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2. Tre casi innovativi

Figura 1. Tasso di occupazione nelle province della Puglia nel 2010

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occupa/ inoccupa/ Pensiona/ casalinghe

studen/ Foggia Bari Taranto Brindisi Lecce Tasso totale 32,63 38,24 33,69 32,51 34,33 Tasso maschile 47,28 52,78 46,39 45,38 46,18 Tasso femminile 23,74 20,87 22,04 24,55 18,9

Fonte: por fse Puglia 2007-2013 – Piano di attuazione 2012

PROTEZIONE CIVILE DISABILITÀ PROTEZIONE CIVILE

In questo ambito, il volontariato è chiamato a sottolineare la necessità di un welfare per tutti, non solo per i poveri, e non tanto, o soltanto, delle opportunità, ma soprattutto dei diritti e delle responsabilità dei cittadini: un welfare che sappia unire servizi e contributi economici, dove la componente servizi sia maggiormente significativa, diffusa sui territori, flessibile e capace di garantire alle persone e alle famiglie in difficoltà una concreta vicinanza e presa in carico dei bisogni per impostare progetti personalizzati. Il volontariato ha sicuramente una grande conoscenza del bisogno e spesso è stato capace di casalinghe studen1 innovare le risposte istituzionali, svolgendo un ruolo nient’affatto marginale, di mero supporto, ma uno significativo di rilancio.

Per meglio promuovere, qualificare e sostenere il volontariato occorre innanzitutto conoscerlo e conoscere il territorio in cui si trova ad operare, per poi intervenire con azioni mirate ed efficaci: questo è lo scopo della nostra indagine.

FAMIGLIE INFANZIA E ADOLESCENZA TERZA ETÀ casalinghe studen1

DISABILITÀ FAMIGLIE INFANZIA E ADOLESCENZA TERZA ETÀ casalinghe studen1

PROTEZIONE CIVILE DISABILITÀ FAMIGLIE INFANZIA E ADOLESCENZA TERZA ETÀ

2. Tre casi innovativi

Presentiamo alcune iniziative di solidarietà sorte in Terra di Bari nel secolo scorso, non per offrire casi esemplari alla muta ammirazione; le presentiamo,

piuttosto, come testimonianze che hanno a che fare col presente, e quindi con l’analisi dei dati che definiranno il volto del volontariato nella ex provincia di Bari. Tali testimonianze mettono in evidenza, più di ogni altra cosa, che nessuna circostanza è di impedimento alla gratuità e che questa genera sempre un cambiamento, che sia di uno, di molti o di un intero territorio.

saverio de bellis. piacere a dio e alla società

Una borgata intera, Villanova, ordinata e pulita, per abitazione degli operai di uno stabilimento vinicolo, è sorta via via nella campagna di Castellana. L’opera di un solo uomo, Saverio De Bellis. Opera sua sono le prime iniziative industriali della Puglia; sforzo della sua volontà è soprattutto l’educazione e la formazione di se stesso. Nato a Castellana da un artigiano, poté appena apprendere l’alfabeto: c’era da lavorare nella bottega paterna, recarsi in giro coi traini, a portare le ulive. Un buon uomo Antonio Sgobba, che era stato sindaco del paese, una sera gli aveva regalato un sillabario e così il piccolo, durante i lenti viaggi attraverso le selve di ulivi, continuò a esercitarsi nella lettura. A 17 anni, con mille lire avute dal babbo, impiantò un piccolo frantoio che gli andò bene. E da allora furono molte le imprese di lui. Ma soprattutto fu straordinaria la sua forza di volontà, la costanza con cui si applicò al lavoro, l’ardore di ricerca di ogni procedimento ed anche l’affetto per gli umili operai, compagni della sua opera quotidiana. Dapprima mise su un impianto per la lavorazione dei fermenti dei vini onde ricavarne l’acido tartarico, poi i telai a mano per la lavorazione dei tessuti locali, poi, nel 1867, il primo mulino a vapore della Puglia, poi la prima fabbrica di telai a macchina, poi uno stabilimento vinicolo, in fine grandi opere di beneficienza: un istituto per gli operai vecchi, un giardino di infanzia, il più bello di tutto il Mezzogiorno, con un ospedale, l’asilo di mendicità, una scuola di lavori femminili... Tutto questo fu opera di un uomo solo! Si narra che quel bellissimo libro di Samuele Smiles, Chi si aiuta, Dio l’aiuta, egli se lo lesse, compitando da sé, aiutandosi col vocabolario: tanto era il suo desiderio di apprendere. E non risparmiava fatica per conoscere i segreti delle macchine che fondava via via. Si narra che, riuscito a penetrare con un sotterfugio in una tessitoria di Manchester, dieci minuti furono più che sufficienti, per lui e per il fratello Nicola, per comprendere con esattezza quel nuovo sistema di macchine e per decidersi a far lo stesso nel suo paese nativo. Queste ed altre cose si raccontano dell’uomo meraviglioso. Per 85 anni, non visse che di lavoro e di fede ardente in questo, senza mai lasciare l’amore per gli altri1 .

