovoricorsoalTardeiresidenti
Ugo Cennamo
CORTINA
Era un passo annunciato: gli avvocati Primo e Andrea Michielan, in rappresentanza di una ventina di famiglie proprietarie di immobili e/o di terreni a Cortina in località Mortisa e Lacedel, hanno presentato al Tar del Lazio un nuovo ricorso per arrivare a ottenere la sospensiva dei lavori appena iniziati della cabinovia Apollonio-Socrepes. Le ragioni di questo nuovo passaggio hanno origine dal pronunciamento del Tar del luglio scorso nel quale si rimandava qualsiasi decisione al prossimo 29 ottobre, una data che resta confermata. In quell’occasione il tribunale stabiliva che non poteva essere accolta l’istanza di sospensiva dei lavori per la cabinovia dal momento in cui la gara per l’assegnazione dei lavori è andata deserta e non era stata ancora incaricata alcuna impresa di eseguire i lavori. Cosa che invece è poi avvenuta, dal momento in cui il commissario straordinario Fabio Saldini, ad di Simico, ha affidato l’esecuzione dell’infrastruttura a un’associazione temporanea di imprese costituita da Graffer, Dolomiti Strade ed Ecoedile. Se venisse accolta la richiesta di sospendere i lavori, la decisione potrebbe arrivare il prossimo 27 agosto nel corso di un’annunciata udienza cautelare, si rischierebbe di compromettere in modo rilevante la realizzazione dell’impianto: già ora, senza intoppi e in attesa della decisione della fine di ottobre, i lavori si concluderebbero sul filo di lana, pochi giorni prima dell’inizio delle Olimpiadi. «La nostra azione - dichiarano i ricorrenti - non è un no ideologico, ma un sì alla legalità, alla sicurezza e alla tutela di Cortina e di chi ci abita». Quanto contestano è noto e tra le varie ragioni sostenute quelle che potrebbero, ad avviso dei ricorrenti, portare a una sospensiva. Si contesta «la mancanza del progetto esecutivo, l’inosservanza delle prescrizioni del decreto Via, Valutazione di impatto ambientale, l’assenza di opere preventive di messa in sicurezza in un’area con accertata pericolosità idrogeologica e criticità geomorfologiche, nonché l’inversione delle fasi procedimentali, con l’occupazione disposta prima delle verifiche dovute». Ad accompagnare queste contestazioni, i ricorrenti allegano, le relazioni tecniche di Eros Aiello del Centro di Geotecnologie dell’università di Siena che documenterebbero «in modo inequivocabile - si legge nell’istanza presentata dagli avvocati Michielan - la fragilità geotecnica dell’area e l’inadeguatezza delle misure progettate per garantire la stabilità dei versanti e la sicurezza idrogeologica». I ricorrenti ricordano inoltre che «la cabinovia a 10 posti Col Drusciè, ricostruita nel 2019, già fornisce un collegamento dal centro di Cortina a tutti gli impianti di Ra Valles, Socrepes, Pocol, Tofana».
IlGazzettino|20agosto2025
p. 37, edizione Belluno
Nuovacabinovia,bruciateletappe:inpocheoregiàposatiipiloni
MARCO DIBONA
CORTINA
In tre sole ore di lavoro, dalle 8 alle 11, ieri sono stati issati i piloni della nuova cabinovia di Socrepes, a Cortina d'Ampezzo. Il nuovo impianto sostituirà le due seggiovie Roncato e Ra Freza, della società di Ista, che sono state demolite e rimosse in precedenza. Ieri mattina sono stati numerosi i curiosi che hanno seguito le spettacolari fasi di montaggio dei sostegni delle funi,
con l'impiego di un potente elicottero Superpuma della Air Austria. Richiamati dal forte rumore delle pale, cittadini e ospiti si sono posizionati sui prati, per osservare, fotografare e riprendere le operazioni di montaggio. In numerose rotazioni, il velivolo ha recuperato i pezzi dei piloni, i vari componenti dei sostegni, che erano stati allineati ordinatamente, i mesi scorsi, nel piazzale di Ronzuos. IN AZIONE La rapidità dell'azione è stata garantita dalla professionalità delle maestranze di Funimont, l'azienda di Alleghe, specializzata nelle lavorazioni di impianti a fune. Gli uomini erano divisi in più squadre, in modo da alternare il trasporto dei pezzi verso diverse posizioni, per ottimizzare i tempi di volo dell'elicottero. A terra erano stati gettati i plinti di calcestruzzo, le settimane passate, con infissi i bulloni, sui quali è stato celermente posato e fissato il fusto del pilone, diviso in più pezzi. In alto sono state infine posizionate le teste dei piloni, quindi le rulliere, le ruote sulle quali scorrerà la fune dell'impianto, una volta completato. La cabinovia avrà in linea 53 cabine; ogni vettura sarà in grado di trasportare dieci persone, con una portata sino a tremila persone all'ora, come ha specificato la stessa società Ista, sulle sue pagine social, illustrando il lavoro eseguito ieri mattina. Il dislivello di 224 metri, dal piazzale di Lacedel sino a Socrepes, sarà superato in meno di 4 minuti. Una delle cabine è già stata portata a Lacedel, alla partenza della cabinovia, in modo che tutti possano già vederla e commentarla. Posizionati i piloni, ora si tratta di completare le due stazioni della cabinovia. A VALLE Quella a valle è già in fase avanzata di costruzione; c'è la grande copertura del tetto, sotto la quale dovranno essere posizionate le componenti tecnologiche. Nel sottosuolo ci sarà il deposito delle cabine, quando saranno tolte dalla fune. La stazione a monte sorge in prossimità della vecchia fine della seggiovia Ra Freza, per garantire rapidi collegamenti sugli sci, verso la skiarea della Tofana e verso Pocol, le Cinque Torri e l'Averau, il passo Falzarego e il Lagazuoi. Seguirà la posa e la tensione della fune, per finire con l'agganciamento delle cabine. L'impianto dovrà entrare in funzione nel prossimo autunno, in tempo per l'avvio della stagione sciistica invernale. LA FUNZIONE La cabinovia sarà utilizzata anche per il trasporto in quota degli spettatori delle gare di sci alpino femminile delle Olimpiadi invernali 2026, nel prossimo mese di febbraio, e delle gare di sci alpino, maschile e femminile, e di snowboard, per le Paralimpiadi del successivo mese di marzo. La società Ista sta affrontando questo impegno, mentre sta pure lavorando alla manutenzione di altri suoi impianti: la seggiovia triposto dal rifugio Duca d'Aosta a Pomedes e la Tofana Express, unica seggiovia a sei ponti di Cortina, da Socrepes verso il comprensorio sciistico della Tofana. Si sta inoltre lavorando, con consistenti investimenti, anche per l'innevamento programmato, sempre più indispensabile. L'auspicio di Alberto Dimai, presidente Ista, è che la nuova cabinovia di Roncato possa essere completata per la metà del mese di novembre. I REQUISITI Le spaziose cabine garantiranno la sicurezza dei bambini trasportati, senza più l'apprensione di farli salire su una seggiovia. La linea dei piloni dell'impianto è stata leggermente spostata, così che interferisce meno con la pista di discesa. La nuova cabinovia da Lacedel a Socrepes servirà principalmente durante l'inverno, in uno dei comprensori sciistici più frequentati della conca d'Ampezzo, ma anche d'estate, per portare in quota le mountain bike, che scendono lungo i numerosi itinerari dedicati, disegnati in questi ultimi anni a fianco delle piste da sci invernali. Marco Dibona © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelleAlpi|29agosto2025
p. 26
CabinoviaSocrepes:èvialiberaRespintelerichiestedisospensiva
Alessandro Michielli / cortina
Il Tar del Lazio respinge le richieste di sospensione cautelare presentate dai residenti di Cortina (famiglia Curtolo e abitanti di Lacedel-Mortisa) per fermare la costruzione della cabinovia Apollonio-Socrepes. Il tribunale ha inoltre confermato la fissazione dell'udienza pubblica il 29 ottobre 2025 per la discussione del ricorso nel merito. L'udienza cautelare Nell'udienza cautelare di mercoledì, il Tar aveva preso tempo sulla richiesta di sospendere l'iter in attesa dell'udienza di merito promossa da alcuni residenti di Cortina contro la cabinovia. Gli avvocati dei residenti di Lacedel/Mortisa (studio legale Michielan) avevano discusso ampiamente la questione focalizzandosi sul "periculum in mora", ovvero il pericolo di un danno grave e irreparabile che si concretizzerebbe se il ricorrente dovesse attendere la sentenza definitiva del Tar. Il giudice aveva quindi deciso di "trattenere in decisione", rinviando la decisione finale per studiare meglio il fascicolo e deliberare in un secondo momento. E in meno di 24 ore ecco l'esito: entrambe le domande dei ricorrenti sono state rigettate. Parlano gli avvocati dei residenti Sull'ordinanza pronunciata dal Tar del Lazio intervengono gli avvocati amministrativisti Primo e Andrea Michielan del foro di Treviso: «Pur respingendo la domanda cautelare di sospensione», affermano i legali dello studio Michielan, «il Collegio ha osservato che le attività in corso non attengono ancora alla fase artistica ed esecutiva dell'opera funiviaria e devono pertanto considerarsi di natura meramente preparatoria e reversibile, non determinando pregiudizi e pericoli di irreversibilità». «Sul punto», proseguono gli avvocati dello studio Michielan, «l'ordinanza ha sottolineato che l'aggiudicazione dei lavori, disposta in data 15 luglio 2025, sembra congruamente giustificare l'urgente messa a disposizione dell'area di intervento per le attività di progettazione, evidenziando come il progetto esecutivo non risulti ancora approvato». «Il Tar del Lazio», dicono, «ha richiamato espressamente, "gli ulteriori rilievi (riferiti alle verifiche riguardanti i profili di sicurezza geologica), mancata rinnovazione della procedura di valutazione ambientale e paesaggistica, nonché coincidenza nello stesso soggetto tra il ruolo di Commissario straordinario per le opere olimpiche e di amministratore della società di gestione della commessa)", ritenendoli "connotati da una complessità incompatibile con la delibazione cautelare" e stabilendo che essi, "vadano deferiti alla cognizione propria della fase di merito, oggetto dell'imminente udienza pubblica già fissata per il 29 ottobre 2025"». i punti critici «Il Tar», proseguono i legali, «pur consentendo dunque la prosecuzione delle attività preliminari, ha individuato precisi punti critici che dovranno essere oggetto di approfondita discussione in sede di merito di estrema rilevanza e delicatezza che investono la legittimità e la trasparenza dell'intera operazione, confermando l'importanza delle questioni sollevate e la loro centralità nel procedimento di appalto relativo all'impianto olimpico rinviandone l'esame a un giudizio di merito che si annuncia dirimente». «Questa decisione», dicono gli avvocati, «lascia proseguire i lavori preparatori, ma apre la strada a un approfondimento necessario sui temi della legalità, della sicurezza e della separazione delle funzioni, riconoscendo la centralità delle censure formulate dai ricorrenti e ponendo al centro del dibattito giudiziario le condizioni stesse di legittimità del procedimento di appalto dell'intero impianto funiviario». Cosa succede ora Ora Simico e il gruppo di imprese formato da Graffer, Ecoedile e Dolomiti Strade – che dovrà realizzare l'impianto a fune ampezzano – dovranno correre, e molto, per consegnare l'impianto entro il 25 dicembre 2025. Una data fissata dagli addetti ai lavori e confermata dal commissario di governo Fabio Massimo Saldini, per poter svolgere nel mese successivo tutti i collaudi ed arrivare così pronti ai Giochi. Il problema fideiussioni Fino pochi giorni fa le ditte coinvolte nella costruzione avevano dovuto affrontare il tema della fideiussioni: mancavano infatti alcune garanzie finanziarie che di norma vengono richieste durante l'esecuzione di un contratto d'appalto per tutelare il committente. Di conseguenza, il commissario Saldini non aveva potuto
versare gli anticipi alle ditte. Senza liquidità, alcuni fornitori (privi di garanzie) non avevano voluto mandare in produzione le parti del nuovo impianto. Mancava anche il progetto esecutivo della cabinovia (che avrà una variante di progetto), ma ora Simico e le ditte potranno cercare di bruciare i tempi e realizzare l'opera. © RIPRODUZIONE RISERVATA Un rendering della stazione di valle che prenderà il posto della casa della famiglia Curtolo.
CAMPEGGIARENELLEDOLOMITI
CorrieredelleAlpi|4agosto2025
p. 14
EmergenzacampeggiatoriabusiviIsindaci:«Sporcano,vannomultati»
Francesco Dal Mas / Belluno
Campeggiatori abusivi e poco rispettosi dell'ambiente: è il nuovo fenomeno che si sta registrando nel Bellunese. Oltre agli escursionisti che non si fermano nemmeno davanti alle ferrate vietate e si fanno male, con il risultato che il Cai ha dovuto bloccare i tre accessi della ferrata Berti. Ma torniamo ai campeggiatori "barbari": al parcheggio di via dello Stadio a Cortina, ad esempio, in più occasioni sono stati segnalati campeggiatori abusivi che usavano il prato come il bagno di casa, oltre a stendere i panni in mezzo alla strada. E situazioni analoghe sono state rilevate all'area di sosta di Acquabona. «vanno multati» A denunciare quello che sembra palesarsi come un trend ormai diffuso, è stata per prima Valentina Colleselli, direttrice della Fondazione Dmo Dolomiti bellunesi, sollecitando una regolamentazione. E quest'urgenza è stata rilanciata nei giorni scorsi in Provincia a Bolzano, dal presidente del Consorzio dei Comuni dell'Alto Adige Andreas Schatzer, che ha chiesto alle autorità di far rispettare le ordinanze comunali che pur ci sono: «Le ordinanze prevedono il divieto di parcheggio e l'allontanamento del mezzo, con sanzioni fino a 500 euro. Anche in questo caso è difficile garantire controlli continuativi, a fronte di situazioni che provocano inquinamento causate dai rifiuti abbandonati. I campeggi abusivi sono un problema per i nostri Comuni», ha detto Schatzer. A Cortina il regolamento di polizia urbana del Comune istituisce chiaramente il "divieto di campeggio libero in tutto il territorio comunale, compresa la sede stradale, le piazze, i parcheggi ed altre aree di uso pubblico: è vietata l'effettuazione di qualsiasi specie di campeggio e/o l'impianto di tenda, fuori dalle aree appositamente attrezzate». Eppure tanti campeggiatori, evidentemente, se ne fregano altamente. gli albergatori «Ma il problema» dice Osvaldo Finazzer, due alberghi al Pordoi e coordinatore del Comitato degli operatori turistici dei Passi dolomitici, riguarda anche i luoghi più iconici delle Dolomiti, i valichi in prima istanza i Passi: «Qui sul Pordoi abbiamo decine di turisti, giovani ma non solo, con van e furgoni che parcheggiano in ogni luogo libero, meglio se panoramico, e magari si fermano più giorni. Vediamo le auto con tetti sollevati, tende, magari anche lo stendino dei panni all'esterno, tutto l'armamentario per il pic nic. E dove fanno i loro bisogni? Nel prato più vicino». Quest'improvvisazione non data certo da oggi, ma quest'estate è senz'altro più diffusa. «Costoro non recano alcun beneficio all'economia locale, perché si portano tutto da casa. Anzi, creano una diseconomia» rileva Finazzer «perché spesso abbandonano l'immondizia da raccogliere». passi assediati Il Passo Giau è il più preso di mira dai camperisti improvvisati. "Il parcheggio di fronte al ristorante è vietato al campeggiatore di notte. Possiamo mettere 2 furgoni quasi piatti" leggiamo in una pubblicità: «Inviare i nostri vigili a
controllare? Come possiamo permettercelo» dice il sindaco di San Vito di Cadore, Franco De Bon «con tutti i problemi che abbiamo in paese...». i sindaci Sì, perché la strada più panoramica del passo è in territorio sanvitese. «E in ogni caso dobbiamo prestare attenzione a non dare messaggi di inospitalità», dice De Bon. La strada, dal versante opposto, è in territorio di Colle Santa Lucia. «È nostra intenzione istituire un'area a parcheggio puntualmente organizzata, ma» precisa il sindaco Paolo Frena «dobbiamo fare i conti con Veneto Strade». Valerio Davare, sindaco di Rocca Pietore, si dice soddisfatto del modello virtuoso di Sottoguda, dove il Comune ha istituito la Ztl: «Abbiamo destinato al parcheggio tre aree e constatiamo che vengono utilizzate appropriatamente». Ma torniamo sui passi. L'albergatore Finazzer è del parere che basterebbe poco per evitare lo scempio: «Le aree di sosta lungo le strade dei valichi sono necessarie, in taluni casi, ai fini della sicurezza, ma si vedono van e auto ferme a bordo strada, approfittando di qualche rientranza. In questo caso sarebbe sufficiente allineare dei sassi a terra per impedire l'accesso. In altri casi sarebbero consigliabili delle staccionate in legno: nelle giornate di bel sole riscontriamo file di auto parcheggiate lungo la strada che dal Pordoi scende ad Arabba e tali da rendere difficile il transito». Al Pordoi come al Sella non mancano i parcheggi a pagamento. «Mentre però al Sella chi non trova posto deve andarsene, perché la strada del valico è tutta staccionata, al Pordoi» lamenta Finazzer «si moltiplica la sosta selvaggia». E dall'altra parte della provincia, a Misurina e alle Tre Cime? «Il sistema della prenotazione per la sosta al parcheggio nei pressi del rifugio Auronzo ha portato un po' d'ordine dappertutto. Non solo a Misurina, anche ad Auronzo» dice l'assessore al turismo Roberto Pais Bianco, «Non si vedono quasi più, come succedeva fino all'estate scorsa, i campeggiatori abusivi. Le aree di sosta a Misurina sono a pagamento e qui in paese i vigili urbani hanno l'opportunità di più stretti controlli». A giugno ci sono state 12 mila registrazioni alla app con 4.866 prenotazioni, mentre per luglio ed agosto gli accrediti sono stati 61.500 e la disponibilità è quasi tutta esaurita. Anche al Tre Croci, per l'accesso al lago turchino del Sorapiss, c'è meno disordine. Grazie ai parcheggi prima del valico.
Corrieredell’AltoAdige|23agosto2025
p. 5
Isindacidellevallatecontroicamperisti«Ituristilascianorifiutilungolestrade»
Silvia M. C. Senette
BOLZANO
L’estate sulle Dolomiti non è mai stata così densa di turisti e di episodi di inciviltà. Dagli stretti tornanti del Pordoi ai pascoli della Pusteria, i sindaci sono unanimi: la presenza massiccia di camperisti maleducati sta trasformando i paesaggi più belli in discariche a cielo aperto. Lamentele che non lasciano spazio a interpretazioni, dipingendo un quadro di degrado preoccupante. «È una problematica conosciuta e sempre più sentita» esordisce Roman Crazzolara, sindaco di Corvara, descrivendo una situazione che si ripete «sia sul passo Gardena, lato Badia, sia a Campolongo». Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: «Immondizie abbandonate ovunque e in tanti casi escrementi, situazioni igieniche non adeguate a un luogo pubblico». La mancanza di rispetto intacca il decoro, come dimostrano «casi di persone che facevano il bagno nude nel torrente. Una scena non adatta per famiglie o per chi frequenta la montagna in modo sano e rispettoso». La stessa urgenza è percepita a Sesto Pusteria, dove il sindaco Thomas Summerer definisce il problema come «grave da parecchi anni». La descrizione
è vivida e senza filtri: «Abbiamo serbatoi di escrementi svuotati ovunque, è un fatto. I camperisti parcheggiano praticamente in ogni spazio libero, comprese le vicinanze dei fiumi, ignorando i campeggi e preferendo sostare in modo selvaggio per stare nella natura». Anche Tobia Moroder, primo cittadino di Ortisei, ammette che la situazione è critica: «Bisogna fare una distinzione tra i camperisti a modo e quelli che invece non hanno a bordo tutto ciò che serve e lasciano quello che lasciano». Il problema, secondo Moroder, «non è tanto una percentuale elevata di incivili, ma la quantità di mezzi: sono diventati veramente tanti». La conseguenza è inevitabile: «Producono immondizia e da qualche parte dovranno pur lasciarla, così come gli escrementi; dove si fermano fanno i loro bisogni». Di fronte a un fenomeno «che si è acutizzato dopo il covid», le amministrazioni stanno cercando soluzioni a un problema complesso.
