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Vi presentiamo il futuro del pulito

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vi presentiamo il futuro del pulito

Molto più che una semplice giornata di formazione, l’appuntamento “Il futuro del pulito è oggi”, organizzato a Bologna il 2 marzo da Soligena e Bioskills, è stata la “summa” delle più attuali questioni che interessano il settore: dai Criteri ambientali al Codice Appalti, dal ruolo dei top players a quello delle Pmi, dalla formazione al controllo, dalle certificazioni all’esecuzione del servizio. Successo straordinario per un evento attesissimo.

Ormai i tempi sono maturi. Sul settore soffia sempre più forte il vento dell’innovazione e c’è sempre più fame di formazione, cultura e conoscenza, e quindi di emersione. Il nostro settore, lo si va dicendo da fin troppo tempo, è a torto considerato con troppa distrazione dal mondo politico, dalle istituzioni e dall’opinione pubblica a meno che, e qui sta un altro aspetto preoccupante, non si parli di scandali e di malaffare.

Un settore molto dinamico

Ma sarebbe ingiusto, e poco corretto, non vedere le numerose spinte positive che stanno innervando il nostro settore: il successo degli eventi formativi degli ultimi mesi lo dimostra ampiamente, e non fa eccezione l’affollata giornata di studio “Il futuro del pulito è oggi”, organizzata all’hotel Savoia Regency di Bologna, il 2 marzo dal Consorzio Soligena e Bioskills. Da tempo, sui social e nei canali di comunicazione specializzati, si era avuto il sentore che sarebbe stato un grande successo, e così è stato. Le aspettative non sono andate deluse.

L’evento, attesissimo “Il fattore Green, i costi del ciclo di vita e l’Economia Circolare negli appalti della Pubblica Amministrazione e nel Privato” era il sottotitolo di un evento che ha riempito la sala, e che contrariamente a molti altri appuntamenti di questo genere non si è limitato ad approfondire le problematiche relative agli appalti pubblici, ma ha affrontato anche il grande tema dei servizi nel settore privato, dove si stanno affacciando grandi player di rilevanza nazionale. Dopo i saluti di Fortunato Demofonte e Claudio Sciacca, di Soligena, sono partite le prime sessioni, moderate da Gianluca Verdolini, dell’Ausl Toscana Centro, all’insegna dell’economia circolare.

di Giuseppe Fusto

Un’introduzione all’economia circolare

A capirci qualcosa di più ci ha aiutato Fabio Iraldo, dell’Università Bocconi di Milano – Osservatorio per la circular economy, che è partito dalle definizioni dell’economista Michael Porter: il punto è passare da un’economia lineare a una logica di recupero degli sprechi che cerchi di mettere in circolo tutte le fasi della filiera, tentando di chiudere il più possibile tali cerchi. Questo anche nel pacchetto circular economy della Commissione Europea. “Oggi è inevitabile che nel corso delle diverse fasi si verifichino delle perdite e, ovviamente, degli sprechi”. Iraldo ha poi portato esempi aziendali concreti.

La voce del Ministero

dell’Ambiente Subito di seguito si è entrati nel vivo del Gpp del Collegato Ambientale e nel Codice degli Appalti 50/16 ad opera di Riccardo Rifici, del Ministero dell’Ambiente, che ha passato in rassegna i principali aspetti ambientali di una normativa che, senza dubbio, rappresenta in questo senso un’importante passo in avanti, a cominciare dalla previsione dell’obbligo dell’Offerta Economicamente più vantaggiosa. Rifici si è concentrato su alcuni articoli del Codice, come il 96 sul costo dell’intero ciclo di vita: “Per ogni prodotto o servizio bisogna considerare tutto il ciclo, dalla produzione allo smaltimento. si tratta di operazioni complesse, e sul rapporto fra il green procurement italiano e le strategie europee: “Tre gli obiettivi principali su cui ci siamo concentrati: l’efficienza e il risparmio di risorse naturali; la riduzione dei rifiuti prodotti; la riduzione dell’uso di sostanze pericolose.” Ma non si tratta solo di questo. Rifici ha ricordato anche, giustamente, la questione dei prezzi minimi che devono essere stabiliti dall’Anac: “Recentemente abbiamo scritto all’Anac ricordando che nella definizione dei prezzi di riferimento occorre tenere presente anche l’obbligatorietà dei Cam. Inoltre, non è vero che ultra-

