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RIPENSARE L’EDUCAZIONE Quale sguardo per il nostro domani? di Bianca Maria Ventura Parole chiave:
lungimiranza, insecuritas, homo adaptus, homo prospectus, speranza. Si esamina qui un aspetto fondamentale della responsabilità educativa: quello della lungimiranza, resa sempre più difficile dall’incertezza nei confronti del futuro, e si ipotizza che il suo fondamento sia proprio la fedeltà, consapevole e coraggiosa, all’insicurezza che accompagna l’agire educativo. Si ricorda altresì che l’apertura alla dimensione utopica, propria dell’agire educativo, ha bisogno di «ragionevoli» speranze.
1. «Guardare lontano» «Guarda lontano» – esortava Baden Powel – «e, quando credi di guardare lontano, guarda più lontano». La lungimiranza è virtù specifica di chi si occupa di educazione. Nell’agire concreto e a seconda delle circostanze, essa si traduce in attesa paziente ma anche in tempestività di intervento; in fervida immaginazione ma anche in memoria feconda; in cautela e prudenza ma anche in slancio audace e perfino rischioso. Per chi, però, ha coltivato l’illusione del tutto e subito, del massimo guadagno al minimo costo, per noi, donne e uomini del nostro tempo – incerto e stretto tra lusinghe e minacce – guardare lontano è diventato difficile. I giovani soprattutto, chiusi entro un presentismo pretenzioso e deludente, hanno perso ciò
che è proprio della loro età: lanciare avanti lo sguardo, immaginare un luogo che non c’è, desiderarlo così fortemente da saper trasformare il desiderio in progetto, per sé e per gli altri. Condizionati tutti – giovani e meno giovani – dalla cultura del «tutto è possibile, basta volerlo» e dalla cultura dell’alibi «vorrei ma non posso», ci si è lasciati scippare, complici noi stessi, il più naturale degli scenari cui volgere lo sguardo: il
futuro. Le stesse azioni educative di orientamento, che al futuro sono volte, hanno sguardo corto e sono appiattite sulle richieste del mercato, affannate a sviluppare, tra le tante dimensioni dell’essere persona, quelle legate alla produttività, alla concorrenza, all’efficientismo, al consumo sfrenato. Anche lo sviluppo delle competenze soffre di questo pericoloso riduzionismo e privilegia le cosiddette “competenze per competere” dimenticando la natura 3