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6. Conclusioni

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5. Conclusioni

5. Conclusioni

I. Il volto del volontariato europeo 41

donazioni alle varie organizzazioni della comunità locale in grado di rispondere ai bisogni individuati.

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Tale modello si diffuse da subito in tutta la nazione, grazie anche all’opera dello stesso Goff che promosse la costituzione di ben otto fondazioni di comunità.

L’idea di fondo di tali fondazioni è dunque quella di superare la filantropia classica, strutturandola, in modo da rendere più efficaci e durature le risposte ai bisogni della comunità di riferimento.

Pur avendo molti aspetti in comune, le fondazioni di comunità presentano tra loro alcune differenze, dovute al territorio in cui sono radicate.

Un passaggio importante nella concezione e nell’uso di tali fondazioni avviene in Inghilterra durante la cosiddetta “èra Blair”, all’interno del progetto politico della “terza via” del Primo ministro inglese. La politica della terza via attuata da Blair tendeva a dare più autonomia alle autorità locali, che hanno aumentato i finanziamenti pubblici al Terzo settore, sempre più protagonista nell’erogazione dei servizi pubblici.

Le fondazioni di comunità sono uno dei modelli in grado di inserirsi in quest’ottica: non è un caso, infatti, che negli ultimi vent’anni circa le fondazioni di comunità si siano sviluppate rapidamente.

6. Conclusioni

È possibile disegnare il volto del volontariato europeo? Esso presenta delle caratteristiche specifiche in ogni paese: del resto, per comprendere fino in fondo tali peculiarità non bastano i risultati delle ricerche presenti sul Terzo settore né è sufficiente analizzare la situazione politica, economica e sociale ma è necessario scavare nella storia e nella tradizione culturale di ciascuna nazione.

Tuttavia, emergono dei tratti comuni tra le nazioni prese in esame – ed è questo un aspetto non meno sorprendente delle differenze – che rendono ragionevole parlare di “volto” del volontariato europeo.

Nelle nazioni prese in considerazione, le motivazioni che spingono a fare volontariato sono molto varie ma tra i fattori più diffusi spicca il desiderio di aiutare gli altri e di contribuire allo sviluppo della società; altrettanto importanti sono i fattori connessi ai benefici personali che derivano dall’attività di volontariato, quasi mai staccati dai primi. È comune la voglia di socializzare; in molti vivono l’attività di volontariato come una possibilità per acquisire nuove conoscenze e competenze e allo stesso tempo per approfondire la conoscenza di sé, migliorarsi e rafforzare la propria autostima. Rispondere al bisogno dell’altro è un impeto connaturato all’uomo. Ma accanto a questo naturale impeto, tutti i volontari hanno la coscienza che se non fosse per un

bene proprio, se non ricevessero qualcosa in cambio, qualcosa che li rende protagonisti della vita della società, quell’impeto nel tempo cadrebbe. Non deve quindi scandalizzare l’enfasi che molti volontari pongono sul vantaggio personale che si ottiene svolgendo attività di volontariato: vantaggio, in questo caso, non sta per utile materialisticamente e individualisticamente inteso. Ciò che testimoniano i volontari europei è che fare del bene agli altri significa fare del bene a se stessi e soprattutto partecipare di un bene di cui tutti possono usufruire e beneficiare.

I volontari europei sono prevalentemente di età superiore ai 45 anni. Questo denuncia una difficoltà diffusa a coinvolgere i giovani in maniera stabile nelle attività di volontariato: a proposito dei giovani volontari si registra però una maggiore partecipazione quando viene loro offerta l’occasione di viaggiare, di conoscere nuovi posti e nuove culture. Segno che quando il volontariato si propone come occasione di conoscenza, esso scuote l’interesse dei più giovani che non sono affatto chiusi alle nuove esperienze, ed anzi, attendono delle possibilità che favoriscano e orientino i loro naturali interessi. Ciò è vero soprattutto nei paesi che attraversano la crisi attuale con più drammaticità: in Grecia, ad esempio, vi è in generale una propensione dei giovani volontari ad aderire ai progetti che danno loro la possibilità di trascorrere del tempo all’estero. Certo, in molti casi si tratta di un desiderio di evasione: ciò non toglie che l’esperienza di volontariato in paesi stranieri possa comunque diventare, nel tempo, una scoperta e un guadagno per la propria formazione.