Crazzolara valuta la possibilità di «individuare e attrezzare un’area per camperisti dove scaricare e caricare acqua, restare una notte pagando qualcosa e proseguire il viaggio». Ma la Val Gardena, sottolinea Moroder, ha un problema «a prescindere»: «È troppo stretta, non c’è lo spazio materiale per allestire spazi per accoglierli». Voce fuori dal coro, Gustav Erich Tappeiner, sindaco di Castelbello, che dice di non riscontrare disagi legati ai camper nel suo comune: una nota isolata in un coro di preoccupazione che si estende su tutto l’arco dolomitico e la cui sfida è ora trovare un equilibrio per accogliere un turismo che si evolve, senza sacrificare l’integrità di un territorio fragile.
AltoAdige|23agosto2025 p. 33
Campeggioselvaggio,un’estateoltreilimitiinvalGardena
MASSIMILIANO BONA
SANTA CRISTINA
Christian Stuffer, noto albergatore della zona di Monte Pana, ha deciso di intervenire - dopo le recenti proteste dell’associazione camperisti sul tema del parcheggio selvaggio di molti Van in Gardena, ma non solo. Una questione analoga si è posta in questi giorni anche a Riscone, in val Pusteria. E le foto inviate a supporto, mai come in questo caso, valgono più di mille parole. Gli indisciplinati, soprattutto durante l’alta stagione, sono tanti. C’è chi mangia, chi dorme e persino chi si lava negli spazi riservati alla sosta. «Sono un operatore turistico che vive a ridosso di un parcheggio pubblico. Ogni giorno - spiega Stuffer - mi trovo ad assistere a scene indecorose da parte di camperisti e, soprattutto, di conducenti di van: il parcheggio viene trasformato in campeggio, con biancheria stesa, sedie e tavoli sul suolo pubblico, fornelli accesi per cucinare. I bidoni pubblici della spazzatura sono gia pieni al mattino, i prati circostanti vengono utilizzati come servizi igienici e il divieto di sosta notturna (in una zona di tutela del paesaggio dell’Alpe di Siusi) viene sistematicamente ignorato». Secondo Stuffer la situazione sta peggiorando. «Mentre da un lato politica e operatori turistici cercano di introdurre limiti e regole per uno sviluppo sostenibile del turismo, dall’altro nascono ogni anno nuove società di noleggio camper e van che aumentano in modo esponenziale le loro flotte, aggravando ulteriormente i problemi di traffico sui Passi dolomitici e nelle valli turistiche. Ho persino visto pubblicità di queste compagnie con van parcheggiati in aree protette e vietate al traffico: trasmettono un messaggio fuorviante che alimenta false aspettative nei clienti. Non entro nel merito del caso del camperista che ha scritto la lettera all’Alto Adige, perché nessuno sarebbe intervenuto contro di lui se si fosse limitato a sostare in modo regolare. Ritengo però che l’associazione dei
camperisti, rappresentata da Enzo Coco, non debba schierarsi contro i Comuni, i ranger o i residenti che chiedono solo il rispetto delle regole. Dovrebbe piuttosto prendere posizione contro quella parte inesperta di turisti che crede di poter fare ciò che vuole, gettando un’ombra negativa sugli stessi camperisti responsabili, che invece viaggiano nel pieno rispetto delle norme».
ILFENOMENODELL’OVERTOURISMSECONDOILCOMITATODEIPASSIENONSOLO
AltoAdige|5agosto2025
p. 17
Comitatodeipassi:rinunciarealmarchioUnesco
BOLZANO
Rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco come cura contro l’overtourism. La proposta provocatoria arriva dal Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici. «Lago di Braies, l’essere scenario per le riprese della fiction “Un passo dal cielo”, ha amplificato la notorietà del luogo e i social hanno fatto il resto, creando un circuito vizioso: la serie televisiva rende famoso un luogo accessibile, i social amplificano, l’eccesso di turismo aumenta la popolarità che ne aumenta “l’overtourism” e alla fine si chiudono gli accessi dando la colpa all’overtourism», prende posizione Osvaldo Finazzer a nome del comitato. Quindi l’interrogativo di fondo: «La responsabilità è davvero dell’overturism, o è di chi ha fatto la scelta di sostenere l’ambientazione di Braies per la fiction televisiva? È vero, sono fenomeni complessi, nessuno immaginava questo risultato, ma c’è una causa ed un effetto evidente e nessuna assunzione di responsabilità». Quindi il caso Unesco: «Dolomiti Unesco è un caso simile. Si crea una notorietà mondiale su un’area geografica facilmente accessibile. Una notorietà superficiale, di facciata, legata solo all’immagine da cartolina e come tale da catturare con il telefonino e condividere sui social. La causa dell’overtourism nelle Dolomiti siamo sicuri che non sia legata alla scelta di farne un sito Unesco?». E allora perché non pensare a una scelta radicale, chiede Finazzer: «Vogliamo vendere l’immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l’identità e la cultura dei luoghi? Le due cose: immagine da cartoline e turismo di qualità non possono convivere, vedi Braies, Dolomiti, Costiera Amalfitana o Cinque Terre. Forse è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco, che ha fatto un danno incredibile nelle Dolomiti, e non solo qui, e tornare al duro lavoro di produrre, offrire e promuovere servizi di qualità come siamo abituati a fare e non cartoline».
CorrieredelleAlpi|6agosto2025
p. 2
L'affondodeglialbergatori«DolomitisitoUnesco?Ècausadell'overtourism»
Francesco Dal Mas / BELLUNO
«La causa dell'overtourism nelle Dolomiti siamo sicuri che non sia legata alla scelta di farne un sito Unesco? Noi ne siamo convinti. Tanto che, per noi, è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco, che ha fatto un danno incredibile nelle Dolomiti, e non solo qui». Parole come pietre, contenute nella lettera degli albergatori del Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici, a firma Osvaldo Finazzer. Per loro, la "vetrina" Unesco ha fatto solo danni. Ha portato sulle Dolomiti, come altrove, il caos. I 78 fra albergatori e ristoratori dei passi Dolomitici che fanno capo a Osvaldo Finazzer del Pordoi e a Stefano Illing del Falzarego, definiscono un boomerang il riconoscimento Unesco delle Dolomiti come Patrimonio dell'Umanità, avvenuto nel 2009 ad Auronzo, ma che soprattutto negli ultimi due anni avrebbe creato solo problemi, alimentando il fenomeno overtourism: «Si è creata una notorietà mondiale su un'area geografica facilmente accessibile», dicono nella lettera, «Una notorietà superficiale, di facciata, legata solo all'immagine da cartolina e come tale da catturare con il telefonino e condividere sui social». E lo ammettono anche i gestori dei rifugi alpini, specie quelli delle Alte Vie 1 e 2.: «Le prenotazioni che arrivano da un anno all'altro» dice Mario Fiorentini del Città di Fiume, sotto il Pelmo, «fanno riferimento all'Unesco e ai social che promuovono questo sito». Finazzer, nella lettera, continua così: «I social amplificano il messaggio, l'eccesso di turismo aumenta la popolarità, che aumenta l'overtourism, e alla fine si chiudono gli accessi dando la colpa all'overtourism. Pare una politica di promozione del territorio miope e poco lungimirante e poi ci si lamenta che, invece di avere un turismo qualificato, rispettoso, attratto dalla cultura delle valli, dai servizi offerti, siamo invasi da un flusso turistico non strutturato, con presenze brevi non programmate e occasionali, orientato più alla condivisione immediata dell'immagine che alla scoperta autentica del patrimonio territoriale». La responsabilità, secondo gli operatori turistici, è anche della stessa Fondazione Dolomiti Unesco, che non avrebbe impedito gli «eccessi di promozione». Un esempio? «Il Lago di Braies: l'essere scenario per le riprese di "Un passo dal cielo" ha amplificato la notorietà del luogo e i social hanno fatto il resto», scrive Finazzer, «creando un circuito vizioso: la serie televisiva rende famoso un luogo accessibile, i social amplificano». L'affondo: «Dolomiti, Costiera Amalfitana o le Cinque Terre, tutti casi similari: territori venduti solo come immagine da cartolina condannati a una notorietà mondiale e ora vittime e prigionieri addirittura con le Ztl, come si sta ipotizzando per le Dolomiti: forse è il caso di fare una riflessione: vogliamo vendere l'immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l'identità e la cultura dei luoghi?» insiste Finazzer, con la stoccata finale: «Le due cose, immagine da cartoline e turismo di qualità, non possono convivere. Vedi Braies, Dolomiti, Costiera Amalfitana o Cinque Terre. Forse è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco, che ha fatto un danno incredibile nelle Dolomiti». Reazioni? Immediata quella di Luca Zaia, presidente della Regione: «Dal prossimo 6 febbraio diranno che sarà colpa delle Olimpiadi. E poi aggiungeranno che anche Cortina ha una colpa ad esistere perché è figlia delle Olimpiadi del 1956. Ma di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una montagna che si spopola e ha bisogno di alternative per i giovani. Stiamo portando iniziative, dopodiché il turismo va regolamentato». E quella della Fondazione Dolomiti Unesco: «Va precisato» dice Roberto Padrin, vicepresidente della Fondazione, «che il riconoscimento di patrimonio dell'Umanità vuol dire anzitutto tutela non solo ambientale, ma anche sociale e culturale delle Dolomiti. Tutela che di fatto significa valorizzazione. Dunque: possiamo impedire a qualcuno nel mondo che possa essere nostro ospite per godere di questa bellezza? Anzi, chiunque sia il visitatore, è il benvenuto. Però deve condividere la nostra accoglienza con il rispetto che si deve all'ambiente che con tante fatiche cerchiamo di proteggere e promuovere nel segno della sostenibilità». E Padrin ricorda, come
ricette contro l'overtourism, la prenotazione del parcheggio alle Tre Cime di Lavaredo, l'introduzione delle Ztl a Cortina e a Sottoguda per i Serrai, in centro ad Alleghe. Ma per gli albergatori ribelli, evidentemente, tutto ciò non basta.
CorrieredelleAlpi|6agosto2025
p. 2
«FermiamoglihoteldilussoadaltaquotaLimitarel'afflussodelleautosuipassi»
F. D. M. BELLUNO
Overtourism? «Mettere sotto accusa il riconoscimento Unesco per le Dolomiti vuol dire non aver capito nulla del futuro della nostra montagna e di questo patrimonio in particolare». È la risposta di Gigi Casanova, presidente nazionale di Mountain Wilderness alla lettera degli albergatori e ristoratori dei Passi. «Intanto va detto che il gruppo rappresenta solo una minoranza degli operatori. I più la pensano all'opposto. Basta sentire Mihil Costa, di Colfosco in Val Badia». «Ma è proprio questo gruppo – insiste Casanova, origine bellunese, residente oggi a Moena – a portare la responsabilità del fallimento delle prime iniziative di normazione degli accessi ai passi con qualche ora di chiusura; il minimo sindacale». Per Casanova, semmai, sulla Fondazione Dolomiti Unesco c'è da insistere per un di più di tutela. In ogni caso – afferma –«basta aggiungere sulle montagne, si deve togliere, non solo quanto di obsoleto è diffuso, anzi si deve togliere ovunque si è sbagliato». In altre parole? «Sono da rigettare – secondo Casanova –progetti di alberghi o campeggi di lusso in quota, in Cadore (Monte Rite, ad esempio) come nelle Alpi occidentali. Strutture per lo più sostenute da aziende provenienti dalle aree urbane, in taluni casi condivise dai pubblici amministratori locali e regionali sempre consenzienti nell'offrire la parola magica, interesse generale». Secondo l'analisi del noto ambientalista, l'interesse di una minoranza che definisce "vorace" apre così le porte all'imposizione di deroghe che «arrivano all'indecenza». Si pensi – esemplifica il presidente – ai collegamenti sciistici olimpici proposti sulle Dolomiti. «Chi li sostiene fa parte di quegli amministratori che oggi chiedono di limitare gli accessi alle montagne. Sono gli stessi amministratori e operatori turistici che mentre chiedono –specifica Casanova – offrono più spazi per strutture coperte, perché spesso in montagna piove, propongono e sostengono l'aumento della capacità delle strade (Cadore – Val Pusteria –Valtellina), degli impianti di risalita (ovunque), delle strutture ricettive. Fino alle alte quote. Questi stessi amministratori e operatori turistici si lamentano oggi, a danni diffusi ovunque, dell'overturism. Quanta ipocrisia». Mountain Wilderness propone una soluzione drastica. Tesa non solo a combattere l'eccesso di presenze turistiche, ma decisiva nel contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici e al crollo delle biodiversità, non solo della natura ma anche paesaggistica e culturale. «Le pratiche del futuro devono basarsi su semplici scelte e criteri di pianificazione: nell'incremento delle strutture di trasporto impiantistico, nell'offerta di ospitalità sulle alte quote». «Si deve diffondere su tutte le montagne italiane un'azione di drastica pulizia». Ccosa significa? «Nel seguire questa proposta è ovvio che i passi dolomitici, come i parchi naturali, debbano essere liberati dall'assalto delle auto private. Che si debba rivedere la normativa urbanistica sulle alte quote rendendo impraticabili le indegne deroghe, che i parchi naturali, invece di essere ridotti o smembrati (vedasi Adamello lombardo e lo Stelvio), debbano essere ampliati e gestiti come aree protette e non come cartoline pubblicitarie». F. D. M.
CorrieredelTrentino|7agosto2025
p. 2
«LeDolomitifuoridall’Unesco»Lapropostacontrol’overtourism
Trento
Una fiumana di gente in coda per scattare una foto all’ormai iconico lago di Braies, postarla sui social, risalire in macchina e poi spostarsi in un’altra valle in cerca di altri panorami «instagrammabili». Ma qual è la soluzione per frenare questo fenomeno dell’overtourism?
Secondo il Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici sarebbe quella di togliere il riconoscimento Dolomiti Unesco a quelle zone. «Unesco rende famoso a livello planetario un sito accessibile, i social amplificano il messaggio, l’eccesso di turismo aumenta la popolarità che ne aumenta l’overtourism e alla fine si chiudono gli accessi dando la colpa all’overtourism», spiega Osvaldo Finazzer, rappresentante del comitato e albergatore sul Passo del Pordoi. E aggiunge: «Vogliamo vendere l’immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l’identità e la cultura dei luoghi?». Secondo Finazzer è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco «che ha fatto un danno incredibile» e tornare a promuovere servizi di qualità. Il comitato, che rappresenta una parte degli albergatori che opera sui passi dolomitici, è nato 19 anni fa contro la chiusura dei passi. Adesso la paura è che la loro montagna diventi come piazza San Marco a Venezia, la Costiera Amalfitana in Campania o le Cinque Terre in Liguria. Luoghi simbolo dell’overtourism in Italia. Senza la pubblicità dell’Unesco, secondo Finazzer, le Dolomiti potrebbero tornare a respirare e ad attirare turisti consapevoli di dove si trovano: «L’overturismo è male dove la quantità uccide la qualità». Quando si parla turismo il pensiero non può che andare a Trentino Marketing, l’ente provinciale che si occupa di promuovere il territorio. Il presidente Giovanni Battaiola (nel tondo) , numero uno anche degli albergatori, non condivide la visione del comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici: «Non sono assolutamente d’accordo sul togliere il patrimonio Unesco alle Dolomiti. Innanzitutto perché ormai la loro notorietà è planetaria, in secondo luogo far parte dell’Unesco ci obbliga a ragionare su come tutelare questo fantastico territorio». In sostanza, se si è sotto l’ombrello delle Nazioni unite il territorio è più tutelato e protetto. L’altro lato della medaglia però è la grande notorietà che porta questo riconoscimento. L’assessore provinciale Mattia Gottardi, membro del consiglio di amministrazione della fondazione Dolomiti Unesco, non vuole alimentare le polemiche: «Credo che, salvo alcune giornate di compresenza tra turisti mordi e fuggi e ospiti delle nostre meravigliose vallate, l’equilibrio si riesca a trovare. Né la fondazione Dolomiti Unesco né il grande lavoro dei territori meritino queste estremizzazioni e paradossi». E aggiunge: «La qualità e i numeri possono e devono convivere. Mi oppongo ad una polemica semplificante che vuole dare un’idea diversa dalla realtà». Non è la prima volta che viene sollevato questo tema: l’anno scorso, più o meno nello stesso periodo, il presidente del Cai, Antonio Montani, aveva avanzato la stessa richiesta di Finazzer: «Far uscire le Dolomiti dal Patrimonio Unesco per frenare l’overtourism». Proposta che era stata rimandata al mittente dal presidente della fondazione Stefano Zannier. Ma queste proposte sono perlopiù provocazioni lanciate per puntare i riflettori sul vero problema: la gestione turistica del territorio. «Se non poniamo attenzione e non facciamo una promozione turistica diversa da quella odierna, si va a finire come Venezia. C’è un errore nel messaggio e nella promozione, non abbiamo bisogno di gente che fa il “mordi e fuggi” dice Finazzer . Non vogliamo che la promozione venga fatta
per portare qui le masse». L’idea è di un turismo più «lento», con meno visitatori ma che soggiornano per più tempo tra le montagne patrimonio Unesco, in modo da imparare anche il rispetto per il luogo in cui si trovano. La richiesta si potrebbe riassumere nello slogan: meno quantità e più qualità. «La responsabilità è davvero dell’overtourism, o è di chi ha fatto scelta di sostenere l’ambientazione di Braies per la fiction televisiva? È vero sono fenomeni complessi, è vero nessuno immaginava questo risultato, ma c’è una causa e un effetto evidente e nessuna assunzione di responsabilità», polemizza il comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici. Anche su questo punto non è d’accordo Battaiola, il quale da sempre sostiene che il problema non sia l’overtourism, ma la cattiva organizzazione. A partire dalla comunicazione via social: «Questi mezzi potrebbero servire per fare una cultura su come si dovrebbe vivere la montagna e di quali regole servono, perché ormai inevitabilmente qualche regola va messa». E aggiunge: «Siamo tutti consapevoli che alcuni momenti dell’anno siano estremamente complicati. Forse bisogna ricominciare a mettersi ad un tavolo e cercare di sfruttare questa possibilità comunicativa per spiegare come si frequentano i nostri territori». Sotto quest’ultimo punto di vista, il presidente di Trentino Marketing si difende anche dalle accuse indirette di promuovere una pubblicità «mordi e fuggi»: «Non ci sono promozioni dove diciamo “venite per fare la foto”. Tutte le comunicazioni sono strutturate, tant’è che abbiamo tolto la promozione durante alcuni periodi perché non c’era necessità. Tutti i nostri ragionamenti sono fatti per allungare il periodo di vacanza».