Così una nota biografia presenta la vicenda di Saverio De Bellis, noto – e

1 T. Fiore, Terra di Puglia e Basilicata, Pellegrini, Cosenza 1968, p. 38.

ancor più radicato nella memoria storica della sua cittadina, Castellana Grotte – come industriale e benefattore. Non è la generosità la cosa che più ci ha colpito della vicenda di quest’uomo, quanto la curiosità inarrestabile che metteva in moto le sue opere e la fiducia incrollabile con cui procedeva.

Viaggiò e vide le fabbriche di tutta Europa. Aperto all’innovazione, faticò a inculcarla ai suoi operai che si adattavano molto lentamente ai nuovi macchinari (ad esempio, quando introdusse il mulino a vapore, oppure quando volle far abbandonare l’abituale telaio a mano per far prendere quello meccanico). Le sue industrie ebbero una vicenda travagliata: tuttavia egli era stato operaio e forse per questo aveva una maggiore intelligenza dei bisogni degli operai. Ecco come lo stesso De Bellis parla di una delle più interessanti opere nate dalla sua iniziativa, la fondazione di una cittadina per gli operai delle sue fabbriche:

Terminato tutto la Cantina mi venne il pensiero di fabbricare una palazzina per uso di famiglia, e delle Case Coloniche, ed in 4 anni con un grosso numero di muratori costruii 3 isole, una con 44 abitazioni a pian terreno, la seconda con 80 abitazioni a 3 piani, e la terza anche a 3 piani con 60 abitazioni, con chiesa, spaccio di privativa e vendite diverse, ufficio postale, ecc. sotto il nome di villanova De Bellis e vi dimorano circa 700 abitanti, senza scuola, che lavorano assai bene nelle mie terre, in quelle degli altri ed alla Enologia, essendosi formato oggi un gran centro di produzione di vitigni. [...] Amico molto dell’operaio, quale io sono, vedendo un momento di crisi nel comune di Polignano, nella classe dei muratori ed avendo un piccolo fondo di circa Ett. 1 ½ contiguo all’abitato, e prossimo alla stazione, invitai gli operai a costruire case per gli operai, ed in 4 anni ne fecero circa 80 a pian terreno e primo piano, oggi un terzo di queste vendute ai medesimi, con pagamenti mensili e molti l’hanno rinfrancato2 .

Le lettere scritte ad amici e persone care rivelano ancor più il suo cuore: dopo averlo pregato di mantenere il segreto che sta per rivelargli, De Bellis scrive ad un suo caro amico, il 21 luglio 1904:

Siccome al convento degli Alcanterini sia per l’Ospedale che pel Ricovero di mendicità si presenta la difficoltà della distanza dalla città, con enorme disturbo dei dottori, dell’Amministrazione e degli stessi poveri che si servono della farmacia, io penso di fabbricare un nuovo locale su d’un suolo sito sulla via di Conversano,

2 Saverio De Bellis all’onorevole Baccelli, ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, Castellana, 26 settembre 1902, in 70° anniversario del Ricovero (Asilo d’infanzia – ospedale – asilo di mendicità) Saverio De Bellis Cavaliere al merito del lavoro, 3 giugno 1906 - 3 giugno 1976, tip. Vito Radio, Putignano, 1977, p. 25.

e vicinissimo al paese, assai arieggiato e comodo, per trasportare quivi l’Ospedale e l’Asilo. Tengo da circa 8 anni questo pensiero sempre chiuso dentro di me, e solo oggi parlo per la prima volta, essendomi nascosto anche con mio fratello, col quale ci dividiamo tutti i nostri pensieri: per ciò mi sono permesso di aprirmi con te, sapendoti uomo serio, da cui posso sperare qualche consiglio. Con volontà ferrea spero di attuare i miei pensieri che mirano all’unico scopo di un “lavoro onesto”. È inutile per ora dirti altro, se tu prima non mi darai l’assicurazione del segreto3 .