Un’altra tendenza comune, forse una delle più importanti perché interroga sulla natura stessa del volontariato, è il ruolo di cui le associazioni negli ultimi tempi si stanno facendo sempre più carico: produrre servizi di assistenza sociale. È innegabile una crisi dei modelli di Stato sociale presenti in Europa: la questione riguarda sia i governi europei – non sufficientemente attenti al Terzo settore e alle sue potenzialità anche nei paesi più avanzati – che le associazioni, perché le interroga sul tipo di cambiamento che è loro chiesto e su come questo cambiamento possa attuarsi senza perdere la propria identità. Strettamente legato a tale aspetto, vi è il fatto che le associazioni necessitano sempre più di volontari qualificati e d’altra parte questi ultimi fanno fatica a rispondere a tale esigenza continuando a prestare servizio senza essere retribuiti. Per sostenere i volontari a mantenere il loro impegno è necessario investire in formazione e potenziare l’attività di coordinamento e leadership.

È un ambito di questioni tanto importante quanto delicato, e invita a suggerire nuovi modelli di welfare che tengano conto del fattore, sempre meno trascurabile, di pezzi di società che si organizzano spontaneamente per rispondere a bisogni che lo Stato sociale non è in grado di sostenere: ci occuperemo

I. Il volto del volontariato europeo 43

più diffusamente di tale problema in riferimento alla situazione italiana, nel prossimo capitolo.

Uno sguardo alle legislazioni che vigono negli Stati dell’ue presi in considerazione rafforza l’idea della diversità che ciascuna nazione porta in virtù della sua storia: una diversità che va rispettata. Non si può pensare – per lo stesso motivo per cui l’Europa non può resistere come progetto costruito a tavolino – di adattare le legislazioni dei vari Stati in materia di volontariato e più in generale di Terzo settore a dei criteri unici, ma ciascuna nazione ha il compito, urgente, di definire il proprio quadro legislativo. La mancanza di un quadro giuridico e di regole chiare11 è una sfida chiave per lo sviluppo del volontariato. D’altra parte, un eccessivo onere legislativo, l’accumulo di regole e leggi applicabili al settore (perché tali leggi sono spesso in contrasto tra loro e non sempre chiariscono o specificano), può creare difficoltà più che vantaggi. È importante creare un ambiente normativo che promuova e sostenga il volontariato, anche attraverso agevolazioni fiscali ed esenzioni applicabili sia alle organizzazioni di volontariato che ai volontari. Sebbene la generale insufficienza di un quadro giuridico chiaro assegni un compito specifico a ciascuna nazione, ciò non toglie che sarebbe utile – sono molti i paesi ad auspicarlo – che l’ue proponesse delle linee guida per i paesi interessati ad adottare una legislazione, considerando aspetti fondamentali quali il ruolo del volontario, il diritto al rimborso spese, la copertura assicurativa, agevolazioni e facilitazioni a supporto dell’attività del volontario.

Una delle principali preoccupazioni dei volontari europei è l’insufficienza di risorse economiche – il volontariato ha dei costi – per la quale si chiede il coinvolgimento della società civile, delle aziende, dei governi sia locali, regionali, che nazionali, nonché dell’ue. Sono cambiate le relazioni tra le organizzazioni di volontariato e le autorità pubbliche: i contributi hanno ceduto il passo a convenzioni sottoscritte a seguito di bandi di gara, inviti a presentare progetti e l’esternalizzazione dei servizi pubblici. Se da un lato tale cambiamento stimola una maggiore concorrenza tra le organizzazioni di volontariato, l’applicazione di regole progettate per il settore delle imprese provoca il rischio di allontanare i volontari; d’altra parte, tale logica può essere un incentivo per le associazioni a lavorare in rete, a rendere i propri progetti più strutturati e quindi più stabili. Riflettendo su tale alternativa, emerge una dicotomia che potremmo dire intrinseca al mondo del volontariato: da un parte, c’è un volontariato attento al bisogno che offre risposte in modo gratuito e solidaristico; dall’altra, un volontariato che si presta a diventare gestore di servizi. Negli

11 Quello legislativo è un problema scottante per il volontariato in Italia: rimandiamo al cap. II per una trattazione più precisa della questione in ambito nazionale.

ultimi tempi, e quasi in tutta Europa, si assiste a un passaggio dalla prima alla seconda forma, non senza ambiguità e problemi.

Quest’ultima considerazione apre la domanda forse più acuta oggi per i volontari: come rispondere alle sfide del presente senza perdere la spinta iniziale, la motivazione ideale che li contraddistingue? Vi sono, infatti, dei tratti inconfondibili che accomunano le esperienze di volontariato in tutta Europa, una sorta di patrimonio condivisibile, un’affinità culturale europea: basti ripensare alle motivazioni dei volontari che potremmo sintetizzare con solidarietà e desiderio di protagonismo nella società. È ragionevole, per questo, parlare di volto del volontariato europeo. Guardando questi tratti ci si accorge però, allo stesso tempo, che in virtù dei grossi mutamenti in corso nella storia europea, il volto del volontariato sta cambiando. La domanda che ci poniamo è se è possibile mutare volto senza perdere la propria identità.

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