CorrieredelVeneto|7agosto2025
p. 2, edizione Treviso – Belluno
«Viailsigillodell’UnescodalleDolomiti»IlVenetoboccialaprovocazione
Overtourism, sovraffollamento turistico, un male che non risparmia la montagna. L’idea lanciata dal governatore Luca Zaia è quella di studiare il limite massimo di turisti per le Dolomiti e poi un sistema di prenotazione. Ma c’è chi va oltre. «Rinunciare al riconoscimento Unesco», dice Osvaldo Finazzer del Comitato per la salvaguardia dei Passi Dolomitici perché questa appartenenza ai luoghi patrimonio dell’Umanità ha finito per peggiorare la situazione causando «un danno incredibile». E aggiunge: «Vogliamo vendere l’immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l’identità e la cultura dei luoghi?». L’idea della Regione non è certo quella di uscire dall’Unesco. L’’assessore regionale al Turismo Federico Caner spiega: «Se tutti si spostano verso una stessa direzione nel medesimo momento è evidente che si crea un problema e per questo i flussi sono da regolare. Più che il divieto si può pensare di contingentare e ci stiamo già muovendo in questa direzione. Per le nostre Dolomiti il problema è concentrato nei weekend di luglio e di agosto. Come succede a Venezia, dove la massa si dirige in piazza San Marco e in pochi altri luoghi, lo stesso accade nelle nostre montagne». Mattia Gottardi, assessore provinciale di Trento alle Aree protette e membro del cda della fondazione Dolomiti Unesco, è convinto che «l’equilibrio si riesca a trovare» e considera le parole di Finazzer paradossali nonché generatrici di «polemiche semplificanti». Di certo, aldilà delle estremizzazioni, il tema di imporre un ticket o di prevedere un numero chiuso fino a qualche anno fa era tabù. Oggi il clima è cambiato e alla voce degli ambientalisti, da sempre sostenitori del limite agli accessi, si aggiungono quelle provenienti da realtà come il comitato per la salvaguardia dei Passi Dolomitici che raccoglie un’ottantina fra
albergatori, ristoratori e impiantisti. Interessi e voci diverse, sottolinea Caner, in alcuni casi obiettivi condivisi. Come quando si ragiona di una rete di impianti a fune che tenga lontane le auto dai passi. «Gli impianti ben collegati tra loro sostiene rappresentano una risposta sostenibile al problema, ma spesso non si guardano le cose con obiettività: inquinano di più migliaia di auto parcheggiate al passo o un impianto di risalita?». Il riferimento è al progetto del collegamento Civetta-Giau, un impianto in sospeso, non affiancato da una pista di discesa e utile solo al trasferimento estivo e invernale. «In questo modo spiega Caner si consentirebbe, partendo da Alleghe o da Zoldo, di raggiungere Cortina senza servirsi dell’auto». Progetto osteggiato dagli ambientalisti, ma che secondo l’assessore «sarebbe fondamentale per tentare anche, in una ipotesi di regolazione dei flussi, di spostare centinaia di auto in località diverse». Tra gli iscritti al comitato per la tutela dei Passi c’è anche Walter De Cassan, presidente della Federalberghi Belluno, che esprime un parere opposto rispetto a quello di Finazzer: «Mi dissocio da questa uscita. Dire che l’Unesco ha causato danni è un insulto, poi che sia stata gestito bene o male su questo si può ragionare». Vi è poi un altro dubbio che De Cassan insinua: «Si può parlare di overtourism quando si hanno percentuali di occupazione delle camere nel corso dell’anno complessivamente pari al 40/50 per cento?». Puntuale l’analisi di Sandra Ruatti, presidente dell’Associazione degli Albergatori di Cortina, rispetto alle tendenze in atto nel mondo dell’ospitalità. «È evidente dice come attualmente gli ospiti prediligano soggiorni più contenuti nel tempo e intensivi: il visitatore arriva per escursioni giornaliere o al limite per brevi permanenze nei fine settimana. E tale tendenza caratterizza Cortina così come altre località alpine in un momento in cui la capacità di spesa delle famiglie si è ridotta». Ruatti non nutre dubbi sull’importanza di riconoscimenti come quello Unesco e di un evento come i Giochi. «La denominazione Unesco così come le Olimpiadi invernali sottolinea amplificano la notorietà delle destinazioni e la curiosità di conoscere quanto vi sta accadendo, ma è la maggiore mobilità di cui disponiamo oggi rispetto al passato a generare un turnover accelerato e un incremento costante dei flussi». Da qui la conclusione di Gildo Trevisan del Consorzio Cadore: «Il successo è strepitoso, mancano infrastrutture».
L’Adige|7agosto2025
p. 12
«Overtourism,colpadiDolomitiUnesco»
LEONARDO MILANACCIO
Le Dolomiti non sono solo un’immagine da cartolina. Il Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici guidato dal direttore dell’Hotel Gonzaga di Canazei Osvaldo Finazzer invita a una riflessione sull’attuale situazione di overtourism dolomitica ormai insostenibile. Un esempio lampante si può vedere nel Lago di Braies, in Val Pusteria, con le riprese di «Un passo dal cielo» che ne hanno cresciuto la notorietà anche tramite l’amplificazione dei social. Si crea così un circolo vizioso con la serie televisiva che aumentando la popolarità del lago, amplifica il turismo e si è costretti a limitare gli accessi dando la colpa all’overtourism. Le Dolomiti, diventate sito Unesco hanno avuto a loro volta una notorietà mondiale su un’area geografica facilmente accessibile. Secondo il Comitato, proprio questa popolarità «superficiale», potrebbe essere la causa dell’overtourism nelle Dolomiti con i turisti che arrivano in massa ma solo per un fine puramente «social», con l’intento di scattare delle foto e pubblicarle online. Il Presidente del Comitato Osvaldo Finazzer spiega meglio la situazione dei passi dolomitici e sulle possibili
soluzioni che andrebbero adottate. Come nasce il Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici? «Nasce 19 anni fa da una mia idea per proteggere i nostri passi dolomitici. Siccome la problematica accomuna tutti coloro che lavorano nel turismo, in tanti hanno aderito a questa iniziativa e siamo in 78, contando i passi trentini, altoatesini e bellunesi. Alcuni anni abbiamo ricevuto adesioni anche dal Passo dello Stelvio». Perché condannate le Dolomiti come patrimonio dell’Unesco? «Il problema è che il turismo sta diventando sempre più di quantità invece che di qualità. Rendere le Dolomiti sito Unesco ha solo peggiorato le cose, con le montagne che sono diventate preda della superficialità dei visitatori, attratti più per scattare fotografie che per godere appieno dei numerosi servizi che offriamo». Come dovrebbe essere il turista modello? «Innanzitutto dovrebbe apprezzare il camminare in montagna senza desiderare lo scatto perfetto, ma cercando di scoprire il patrimonio del nostro territorio. Il visitatore modello dovrebbe essere informato, consapevole di ciò che fa e di come ci si deve muovere in un ambiente montano. Poi dovrebbe anche stimare quello che produciamo e i servizi che offriamo per un’esperienza autentica delle Dolomiti». Ad oggi invece, alcuni visitatori sono sprovveduti? «Dolomiti Unesco è vittima del suo stesso successo, molti turisti sono occasionali e spesso sono disinformati con il rischio di incorrere in pericoli evitabili. Per esempio ho visto persone con i sandali sulla Forcella del Pordoi, una calzatura non adatta alla montagna, vittima di un atteggiamento incosciente e influenzato troppo dai social. Alcuni frequentano i passi solo marginalmente, vengono trovano la loro immagine da cartolina e magari dormono in macchina senza portare effettivamente vantaggi economici al turismo locale». Quali sono le soluzioni per arginare l’overtourism? «La soluzione è agire sul lato dell’offerta e sull’avere prodotti di qualità. Poi starà nella capacità di spesa del turista, ma migliorare l’offerta sarebbe positivo sia per il turismo sia per l’ambiente. Non ci servono frequentatori occasionali che praticano un turismo stanziale, questo invade le Dolomiti ma non porta introiti. Serve il turismo itinerante, quello in cui i visitatori si muovono tra i vari passi provando più strutture e prodotti tipici. In inverno l’afflusso dei turisti è maggiormente qualitativo, perché prenotano e stanno una settimana, potendo venire ospitati come se fossero in famiglia, trovando dagli albergatori indicazioni utili su come muoversi e su quali comportamenti adottare». A proposito di ambiente, non sarebbe meglio chiudere più spesso al traffico i passi? «Chiudere i passi non è una soluzione, sarebbe penalizzante per l’offerta. Serve fare investimenti come sul Lago di Garda per la costruzione di una pista ciclabile efficiente che favorisca l’afflusso di biciclette e porti di conseguenza una diminuzione dei veicoli a motore. Pensare a una Ztl come è stato fatto alle Cinque Terre sarebbe penalizzante per il turismo, dato che ogni valle (Fassa, Badia, Gardena) è diversa dalle altre. Limitare la circolazione alle macchine non è possibile perché non sarebbe giusto che solo chi ha una macchina nuova o elettrica possa fruire delle bellezze dolomitiche. Sicuramente servono dei mezzi ottimali in contrapposizione all’uso della macchina, il sistema delle seggiovie può essere una soluzione».
IlGazzettino|7agosto2025
p. 22, edizione Belluno
Dolomiti,ilboomdelturismononc’entraconl’UnescoNuoveregolenecessarieperrispettare lamontagna
Caro Direttore,
leggo che, secondo qualcuno, albergatori e residenti nelle Dolomiti si stiano lamentando a causa, e ritengo giustamente, della pubblicità data a queste bellissime zone con l'introduzione di sito Unesco. Dal 2001 frequento l'est Tirolo, dove prezzi sono di gran lunga inferiori al sud Tirolo e gli italiani sono accolti molto bene perché si adeguano al modo di vivere austriaco, e se qualcuno va oltre le righe viene invitato a tornare a casa propria. Per questo non c'è l'affollamento che c'è a San Candido, Corvara, Canazei, Cortina. Faccio sempre il passo Staller e sia all'andata che al ritorno mi fermo a bere un caffè in un albergo ad Anterselva. La proprietaria di origine austriaca, contenta per l'andamento economico dove gli ospiti sono da anni gli stessi, mi dice da sempre che il turismo sta aumentando ma questo è un male perché non rispetta la natura ed impera la maleducazione. Cordiali saluti Dario Verdelli Villorba Caro lettore, non amo il ricorso ai termini inglesi, ma in questo caso mi permetta di farlo. Siamo di fronte solo a un problema di over tourism o (anche) di bad management? In altre parole: la questione cruciale sono i flussi crescenti di visitatori o non è invece la loro (mala) gestione? Prendersela con il riconoscimento di sito Unesco per le Dolomiti è ridicolo e insieme paradossale. Significa cercare alibi e non voler fare i conti con la realtà, cioè con un turismo che è profondamente cambiato nei numeri e nella domanda. E che richiede dunque risposte nuove. Che non arrivano o ritardano spesso proprio per colpa delle resistenze di quegli stessi operatori che oggi si lamentano. Mi sembra emblematico il caso dei passi alpini: è del tutto evidente che, almeno per quelli più celebri e frequentati, occorre introdurre delle limitazioni al passaggio. L'ambiente montano non può sopportare chiunque voglia percorrere quelle strade quando vuole e come vuole. Ma se si parla di numero chiuso o di pedaggio ecco che qualcuno si inalbera, che filosofeggia sulla montagna aperta a tutti, ma in realtà è solo preoccupato di veder ridursi i propri guadagni. Dobbiamo capire che la voglia di conoscere, di viaggiare, di fare turismo è in crescita costante in ogni parte del mondo e non si potrà modificare con qualche colpo di bacchetta magica o con gli appelli. Occorre fissare regole e limiti. Orientare e gestire i flussi non farsi travolgere da essi. Certo, questo comporta cambiare, modificare un certo modello di turismo, imporre dove necessario divieti, sostenere economicamente i territori in questo sforzo. Nelle città d'arte come in tante località di montagna. È questo il vero problema. E riguarda il pubblico ma anche i privati. Gli amministratori e gli operatori. Lasciamo perdere le barzellette sul sito Unesco.
Repubblica|7agosto2025
Online
“L’overtourism?CausatodallasceltadifaredelleDolomitiunsitoUnesco”
Al centro della discussione: l’inserimento delle Dolomiti nella lista dei luoghi Patrimonio Unesco (dal giugno 2009), “colpevole” di aver causato un aumento del turismo “mordi e fuggi”, selfie e visite veloci in alta quota. E quello che sembrava un grande riconoscimento e un volano economico, si starebbe invece rivelando solo un’operazione di marketing, in pratica un boomerang.
Sotto accusa, la Fondazione Dolomiti Unesco che dopo aver ottenuto la “medaglia” non ha attuato, come aveva invece promesso, insieme alle amministrazioni locali un piano di gestione efficace e nemmeno ha mai coinvolto realmente le comunità della montagna. Non solo.
Rimasto sulla carta il piano gestione Dolomiti 2040. Nel frattempo, sono esplosi i fenomeni social
e mediatici: influencer, discoteche ad alta quota, campagne promozionali che banalizzano il paesaggio.
Davanti a tutto questo la Fondazione è rimasta in silenzio.
Ed ora gli albergatori che hanno aderito al Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici hanno presentato un documento in cui minacciano: “Forse è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento”. Una sfida. L’Unesco è colpevole?
Dunque, secondo una parte degli albergatori il fenomeno dell’overtourism con le code chilometriche alle funivie e sui sentieri sarebbe esploso anche a causa dell’iscrizione delle
Dolomiti nella Lista del Patrimonio Mondiale.
Qualche esempio? “ Il lago di Braies.
Essere diventato lo scenario per le riprese della fiction Un passo dal cielo, ha amplificato non solo la notorietà del luogo, facendolo diventare protagonista per video social”, scrive nel documento Osvaldo Finazzer, albergatore e presidente del Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici “è un circuito vizioso comune ad altri luoghi: la serie televisiva rende improvvisamente famoso un luogo accessibile, subito dopo i social ne amplificano la notorietà attirando turisti.
Più aumentano i video, più arrivano turisti.
A quel punto, il fenomeno, se non gestito, è probabile che sfugga di mano e nel giro di poco tempo si arriva all’overtourism.
Allora si chiudono gli accessi dando la colpa a chi?
Ai turisti.
Ma la responsabilità è di chi ha sostenuto la scelta di ambientare una fiction televisiva in un paesino delle Dolomiti?
Certo, sono fenomeni complessi, e nessuno immaginava questo risultato, ma c’è una causa ed un effetto evidente e nessuna assunzione di responsabilità”. “Una notorietà superficiale”
Secondo Finazzer dunque non sono solo le Dolomiti ad essere coinvolte in questo fenomeno di marketing: “Si crea una notorietà mondiale su un’area geografica. Una notorietà superficiale, da cartolina, da catturare con il telefonino e condividere in rete. Per noi è una politica di promozione del territorio miope e poco lungimirante. E poi ci si lamenta che invece di non avere un turismo qualificato, rispettoso, attratto dalla cultura delle valli.
Siamo invasi da un flusso turistico non strutturato, occasionale, poco coinvolto nelle proposte culturali e poco interessato alla scoperta autentica del patrimonio di montagna”. Allora cosa fare? “Forse è il momento di fare una riflessione” " Lo stesso sta avvenendo in Costiera Amalfitana o le Cinque Terre : territori venduti solo come cartoline condannati ad una notorietà mondiale e ora vittime e prigionieri addirittura con le Ztl, come si sta ipotizzando per le Dolomiti. Forse bisogna fare una riflessione: vogliamo vendere l’immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l’identità e la cultura dei luoghi?” insiste Finazzer che alla fine lancia la sfida “Dolomiti, Costiera Amalfitana o Cinque Terre.
Forse è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco che ha fatto danni incredibili nelle Dolomiti, e non solo qui”. La categoria divisa: “Le soluzioni ci sono” Ma è davvero il riconoscimento dell’Unesco in certi casi, una delle cause dell’overtourism oppure è colpa della mancanza di politiche territoriali efficaci?
La sfida lanciata da una parte degli albergatori di rinunciare al riconoscimento ha diviso la categoria.
Walter De Cassan presidente di Federalberghi Belluno-Dolomiti non pensa che questa sia la soluzione per affrontare il fenomeno delle code di chilometri per salire ad una baita. “Il
riconoscimento da parte dell'Unesco è stata l'attestazione universale di pregio dei nostri territori che ha attirato inevitabilmente il turismo.
La combinazione delle due cose genera una potenzialità fantastica, ma come tutti i fenomeni economici e sociali, anche i flussi turistici hanno bisogno di essere gestiti.
Credo che ci siano tutti gli strumenti per farlo” ribadisce De Cassan “Dobbiamo sempre più favorire questo processo di governo e gestione dei flussi, incrementando la professionalità degli operatori turistici e sviluppando politiche integrate tra enti pubblici e soggetti provati (compresi i consorzi di promozione locale). Ma guai a noi se non fossimo fieri e orgogliosi di questo patrimonio di bellezza e dei riconoscimenti che consentono anche di sviluppare economia”.
IlDolomiti|7agosto2025
https://www.ildolomiti.it/ambiente/2025/dolomiti-e-overtourism-e-il-riconoscimento-unescoil-problema-no-e-saremmo-i-primi-al-mondo-a-rinunciarvi-non-e-un-marchio-turisticoma-un-impegno-dei-territori
Dolomitieovertourism,èilriconoscimentoUnescoilproblema?"No,esaremmoiprimial mondoarinunciarvi:nonèunmarchioturistico,maunimpegnodeiterritori"
di Marcello Oberosler
TRENTO
Come ogni estate da parecchi anni a questa parte, le Dolomiti tornano puntualmente al centro del dibattito che ruota vorticosamente attorno alla parola e al concetto di “overtourism”. Auto in colonna sulle strade dei passi, sentieri affollati, piccoli e grandi disagi amplificati dai social fino a trasformarsi in “emergenze”: di fronte a problemi complessi e ricorrenti, ci si affanna alla ricerca di facili polemiche invece di lavorare a soluzioni complesse e risolutive.
Nel caso delle Dolomiti, l’estate 2025 ha visto finire nel mirino di (parte di) queste voci critiche perfino il riconoscimento Unesco, accusato di essere un “marchio” che attira sulle montagne un turismo di massa eccessivo per quantità e qualità, poco rispettoso del territorio dove non addirittura dannoso. Un riconoscimento colpevole, secondo qualcuno, di aver trasformato le Dolomiti in un luogo “cartolina” da social media, alimentando un pericoloso turismo mordi e fuggi. Ma è davvero così?
Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco parlando a il Dolomiti offre una prospettiva diversa: “Ogni estate si sente di tutto, c’è immancabilmente chi cerca un colpevole per un problema che non è emergenziale, ma ormai sistemico. Che in questo caso venga attaccato il riconoscimento Unesco mi pare incredibile, o perlomeno curioso. Credo sia arrivato il momento di fare chiarezza: partendo dal ribadire, una volta per tutte, che il riconoscimento Unesco non è in alcun modo un ‘marchio’ turistico, ma un impegno assunto dalle comunità per la sostenibilità dei loro territori”
“La Fondazione Dolomiti Unesco non è un ente che impone regole o gestisce il territorio: siamo un soggetto federatore, che lavora con le comunità, portando idee nuove e tenendo unite le varie anime del territorio”, spiega Nemela.
Creata per coordinare la gestione del Patrimonio Mondiale delle Dolomiti, la Fondazione riunisce enti istituzionali (le Province di Belluno, Trento e Bolzano, la Regione Veneto e la Regione Friuli Venezia Giulia) e le comunità locali, con un obiettivo chiaro: preservare il valore universale di un territorio “unico al mondo”.
Insomma, la Fondazione Dolomiti Unesco di promozione turistica non si occupa: “Il riconoscimento come dicevo rappresenta un impegno delle comunità a preservare il territorio, non è un marchio di promozione turistica e mai lo sarà”.
Ottenuto nel 2009 per “l’eccezionalità geologica e paesaggistica delle Dolomiti”, il riconoscimento impegna le comunità a gestire il territorio in modo sostenibile mosse da obiettivi e valori condivisi.