I documenti testimoniano una dedizione al prossimo che andava ben oltre la filantropia: la sua ricchezza, conquistata a fatica e pure percepita come una grazia ricevuta, era l’occasione per servire la comunità, ideando e realizzando opere tese allo sviluppo e alla prosperità del territorio. Una fede vissuta animava l’opera silenziosa e monumentale di De Bellis, realmente immedesimato nei bisogni dei concittadini: servire Dio e servire la sua gente erano una cosa sola.

l’istituto apicella

La Pia Casa dei Sordo Muti nasce a Molfetta nel 1864 su iniziativa di Padre Luigi Aiello dell’ordine dei frati bigi. Durante il 1800 i sordomuti vivevano in uno stato di misconoscimento sociale e di abbandono. Ai sordomuti erano affidati i mestieri più degradanti e la comunicazione con il mondo degli udenti era inesistente. Le comunità religiose furono le prime e le sole che cercarono di favorire un loro inserimento nella società. Nella seconda metà dell’Ottocento in tutto il mondo c’erano circa 450 istituti per sordomuti, di cui 30 in Italia. Nel Sud della penisola fu in particolare padre Aiello che si volle occupare dei sordomuti, anche se le scuole ad essi rivolte erano frequentate da pochi, solo i più fortunati, e cioè coloro che provenivano da famiglie ricche o che riuscivano a comprendere l’importanza dell’istruzione e della cultura. Padre Aiello seguiva l’istituto per sordi di Napoli nel quale si trovavano anche i sordi pugliesi e a volte veniva in Puglia, ed in particolare a Molfetta, per la questua. Molfetta era il centro del commercio pugliese, sede di un importante seminario da cui erano usciti uomini insigni, aveva un’importante marineria da pesca e da viaggio e godeva di un’ottima posizione topografica. Oltre a ciò, la municipalità di Molfetta si era offerta di fornire una sede ed un contributo economico per la realizzazione di un distaccamento della scuola di Napoli.

3 Saverio De Bellis ad Antonio Fato, Castellana, 21 luglio 1904, in Ricordo della Festa civica del III Giugno MCMVI a Saverio de Bellis i Figli, tip. Cav. E. Cressati, Noci 1906, p. ix.

Padre Aiello fu fortemente condizionato da tali aspetti, oltre che dai consigli di sacerdoti amici con cui operava in stretto contatto. L’11 giugno 1864 venne aperta a Molfetta la Pia Casa dei Sordo Muti, sezione distaccata della scuola di Napoli. Inizialmente c’erano solo 5 alunni e 4 frati bigi ma ben presto i ricoverati passarono a 16 e poi a 24 nell’agosto del 1866.

Padre Aiello morì molto presto e il suo impegno fu assunto da padre Lorenzo Apicella, anche lui dell’ordine dei frati bigi. Padre Apicella fu molto tenace e determinato nella sua azione: si recò personalmente presso enti pubblici e privati per chiedere il sostegno necessario alla nascita dell’istituto; volle dare ai sordi il patrimonio culturale ed educativo migliore che si potesse offrire loro; favorì l’introduzione, nell’insegnamento ai sordomuti, del metodo orale in sostituzione di quello mimico; si oppose a chi voleva trasferire la scuola da Molfetta a Bari; decise di coinvolgere in questo progetto di istruzione anche le sordomute. A tal fine prese in affitto un nuovo locale per installarvi la sezione femminile presso l’ex convento dei cappuccini e ne affidò l’insegnamento, l’assistenza e la cura interna ad un ordine di suore da lui fondato. Si trattava della Congregazione delle “Suore salesiane della Visitazione”, poi riformate dal sacerdote Filippo Smaldone, nel 1890, nelle “Suore salesiane dei Sacri Cuori”. Grazie al suo impegno e alla partecipazione dei benefattori, Apicella riuscì ad acquistare la Villa Nisio e i locali dell’ex convento dei cappuccini. Nel 1893, dopo una vita vissuta esclusivamente a favore della promozione sociale del sordo, padre Apicella morì lasciando nel suo istituto 50 ricoverati. Prima di morire dettò le sue volontà: lasciava la sua opera alla Provincia (allora denominata Deputazione Provinciale), imponendo che la scuola dovesse rimanere a Molfetta con l’impegno di perseguire sempre l’educazione del sordomuto. Inoltre, qualora la Provincia non avesse mantenuto gli impegni imposti, sarebbe subentrato il Municipio di Molfetta con gli stessi obblighi dettati da Apicella prima di morire.

La Provincia rispettò l’impegno che le era stato richiesto, sostenuta certamente, agli inizi del 1900, da importanti donazioni di molti benefattori oltre che dalla Municipalità, che donò il terreno sul quale venne eretto l’istituto.