centralizzando gli acquisti si risparmia: primo, perché facendo gare a cui possono partecipare in pochissimi, finisce che il prezzo lo fanno loro; secondo perché i servizi non sono equiparabili alle forniture di beni.”

Attenzione all’intero lifecycle

Ma quanto valgono effettivamente le certificazioni ambientali? Quali i costi del ciclo di vita e il ritorno sull’impatto ambientale? Secondo Michela Gallo, dell’Università degli Studi di Genova. “Siamo in un momento ancora di confusione. Ad esempio, qual è la differenza tra una carbon footprint e un’etichetta ecologica? Gallo ha provato a fare un po’ d’ordine, eliminandi i fraintendimenti più comuni e concentrandosi in particolare sull’Ecolabel, marchio comunitario di qualità ecologica. La relazione ha toccato tutti i punti di interesse relativi alle etichette di tipo I e III, con le relative differenze. E’ stato seguito con grande interesse il focus sull’Epd per le strutture sanitarie, durante il quale Gallo ha riferito alcuni risultati di studi “lca” fatti su servizi di pulizia in riferimento al Pcr: “Cosa serve ad esempio a costruire un carrello? Si tratta della fase di upstream, che l’azienda non vede ma che qualcuno a monte ha fatto per rendere possibile disporre delle materie prime. Quali sono le altre fasi? Il trasporto delle materie prime, l’assemblaggio, la realizzazione degli imballi, il trasporto del prodotto finito, il fine vita. Per un carrello in acciaio, è l’acciaio a rappresentare il grosso dell’impatto, il 60%. Cosa posso fare a questo punto come azienda produttrice? Ad esempio utilizzare acciaio secondario, valutare se i miei fornitori sono in grado di fornirmi una certificazione della qualità, e assicurarmi che non sia tutto primario, ecc. Rendersi conto di ciò è molto importante, anche perché si rischia di cadere in errori banali: ad esempio, sapete che i consumi d’acqua in tutto questo rappresentano quasi il nulla? Chi pensa di cambiare in senso ambientale il proprio ciclo produttivo agendo sui consumi d’acqua, sappia che forse varrebbe la pena di considerare prima altre fasi, come la scelta dei materiali. L’impiego di materiali riciclati è fondamentale per i costruttori di prodotti. Il secondo Pcr creato, ancora più complesso, riguarda il servizio di pulizia”. In questo caso si va a considerare l’estrazione e la produzione di materie prime costituenti macchinari e prodotti, ma c’è anche tutta la fase di svolgimento del servizio vero e proprio: trasporto, consumabili, trattamento scarichi, trasporto rifiuti. L’impatto vero dov’è? Non sono più le materie prime, ma, almeno in Italia, l’energia elettrica. A questo punto il carrello in materiale riciclato è ambientalmente meno performante della riduzione dell’impatto di energia elettrica (meglio tre lavatrici Ecolabel, a questo punto). L’utilizzo dei detergenti, seppure significativo, si vede poco. Ma ci sono voci, come la depurazione dei reflui, che non hanno praticamente rilevanza. Bisogna però anche tenere presente che il certificatore ha il compito di scegliere tra banche dati con numeri anche piuttosto diversi, che possono cambiare il risultato finale: un esempio è quello del Gwp fossile: 0,61 kg di Co2/kWh pr Ecoinvent 2.2, 0,51 per Elcd 3.2: due fonti affidabilissime che però generano un 16% di differenza nella valutazione complessiva. In generale, si può dire che per valutare il costo del ciclo di vita si devono prendere in considerazione tutti i passaggi, con il relativo peso.”