Certo poi non si può negare che “avere caratteri di eccezionalità” richiami turisti, ma la direttrice è molto lucida nella sua analisi: “Ci rendiamo conto che il riconoscimento dà visibilità, ma da ormai 16 anni lavoriamo per incentivare una regolamentazione dei flussi, anche in collaborazione con le organizzazioni turistiche. Promuoviamo inoltre attività di formazione ed educazione ambientale e civica. Certo, chi fa promozione turistica può ‘sfruttare’ il riconoscimento Unesco, ma non mi pare onestamente ci sia un abuso. Incuriosisce anche noi che ci sia chi propone di rinunciare all’iscrizione al Patrimonio Mondiale. Saremmo i primi di sempre a farlo, tanto per capirsi, ma non è certo questa la soluzione ai problemi”. Insomma, l’invito è quello di fare un passo indietro per riuscire ad avere una visione di insieme più significativa e completa al di là dei singoli casi: l’overtourism sulle Dolomiti infatti non è una questione che riguarda l’intero sito Unesco. “Come Fondazione – riprende la direttrice, parliamo a nome di un territorio davvero molto vasto. La pressione turistica è forte, anche fortissima, in alcune zone, ma non ovunque. E quello dell’overtourism è un fenomeno complesso e con mille sfaccettature, non certo imputabile al riconoscimento Unesco, tant’è che si verifica anche in contesti completamente differenti”. Anzi, forse la presenza del riconoscimento in parte aiuta a “preparare” i turisti ad un territorio che va rispettato e valorizzato. “L’esperienza di visita nei territori del Patrimonio Mondiale è un’esperienza di natura. I turisti vengono attratti da questo, non dal riconoscimento in sé: in questi ultimi anni ci stiamo rendendo conto dell’impatto di un certo tipo di comunicazione sui comportamenti delle persone che vengono a visitare i nostri luoghi. Ecco perché è sempre più stretta la collaborazione con le agenzie di promozione turistica del territorio per favorire un turismo più consapevole e sostenibile come per esempio la campagna promossa da Trentino Marketing ‘Prudenza in montagna’ o dalla Dmo Dolomiti Bellunesi ‘Montagna consapevole’. È importante anche la formazione e la disponibilità degli operatori turistici, che possono far tesoro dei valori del riconoscimento Unesco per proporre ai loro clienti destinazioni alternative o attività meno impattanti, rendendo l’esperienza più piacevole per l’ospite ed evitando di caricare ulteriormente le mete più congestionate. In tal senso la Fondazione si è attivata su più territori e con varie categorie”.
Certo la concorrenza nel mare magnum della comunicazione digitale non manca: “Un ruolo lo giocano anche influencer e social media, non c’è dubbio, e spesso questi veicolano un’idea di montagna molto facile, con immagini, slogan e proposte di attività non sempre coerenti con la sostenibilità e la prudenza. Un tipo di comunicazione che crea aspettative sbagliate, spingendo turisti verso comportamenti poco rispettosi. Su questo dobbiamo fare fronte comune e continuare a lavorare tutti insieme, senza perderci in polemiche onestamente inutili e che rischiano solo di distrarci dai problemi reali. La Fondazione ha promosso un tavolo sovraterritoriale sulla comunicazione per confrontarci su questi temi e abbiamo registrato un forte interesse anche da parte delle organizzazioni turistiche, che sono sempre più orientate verso politiche di destinazione compatibili con la tutela ambientale e la sostenibilità sociale. Il tavolo ha prodotto un documento che stabilisce linee guida e proposte concrete. Ricordandoci, forse vale la pena aggiungerlo, che non si può pensare che sia la Fondazione o l’Unesco da Parigi a poter cambiare le cose con uno schiocco di dita o con la bacchetta magica. Il riconoscimento
Unesco non rappresenta un vincolo, ma un impegno per le generazioni future e un’opportunità di confronto”.
“La Fondazione – conclude Nemela - ritiene che il riconoscimento Unesco sia uno strumento prezioso per promuovere un turismo di qualità, stanziale, che valorizzi i valori territoriali: l’acronimo stesso contiene le parole educazione, scienza e cultura, non un turismo mordi e fuggi. Vogliamo aiutare le comunità e gli operatori a lavorare in questa direzione”.
L’Adige|8agosto2025
p. 13
«DolomitiUnesco,necessariorifondare»
LEONARDO MILANACCIO
Immediata la risposta alle accuse lanciate dal Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici contro Dolomiti Unesco. A controbattere è il Presidente di Mountain Wilderness Italia Luigi Casanova che parla di una necessaria rifondazione per i “Monti Pallidi”. Secondo lui, la Fondazione Dolomiti Unesco è ritornata al centro dell’attenzione per una visione superficiale del Comitato, composto da operatori economici che mai hanno partecipato ai tavoli di confronto: «Tale assenza viene dimostrata dal fatto che non conoscono nulla della gestione della Fondazione e degli scopi di un patrocinio Unesco dedicato ad un patrimonio naturale». Il Presidente di Mountain Wilderness continua il suo discorso sostenendo: «Dire che l’overtourism è causato da Dolomiti Unesco è alquanto insensato - proclama Casanova - se le Dolomiti sono travolte da turisti che non conoscono la montagna è perché sono diventate dominio di auto e fuoristrada. Le infrastrutture che abbiamo imposto alle montagne come i parcheggi in quota, gli impianti funiviari, gli alberghi di lusso e i nuovi collegamenti sciistici, vengono sostenute dagli enti pubblici». Il monito appare chiaro: «Se la Fondazione da tempo è uno strumento inadeguato alla gestione del territorio dolomitico, la responsabilità va ricercata unicamente nei politici che a oggi l’hanno gestita». Per gli ambientalisti, qualora Dolomiti Unesco intenda riprendere percorsi virtuosi deve investire in una rifondazione progettuale e avere il coraggio di decidere, senza rimanere succube del potere di pochi, ma potenti operatori economici. Alcuni temi Mountain Wilderness li ha proposti, per esempio la limitazione degli accessi alle Tre Cime di Lavaredo e un piano di rinascita della Marmolada, richieste che non hanno mai ricevuto risposte. Casanova torna alla carica contro il Comitato dei passi e aggiunge: «Se si vuole agire sul lato dell’offerta, cominciamo a ripulire, togliendo i parcheggi facili e riducendo gli accessi dei mezzi a motore. Più che una pista ciclabile modello Lago di Garda, che andrebbe a rovinare ulteriormente boschi e pascoli, bisognerebbe chiudere a ore i transiti delle auto private e potenziare il trasporto pubblico per sostenere gli impianti già esistenti. Abbiamo una sola strada da intraprendere: richiamare i politici che governano questi territori ad un’assunzione di responsabilità. Serve lavorare assieme affinché l’Unesco ridefinisca cosa significa essere territorio tutelato e come questo vada gestito». Anche l’assessore al turismo Roberto Failoni incita al lavoro comune con spirito costruttivo: «Ogni persona ha il diritto di poter vivere e conoscere i nostri splendidi territori. Il turismo è una risorsa irrinunciabile per la nostra economia e per la vitalità delle comunità locali. La vera sfida, oggi, non è quella di mettere limiti all’accesso, ma di saper gestire i flussi in modo intelligente e sostenibile, puntando sulla qualità dell’esperienza turistica e sulla tutela dell’ambiente. Le polemiche e i toni catastrofisti non aiutano, serve invece rimboccarsi le maniche per trovare le soluzioni migliori a garantire che le
Dolomiti, rimangano accessibili a tutti, ma anche vive e curate per le generazioni future». Contrario alle varie polemiche di questi giorni anche il presidente di Trentino Marketing Giovanni Battaiola che ricorda quanto le discussioni su questi temi compaiano ciclicamente ad agosto, nel periodo di punta per la stagione estiva. «Il turismo è un settore che genera un indotto e un welfare importante per la Provincia, siamo consapevoli che in alcuni periodi risulta difficile gestire l’afflusso di gente». La soluzione per Battaiola è chiara: «Serve organizzazione. Il fatto che le Dolomiti siano una meta turistica conosciuta a livello planetario deve essere un vantaggio per il Trentino e non un problema. I social, non dobbiamo condannarli ma utilizzarli al meglio per spiegare come frequentare e quali aspetti godere della montagna (silenzio, serenità, paesaggi). Il discorso non va circoscritto a questo periodo, ma serve un confronto anche in altri momenti dell’anno. Una soluzione sarebbe quella di dilazionare le vacanze e virare la nostra comunicazione su quello che si può fare nel nostro territorio anche nei periodi meno frequentati». Sulla questione della strade per il presidente di Trentino Marketing la soluzione non è quella di una chiusura, ma c’è bisogno di organizzazione. «Un esempio risolutivo si può vedere nei parcheggi contingentati alle Dolomiti del Brenta. È necessario organizzarsi su tutto il territorio per promuoverlo nella sua interezza, valorizzando anche aree meno di nicchia ma altrettanto meritevoli di visite: Non c’è overtourism, c’è bad management».
CorrieredelleAlpi|8agosto2025
p. 18
«L'assaltodeituristiinciviliesisteAdessobisognacambiarepolitica»
Francesco Dal Mas / BELLUNO
Continua la polemica sull'overtourism e la denominazione Unesco assegnata alle Dolomiti, che secondo gli albergatori dei Passi si sarebbe rivelata un danno, una calamita per i turisti cafoni. «Via dall'Unesco come soluzione dell'overtourism? «Non è la soluzione» risponde Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco, di cui il prossimo presidente sarà Roberto Padrin. «assurdo rinunciare» E proprio a Padrin si rivolge il numero uno di Mountain Wilderness per chiedere «una svolta politica» dell'istituto, nato ad Auronzo nel 2009. «Saremmo i primi al mondo a rinunciare all'iscrizione Unesco per questo motivo; altri sono stati cancellati perché estromessi o hanno voluto svincolarsi» precisa Nemela, responsabile di quella direzione che ha sede a Cortina. Ammette però, Nemela, che esiste un problema di flussi. Prende atto dell'introduzione positiva delle Ztl a Rocca Pietore, Alleghe, Sappada, nella stessa Cortina. Riconosce l'efficacia della prenotazione per le Tre Cime di Lavaredo, come per il Lago di Braies. E ricorda che chi si è opposto alla sperimentazione di misure condivise di chiusura oraria dei Passi sono stati proprio quegli operatori turistici che oggi vorrebbero cestinare il riconoscimento Unesco: «Da ormai 16 anni» sottolinea «stiamo lavorando per incentivare una regolamentazione dei flussi, anche in collaborazione con le organizzazioni turistiche. Ed è sempre più stretta» sottolinea «la collaborazione con le agenzie di promozione turistica del territorio per favorire un turismo più consapevole e sostenibile come per esempio la campagna promossa da Trentino Marketing Prudenza in montagna o dalla Dmo Dolomiti Bellunesi Montagna consapevole. Anzi, è importante anche la formazione e la disponibilità degli operatori turistici, che possono far tesoro dei valori del riconoscimento Unesco per proporre ai loro clienti destinazioni alternative o attività meno impattanti, rendendo l'esperienza più piacevole per l'ospite ed evitando di caricare ulteriormente le mete più congestionate. In tal senso la Fondazione si è attivata su più territori e
con varie categorie». ma bisogna fare qualcosa Non nasconde, però, che qualche ragione ce l'hanno anche gli operatori dei Passi dolomitici quando criticano influencer e social media perché veicolano un'idea di montagna non sempre coerente con la sostenibilità e la prudenza: «Un tipo di comunicazione che crea aspettative sbagliate, spingendo turisti verso comportamenti poco rispettosi. Ebbene, la Fondazione ha promosso un tavolo sovra-territoriale che ha prodotto un documento che stabilisce linee guida e proposte concrete». «cambiare politica» Alla vigilia del cambio di guardia al vertice della Fondazione Dolomiti Unesco, con l'arrivo del presidente Padrin, Gigi Casanova, bellunese, ma residente in Val di Fassa, numero uno del movimento ambientalista Mountain Wilderness, scende in campo per sollecitare una sterzata politica: «Se la Fondazione da tempo è strumento inadeguato alla gestione di un territorio tanto fragile e affascinante la responsabilità va ricercata unicamente nei politici che a oggi l'hanno gestita, specialmente nell'ultimo decennio. Sono questi politici, della Regione Friuli Venezia Giulia, del Veneto, delle Province autonome di Trento e Bolzano che hanno deciso di lasciare ammuffire nei cassetti il piano di gestione Dolomiti 2040 e privarlo di decisioni che erano state concordate con uno straordinario, per l'Italia innovativo, metodo partecipativo dal 2014 al 2017» afferma Casanova, precisando che invece «è sciocco» cancellarsi dalla lista Unesco. «Non riprendo i temi che queste amministrazioni hanno evitato di affrontare: è certo che qualora la Fondazione Dolomiti Unesco intenda riprendere percorsi virtuosi» dice Casanova, «deve investire in una rifondazione progettuale e avere coraggio di decidere e di non rimanere succube dei poteri di pochi, ma potenti operatori economici. Noi ambientalisti alcuni temi li abbiamo proposti, anche recentemente: accessi alle Tre Cime di Lavaredo, un piano di rinascita della Marmolada, i divieti coerenti all'eliturismo, alcuni esempi. La Fondazione non ha mai avuto nemmeno la cortesia di rispondere a queste nostre richieste. Anche per questo perde credibilità nei territori». Avrà il coraggio di farlo, si chiede Casanova, il prossimo presidente, Padrin appunto?]
CorrieredelTrentino|8agosto2025
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Casanova:FondazioneUnescoinadeguataFailoni:polemicheinutili,lavoriamouniti
Valerio Benigni
TRENTO
Qual è la causa dell’overtourism? Questa in sostanza la domanda su cui si dividono le opinioni dei soggetti coinvolti nel problema: dai residenti agli albergatori, fino alle associazioni ambientaliste. Proprio da queste, in particolare dalla storica Mountain Wilderness Italia, è arrivata ieri una presa di posizione che è al contempo una reazione a quella del comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici, che aveva richiesto la rinuncia al marchio Unesco come misura per contrastare il turismo di massa. «Una visione superficiale» secondo Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness, che vede il comitato come un gruppo di «operatori economici che non hanno mai partecipato ai tavoli di confronto nella costruzione del piano di gestione del patrimonio universale» e per questo «non conoscono nulla della gestione della Fondazione Unesco e degli scopi del patrocinio». Prosegue Casanova: «Se le Dolomiti sono travolte da turisti che non conoscono la montagna è perché sono diventate dominio di auto, fuoristrada, sconvolgimenti paesaggistici, luoghi di ristorazione che hanno potuto raddoppiare le volumetrie grazie a incoscienti deroghe e infrastrutture che abbiamo imposto alle montagne
a suon di furbate amministrative». Nello specifico: «Strade, parcheggi in quota, impianti funiviari che aumentano capacità di trasporto e grandi alberghi», comprese «le opere delle Olimpiadi e i villaggi del lusso». Ma oltre al comitato degli albergatori, l’attacco di Mountain Wilderness colpisce anche la Fondazione Dolomiti Unesco, «uno strumento inadeguato alla gestione di un territorio tanto fragile e affascinante», anche se la responsabilità va ricercata «unicamente nei politici che a oggi l’hanno gestita, specialmente nell’ultimo decennio, lasciando ammuffire nei cassetti il piano di gestioni Dolomiti 2040», che comprendeva decisioni «concordate con uno straordinario, e per l’Italia innovativo, metodo partecipativo dal 2014 al 2017». L’invito alla fondazione di Casanova è di non rimanere «succube dei poteri di pochi, ma potenti operatori economici. Se si vuole agire dal lato dell’offerta, come sostenuto dal comitato, cominciamo a ridurre i parcheggi facili e gli accessi ai mezzi a motore e togliere tante recenti oscenità», che per Casanova sono rappresentate dai «diffusi orpelli» e giochi, «scimmiottamento dell’offerta che troviamo nelle pianure». Più che rimuovere il marchio Unesco, che è una «potenziale garanzia di qualità», secondo Casanova bisogna lavorare affinché Unesco potenzi la definizione di territorio tutelato, dando, «maggiore rigore e trasparenza», e «richiamare i politici che governano questi territori a un’assunzione di responsabilità della quale non si intravede orma». Riguardo i dibattiti degli ultimi giorni l’assessore al turismo Roberto Failoni ha dichiarato invece: «Le polemiche sterili e i toni catastrofisti non aiutano. Serve invece lavorare insieme, con spirito costruttivo, per trovare le soluzioni migliori. Solo così garantiamo che le Dolomiti, patrimonio dell’umanità, rimangano accessibili a tutti, ma anche vive e curate per le generazioni future». Ha poi ribadito che «ogni persona ha il diritto di poter vivere e conoscere i nostri splendidi territori. Il turismo è una risorsa irrinunciabile per la nostra economia e per la vitalità delle comunità locali. La vera sfida, oggi, non è quella di mettere limiti all’accesso, ma di saper gestire i flussi in modo intelligente e sostenibile, puntando sulla qualità dell’esperienza turistica e sulla tutela dell’ambiente». Restando fuori dalla disputa politica, la direttrice della Fondazione Unesco Mara Nemela precisa sul significato del marchio e della fondazione stessa: «Il riconoscimento Unesco è un impegno di sostenibilità, non è un qualcosa di imposto dall’alto. Chiaramente richiede attenzione e coordinamento degli enti coinvolti ed è qui che la fondazione esercita il suo ruolo più importante. È di fatto un tavolo di lavoro costante, dove si incontrano territori e soggetti diversi con la finalità di proporre e trovare delle soluzioni collaborando». Ma qual è il bilancio della Fondazione Unesco? Nel 2024 i ricavi sono stati di 1,17 milioni di euro, di cui 250mila dati dalla Provincia di Trento e da quella di Bolzano. Altri enti pubblici hanno dato finanziamenti per un totale di 23mila euro. Le spese sono ammontate in totale a 966mila euro, di cui 226mila per gli stipendi del personale. Alla fine, dopo il pagamento delle imposte, il risultato dell’intera gestione per il 2024 ha fatto registrare un attivo di circa 180mila euro. Pur non entrando nel dibattito sul marchio, secondo Nemela: «Togliere il riconoscimento Unesco significherebbe sganciarsi da un impegno di sostenibilità e quindi non aiuterebbe la tutela dell’ambiente. La fondazione ha fin dall’inizio ricordato come il riconoscimento Unesco debba sposarsi a un turismo di qualità, con una regolamentazione dei flussi e un basso impatto sul territorio. C’è da ricordare che il riconoscimento riguarda un territorio di oltre 142.000 ettari e che le località che hanno rilevato delle situazioni di pressione turistica estrema sono molto circoscritte. Nelle zone più critiche è stato introdotto il monitoraggio dei flussi in accordo con le comunità locali per permettere di concordare eventuali iniziative di regolamentazione. Abbiamo poi lavorato anche in coordinamento con le associazioni di marketing territoriale proprio per favorire una maggiore attenzione alla comunicazione e non indurre comportamenti sbagliati nei turisti». Ad esempio il recente assalto di massa al Seceda: «Quel caso è dovuto all’utilizzo dell’immagine della montagna per delle pubblicità e campagne di marketing scollegate dalla locale azienda di
promozione turistica. Nessuno ha voluto quella visibilità, ora le associazioni locali stanno rimediando».
CorrieredelleAlpi|9agosto2025
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Pozza:«DolomitiUnesco,ricettacontrol'overtourism»
FDM
BELLUNO
«Il momento è delicato. Anche per il turismo. È vero che ci sono situazione di overtourism, ma non sono generalizzate. Cortina e altre valli dolomitiche si salvano, quest'estate, grazie agli ospiti stranieri. Quindi, sia benedetto l'Unesco che ha fatto conoscere le Dolomiti in tutto il mondo. Ma anche a salvaguardarle nella loro integrità». Lo afferma Mario Pozza, presidente della Camera di Commercio, replicando al documento del Comitato degli operatori turistici dei Passi dolomitici in cui si chiede la deiscrizione dalla lista Unesco delle Dolomiti perché, secondo loro, il riconoscimento sarebbe una delle cause dell'overtourism. Richiesta, questa, che con le sue motivazioni ha comportato le dimissioni dal Comitato di Walter De Cassan, albergatore di Andraz e presidente provinciale di Federalberghi, associazione che ritiene invece che questo riconoscimento sia un valore aggiunto. «Ci chiediamo di chi sia rappresentativo un Comitato che disconosce la forza attrattiva, sul piano turistico e specificatamente culturale, di un sito Unesco» afferma Pozza, «Se il Veneto è la prima Regione turistica d'Italia il merito anzitutto è proprio dei suoi numerosi siti Unesco, a cominciare da Venezia. E tutti sappiamo quanto ci siamo adoperati per difendere la continuità dell'iscrizione di Venezia in presenza dei pericoli che c'erano». Certo, l'iscrizione – se vogliamo l'etichetta – da sola non basta. È necessario gestire il fenomeno del turismo cafone. Pozza ricorda che la Camera di Commercio ha organizzato un evento con Mirabilia, il network delle Camere di commercio nel cui territorio ci sono siti del Patrimonio dell'Umanità, per redigere la Carta del Turismo accogliente, consapevole, presentata anche alla sede dell'Unesco a Parigi. «Basta seguire le indicazioni inserite in quella Carta per evitare le deformazioni rilevate dal Comitato. Ma che diritto abbiamo noi di discriminare fra i potenziali turisti? Si intraprendano pure delle iniziative di gestione dei flussi: dalle prenotazioni alle Ztl, come già si sperimenta, e con successo, in provincia». Ma, insiste Pozza, si presti la massima attenzione per evitare il lancio di messaggi che possano tener lontano gli ospiti; farli intendere che non sono graditi. «Altrimenti, con le congiunture che corrono, rischiamo davvero parecchio» aggiunge il presidente, invitando a tenere nella considerazione dovuto «l'impegno che istituzioni ed enti stanno facendo per rilanciare le opportunità di accoglienza della montagna», magari anche diversificando le destinazioni, quindi i flussi. «L'attacco di cui ho letto» sottolinea ancora Pozza «lo trovo poco rispettoso del lavoro che hanno fatto i nostri amministratori per avere questo riconoscimento. E poco rispettoso anche del lavoro dei tanti albergatori per diversificare l'accoglienza, affinché sia inclusiva e non esclusiva, cioè volta a considerare solo il turismo d'elite. Sì, perché tutti hanno diritto a godere della bellezza delle Dolomiti».