Nel 1907 il nuovo edificio costruito in corso Fornai n. 1 (dove tuttora ha la sede l’istituto) accolse alunni e alunne che potevano disporre delle moderne strutture del complesso scolastico che allora ospitava anche la sezione dei non vedenti. L’istituto ottenne il riconoscimento dello Stato alla parificazione della scuola pubblica ai sensi del Decreto Regio 3123 del 31 dicembre 1923. La struttura ospitò, oltre all’attività didattica speciale, i laboratori di addestramento professionale.

Nel 1949 gli alunni ed alunne sordi erano 240, mentre nel 1964 si contavano oltre 340 studenti con deficit uditivo. L’istituto aveva annesse le scuole

professionali e, dal 1954, il centro di rieducazione acustica, oltre ai servizi di logopedia e ortofonia, creati negli anni ’80.

Purtroppo negli anni successivi si è assistito ad un venir meno dell’impegno assunto, soprattutto a causa di una legislazione che ha spogliato gli istituti speciali della loro specificità nella presunzione di fornire il giusto sostegno alla formazione del sordo con la semplice presenza dell’insegnante di sostegno nelle scuole ordinarie. La Provincia ha dunque intrapreso una serie di azioni che hanno tradito le volontà testamentarie di padre Apicella: sono stati eliminati i poteri del consiglio di amministrazione, è stato chiuso il convitto e la scuola è stata trasformata da speciale in ordinaria, con possibilità di inserimento del sordo.

Attualmente l’istituto si propone come agenzia di orientamento e formazione professionale in collaborazione con altri enti, prefiggendosi come finalità il reale inserimento dei non udenti a partire dalla scuola dell’infanzia e sfociando nel contesto sociale attraverso lo sviluppo di conoscenze, capacità e competenze.

Le azioni attraverso cui si persegue questa finalità sono costituite da: • Laboratori in grado di sviluppare le professioni e i mestieri maggiormente richiesti nel territorio provinciale e relazionati ai particolari standard di apprendimento dei sordi. • Corsi di formazione lis, in collaborazione con l’ens, che rendano accessibile e disponibile la comunicazione dei sordi in tutte le manifestazioni della vita, abbattendo le barriere linguistico-comunicative. • Servizio di supporto logopedico aperto al territorio con tecniche specifiche per esercizi di “messa in voce” di sordi e di altri problemi del linguaggio. • Corsi di formazione professionale in collaborazione con varie agenzie formative in azione di partenariato sociale. • Integrazione culturale con l’Università. • Integrazione in classi sperimentali. • Collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali. • Servizio di biblioteca specialistica aperta al territorio.

il villaggio del fanciullo

Il 29 maggio 1946 su invito di S.E. cardinal Marcello Mimmi, allora arcivescovo di Bari, la congregazione dei Padri rogazionisti, fondata da Annibale Di Francia da Messina, fu chiamata a Bari per occuparsi della salvezza, educazione e istruzione dei fanciulli poveri e abbandonati che nel dopoguerra vagabondavano per la città costituendo un pericolo pubblico. I rogazionisti aderi-

rono all’invito e affidarono il compito al sacerdote padre Mario Labarbuta, nativo di Minervino Murge (ba).

Senza denaro, senza una casa, senza beni, don Mario Labarbuta occupò un ex campo militare a Bari, al rione Picone, in piazza Giulio Cesare, cinto di filo spinato, con 22 baracche sconnesse e devastate dal vandalismo della gente. Si adattò alla meglio in una di esse e così iniziò la grande opera del Villaggio del Fanciullo. Gli inizi furono durissimi in una terra sconosciuta, disastrata dalla guerra e dalle truppe di occupazione. Don Mario cominciò chiedendo aiuto a tutti, dall’uomo della strada alle autorità, agli uffici cittadini: un tozzo di pane, un letto, una sedia, beni di prima necessità.

Il 3 giugno 1946 il Genio militare, su richiesta di don Mario, appoggiato da S.E. arcivescovo Mimmi, vista l’alta finalità che il sacerdote si proponeva, donò le baracche ai bambini abbandonati che poterono ripararsi alla meglio.

Il vicino Policlinico e il comando inglese donarono alcune brandine. Il 10 luglio 1946 vennero ricoverati i primi 10 bambini che, quello stesso giorno, già potettero sedere a una mensa fatta di tavole di baracche poste su quattro tufi davanti a una minestra fumante, cotta all’aperto con rottami di legno in abbandono. Tuttavia, «c’era tanta gioia, tanta allegria e tanta poesia in tutti noi», ricorda padre Mario nelle sue memorie.