Ferrari: “L’importanza del fattore umano”

La particolare impostazione della sessione ha poi portato ad indagare un ambito ancora più specifico, quello dell’igiene degli ambienti in contesto ospedaliero, fattore determinante per la salvaguardia della salute. Un argomento di grande attualità, vista la recente approvazione dei Cam nei servizi di sanificazione delle strutture sanitarie. A parlarne è stato Marco Ferrari, responsabile del Servizio Igiene dell’Asst di Lodi. Ferrari ha sottolineato come il primo problema sia ancora quello di diffondere la cultura dell’igiene e della sanificazione nelle strutture sanitarie, specie nelle piccole realtà e nelle Rsa in cui il servizio di pulizia è ancora svolto internamente da operatori non deputati soltanto a quello. Secondo uno studio Oms commissionato e fatto in Europa, nel 2050 le infezioni da batteri resistenti in ospedale causeranno più decessi del cancro. Una questione centrale è dunque quella dei batteri multi resistenti, su cui si rischia di avere le armi già spuntate prima ancora di utilizzarle. “Ma ciò che è più importante è prepararsi culturalmente al continuo cambiamento: il mondo cambia continuamente e le ricette del passato non sono sempre valide oggi. Le tecnologie moderne possono offrire soluzioni migliori, ma è importante sapersi adattare di continuo. Senza dimenticare l’importanza del fattore umano, basilare: personale preparato e formato, ma anche giustamente retribuito, significa risultati migliori.” Sono dunque importanti le norme e le leggi, ma tutto diventa inutile se manca il fattore umano. Non dimentichiamo, aggiungiamo noi, che stiamo parlando di un servizio il cui valore è coperto al 90% dalla manodopera.

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La tavola rotonda: quali scenari per le imprese?

Nel primo pomeriggio, alle ore 14.30, è iniziata la seconda parte della giornata, impostata in modo più dinamico grazie alla tavola rotonda “Dal pubblico al privato e ritorno. I futuri scenari per le imprese di servizi”, moderata da Debora Rosciani di Radio24. A confrontarsi Lorenzo Mattioli, presidente Anip-Confindustria e membro del Tavolo ambiente in Confindustria, Giancarlo Varani, responsabile Comparto ecologia Legacoop Servizi, Mauro Mingardi, Consigliere Fnip-Confcommercio, Stefano Rampazzo, presidente nazionale Confartigianato Imprese di pulizia, Stefano Cecchini, Direttore Esecuzione del Contratto. Tema centrale è sempre quello: qualità del servizio alla luce della centralizzazione degli acquisti. Il dibattito è entrato subito nel vivo con la madre di tutte le domande, almeno nello scenario attuale: è vero che il mercato pubblico è appannaggio quasi esclusivo dei top players mentre le Pmi del settore si rivolgono perlopiù a quello privato?

Grandi, piccoli, pubblico, privato

Il primo a rispondere è stato Rampazzo, che ha esordito ricordando qualche numero importante: “A livello imprenditoriale il 99,4% delle imprese italiane sono Mpmi (micro-piccole e medie imprese), con 20 milioni di addetti. Il 22,2% sono artigiane, con circa 3 milioni di occupati. Nel nostro specifico settore si parla di 40mila aziende di cui 39mila artigiane con circa 500mila addetti. E’ naturale che si sia identificato un mercato per le Mpmi e un altro, della Pa, dove si sono collocate le grandi aziende. Ora, è chiaro che questo sistema va a vantaggio delle grosse realtà. Qualcosa sta cambiando con il nuovo Codice, che apre anche alle realtà più piccole. Aspettiamo anche il correttivo del 50/16, entro il 18 aprile, che contiene ben 84 articoli a modifica del Codice. Un punto cruciale per noi sarebbe aprire l’accesso alle gare della pa, magari potendo partecipare a lotti più piccoli. Ma sappiamo perfettamente che per noi è essenziale fare scuola, formare i nostri collaboratori e chi lavora con noi. Come Confartigianato stiamo già concertando un’iniziativa del genere.”