COMUNICAZIONERESPONSABILEDELLA
MONTAGNA
CorrieredelTrentino|7agosto2025
p. 3
«Lamontagnanonèunhashtaginvettaservepiùcompetenza»
Matteo Sannicolò
Trento «La montagna non è un hashtag. È un luogo bellissimo da vivere, ma per farlo deve esserci una certa competenza». Parla così Franco Nicolini, nota guida alpina con oltre trent’anni di esperienza nell’elisoccorso provinciale, intervenuto per commentare il periodo nero che stanno attraversando le montagne trentine: sedici vittime solo negli ultimi due mesi, ossia da quando è iniziata la stagione estiva. In media, parliamo di due morti alla settimana. Numeri che aprono inevitabilmente il dibattito: è solamente un caso, sfortuna, o si nasconde altro alla base di questa preoccupante tendenza? Per Nicolini, il colpevole numero uno sarebbe il forte impatto dei social network sul turismo di montagna, specialmente in Trentino: «Ci sono sempre stati periodi, o anni particolari, in cui la sfortuna ci mette del suo, accumulando una serie di incidenti mortali», premette la guida alpina, ricordando in particolare il grande «boom turistico» registrato sulle montagne trentine tra gli anni Ottanta e Novanta. «Anche all’epoca ricordo un numero significativo di incidenti: è normale se il flusso di persone aumenta. L’unica differenza tra ieri e oggi sostiene Nicolini è proprio l’effetto che stanno avendo i social». E dell’argomento la guida alpina parla senza mezzi termini: «Purtroppo i social stanno dando informazioni non veritiere della montagna. Gli influencer mostrano un ambiente bello, facile e alla portata di tutti: vero che la montagna è bella da vivere, ma ci vuole anche una certa competenza». Che, secondo Nicolini, in questo momento sarebbe la «vera mancanza» per quanto riguarda le persone che frequentano le montagne trentine. Molte delle quali salirebbero in quota «senza la giusta mentalità, con un abbigliamento non adeguato e dell’attrezzatura alle volte superficiale per il contesto che si apprestano ad affrontare». «Negli scorsi giorni racconta ancora la guida alpina uno straniero si è presentato con gli scarponi appesi allo zaino, e una serie di calzini ai piedi. Mi ha confessato di aver camminato con le ciabatte per un tratto di sentiero». Insomma, situazioni bizzarre che di certo non possono essere accolte positivamente dai professionisti del settore, che invece richiamano la massima attenzione. Specialmente alla luce del brutto periodo che stanno vivendo le vette provinciali, tra turismo fuori controllo e incidenti mortali. L’ultimo, in ordine cronologico, quello che ha coinvolto Andrea Caradonna, il turista di 57 anni residente a Ladispoli in provincia di Roma, che martedì ha preso tragicamente la vita scivolando dalla ferrata di Valimpach, sopra l’abitato di Caldonazzo: «Noi siamo contenti se sulle montagne trentine vengono tante persone rimarca . Ma lo siamo ancora di più se queste persone hanno la consapevolezza di quello che stanno facendo». Anche per questo motivo, Nicolini sostiene che i «veri influencer sono in realtà proprio le guide alpine», poiché accompagnano queste persone, «compresi gli stessi influencer», garantendo loro la massima sicurezza durante la loro escursione in alta quota. Su questo fronte, a lanciare l’allarme è anche la Fondazione Dolomiti Unesco, che ha da poco pubblicato un documento proponendo diverse soluzioni ai problemi attuali della montagna, tra cui l’overturismo, la crisi climatica e la consapevolezza del visitatore. «Il modo in cui si comunica la montagna ha un impatto importante nell’indurre comportamenti potenzialmente pericolosi o scorretti spiega la Fondazione . I social media hanno enfatizzato questa problematica, alimentando visioni incoerenti con i valori del patrimonio mondiale». Il momento attuale, secondo la Fondazione Dolomiti Unesco, sarebbe il frutto della «scarsa consapevolezza da parte dei turisti», oltre al
risultato di «decenni di promozione turistica da cartolina», che avrebbe in parte finito col «trasmettere un’immagine da villaggio vacanze anche delle terre alte». Tra le questioni sollevate dalla Fondazione, anche quella relativa ai bivacchi, che avrebbero ormai perso la loro funzione di riparo d’emergenza e sarebbero utilizzati più che altro come un luogo di ritrovo per i gruppi di amici. Il tavolo di lavoro, dal quale è nato il documento finale prodotto dalla Fondazione dolomiti unesco, è stato coordinato dal professor Umberto Martini, docente di economia e management dell’Università di Trento. Anche con la partecipazione attiva di alcune agenzie di promozione territoriale, tra cui Trentino marketing, Dmo Dolomiti Bellunesi, Idm Sudtirol e Promoturismo Fvg.
ELITURISMO
CorrieredelleAlpi|19agosto2025
p. 25
Eliturismoinmontagna:alivellonazionalemancaunanormativa
Elia Cavarzan / alleghe
Negli ultimi decenni, le Alpi italiane sono state trasformate in veri e propri palcoscenici di un turismo ad alto impatto, spesso contraddistinto dall'uso di elicotteri per trasportare turisti verso rifugi, piste da sci o location panoramiche. Questa pratica, nota come eliturismo, rappresenta una sfida significativa per la tutela ambientale delle Alpi italiane – nel 2023 il Cai aveva lanciato l'allarme dopo i lanci in paracadute dalla Torre Trieste, nel gruppo del Civetta, raggiunta con l'elicottero – ma si scontra con un vuoto normativo a livello nazionale che la rende di fatto poco regolamentata. le tariffe I prezzi variano notevolmente a seconda della durata del volo, del tipo di esperienza e della compagnia scelta. Un volo turistico standard può costare tra i 140 € e i 380 € a persona: un breve sorvolo di 15 minuti può partire dai 140 €, mentre un tour più esteso di 30 minuti può arrivare a 250 € a persona. Le offerte si complicano ulteriormente quando si considerano voli esclusivi o itinerari personalizzati, con tariffe che dipendono anche dal punto di partenza e dall'itinerario scelto. Per chi cerca un'esperienza estrema, sono disponibili voli ad alta velocità e acrobazie aeree, con prezzi che possono raggiungere diverse migliaia di euro per un'esperienza completa di circa 45 minuti. Durante questi voli, è possibile assistere a manovre spettacolari, loop e tuffi verticali, che uniscono il brivido del volo alla vista mozzafiato delle Dolomiti. Chi preferisce un'esperienza più tranquilla può optare per tour panoramici in elicottero, che permettono di sorvolare le Dolomiti di Brenta, Cortina d'Ampezzo, la Val Gardena o il lago di Garda, con tariffe che vanno dai 900 € ai 2.500 € circa. la situazione normativa In Italia, non esiste ancora una legge nazionale specifica che disciplini l'eliturismo. Diversamente da quanto avviene in Francia, Austria, Germania e Slovenia, dove normative precise regolano l'accesso motorizzato alle montagne, il nostro Paese non ha mai approvato una legge che affronti direttamente il problema. Alcune proposte risalgono addirittura al 1998, ma da allora il Parlamento non ha mai dato seguito concreto. La conseguenza è un panorama frammentato, dove le regole cambiano di regione in regione e spesso restano di difficile applicazione. La Regione Veneto, per esempio, consente l'eliturismo quasi ovunque, vietandolo solo all'interno dei Parchi delle Dolomiti Bellunesi e delle Dolomiti d'Ampezzo o in specifiche aree superprotette. In pratica, i voli turistici e panoramici possono sorvolare il territorio bellunese e veneziano quasi senza restrizioni, con un impatto diretto su fauna e avifauna selvatiche, soprattutto nel periodo
invernale, quando l'attività turistica raggiunge il picco. Diversa, almeno sulla carta, è la situazione nelle Province autonome di Trento e Bolzano. Entrambe hanno leggi specifiche che vietano l'eliturismo, ma la loro applicazione rimane lacunosa. In Alto Adige, ad esempio, la legge provinciale 15/1997 stabilisce divieti di decollo, atterraggio e sorvolo delle aree protette a quote inferiori a 500 metri sul livello del suolo e sopra i 1.600 metri, senza però specificare limiti sonori o di velocità. La Provincia di Bolzano ha ammesso di non possedere strumenti tecnici sufficienti a controllare tutte le quote di volo, e negli ultimi anni le sanzioni amministrative sono state estremamente poche: nel periodo 2021-2025, si contano appena cinque multe per sorvoli a quote inferiori e una sola per decolli non autorizzati in aree protette. La Provincia di Trento, pur avendo simili normative, affronta problematiche analoghe: deroghe e autorizzazioni straordinarie spesso permettono voli che, seppur vietati, continuano a interessare le aree montane di maggior pregio, come la Marmolada o la Val di Fassa, soprattutto nel periodo invernale. L'esperienza delle Dolomiti, riconosciute Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, dimostra come la gestione locale e la sorveglianza normativa possano risultare incoerenti, compromettendo la credibilità delle istituzioni coinvolte. il paradosso Il vuoto legislativo nazionale contribuisce a generare un effetto paradossale: l'eliturismo viene percepito come normale, persino legittimo, nonostante le chiare ripercussioni su ecosistemi fragili, specie nel periodo invernale, e nonostante le numerose osservazioni critiche di enti scientifici e associazioni ambientaliste. L'Italia resta così l'unico Paese alpino senza regolamentazioni nazionali. La soluzione, secondo alcuni stakeholders che hanno a cuore l'ecosistema montano e che vogliono promuovere un turismo bilanciato, non può limitarsi a interventi locali o a regolamentazioni parziali. È urgente una legge nazionale che armonizzi le norme, garantendo coerenza tra Regioni e Province autonome. Tale normativa dovrebbe includere divieti chiari per voli turistici e ricreativi, limiti acustici e di impatto, strumenti di controllo tecnologici efficaci e sanzioni realmente dissuasive. Solo un intervento organico potrebbe porre fine alla frammentazione legislativa e alle deroghe arbitrarie, restituendo dignità alle montagne e garantendo un turismo più sostenibile e rispettoso. L'eliturismo sulle Alpi italiane rappresenta non solo un problema ambientale ma anche un esempio emblematico di come la mancanza di una legislazione nazionale coerente possa produrre effetti devastanti, vanificando gli sforzi locali e internazionali di tutela del patrimonio montano. © RIPRODUZIONE RISERVATA Cresce il fenomeno dell'eliturismo.
CorrieredelleAlpi|22agosto2025
p. 18
«VannovietatieliturismoedeliskisulleDolomiti»
FDM
aL'intervento Indignazione, sì, ma adesso subito la regolamentazione dell'eliturismo. O meglio, il divieto. Per il Cai Veneto «l'indignazione di due alpinisti che arriva via posta al Cai Centrale e al Cai Veneto, è alquanto sconcertante». I due alpinisti, impegnati nell'avvicinamento alla Torre Trieste nel Gruppo del Civetta, sono stati testimoni involontari e stizziti – ricorda il presidente regionale del Cai, Francesco Abbruscato – di una "performance" che ha visto più di 20 persone elitrasportate sulla cima della Torre Trieste, per poi lanciarsi nel vuoto con paracadute e tuta alare. «La "torre delle torri" trasformata in una giostra». Di fatto nell'ultimo decennio «le Dolomiti sono state trasformate in palcoscenici di un turismo ad alto impatto, per niente sostenibile,
spesso contraddistinto dall'uso e abuso di elicotteri per trasportare turisti verso rifugi, piste da sci o luoghi panoramici». Il Cai Veneto ritiene pertanto «indispensabile e inderogabile» la redazione di un regolamento regionale sull'attività di volo nelle zone di montagna al fine di salvaguardare l'ambiente naturale montano da un punto di vista sia ecologico che acustico. «In assenza di una normativa nazionale, tale attività normativa è in capo alla Regione, per mezzo dell'istituto del suo Consiglio Regionale», insiste Abbruscato, e sarebbe motivata dal fatto che sull'arco alpino del Veneto, sono presenti molte aree naturali protette e siti della Rete Natura 2000, aree per le quali la Regione è deputata dall'Unione Europea alla tutela degli habitat naturali e delle specie selvatiche e alla definizione di Misure di Conservazione. È importante sottolineare inoltre che anche le residue porzioni territoriali costituiscono di fatto corridoi ecologici necessari per la mobilità delle specie faunistiche, prime fra tutte quelle dell'avifauna alpina, particolarmente vulnerabile dalle attività del volo in zone di montagna. «Da qui la necessità di normare tutte quelle discipline ludiche, ricreative e sportive, che prevedono l'utilizzo di aeromobili. Tra queste anche l'eliski». L'elicottero in montagna è utile per i soccorsi – viene ricordato –, i rifornimenti, le ristrutturazioni in quota. «Deve essere considerata l'incidenza negativa di disturbo che ne deriva dal lasciare alla libera iniziativa il trasporto, tramite elicottero, di persone con soli fini ludici sulle cime del Veneto, senza un supporto normativo e senza analizzare i fenomeni di impatto cumulativo tra la pratica dell'eliturismo e altre attività antropiche», conclude il Cai.
AltoAdige|24agosto2025
p. 18
Anchel’Avscontrol’eliturismo
BOLZANO
Eliturismo, fare turismo in elicottero. Magari per raggiungere comodamente il rifugio, o per scattare fotografie con le quali sorprendere gli amici, o per lanciarsi con parapendii e tute alari. Dopo il Cai, anche l’Alpenverein torna sul tema del rispetto della montagna e dell’ambiente e domanda: «Perché contro l’eliturismo non si fa nulla?». I divieti e le limitazioni contenuti nella legge provinciale del 1997 «Regolamentazione del traffico con aeromobili a motore ai fini della tutela dell’ambiente» vieta, nell’ambito di parchi naturali e biotopi e di piani paesaggistici intercomunali, il decollo, l’atterraggio e il sorvolo di aeromobili a motore a quote inferiori a 500 metri dal suolo. La denuncia di Georg Simeoni, presidente Avs: «Le regole esistono, ma non vengono applicate, se non raramente. Manca la volontà politica di fare qualcosa. Basta con gli annunci cui non si fanno seguire i fatti». Entro l’anno, secondo quanto annunciato lo scorso inverno, l’assessore Peter Brunner dovrebbe portare a compimento una revisione del testo di legge proprio per contrastare l’eliturismo. Nel 2024 il Cai nazionale ha fatto proprio il documento «Eliturismo in montagna». Nei giorni scorsi ha preso posizione il comitato regionale veneto, per chiedere un regolamento sull’eliturismo che tenga conto delle esigenze di tutela di aree, come le Dolomiti, vincolate dall’Unesco. L'ultimo episodio, ha raccontato il Cai, è stato l’esperienza di due alpinisti che dopo avere scalato la Torre Trieste, nel gruppo del Civetta, si sono visti volare sulla testa un elicottero che ha fatto sbarcare 20 turisti, lanciatisi poi nel vuoto con paracadute o le tute alari.
ACCESSIBILITA’:L’ESPERIENZADIBRENTAOPEN
CorrieredelTrentino|13agosto2025
p. 7
«BrentaOpen»,vetteeboschiinclusivieaccessibili
Ch. Mar.
Sport, natura, inclusione a Brenta Open, l’evento ideato per promuovere un’idea di montagna accessibile a tutte e tutti, quest’anno all’11esima edizione, nell’ambito di Paganella Open, fino al 5 settembre. Attività inclusive settimanali, tra cui e-bike, arrampicata e percorsi sensoriali e il format Brenta Open Camp dal 18 al 22 agosto a Malga Prato di Sotto in Val dell’Ambiez e del Ghez, in un campo base dove persone con disabilità, giovani e operatori outdoor potranno vivere la montagna in modo profondo e condiviso. Tra le vette e le guglie delle Dolomiti di Brenta ogni giorno a una diversa attività outdoor con le guide alpine e gli accompagnatori di media montagna specializzati in persone con disabilità. «Questo nuovo format - spiega Simone Elmi, presidente dell’Associazione Dolomiti Open che da anni si dedica alla promozione delle Dolomiti come luogo accessibile - permette di condividere la quotidianità in malga, tra escursioni in montagna, varie attività e piccoli compiti di autogestione in base alle abilità di ciascuno. L’accesso alle montagne, indipendentemente dal livello di abilità e stato psicofisico, è una conquista eccezionale: l’ambiente naturale è infatti quello dove, più che le barriere architettoniche, entrano in gioco quelle legate alla forza morale, al carattere, alle qualità umane e dove la forza del gruppo diventa un’esperienza meravigliosa». Il camp sarà arricchito da concerti, spettacoli, esperienze a contatto con la natura. Dal trekking attraverso le malghe in quota, alle esperienze di arrampicata inclusiva con l’atleta paralimpico Gianluigi Rosa e la via ferrata Castiglioni a cima Susat, al concerto «Echi tra le Cime». E forest bathing, laboratori di inclusione e di teatro. Una visione della montagna aperta a tutte e tutti. «Inclusione e sostenibilità sono i valori del nostro territorio, mettiamo al centro la persona - spiega Luca D’Angelo, direttore dell’Apt Visit Paganella -. Da anni ci impegniamo a creare e promuovere percorsi accessibili, mappando itinerari adatti a tandem e handbike. Tutte e tutti possono fare esperienza della montagna, senza barriere e in ogni stagione». Paganella Open prosegue fino al 5 settembre con forest bathing, escursioni in e-bike, scuola di arrampicata inclusiva. I rifugi della Paganella raggiungibili in cabinovia ora sono forniti di carrozzine (www.visitpaganella.it).
L’Adige|29agosto2025
p. 18
IlBrentaOpenCampcambiapelle
Si è chiusa con un successo la prima edizione del Brenta Open Camp, iniziativa facente parte del progetto Brenta Open giunto, nel 2025, al suo undicesimo anno di attività. Un nuovo format, pensato per dare un’opportunità importante ai ragazzi con disabilità: quella di vivere la quotidianità di una malga, di trascorrere del tempo insieme condividendo la vita di montagna, di fare esperienze come escursioni o scalate su roccia in uno scenario, quello delle Dolomiti di
Brenta unico e decisamente suggestivo. L’iniziativa infatti si è tenuta tra le giornate degli scorsi 18 e 22 agosto, precisamente a malga Prato di Sotto in Val dell’Ambiez e del Ghez, con la partecipazione di oltre trenta persone e comprese cinque guide alpine, fondamentali per la tutela della sicurezza e per la migliore impostazione possibile delle esperienze quotidiane di ragazze e ragazzi. «Tra le attività che abbiamo sperimentato con questi ultimi penso anche al forest bathing, ma anche ad una serie di piccoli compiti di autogestione in base alle abilità di ciascuno – ha spiegato Simone Elmi, presidente di Dolomiti Open e guida alpina – È stata un’esperienza difficile, dobbiamo ammetterlo, ma anche meravigliosa. Nei momenti più complessi è uscita la forza del gruppo, il vero valore aggiunto di questa esperienza nel suo complesso che ha davvero lasciato il segno per quanto riguarda l’aspetto umano e le relazioni che si sono create tra tutti i partecipanti. Fino alla scorso anno, come Brenta Open abbiamo scalato tante cime in compagnia di ragazzi con disabilità, rendendo queste esperienze completamente accessibili. Per esempio la traversata delle Dolomiti di Brenta, durata dieci giorni e svolta come fosse una staffetta tra i partecipanti. Ma quest’anno era necessario cambiare e sperimentare qualcosa di nuovo: mentre Brenta Open è uscita dai propri confini arrivando per la prima volta a Cortina, dall’altra il Camp si è rivelato un successo e di questo dobbiamo ringraziare anche l’associazione Cristo Re che, con le valli in cui siamo stati, ha una relazione che ormai prosegue da anni».
