ALBERTO BERTINI - GEOLOGIA E GUERRA: IL CASO DEL FRONTE AGORDINO E AMPEZZANO

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Gruppo Natura Bellunese - Notiziario 2019

GEOLOGIA E GUERRA: IL CASO DEL FRONTE AGORDINO E AMPEZZANO Alberto Bertini*

PREMESSA “23 maggio (1915 N.d.A.). Alle ore 10 o 12 l'Italia dichiarò guerra all'Austria. ...Crederanno di conquistare con facilità le nostre belle Alpi, ma noi siamo sicuri che invece troveranno grandi difficoltà. Sarà inutile andare incontro a queste muraglie che natura ci diede a difesa del nostro amato Tirolo”. Così annota la cortinese Maria Menardi nel suo diario sulla Prima Guerra Mondiale (Giacomel P., 2015). Una previsione purtroppo tristemente azzeccata, oltre tre anni di lotte e sacrifici da parte di entrambi gli eserciti, italiano e austro-ungarico, per la conquista delle montagne a ovest e a nord della conca di Cortina, in una zona tra le più accidentate e difficili da superare a causa delle enormi pareti dolomitiche che qui sembrano opporsi a ogni tentativo di conquista. Ed è proprio in questa zona che si pongono le basi per l'avanzata delle truppe italiane alla vana conquista dei valichi per arrivare al cuore dell'Impero austro-ungarico. Qui le strategie belliche, legate alla conformazione del territorio, hanno avuto la loro massima esplicazione: da una parte dello scacchiere l'esercito italiano con le sue azioni offensive (si pensi alle “spallate” di Cadorna) e dall'altra la tattica difensiva di un esercito che, seppur provato dalla mancanza di uomini e mezzi impiegati sul fronte della Galizia e della Serbia, non si arrese mai, arroccandosi sui bastioni dolomitici a difesa del proprio territorio. Agli inizi del conflitto, dopo l'iniziale neutralismo italiano sostenuto dalla corrente parlamentare giolittiana e la successiva entrata in guerra dell'Italia il 23 maggio 1915, fortemente voluta dall'allora Presidente del Consiglio Salandra, dal suo ministro Sonnino e dai popoli cosiddetti irredenti, gli austriaci decisero di ritirarsi da Cortina lasciando che gli italiani ne occupassero l'intera conca risparmiando inutili sofferenze alla popolazione: è qui che entra in gioco la morfologia del territorio in relazione alla strategia bellica. L'esercito austriaco poteva contare sul baluardo roccioso che dal Sasso di Stria proseguiva verso nord con le ripide pareti del Lagazuoi, del Col dei Bos , delle Tofane e della sommità del Son Pòuses a nord di Cortina (Fig. 1). Da queste postazioni, già da tempo fortificate in previsione di un conflitto, potevano dominare gli ingressi alle vallate che da Cortina portano a quello che un tempo era la sede del nemico, ovvero l'Impero Austro-Ungarico: in particolare gli italiani volevano risalire la Valparola per occupare la Val Badia con il suo sbocco a nord verso la Val Pusteria e la Val Travenanzes che permetteva di risalire da Cortina attraverso la Forcella Col dei Bos verso la Valle di Fanes e San Vigilio-Pederù. Un altro accesso alla Val Pusteria era quello del lungo vallone a nord di Cortina già da allora sede di un importante tracciato stradale adatto ad essere percorso da automezzi: in questo caso la postazione di Son Pòuses, dominante la vallata di Cortina e gli accessi settentrionali delle valli di Fanes e Travenanzes, era di vitale importanza Fig. 1 - Postazioni belliche sovrapposte alla sezione geologica tra il Lagazuoi e il Sasso per la sua conformazione geomorfo- di Stria (tratto da Trombetta 2016, modificato).

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