I top players Legacoop Servizi

Più complessa la voce delle cooperative: “Tra i maggiori competitors – ha detto Varani – ci sono nostre grosse coop. Se escludiamo le microimprese, in Italia abbiamo 4800 imprese di pulizia con struttura imprenditoriale e progetti aziendali complesse. Queste imprese occupano 332mila addetti (media circa 70). Ma questa è il risultato di una situazione eterogenea: si va dai 5 ai 15mila addetti! I servizi svolgono un ruolo e muovono numeri importanti: queste 4mila imprese realizzano 12 miliardi di fatturato, in leggero calo ma che non ha risentito della crisi come in altri settori.” Molto netta la posizione di Legacoop Servizi, che rappresenta anche i grandi big che possono partecipare alle megaconvenzioni centralizzate: “Io non scappo – ha detto Varani – dal sistema Consip, anche perché ritengo importante l’opera di riduzione e razionalizzazione delle centrali d’acquisto. Era impensabile avere oltre 35mila soggetti abilitati agli acquisti, molti dei quali privi delle competenze per gestire bandi complessi. Uno spreco di risorse inutili e una continua fucina di contenziosi.”

Fnip-Confcommercio: Auspichiamo misure per le Pmi

Mingardi ha sottolineato come la razionalizzazione sia importante, ed è fondamentale avere un codice e leggi chiare. “La cosa più importante è la formazione, la crescita generale del settore è il primo obiettivo. Avendo a che fare con il mercato soprattutto privato, le nostre imprese, di medie e piccole dimensioni, sono costantemente sollecitate all’innovazione: il privato guarda molto alla riduzione dei costi, e questo ci aguzza l’ingegno, con grandi sacrifici ma anche investimenti in conoscenza. Questo potrebbe essere riflesso anche sulla Pa: il fatto di avere un Codice, delle regole ambientali eccetera, ci aiuta molto. Il nostro interesse è che anche la Pa capisca il valore aggiunto della nostra professionalità, in costante miglioramento. Auspichiamo che lo facciano anche soggetti come Consip: anche perché molte delle nostre imprese sono sì considerate piccole e medie, ma sviluppano fatturati anche molto importanti, ed hanno un’organizzazione che permetterebbe loro di portare un grande contributo qualitativo anche sul mercato pubblico. Oggi invece abbiamo lo 0.5% delle imprese che si accaparra circa l’80% della torta pubblica: un dato su cui vale la pena di riflettere. Gli spazi per una suddivisione più equilibrata ci sarebbero.” Alle volte si accusano i piccoli imprenditori di non saper fare rete: “Non è semplice – dice Min-

gardi – trovare un minimo comune denominatore fra imprese molto differenti. I livelli sono diversi, e non sempre si hanno gli strumenti. In questo senso Fnip Confcommercio sta cercando di dare alle proprie imprese informazioni sulle nuove opportunità, senza aspettare le briciole.” Non del tutto d’accordo Varani, per cui “fare rete è facile, basta volerlo: ci sono moltissime imprese che lavorano egregiamente insieme. Anche la formazione è fondamentale e si può fare insieme.”