NOTIZIEDAICLUBALPINI
L’Adige|1agosto2025
p. 15
L’avvertimento
diFerrari:«Lamontagnaèallimite»
FABRIZIO FRANCHI
Le Dolomiti sono in una fase di profonda trasformazione, e il crollo di Cima Falkner ne è solo l'ultima, drammatica, manifestazione. Cristian Ferrari, presidente della Sat e glaciologo, ci offre una lettura lucida e preoccupante di questa metamorfosi. I cambiamenti climatici accelerano processi geologici. A ciò si aggiunge la crescente pressione turistica, che nei periodi di alta stagione incide pesantemente sulla salute della montagna. Non si tratta di vietare, dice Ferari, ma di regolare gli accessi per preservare questo patrimonio unico. Fondamentale, secondo Ferrari, un grande investimento culturale per informare e responsabilizzare i visitatori, perché la libertà in montagna si traduce in sicurezza e rispetto. La politica è chiamata a definire una visione strategica condivisa, che tenga conto dei limiti per un futuro sostenibile delle nostre Alpi. Presidente, che cosa sta succedendo alle nostre montagne? «Stanno vivendo una fase di trasformazione che fa parte della loro naturale evoluzione. I cambiamenti climatici, l’aumento della pressione turistica e la perdita di memoria ambientale, ed alpinistica fa sentire molto di più gli effetti, la forte antropizzazione anche in alcuni periodi dell’anno rende visibili fenomeni che in passato magari quasi nessuno se non episodicamente poteva vedere “in diretta”». Il cambiamento climatico quanta influenza ha? «È un fattore determinante. Accelera un naturale processo evolutivo dell’ambiente alpino. Modifica in modo più veloce il paesaggio in tempi non più geologici, ma a “memoria d’uomo”. La fusione dei ghiacciai e del permafrost che in alcuni casi destabilizza le pareti rocciose e mette in difficoltà flora, fauna e attività umane. Ne vediamo
ogni giorno gli effetti concreti». Assisteremo presto ad altri eventi franosi? «È difficilmente prevedibile se non dove abbiamo eventi abbastanza vistosi come quelli in corso sulle Dolomiti di Brenta. Certamente crolli, frane e colate di detrito tipo debris flow, saranno sempre più frequenti, anche in zone considerate fino a ieri sicure». C'è un luogo, una montagna, che è più in pericolo di altre? «Ci sono molte aree fragili, soprattutto le alte quote dolomitiche e i versanti glaciali. Ma sarebbe un errore pensare che il problema sia localizzato: tutta la montagna sta vivendo una fase di vulnerabilità diffusa, anche dove per esempio si modifica il soprassuolo come boschi e pascoli che vanno a modificarsi anche per eventi imprevisti (come Vaia o l’abbandono dei pascoli)». C'è il problema dell'afflusso turistico, con automobili sempre più presenti. Quanto può incidere sulla salute della montagna? «Incide molto soprattutto sull’esperienza di chi va in montagna o di chi vive in montagna, uomo o animale che sia, soprattutto nei periodi di alta stagione. Serve un ripensamento dei modelli di accesso; non sempre logistica e spazio disponibile per gli automezzi vanno d’accordo con le destinazioni in quota». Prima o poi si arriverà a una sorta di "numero chiuso" per la montagna? «In alcune situazioni è una riflessione necessaria. Non si tratta di vietare con un “numero chiuso”, ma di regolare con un “numero controllato”: per preservare la montagna, garantire sicurezza e migliorare l’esperienza dei visitatori. La montagna non è un parco giochi illimitato». Per sopperire a una “ignoranza ambientale” dei turisti che cosa bisognerebbe fare? «Serve un grande investimento culturale. La Sat anche in collaborazione con altri attori sul territorio lo fa da anni, con progetti nelle scuole, nei rifugi, sui sentieri. Ma serve un’alleanza più ampia tra istituzioni, operatori e comunità per riportare la conoscenza al centro di un progetto più ampio che non coinvolga solo i residenti, ma punti a chi frequenta il nostro territorio anche in maniera sporadica. Dobbiamo lavorare sui turisti prima che arrivino sul territorio montano, non perché siano “spaventati”, ma “informati”». Si presentano con calzature inadatte, abbigliamento inadatto, conoscenze non adeguate. Servirebbe una sorta di "esame" per avere un lasciapassare o crede che la montagna debba essere libera? «La montagna deve restare libera, ma libertà non è improvvisazione. Serve responsabilità. Lo ricorda sempre più frequentemente il Soccorso Alpino Trentino e Nazionale che durante gli interventi individua subito le cause dei soccorsi. L’informazione, l’educazione e una maggiore presenza sul territorio sono strumenti fondamentali per prevenire rischi ed evitare banalizzazioni». Reinhold Messner ieri lamentava un disinteresse della politica. È così anche per lei? «Alcuni segnali positivi ci sono, ma servono politiche più strutturate e trasversali, capaci di riconoscere alla montagna il ruolo strategico che merita non solo in chiave turistica ma ambientale, sociale e culturale. La politica deve agire sui vari punti spesso considerando le molteplicità di portatori di interesse che non hanno la stessa visione della montagna. Alla politica il compito di trovare una visione condivisa, che per essere tale deve necessariamente tenere conto di un certo senso del limite». La Sat ha in cantiere qualche iniziativa in questo senso? «Diciamo che per ora la formazione continua, ma non escludiamo di prevedere come sempre interventi mirati come spesso facciamo durante l'anno».
CorrieredelTrentino|23agosto2025
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Satversoilcongresso:sostenibilitàeturismofinisconosottolalente
Ma. Gio.
TRENTO
L’argomento è attuale: in una estate che ha fatto registrare più di un episodio di affollamento sulle montagne regionali con immagini di gente in coda agli impianti, sui sentieri, ai rifugi ad aprire la riflessione sul futuro del turismo in quota è la Società degli alpinisti tridentini. Che si prepara a celebrare il suo 127esimo congresso con lo sguardo puntato sul nodo dell’overtourism. «La capacità di carico turistica dei territori montani»: questo il titolo scelto dal sodalizio presieduto da Cristian Ferrari, che si riunirà a congresso il 18 e il 19 ottobre a San Lorenzo Dorsino. Anticipando il dibattito però con due appuntamenti preparatori in agenda a settembre. Il primo, venerdì 5, entra subito nel cuore del congresso con l’analisi di un caso specifico: nella sede della Sat in via Manci, a partire dalle 15, dopo i saluti del presidente Ferrari e dei rappresentanti della sezione di San Lorenzo in Banale, il direttore dell’Apt Paganella Dolomiti Luca D’Angelo presenterà il primo studio trentino sull’accesso al lago di Molveno, basato su un modello di gestione dei flussi turistici attraverso la metodologia data driven. Venerdì 19 settembre, invece, ci si sposterà in val di Fiemme. Alle 15, nella sala conferenze del Palazzo della Magnifica comunità di Fiemme di Cavalese, sotto la lente finirà il senso del limite «nella frequentazione della montagna», con gli interventi di Christian Girardi di Trentino Marketing, dell’imprenditore alberghiero Michil Costa e del presidente delle Acli Walter Nicoletti, ai quali seguirà una tavola rotonda che vedrà la presenza dello scario della Magnifica comunità di Fiemme Mauro Gilmozzi, del direttore del Parco Adamello Brenta Matteo Viviani, della direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela, di Simone Elmi (Collegio guide alpine), di Enzo Bassetti (Unione albergatori) e dell’architetto Beppo Toffolon. «La capacità di carico turistica precisa la Sat rappresenta un indicatore fondamentale per valutare la sostenibilità delle attività turistiche in territori fragili come quelli montani». Capacità, prosegue il sodalizio, che può essere fisica (il numero massimo di persone che un territorio può accogliere), ecologica (il limite oltre il quale la pressione antropica danneggia ecosistemi naturali e biodiversità), economica (l’equilibrio tra sviluppo turistico e accesso equo alle risorse da parte dei residenti), sociale e culturale (la soglia oltre cui la presenza turistica altera negativamente la vita delle comunità locali). «Comprendere e misurare questi limiti riflette il sodalizio è oggi più che mai cruciale per garantire un turismo responsabile, pianificato e duraturo, soprattutto in un contesto di cambiamenti climatici, pressione antropica crescente e trasformazioni socioeconomiche dei territori alpini». In questo senso, spiega la Società degli alpinisti tridentini, il congresso «vuole essere un’occasione concreta per avviare una riflessione condivisa sul futuro del turismo in montagna e promuovere una gestione integrata e partecipata del territorio». Ma anche per «fornire strumenti operativi per le istituzioni, gli enti locali, le associazioni e gli operatori turistici» e per «stimolare un confronto pragmatico e multidisciplinare grazie al contributo di tecnici, esperti e ricercatori, sia trentini che provenienti da altre realtà alpine nazionali e internazionali». Nessuna intenzione di elaborare «ricette universali», mette in chiaro il sodalizio guidato da Cristian Ferrari: l’intento del dibattito è quello di cercare «proposte concrete, contestualizzate e collaborative su cui lavorare insieme in sinergia territoriale». Il confronto proseguirà dunque a ottobre, a San Lorenzo Dorsino, con un congresso che vedrà tra gli altri gli interventi del direttore dell’Alpenverein Südtirol Cristian Olivo e dello scrittore Marco Albino Ferrari, il quale nell’ambito della due giorni presenterà anche il suo ultimo libro «La montagna che vogliamo. Un manifesto».
L’Adige|27agosto2025
p. 10
«Nonsopravvalutatevieinformatevi»
IlpresidentedellaSatFerrarichiedeautocriticaemassimaattenzionequandosivainquota
Già 15 le vittime sulle vette trentine negli ultimi tre mesi e il soccorso alpino riscontra un aumento degli interventi del 20%. Bisogna attrezzarsi al meglio per le escursioni «Molti turisti non comprendono le difficoltà dei percorsi e trascurano il fattore meteorologico, a ciò si aggiungono zaini preparati male e scarpe inadatte ai terreni impervi»
La conta delle vittime delle montagne trentine da inizio giugno è arrivata a 15. L’ultimo a perdere la vita è stato il settantacinquenne emiliano Luigi Valtancoli che domenica scorsa è precipitato mentre scendeva dal rifugio Vioz, in val di Sole. Il boom del turismo in montagna si sta portando dietro anche un aumento degli incidenti e a livello nazionale il Soccorso alpino riscontra un aumento del 15-20% degli interventi. Dall’inizio dell’estate, la serie di dipartite continua costante e la situazione non trasmette serenità.
Chi da sempre si occupa di alpinismo ed escursioni, come la Sat, conosce profondamente le montagne trentine e crede fortemente nella prevenzione e nell’istruire i frequentatori delle montagne ad affrontare i sentieri in sicurezza.
Non è dunque un caso la decisione di dedicare il 127° Congresso della Sat, organizzato dalla Sezione di San Lorenzo in Banale per i prossimi 18 e 19 ottobre, ad un tema di grande attualità e rilevanza per le aree montane: la capacità di carico turistica. Essa comprende diverse dimensioni come la capacità fisica, ossia il numero massimo di persone che un territorio può accogliere senza compromettere infrastrutture e servizi e la capacità ecologica, limite oltre il quale la pressione antropica danneggia gli ecosistemi naturali e la biodiversità. Va tenuto conto anche dell’equilibrio sociale ed economico che si deve mantenere tra lo sviluppo turistico e l’accesso equo alle risorse da parte della popolazione residente. Questa attività è solo una parte dell’operato della Sat e il presidente Cristian Ferrari fornisce una panoramica più approfondita sugli ultimi avvenimenti che stanno scombussolando il Trentino. Presidente, cosa si può fare per migliorare la sicurezza sulle nostre montagne?
«La questione principale è la sopravvalutazione delle proprie capacità. La sicurezza di molti escursionisti è minacciata più da una mancanza di preparazione che dalla pericolosità in sé delle montagne».
Cosa fate come Sat e cosa può fare il turista medio per prevenire i pericoli?
«Noi informiamo tanto. Cerchiamo sempre di ricordare la bellezza della montagna ma che percorrerla non è una banalità. Purtroppo le informazioni che diamo restano nel territorio e i turisti provenienti da fuori regione sono più impreparati. Molte persone non comprendono le difficoltà dei percorsi e trascurano il fattore meteorologico. C’è chi non sa farsi uno zaino adeguato per affrontare l’ambiente montano e chi utilizza calzature inadatte. Questa componente di impreparazione nell’affrontare la montagna si somma al fatto che diverse zone non sono ancora facilmente raggiungibili da comunicazioni telefoniche».
Se dovesse puntare un dito contro qualcuno, a chi si rivolgerebbe?
«Uno dei maggiori problemi è quello dei social. Tra siti, influencer e cattiva comunicazione per avere visibilità, alcuni percorsi vengono resi facili ma in realtà non lo sono. Il turista vedendo luoghi splendidi attraverso le foto vuole andare in quei posti, ma non conosce il percorso. Per esempio Cima d’Asta è stata descritta come una meta facile, quando in realtà il percorso è lungo (3 ore) e con un cospicuo dislivello. Alcune informazioni vengono omesse e questo può portare ad affrontare dei sentieri complicati per le proprie capacità».
A proposito di sentieri, novità per quelli chiusi nella zona di Cima Falkner a fine luglio?
«Non ci sono novità. Rimarranno ancora chiusi, verosimilmente fino alla fine dell’anno».
Quali sono gli obiettivi della Sat tra i recenti e i futuri appuntamenti? «Domenica si è conclusa la “Settimana della montagna” a Malè che ha visto un’elevata partecipazione. È stata un’occasione per permettere alle associazioni del territorio di trasmettere informazioni ai turisti. Ricordando che la montagna non è statica ma mutevole, l’anno prossimo chi torna potrebbe trovare paesaggi leggermente diversi. Anche il congresso di ottobre, ha l’obiettivo di stimolare un confronto multidisciplinare: portando le opinioni degli operatori locali, avviando una riflessione condivisa sul futuro del turismo in montagna, promuovendo una gestione integrata e partecipata del territorio e fornendo strumenti operativi per le istituzioni, gli enti locali e gli operatori turistici».
Venerdì 5 settembre a Trento verrà anche presentato dal direttore del Apt Paganella Dolomiti Luca D’Angelo il primo studio eseguito in Trentino sulla capacità di carico turistica di un territorio montano. Per l’accesso al Lago di Molveno ci si è basati su un modello di gestione dei flussi turistici attraverso metodologia data driven.
NOTIZIEDAIRIFUGI
CorrieredelleAlpi|8agosto2025
p. 18
LagoSorapiss,losfogodiPais«Quièilcaos,l'Unescociaiuti»
la denuncia
Alessandro Michielli
Emilio Pais Bianco, gestore del rifugio Vandelli da 26 anni, più di tutti sa cosa significa affrontare l'overtourism. Una situazione che vive quasi ogni giorno essendo a pochi metri dal lago del Sorapiss, anche in una stagione dove il turismo di montagna pare avere subito una certa flessione, dovuta all'assenza di numerosi alpinisti sopratutto italiani. Con il ritorno del bel tempo, sono tanti i curiosi che hanno raggiunto il lago color indaco incastonato nelle Dolomiti ampezzane. Ma con loro, purtroppo, è arrivata anche tanta maleducazione: «Negli ultimi giorni sto sentendo di tutto sull'overtourism», afferma Emilio Pais Bianco, «ma il vero problema di oggi – oltre ai canali social, Instagram e Facebook, che hanno contribuito a creare questa situazione – è l'atteggiamento dell'Unesco. Dopo la propaganda che ha fatto sulle Dolomiti, aumentando così la presenza dei turisti, ora dovrebbe prendere provvedimenti per contrastare certi comportamenti». Situazione fuori controllo Pais Bianco descrive una situazione fuori controllo, senza colpevolizzare le forze dell'ordine: «Per prima cosa veniamo raggiunti da troppa gente», prosegue il gestore del rifugio Vandelli. «E poi, molte di queste persone sono maleducate. Questa è una critica costruttiva, ben vengano i turisti ma devono sapersi comportare in maniera adeguata. I controlli vengo eseguiti: ci sono i Carabinieri forestali e abbiamo la presenza delle Regole d'Ampezzo: so che il personale è limitato, ma fanno quello che possono. Le Regole hanno assunto tre nuovi ragazzi che vengono su da noi almeno tre volte alla settimana», prosegue, «ma non possono sanzionare le persone per atti scorretti e non possono fermare i droni, nonostante ci sia un divieto. Allo stesso modo non possono sanzionare i turisti che si accampano nei pressi del lago». Problema rifiuti: «Sorveglianza h24» «Il vero problema non sono le tende», aggiunge Pais Bianco, «ma tutta la sporcizia che lasciano attorno al lago e nei pressi del rifugio. I droni sono un altro fastidio che non trova soluzione. Poi ci sono ragazzi che
accendono il fuoco anche se è vietato e, mai come quest'anno, che tengono alta la musica, disturbando tutti quando si dovrebbe rispettare la natura, le persone e chi lavora». «Servirebbe una sorveglianza h24 da parte di qualcuno», dice. «Le Regole non possono di certo farlo, i Carabinieri non possono permetterselo, altri enti non ci sono e quindi non possiamo dare la colpa alla sorveglianza». «L'Unesco deve darsi una mossa», aggiunge. «Come hanno sponsorizzato il patrimonio dei luoghi, devono anche aiutare a preservarli e mantenerli, altrimenti non valgono niente. La propaganda sulle bellezze di queste zone è stata fatta: ora proseguano puntando sull'educazione da tenere in tutti i luoghi, non solo in montagna».
MontagnaTV|8agosto2025
https://www.montagna.tv/260542/i-turisti-allontanano-i-normali-frequentatori-delle-dolomiti/
IturistidaunafotoeviaallontananoinormalifrequentatoridelleDolomiti
Pubblichiamo la lettera di Steffie Rogger, rifugista delle Dolomiti, che denuncia i problemi anche in termini di presenze e pernottamenti, causati da un overtourism tutto sommato limitato a poche località
Quasi ogni giorno vengono pubblicati articoli – sia sulla stampa sia online – in cui si afferma che le Dolomiti sarebbero ormai irrimediabilmente sovraffollate. Attualmente si parla in particolare di Seceda, del Lago di Braies e delle Tre Cime di Lavaredo. Tuttavia, questa narrazione continua contribuisce a creare un’immagine fortemente distorta della realtà.
Vero, nei mesi estivi, le immediate vicinanze dei classici “fotospot” sono molto frequentate. Ma si tratta quasi esclusivamente di visitatori e visitatrici che arrivano per scattare il famoso selfie, per poi lasciare il luogo dopo poche ore… talvolta addirittura dopo pochi minuti.
Ciò che viene completamente ignorato è il fatto che le Dolomiti offrono una vasta rete di sentieri tranquilli e solitari, percorribili con piacere per tutta la stagione estiva, ben lontani dalla folla. I percorsi più lunghi e tecnicamente più impegnativi risultano affollati solo in alcuni giorni isolati e anche in quei casi solo in determinati tratti.
Noi gestori di rifugi notiamo da diversi anni una tendenza preoccupante: molti escursionisti e alpinisti veri evitano consapevolmente la zona, convinti che “tanto ovunque è pieno”. Non distinguono più tra gli hotspot sovraffollati e l’ampia offerta di sentieri meno battuti e finiscono quindi per tenersi alla larga dall’intera regione.