Presto venne interessato il comitato U.N.R.R.A. (United Nations Relief and Rehabilitation Administration). La presidente visitò il Villaggio e commossa dinanzi a quei poveri figli della strada promise ogni appoggio e aiuto. La promessa fu mantenuta con scrupolo, man mano che crescevano i bisogni e le necessità dei ricoverati in continuo aumento.

La Direzione dei rogazionisti inviò al sacerdote Labarbuta rinforzi di personale religioso che si dedicarono con abnegazione all’opera di educazione dei fanciulli.

Tuttavia il suolo su cui si trovavano le baracche donate non era dei rogazionisti, e ben presto i proprietari reclamarono i loro diritti. In particolare l’amministrazione provinciale richiese lo sgombero immediato del terreno.

Il 15 luglio 1946 l’avvocato Lattanzio, presidente della Deputazione provinciale, si recò presso il Villaggio per convincere padre Mario Labarbuta a lasciare quella terra; ma dinanzi a tutti quei bambini in difficoltà l’avvocato Lattanzio cambiò parere e promise di battersi alla Provincia perché venisse ceduto il terreno e realizzata un’opera a favore dei fanciulli della strada, orfani e abbandonati.

La lotta e l’iter burocratico in seno all’Amministrazione provinciale durarono 18 mesi, ma alla fine l’avvocato Lattanzio vinse la causa e diede ai figli della strada quella porzione di terra dell’Amministrazione, parte in donazione e parte in vendita.

La vita al Villaggio si animava: una baracca venne trasformata in chiesa, si eresse un rudimentale campanile fatto con rottami di spalliere di letti in demolizione e un primo gruppo di ragazzi si accostò alla prima comunione nella prima Santa Messa celebrata da S.E. arcivescovo Mimmi. Al fine di promuovere il Villaggio e far conoscere la sua attività, un autocarro dell’U.N.R.R.A. portava in giro per la città i ragazzi che rallegravano le vie con i loro canti. Lo stesso carro girava in città per la raccolta dei beni: indumenti, viveri e suppellettili per i ragazzi del Villaggio. Bari e i suoi abitanti cominciarono ad apprezzarne profondamente l’opera. Anche la «Gazzetta del Mezzogiorno» e i quotidiani del tempo si prodigarono per la propaganda. Il 7 marzo 1947 venne eletto tra i ragazzi il primo sindaco del Villaggio. Il giovane sindaco accoglieva ogni illustre visitatore insieme alla giunta e al questore, ed esponeva loro le necessità del Villaggio.

Il 24 aprile il piccolo sindaco e il direttore si recarono a Roma per essere ricevuti in udienza privata dal Santo Padre, Pio XII, che ebbe parole di incoraggiamento e benedisse la nuova istituzione. Il 3 maggio, il gruppo venne ricevuto anche dal Capo dello Stato, Enrico De Nicola, che assicurò il suo appoggio alla nobile istituzione di Bari.

Finalmente il 17 luglio 1948 avvenne la posa della prima pietra dell’edificio che costituirà il Villaggio del Fanciullo.

Poco dopo i lavori furono interrotti per mancanza di fondi, ma nel 1950 ripresero grazie all’intervento di don Sturzo che favorì lo stanziamento di altri fondi per il completamento della costruzione.

Nel luglio del 1950 padre Mario Labarbuta lasciò il Villaggio per continuare la sua opera in Brasile. Gli succedette padre Serafino Santoro che contribuì al completamento del Villaggio. Furono attivati altri laboratori corredati di adeguata strumentazione.

Il 6 gennaio 1951 venne inaugurata la completa costruzione dell’edificio sul fronte di piazza Giulio Cesare. Negli anni successivi il Villaggio continuò a crescere grazie a continui lavori di ampliamento, e nel 1957 assunto il suo assetto definitivo così come l’avevano sognato i pionieri della sua fondazione.

Tra il 1959 e il 1962 l’avviamento professionale fu sostituito con l’Istituto per l’industria e per l’artigianato e l’Istituto tecnico industriale. Inoltre nel 1962 iniziò una definitiva sistemazione dei locali e cura delle attrezzature.

Il 25 giugno 1974 fu costituito il C.I.F.I.R. (Centro di istruzione e formazione professionale Istituti rogazionisti) come associazione o federazione dei centri degli istituti rogazionisti che svolge la propria attività prioritariamente nell’ambito dell’educazione e formazione professionale, istruzione culturale dei giovani, in particolar modo di quelli con disagio sociale ed economico.

In particolare oggi il C.I.F.I.R. promuove, organizza, gestisce:

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