Anip-Confindustria: “Nessuna cultura egemonica, servono percorsi condivisi”

E se fossero le grandi aziende ad approcciare il privato? “Il dibattito piccolo-grande mi pare sterile, superato”, ha detto Mattioli”, che ha sottolineato come nelle convenzioni Consip ricada appena il 15% del mercato, e che in Italia siano in realtà ben 100mila (parola del ministro Padoan) i soggetti abilitati ad acquistare. Quanto alla dialettica piccole, medie, grandi, eccetera, “proprio la settimana scorsa abbiamo avuto un incontro con il presidente di Fnip (Nicola Burlin, ndR) per condividere un percorso, e non c’è nessuna logica egemonica. Come Confindustria crediamo che il brand Rete d’Impresa possa rappresentare un’alternativa seria e credibile.” Mattioli si è poi espresso, a titolo personale, sull’affaire Consip: “Il problema principale sta nei tempi di aggiudicazione: se tu per fare una gara ci metti più di tre anni, con proroghe, vecchi prezzi, eccetera, finisci per alimentare un sistema poco chiaro.” Mattioli ha poi sottolineato, tornando al discorso principale che “per me la questione fondamentale è un’altra: abbiamo paura del futuro? Vogliamo affrontarlo o arroccarci sulle nostre posizioni? Questo è un settore che innova e investe moltissimo, ma al di fuori non lo si sa! Altrimenti come si spiegherebbe che il legislatore si dimentica puntualmente dei servizi integrati? Forte è l’impegno di Anip nei confronti del legislatore e del mondo politico e istituzionale per affermare la specificità del settore dei servizi. Abbiamo bisogno di sinergia. Confindustria, che vive un momento delicato nel mondo manifatturiero, sta puntando moltissimo sui servizi.” Il problema è sensibilizzare il mondo esterno.

La questione del controllo e il Dec

La parola è poi passata al… controllo, con l’esperienza di Cecchini: “C’è ovviamente il rischio che molti elementi previsti dal capitolato e dalle norme non vengano rispettati al momento dell’esecuzione del contratto.” Il controllo, dunque, è una fase molto importante, che rischia di vanificare tutto il resto. “La vigilanza è una delle grandi innovazioni che hanno portato le tre direttive, che vedono il rapporto stazione appaltante-impresa-cittadinanza/utenza in modo talmente diverso. Oltre alle grandi innovazioni ambientali, le nuove direttive hanno posto l’accento su un punto di vista inedito: la gara è la fase di passaggio tra la programmazione e la fase esecutiva. Fino al 19 aprile 2016 siamo intervenuti a controllare senza preventiva programmazione. Oggi il Rup, che diventa una sorta di project manager, deve fare emergere le esigenze dell’utenza finale. Un altro aspetto importante è il “dialogo tecnico”, che autorizza la Pa a scendere dal suo piedistallo e dialogare con le imprese prima addirittura della fase di gara, cosa inconcepibile in passato. In questo scenario il Dec ha un ruolo importantissimo, anche se si attendono le Linee Guida Anac dedicate, che sostituiranno il Regolamento 207/2010.” Quanto al sistema Consip, Cecchini ha sottolineato come “sebbene non sia il caso di demonizzarlo, senza dubbio sta depauperando il tessuto locale, come vediamo tutti i giorni.” Mingardi ha concluso rimettendo l’accento sulla formazione: “Ci vorrebbero corsi scolastici, fino all’università, che mettessero tutti i soggetti in grado di svolgere il loro ruolo: dalla progettazione al controllo. E i progetti non devono essere libri dei sogni.”

Tutti i vantaggi dell’Epd L’ultimo intervento del convegno, che ci ha riportati su un piano più tecnico, è stato quello di Adriana Del Borghi, dell’Università degli Studi di Genova, che ha approfondito la questione della “Convalida Epd: la Dichiarazione Ambientale di Prodotto come strumento di informazione e comunicazione fra produttori, distributori e consumatori.” “Il ruolo dell’Università, come ente formatore e Pubblica Amministrazione, è molto particolare – ha esordito Del Borghi-, che ha ripreso le fila del discorso della mattina, approfondendo alcune questioni tecniche relative all’Environmental Product Declaration nel settore dei servizi di pulizia.”

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