Nasce così un effetto paradossale: in realtà, dovrebbero essere proprio gli escursionisti e le escursioniste, gli alpinisti e le alpiniste a riempire i parcheggi, occupare i letti nei rifugi e contribuire a sostenere il turismo, sottraendo spazio al fenomeno del “selfie-tourismo”. Ma questo pubblico attento, rispettoso e consapevole arriva sempre meno, scoraggiato dalla costante immagine mediatica di un territorio totalmente preso d’assalto. Il risultato è che proprio i “turisti mordi e fuggi”, attratti solo dalla foto che cercano, trovano più facilmente accesso, parcheggio e posto letto. Si innesca così un circolo vizioso, dove i visitatori e le visitatrici interessati alla qualità dell’esperienza in montagna vengono progressivamente spinti lontano da questi luoghi.
La narrazione mediatica contribuisce quindi, ad aumentare il problema che denuncia. Gli appassionati della montagna che cercano natura, silenzio ed emozioni ne restano lontani. A rimanere sono spesso solo i turisti da “sensazione” o da “Instagram” con un impatto poco sostenibile, sia sul piano ecologico che economico.
Non possiamo permetterci di svalutare questi gioielli naturali con una comunicazione a senso unico. È fondamentale che il futuro del giornalismo sia più accurato e coerente, non solo per offrire un’informazione più completa, ma anche e soprattutto per rendere giustizia al vero carattere di questa regione unica, prima che la sua autenticità venga compromessa in modo irreversibile.
Steffie Rogger
L’Adige|24agosto2025
p. 30
Ladispersionedeirefluiraddoppia
VIGO DI FASSA
L’estate è quasi finita, in quota il carico di turisti è stato notevolissimo, ma soltanto il 19 agosto la Sat ha depositato in Provincia la richiesta di autorizzazione al cambio di coltura a scopo infrastrutturale della p.f. 1750/1 in Val de Ciampac, a Vigo di Fassa, per realizzare in un’area boschiva di circa 50 mq (che sarà sacrificata) una «nuova trincea disperdente temporanea per lo smaltimento delle acque reflue, preventivamente trattate, prodotte dal rifugio alpino Roda di Vael e dalla Baita Marino Pederiva». La notizia emerge dalla determinazione firmata nei giorni scorsi dal dirigente del Servizio Foreste Giovanni Giovannini, che ha dato il via libera alla trasformazione del suolo dopo l’okay del Comune, dell’Azienda sanitaria e di altri uffici provinciali: l’intervento previsto comporta la realizzazione di una nuova trincea disperdente, necessaria per accrescere la capacità di smaltimento della trincea già esistente a valle di quella in progetto e finita più volte al centro delle polemiche, perché appunto insufficiente al punto che i reflui dei due rifugi hanno più volte contaminato l’acqua potabile delle frazioni di Tamion e Vallongia, determinando un paio di anni fa anche forti malesseri in decine di persone, con denunce che hanno portato a un decreto penale di condanna a carico solo dei rifugisti interessati. Una questione che non si è chiusa lì, dato che l’architetto Armando Loss (che ha un piccolo B&B proprio a Tamion) si è fatto promotore di numerosi esposti alle forze dell’ordine e alla magistratura (gli ultimi tra luglio e agosto di quest’anno) sugli scarichi nell’ambiente e ha portato il caso anche in tv, prima a “Report” e poi anche su Orf, che il 4 agosto ha fatto un lungo servizio sul problema, documentando come nel suolo in quei giorni fossero visibili resti di escrementi. La nuova trincea, secondo il progetto presentato, dovrebbe proprio regolarizzare la situazione in attesa che entri in funzione la nuova fognatura che, dopo tante richieste e polemiche, è in fase di costruzione a servizio delle due attività e che dovrebbe essere terminata entro l’anno per poi essere messa in esercizio nel 2026. I due sistemi drenanti (quello autorizzato nel 2021 e quello nuovo) saranno collegati da una tubazione di “troppo pieno” ottenendo così due punti di smaltimento: «Un pozzetto di controllo sulla trincea esistente - si legge nella determinazione - nel caso in cui la capacità di dispersione dei terreni delle due trincee risultasse compromessa, consente l’intervento di ditte specializzate nelle attività di spurgo e conferimento alla depurazione dei reflui». Si tratta comunque di un sistema “precario”, limitato alla stagione 2025 (c’è in effetti ancora l’inverno sciistico da considerare), in quanto appunto il prossimo anno dovrebbe entrare in funzione il sistema fognario definitivo. Il progetto presentato nei giorni scorsi è stato accompagnato da una relazione idrogeologica che certifica come l’ubicazione della nuova trincea disperdente - concordata a seguito di sopralluogo tra la Sat e il
Servizio Geologico - «non va ad interessare la zona di protezione idrogeologica della sorgente Ciarlonch 10750». Basterà, a evitare nuove teste?
CorrieredelleAlpi|24agosto2025
p. 19
Hafesteggiatoi20anniinValFiorentina
«NonsiamoalberghiLapoliticastabiliscalamissiondeirifugi»MarioFiorentini
Mario Fiorentini festeggia, quest'estate, i primi 20 anni di gestione del Rifugio Città di Fiume. Nel 2005, quando era ancora socio di Arcanda, si trovò a collaborare ai lavori di riqualificazione della struttura promossi dalla Sezione Cai che dà il nome al rifugio stesso. Iscritto al corso di laurea in Scienze forestali ancora nel 1990 ha iniziato ad occuparsi di educazione ambientale e successivamente come Guida naturalistica della Regione Veneto. Appassionato di montagna, istruttore di scialpinismo del Cai, si innamora del sito e di questa singolare attività. L'intervista «Non possiamo diventare degli autogrill. Neppure dei ristoranti per delle élite che pretendono l'aragosta, magari portata dal mare in elicottero la mattina stessa». A sbottare è Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume, in faccia al Pelmo, in Val Fiorentina, ma territorio comunale di Borca di Cadore. Fiorentini è stato per anni il presidenbte regionale dell'Agrav, l'Associazione dei gestori dei rifugi alpini del Veneto. La mission del rifugio alpino in sostanza qual è? «Ce ne sono circa quaranta sulla montagna veneta, in gran parte del Cai. La loro mission non è quella di fare fatturato, ma di dare ospitalità all'escursionista. Se ti arriva il viandante di turno, lo lasci fuori dalla porta perché magari sei al completo? Ovviamente lo accogli, sapendo che altrimenti troverebbe da mangiare o da dormire solo dopo una o due ore di cammino. E magari fuori piove. Allora un panino o una fetta di torta, questi la trova...». Ma non può pretendere l'aragosta... «Né la camera con il bagno. Né la doccia, magari con l'acqua calda, dopo che hai preso la pioggia arrivando dal rifugio precedente. Nei giorni delle recenti precipitazioni, in rifugio abbiamo sì accettato decine di escursionisti bagnati fradici, ma abbiamo potuto mettere a disposizione solo le stufe per asciugare i panni». Eppure c'è stato chi pretendeva ben altro servizio ad alta quota. «Appunto. Ecco perché è necessario che la politica, il Parlamento o la Regione adottino dei regolamenti, con chiarificazioni precise, che puntualizzino che cos'è un rifugio alpino. Altrimenti ogni giorno è uno stress a spiegare che non possiamo corrispondere a tante pretese». Stress perché? Operate in un ambiemte di tutt'altre tensioni. «Come? Stress sì. Perché si pretende di tutto, come al ristorante, e si protesta perché non lo si trova. Tante volte con seguito di insulti, anche perché magari si è costretti a fare la coda o si arriva tardi con la pietanza». Ma precisamente che cosa rivendicate a Venezia o a Roma? «Il titolo di rifugio dev'essere dato solo alle strutture che hanno questa caratteristica. Una discriminante? Una fra le tante: al rifugio si arriva a piedi. Gli altri sono ristoranti». Attenzione, però: all'Auronzo si arriva in auto o in pullman eppure è un rifugio alpino del Cai. «Anzi, tra i più blasonati. Ma per l'Auronzo vale un altro discorso, complesso. In ogni caso sia chiaro che noi rifugisti classici non condanniamo coloro che fanno scelte diverse, magari appunto assicurando il pesce fresco ogni giorno. E il titolare di rifugio, essendo imprenditore, quindi facendo business, è comprensibile in queste sue scelte». Il "cliente", pardon, l'ospite capisce questa differenziazione? «L'escursionista classico sì. Quello improvvisato, non sempre. Dovremmo riuscire a educare a una nuova mentalità che scaturisca da questo presupposto culturale: non è il rifugio di montagna che deve adattarsi all'ospite, ma quest'ultimo che si adatta al contesto in cui, appunto, si trova
come ospite, non come mero consumatore che, poiché paga, si sente in diritto di chiedere tutto. Deve sapere che il rifugio alpino ha limiti ben precisi». Anche questa inconsapevolezza è il risultato dell'overtourism? «Non generalizziamo, però è vero: in quota stanno arrivando persone che, attirate magari dai social, non hanno idea di dove sono. E che ti chiedono le cose più strampalate. Manca, insomma, la formazione su cui fino a qualche anno fa poteva contare chi saliva in montagna. Oggi ci si improvvisa. È vero, vediamo molti più giovani, anche ragazzi, ma già dall'abbigliamento comprendiamo che ignorano le precauzioni da avere in un ambiente che richiede più attenzione di una'vasca'in città». La stagione come sta andando? «Era partita benissimo. Il maltempo ha rallentato i flussi. Ma il bilancio conclusivo sarà senz'altro positivo. Possiamo ben dire che gli stranieri costituiscono ormai l'ossatura della nostra ospitalità. Durante la settimana rappresentano il 90% dell'accoglienza. Arrivano da ogni parte del mondo. In grande spolvero gli americani e i canadesi. Ma abbiamo cominciato a vedere persino gli arabi, oltre agli orientali (sudcoreani, cinesi, australiani, neozelandesi). È un mercato, quello straniero, molto importante, perché si affida alle prenotazioni, fra l'altro da un anno all'altro». Lo straniero può garantire anche la destagionalizzazione? «Mi permetta: perché il rifugista deve tenere aperto a ottobre, se gli altri servizi chiudono già con l'inizio dell'anno scolastico, quindi ai primi di settembre? Le potenzialità ci sarebbero tutte. La Dmo fa bene a puntare sui cinesi per l'inizio dell'autunno. Ma gli ospiti troveranno, ad esempio, i mezzi pubblici per il trasporto? E per quanto riguarda i rifugi più in quota, ci sarà ancora la disponibilità di acqua per la stagione allungata? Il personale chi ce lo paga se nel corso della settimana gli ospiti si ridurranno al minimo? Ecco, dovremmo poter contare su agevolazioni normative e fiscali. Tali, appunto, da incentivare all'apertura». Quanto è dura la vita di un rifugista? «In effetti, non solo dobbiamo attendere a tutte le esigenze dell'ospitalità, ma anche essere esperti in sicurezza di montagna, in paesaggio e geologia, ma dobbiamo spesso improvvisarci idraulici, falegnami, elettricisti. Se gestisci un ambiente che dista quattro ore di cammino dal fondovalle è evidente che devi saperti arrangiare. Tuttavia la vera competenza risiede nella capacità di gestire le situazioni di crisi, gli imprevisti, non necessariamente nella capacità di risolvere direttamente il problema dal punto di vista tecnico Senza contare che ogni stagione di più, devi magari imparare una lingua nuova. Non puoi fare a meno dell'inglese, ma meglio se conosci anche il tedesco». A proposito è vero che i tedeschi da due anni non costituiscono più la comunità maggioritaria che frequenta le terre alte? «Se ne vedono sempre di meno, invece sono cresciuti i polacchi. L'Alta Via nr.1, lungo la quale il città di Fiume di trova, è davvero un termometro di come, di anno in anno, stia variano l'Universo Dolomitico». Gli Israeliani sono così numerosi come nel recente passato? «Hanno dato forfait, quest'anno, per evidenti motivi. Avevano prenotato, ancora dall'estate scorsa, ma poi hanno disdetto». Torniamo al ruolo del gestore: questi insomma, deve saper fare di tutto? «Non bisogna improvvisarsi tuttologi ma saper gestire la transizione tra quando si presenta il problema e quando le condizioni consentono di risolverlo definitivamente. Per questo è importante la formazione, ma lo è altrettanto l'esperienza, come in tutti i lavori: la scuola, i corsi di formazione, ti possono fornire le chiavi, saperle utilizzare richiede pratica»
EDITORIALIEDINTERVISTE
L’Adige|10agosto2025 p. 10
«Inmontagnasitornialsilenzio»
ReinholdMessner:regolamentareipassienoalturismopicnic
FABRIZIO FRANCHI
Reinhold Messner ha sempre un pensiero acuto sul tema della montagna. Non vuole entrare nella polemica sulla Fondazione Dolomiti Unesco, ma spiega che a suo avviso la montagna deve restare libera, anche se con qualche regolamentazione per le zone più affollate. Secondo lei quindi l’accesso alla montagna va lasciato libero? «Sì, la montagna deve essere libera, dove comincia davvero. La montagna oggi è meno affollata di 30 anni fa. Dove non ci sono infrastrutture la folla non arriva. Sui sentieri più alti c’è poca gente. Il problema è alle Tre Cime di Lavaredo. Ad Auronzo di Cadore. Lì bisogna fare qualcosa. La proposta più chiara è quella di fare salire la gente con la navetta». Quindi non c’è un problema di “overtourism”? «No. I problemi sono in due, tre, punti a causa soprattutto degli influencer che spingono colonne di persone che vanno finché c’è una infrastruttura che li porta. Ad Auronzo c’è un enorme parcheggio a 2300 metri di altitudine e si muovono su una strada larga. Lì arrivano e camminano in migliaia, ma questo non è segno di libertà. La montagna è silenzio. Però queste sono eccezioni. Gli influencer ad esempio in val di Funes hanno fatto nascere un “turismo picnic”, ma è un turismo che serve per un selfie, non dà niente. Non lasciano niente, se ne vanno senza aver speso. Io da anni propongo che i passi dolomitici devono essere controllati, senza traffico che rovina i valori della montagna: il silenzio, il paesaggio perfetto, non dominato dai grandi alberghi». Servono decisioni dei politici... «Le tre province, Belluno, Südtirol e Trentino, devono mettersi d’accordo per regolare questi flussi. Il turista che viene dalla Germania, viene in macchina perché è più semplice. Allora bisogna pensare a sistemare le auto sottoterra durante la settimana e il resto della mobilità farla con le navette. E poi, con il passo lento del camminatore i turisti possono ritrovare il fascino delle Dolomiti, il silenzio, trovare dei fossili con i pesci, perché le Dolomiti sono nate nel mare. Auto private e moto devono essere parzialmente fermate prima». Insomma, l’overtourism non è un vero problema... «Lo scempio è su alcuni passi, pieni di macchine. Ma oggi la gente è diminuita e non spende nei rifugi e nemmeno nei ristoranti. Quest’anno il turismo è calato. L’overtourism forse era ieri. Ma non è intelligente gridare “turisti go home”. Noi dobbiamo offrire il massimo possibile lo storytelling, abbiamo la responsabilità di dare alle Dolomiti quel silenzio e quel fascino di cento ani fa quando il turismo è cominciato con i nobili della città, quando è cominciato il turismo di classe. Oggi abbiamo la possibilità di dare ai turisti una delle zone con più fascino, le Dolomiti sono le montagne più belle del mondo». Secondo lei non c’è un problema culturale? Non bisognerebbe istruire i turisti? «Il problema è internet, che non è sempre positivo. Noi a casa Messner (il Messner Mountain Museum ndr) facciamo iniziare un percorso. Perché voglio lasciare alle generazioni future i miei valori nei confronti della montagna: il rispetto, anche l’esperienza. Avremo installazioni con una serie di maschere, con quadri di un nepalese. Vogliamo fare capire che cosa c’è dietro la maschere, che anche in rete vengono usate per mandare odio». Una metafora della situazione... «Certo. Ci sarà anche una installazione con centinaia di pecore, fatta da un mongolo che ha usato ossa delle pecore, con un lupo in acciaio che va in caccia delle pecore. La settimana prossima avremo un evento, verrà anche la consigliera Brigitte Foppa, per discutere come possiamo fare per tenere i lupi sotto controllo, perché altrimenti i contadini abbandonano i masi e il nostro paesaggio rischia di diventare diverso. Bisogna trovare un equilibrio. Il turista può entrare ma non ha diritto di distruggere. Le moto sono una cosa terribile. Quando sono sui passi fanno un rumore terribile, così forte che chi è in cordata in parete non sente i compagni. Dobbiamo tutti insieme discutere che cosa fare». Secondo lei la Fondazione Dolomiti Unesco è utile? «Non lo so. Non voglio dire. Io
faccio la mia parte. Noi facciamo quello che dovrebbe fare la Fondazione. Forse serve una collaborazione, specialmente a livello politico. Vorrei che si mettessero d’accordo tutte le tre le zone: il bellunese ha Dolomiti fantastiche, il Südtirol anche le Tre Cime, i trentini hanno la Brenta. Perché non ci mettiamo d’accordo per salvare il patrimonio?».
CorrieredelTrentino|10agosto2025
p. 5
Adessoètempodiscoprireunaltroturismo
ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI
Quest’anno abbiamo poi anche la moltitudine in fila per raggiungere gli impianti che portano alla cima del Seceda, rallentata dal molto contestato tornello perché obbliga a pagare 5 euro a persona piazzato lungo il percorso dai proprietari del terreno. Che lo giustificano con ragioni abbastanza condivisibili. Ogni sera ci sarebbero da raccattare cartacce, bottiglie e bicchieri di plastica, avanzi di cibo, spazzatura, insomma, abbandonata dai gitanti. E pulire costa. È l’overtourism di casa nostra che ha generato il fatale tornello, diventato argomento estivo di discussione e di conversazione. Ovvio, la montagna, il Seceda in questo caso, è di tutti e nei mesi di grande caldo famiglie, parenti, amici vorrebbero salire in alto dove fa fresco. Ma è un piacere farlo in simili condizioni? Il volgare tornello e gli ancora più volgari 5 euro sviliscono la montagna che è nobile e splendida? Non c’è dubbio ma purtroppo ci siamo già un poco abituati perché anche al lago di Braies si paga o, meglio, il lago è gratis ma si paga (abbastanza) il parcheggio. Del resto, se non si paga, ponendo forse un freno al numero di visitatori, i luoghi così percorsi da migliaia di piedi, nostri luoghi sacri in un certo senso, tramandatici meravigliosamente intatti attraverso le generazioni, morirebbero, sia pure di morte lenta, strisciante. Togliere alle Dolomiti, come proposto dal Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici, il riconoscimento dell’Unesco che mostra urbi et orbi le straordinarie attraenti bellezze di queste nostre montagne potrebbe ridurre il numero dei turisti? Chissà. Forse. Certo è che il gesto fa pensare a una bellissima donna che, per allontanare dei corteggiatori fastidiosi si imbruttisce, trascurando l’abito, il trucco e la pettinatura. Rischiando di restare sola. Chi ancora non avesse deciso dove passare Ferragosto lasci perdere Venezia, Firenze, Roma, si dimentichi di Capri, di Napoli e delle Cinque Terre, del Seceda e della valle di Braies. Ci si andrà un’altra volta, in un’altra stagione. Nel frattempo, ci sono, in Italia innumerevoli luoghi magnifici, piccoli centri con chiese, monasteri, castelli, monumenti e intorno natura intatta, dove nessuno o pochi vanno. E che di solito costano meno. Chi se lo può permettere perché abita in una casa fresca, magari in luogo silenzioso con una bella vista potrebbe invece dire: io a Ferragosto me ne sto a casa.
CorrieredellaSera|10agosto2025
p. 20
«BeneituristiinquotaManonsalitesuimontisoloperfarviunselfie»
GAIA PICCARDI
È in vacanza sulle Dolomiti, nella zona di Arabba. Non è la sua Santa Caterina Valfurva, in Valtellina, dove la famiglia gestisce la Baita Fiorita, base di partenza delle prime escursioni con i fratelli, Jacopo e Yuri. Però è montagna. Dalla forza dei monti, Deborah Compagnoni ha sempre attinto ispirazione nello sci e nella vita. Da lì la campionessa dei tre ori olimpici e mondiali è partita. Lì ritorna anche nell’estate dell’overtourism, il malcostume che Compagnoni smonta pezzo per pezzo. Deborah perché quest’anno la montagna è stata presa d’assalto? «Il motivo è banale: i social. Ma alla base di tutto c’è la mancanza collettiva di cultura della montagna. Una volta il concetto era: vado per esplorare e trarre benefici dall’ambiente; c’era preparazione, rispetto, quasi un timore reverenziale nei confronti delle vette più leggendarie. Oggi in montagna si va per fare vedere agli altri che si è andati lì, proprio lì. Non ci si prepara, non ci si guarda più nemmeno intorno. Salgono sulle Tre Cime di Lavaredo, fanno una foto da postare, scendono». Un po’ triste. «Non serve a niente vivere la montagna così». A Santa Caterina come va? «Un po’ meglio che altrove ma anche da me ci sono due o tre rifugi assaliti, sempre gli stessi. L’overtourism si concentra nei posti più social e popolari. E intorno, magari, ci sono luoghi bellissimi e molto altro da vedere e vivere». Il suo modo di frequentare la montagna è cambiato? «Proprio per niente. Non mi interessa mettere la bandierina, la faccia, fare il post. Queste attenzioni modaiole mi preoccupano un po’ ma dal punto di vista egoistico per me e la mia famiglia non è cambiato nulla». I suggerimenti e le idee per limitare l’assalto alle vette la convincono? «Mah, i passi alpini ci sono sempre stati: è inutile chiuderli alle auto. Inizierei a lavorare sulla promozione turistica: spingere la montagna nei periodi non convenzionali potrebbe essere un inizio. Anche l’avvicinamento ai monti va gestito. Una volta gli impianti aperti d’estate erano pochissimi, ma vai a dire al gestore di chiudere ad agosto... Io credo che, a lungo andare, la gente capirà da sola». Capirà cosa? «Che a furia di code, disagi, attese e affollamento bisogna cambiare posto, o periodo. Le cose torneranno in equilibrio. Qualche regola servirebbe ma le regole, in primis, dobbiamo darcele da soli». La sua vacanza ideale? «Se posso, vado a ottobre. E sempre dove c’è un rifugio. Ma la montagna non è solo salire in funivia per mangiare al ristorante. Si può andare con la merenda al sacco, fare la gita e tornare indietro. I modi per vivere la montagna in modo più sano ci sono. Basterebbero un po’ di informazioni e di consapevolezza». Non se le informazioni le fornisce l’influencer, forse. «Rivolgersi alle persone competenti è importante: nessuna guida alpina consiglierebbe di affrontare un sentiero in infradito o un trekking in quota con l’abbigliamento inadeguato. Cultura significa informarsi, chiedersi: perché ho scelto proprio quella montagna? Vedo molta superficialità nelle scelte, invece». Intanto, aspettando che l’essere umano rinsavisca, la montagna soffre. «Mi unisco al grido di dolore di Federica Brignone: i ghiacciai sono ridotti malissimo, in un mondo in cui ogni luogo è diventato più accessibile la gente arriva dappertutto. Gli stranieri in quota sono aumentati moltissimo. È un bene, in assoluto: certe valli soffrivano, il turismo è ripartito dopo il Covid. Sono ancora in sofferenza le località più basse, a 6-700 metri, dove gli italiani andavano in vacanza cinquant’anni fa. Non sono più di moda. È un peccato: gli accompagnatori di mediamontagna conoscono luoghi bellissimi, fuori mano, lontano dai soliti itinerari battuti». Una volta in montagna si andava per camminare o sciare. A una purista come lei, le mille attività nate per attirare il turismo piacciono? «Nulla in contrario a parapendio, mountain bike, downhill o alle bici elettriche, con cui chiunque ormai scala anche lo Stelvio. Le novità sono tante. Io d’inverno scio o vado con le pelli di foca e d’estate cammino». Una vacanza indimenticabile? «Tutte le zingarate intorno a casa, a Santa Caterina, quando con i miei fratelli sgattaiolavamo fuori ed esploravamo i dintorni. Le gite belle, oggi, sono quelle che ti restituiscono un’atmosfera: quando, nella semplicità di ciò che fai, riesci a cogliere la bellezza del posto. Non è il luogo, è l’emozione che ti regala. Perché la montagna è bella dentro, prima che fuori».
CorrieredellaSera|10agosto2025
p. 25
Forseituristiciamanotroppo
BEPPE SEVERGNINI
Sto girando tra libri, montagne e posteggi. Le Dolomiti - Alta Badia, Val Gardena, Cortina d’Ampezzo - sono indiscutibilmente tra i luoghi più belli del mondo (fidatevi di un anziano signore che un po’ di mondo l’ha visto). Ma la pressione turistica è impressionante: ogni slargo, una macchina posteggiata; davanti alla funivie sembra d’essere fuori da uno stadio. Dovunque, sciami di motociclette e bici elettriche. Ieri, in un tornante fra La Villa e San Cassiano, sono stato superato contemporaneamente da due ciclisti, uno a destra e uno a sinistra. Se avessi allargato per far spazio al primo, avrei steso il secondo. «Todo cambia», cantava Mercedes Sosa (che non è un nuovo modello di fuoristrada tedesco). Bisogna accettare il tempo nuovo. Chi viaggia inseguendo i propri ricordi è in cerca di delusioni. Questo non vuol dire rinunciare a pensare. Non fa mai male, neppure d’estate. Prima osservazione. Meno europei occidentali, tra le montagne dell’Alto Adige. Più americani, asiatici e arabi (che non sanno guidare sul Passo Gardena). Noi italiani ci siamo, restiamo poco, ma ci mettiamo entusiasmo. Non è strano che la montagna stia conoscendo questo successo. Per motivi climatici, certo. Ma anche perché un sentiero tra i boschi è gratis. Una spiaggia, spesso, no. Ma quanto durerà? La pressione su alcune località è spaventosa: basta apparire nella pubblicità della Apple, in una serie tv e su certi social per scatenare le folle. Del recente assalto all’Altopiano del Seceda hanno parlato in tanti, ma il problema è più vasto, e si allargherà. L’isteria turistica fa scappare i frequentatori abituali e spaventa i residenti. Non un buon affare. Sono tornato a Ortisei, venerdì. Era terminato un incontro tra gli assessori provinciali del Turismo e della Mobilità, i rappresentanti dei Comuni, le associazioni turistiche locali, il Consorzio turistico Alto Adige, la società Funivie Seceda: stanno cercando di capire cosa fare. Se trovano la soluzione, ce lo dicano. Perché l’Alto Adige, e l’Italia tutta, sono vulnerabili. Più il mondo si complica e si incattivisce - molte destinazioni turistiche sono ormai off-limits - più il nostro Paese appare attraente e accogliente. Il che è magnifico. Ma essere amati troppo può diventare un problema.
L’Adige|11agosto2025
p. 12
«Dolomiti,trovareequilibrioconituristi»
FABRIZIO FRANCHI
Non è una cartolina, ma un termometro. E segna febbre alta in certi giorni d’agosto. Le Dolomiti, patrimonio dell’umanità, rischiano di diventare anche patrimonio del “mordi e fuggi”, mentre continuano a vivere la loro doppia vita: paradiso naturale e calamita per flussi turistici che, nei picchi stagionali, rischiano di piegarne l’equilibrio. Il tema dell’overtourism è tornato a scaldare il dibattito. Ieri ha parlato anche Reinhold Messner, che dalla sua lunga esperienza di alpinista e osservatore privilegiato dice che l’overtourism non è un emergenza, ma vuole più rispetto per la montagna e chiede alle Province di Belluno, Trento e Bolzano - custodi della Fondazione
Dolomiti Unesco - «maggiore collaborazione» e soprattutto «più rispetto per la montagna». Messner parla da uomo che ha visto le creste e le valli cambiare sotto il peso di milioni di passi. Non solo erosione fisica, ma anche “spoliazione” culturale e paesaggistica. Un termine che ha usato anche Alessio Soraruf, gestore del rifugio Castiglioni alle Tre Cime di Lavaredo, quando lancia l’allarme: «Cortina e altre località stanno perdendo pezzi della loro identità. Non possiamo lasciare che la montagna venga svuotata dai fondi di investimento che si stanno comprando pezzo dopo pezzo il territorio». La sua proposta è concreta, ma forse divisiva: una Ztl per le zone di montagna più sensibili, per filtrare i flussi e restituire respiro a luoghi che non sono parcheggi panoramici. In questa cornice, la Fondazione Dolomiti Unesco è finita sotto accusa di alcune associazioni ambientaliste ed è chiamata a un ruolo di regia difficile: proteggere il bene comune e, insieme, tenere conto del diritto al lavoro di chi vive di turismo. L’assessore provinciale di Trento Mattia Gottardi, che siede anche nel consiglio d’amministrazione della Fondazione, smorza i toni: «Non è nelle mie corde alimentare polemiche o attivare botta e risposta su un tema così delicato. Salvo alcune giornate di compresenza tra turisti mordi e fuggi e ospiti delle nostre vallate, credo che l’equilibrio si riesca a trovare. Né la Fondazione né il lavoro dei territori meritano estremizzazioni o paradossi». Per Gottardi, qualità e numeri «possono e devono convivere e i tre territori di Trento, Alto Adige e Belluno già collaborano «molto, sia nella mobilità e nei trasporti, sia nella tutela del patrimonio comune». Le giornate di sovraffollamento esistono, ammette, «ma sono limitate. Tutto è migliorabile, certo, ma non condivido una lettura semplificante che descrive una realtà diversa da quella che viviamo». Sul fondo resta la domanda che Messner e Soraruf sollevano: quanto può reggere un ecosistema fragile di fronte a una domanda turistica in crescita costante, alimentata dalla promozione stessa delle Dolomiti come icona mondiale? Non si tratta di demonizzare il turista, ma di capire fino a che punto la montagna può adattarsi senza snaturarsi. Per Messner il confine è già stato oltrepassato in più punti; per Gottardi è ancora possibile governare la pressione senza strappi. Intanto, fra estate e inverno, milioni di presenze continuano a scandire il calendario, mentre i territori cercano strumenti per dosare l’accesso: dal contingentamento dei parcheggi al potenziamento dei mezzi pubblici, fino alle prenotazioni online per i sentieri più battuti. Progetti che richiedono coordinamento reale. In quota, la linea fra vitalità economica e saturazione ambientale è sottile come una cresta affilata: percorrerla in equilibrio richiede la stessa prudenza di chi sale su una cima, sapendo che ogni passo, se non misurato, può diventare un passo di troppo.
CorrieredelTrentino|12agosto2025
p. 4, segue dalla prima
Montanari...
Walter Ferrazza
È senza dubbio quantomeno disorientante la proposta di togliere alle Dolomiti il riconoscimento Unesco di Patrimonio naturale dell’umanità, per ovviare al problema dell’overtourism. Non fosse anche perché il turismo, in questo momento, è un universo attraversato da tendenze ancora di difficile interpretazione, a volte contrapposte. Basti pensare che quest’estate da un lato i media ci parlano di fenomeni di sovraffollamento, come quelli che interessano città come Venezia ma anche località montane come le Odle, dall’altro ci mostrano invece spiagge meravigliose semivuote in pieno agosto. Vuol dire che una narrazione è vera e l’altra falsa? No. Piuttosto, che
situazioni apparentemente diverse possono convivere, e tocca a noi capirne le ragioni, superando semplificazione e superficialità. continua a pagina 4.
L’impreparato assalto a certe mete turistiche certamente è legato (per trovare una ragione ovvia quanto «vuota») ad esempio alla diffusione delle destinazioni instagrammabili. In tempi meno recenti avremmo definito questo turismo come «mordi e fuggi», alla ricerca affannosa di uno scatto fotografico. Un turismo superficiale, con nessun valore aggiunto. Al tempo stesso probabilmente assistiamo anche a una diminuzione dei flussi turistici o una loro contrazione temporale, in ambiti un tempo preferiti, come le spiagge, per cause che andrebbero analizzate con attenzione, fra le quali si cita spesso la crescita dei prezzi, diventata insostenibile per una fascia consistente della popolazione. Ma potremmo accennare ad altri fattori ancora, che complicano ulteriormente lo scenario. Non possiamo certo trascurare la semplicità con la quale l’intera umanità viaggia più spesso che in passato, e che la crescita complessiva degli standard di vita porta sulle nostre montagne, o nelle nostre città d’arte, turisti da luoghi del pianeta che un tempo erano quasi completamente esclusi dal mercato turistico. Visitatori che spesso non condividono un’idea di montagna selvaggia e incontaminata, quella che noi europei abbiamo, con il Romanticismo, condiviso fin dall’800. Del resto anche tanti turisti «nostrani» hanno preso a cercare, spesso a esigere, comodità o esperienze che con la nostra idea di montagna hanno davvero poco a che fare. Quali sono quindi le possibili soluzioni senza arrivare a fare delle proposte comprensibili solo nell’intenzione ma che probabilmente ci allontanano dal risultato? Intanto non dobbiamo in alcun modo demolire i risultati ottenuti. Il riconoscimento Unesco, come ha sottolineato giustamente la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela, non è un marchio turistico, e se non pone dei vincoli o dei divieti, incoraggia una gestione della montagna orientata alla tutela dell’ambiente e rispettosa degli equilibri naturali, che è quella che anche i parchi come il nostro si sforzano di realizzare. Non a caso, e questo probabilmente è poco noto, non tutti i massicci dolomitici sono inclusi nel Patrimonio Unesco. A essere stati avvantaggiati, all’epoca del riconoscimento, nel 2009, sono stati proprio quelli che godevano di forme avanzate di tutela come nel caso delle Dolomiti di Brenta. Quello che dovremmo sforzarci di fare è invece dar vita a una sorta di «rinascita culturale», investendo in educazione ambientale, conoscenza e comunicazione. Una rinascita che spinga le persone a fare scelte oculate, a non soggiacere alle mode lanciate dagli influencer meno «romantici» (ci sono anche quelli sensibili ai temi ambientali), ma anche a cercare nelle località dove trascorrono le loro vacanze cose diverse da quelle che possono trovare nel centro commerciale sotto casa. Dobbiamo sforzarci di fare proposte in grado di risvegliare il nostro rapporto più intimo con la natura. Non è facile, naturalmente. Ma è possibile. I territori con le loro aree protette devono mostrare in maniera efficace, nelle scuole, e magari anche nei luoghi da cui si originano i flussi turistici, qual è lo scopo del loro lavoro, contrastando il fenomeno dei «montanari della domenica» o «da selfie» non con i divieti, ma con la forza delle proposte alternative. Accanto a ciò, devono rafforzare ulteriormente gli strumenti di intervento che già oggi mettono in campo: la gestione della mobilità, con bus-navetta e parcheggi di attestamento che arginino l’invasione dell’auto privata, o l’organizzazione di eventi che ci avvicinino in maniera corretta alla natura. Ed ancora: dobbiamo far sì che il turista si senta «bene», si senta nel giusto quando approccia in maniera corretta i nostri boschi e i nostri sentieri, rispettando i limiti, ascoltando il proprio corpo, usando abbigliamento adeguato, senza arrecare disturbo alla flora e alla fauna, senza avanzare ai gestori dei rifugi pretese insostenibili. L’importante è spiegare, giustificare e insistere, ma soprattutto farlo assieme.
CorrieredellaSera|14agosto2025
«Selfie,codeeturistiNonèpiùmontagnaEilveroassaltodeveancoraarrivare»
RICCARDO BRUNO
Non era ancora salito a vedere il tornello in cima al Seceda. «Certo che fa impressione, ma me la fanno ancora di più i sentieri qui attorno lastricati con gli autobloccanti». Antonio Montani, architetto e presidente nazionale del Club alpino italiano, si muove un po’ spaesato su questo reticolo di camminamenti «protetti» dal cemento a 2.500 metri, due fili di fettucce in plastica per impedire che la gente invada i campi già tagliati. In questa settimana di Ferragosto sono migliaia i turisti che arrivano ogni giorno fin quassù grazie alla funivia. Colpo d’occhio quasi balneare: baite strapiene con sdraio, ombrelloni e perfino pouf per ammirare comodi la magnifica corona di vette dolomitiche. Tantissimi stranieri, orientali con parasole e sandali, arabi con telefonini in mano, nessuno rinuncia a un selfie. «Questa non è più montagna» è categorico Montani. Poi aggiunge quella che sembra una provocazione ma non lo è: «Il Cai non dovrebbe più occuparsi di luoghi come questi, ma dell’altra montagna. Per evitare che anche lì si verifichino fenomeni di questo tipo». Il Seceda, nel cuore della Val Gardena, con il suo tornello metropolitano piantato da un giorno all’altro dai proprietari dei terreni inferociti dal boom di turisti (5 euro per passare, moltissimi che accettano, istituzioni che non sanno intervenire, perfino l’annunciato cartello che doveva indicare la possibilità di una via alternativa gratuita non è mai stato messo) è il simbolo dell’overtourism di quest’estate. Ma non è l’unico esempio. Il presidente Montani mostra un lungo elenco, con luoghi e cifre, stilato al Cai: Lago di Braies (oltre un milione di visitatori nei tre mesi estivi, effetto partito sulla scia della serie tv Un passo dal cielo ), Tre Cime di Lavaredo (14 mila persone al giorno, il limite per un parco sarebbe di 3 mila), Skyway sul Monte Bianco (in 20 minuti si arriva a 3.400 metri, 250 mila ingressi all’anno), chiesetta di San Giovanni a Ranui (foto iconica con cime alle spalle, tre micro-parcheggi e migliaia di presenze). «In tutti questi casi c’è una strettissima correlazione tra afflussi in massa, strategie di marketing e accessibilità commenta Montani . Chi ora si lamenta dovrebbe fare un esame di coscienza: si tratta di lacrime di coccodrillo, perché tutto questo è stato voluto e cercato. Poi a volte la situazione esplode e diventa fuori controllo». Altra provocazione: «Per trovare posti incontaminati meglio andare in Basilicata o Calabria». Gli impianti (parecchio costosi: al Seceda il biglietto è 52 euro) permettono a tutti di arrivare in quota con facilità e godere di spettacoli mozzafiato. Non è un bene? «Per come la intendiamo noi, la montagna si basa su un rapporto intimo tra uomo e natura, consolidato dalla fatica fisica ribatte Montani . Semmai dobbiamo spingere a far camminare di più le persone e a quel punto si creerebbe una selezione naturale». Obiezione: così molti, per età o altre difficoltà, non potranno permetterselo? «Il bello della montagna è che mette ognuno davanti ai propri limiti. Anche a me piacerebbe scalare il K2, so che non sono in grado e vi rinuncio. Non è obbligatorio che tutti debbano arrivare dappertutto». L’idea di sviluppo seguita in questi decenni è andata poco d’accordo con questa filosofia. Anche qui al Seceda, per disciplinare gli accessi è stato ipotizzato dal prossimo anno il numero chiuso, mentre gli esercenti chiedono anche un potenziamento degli impianti per evitare le code. Dall’alto, poi, non si può non notare un vasto cantiere che spezza il manto verde, un nuovo bacino idrico per l’innevamento artificiale. Tutto questo non sembra turbare i visitatori che si mettono diligentemente in fila per poter scattare la stessa immagine con sullo sfondo il gruppo delle Odle che Tim Cook ha usato per una presentazione di Apple. «Temo che il vero assalto alla montagna debba ancora arrivare
osserva Montani . E creerà sempre maggiori conflitti tra turisti e residenti. Di fronte a tutto questo le comunità locali non hanno alcuna possibilità di difendersi, perché chi arriva compra tutto, è un modello che porta ricchezza per pochi e penalizza chi resta fuori. La conseguenza sarà la disgregazione di comunità che si fondano sulla condivisione e la solidarietà». Il Cai conta 360 mila soci, con una crescita costante di 10 mila all’anno. «Organizziamo escursioni e corsi, investiamo molto nella formazione spiega Montani . Sono però milioni le persone che frequentano la montagna, soprattutto dopo il Covid. Come facciamo a intercettarle?». La prima lezione è questa: c’è un altro modo per godere la natura.