Mestieri d'Arte - Celebrazione

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CELEBRAZIONE

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IL BANCHETTO DELLA VITA

Ogni oggetto scelto per la tavola è un gesto di stile, una dichiarazione silenziosa di cura e armonia. Intorno a un desco imbandito sbocciano arti, memorie e legami: perché celebrare non è solo ornare, ma dare forma all’essenza del tempo condiviso, tra bellezza, misura e sentimento.

di Alberto Cavalli

Nel suo divertente racconto fantastico La Principessa Brambilla, pubblicato nel 1820, lo scrittore E.T.A. Ho man scrive che «Spesso, nella vita, ci troviamo all’improvviso dinanzi alla porta spalancata di un meraviglioso e magico regno, cosicché ai nostri sguardi è consentito insinuarsi nel più intimo recesso di quel potente spirito, il cui respiro ci muove segretamente verso le più strane intuizioni…». Una porta spalancata, un so o misterioso, un’intuizione: detti così sembrano gli elementi di base per un romanzo gotico, ma in realtà questi concetti potrebbero trasformarsi nelle piccole gioie che ci consentono, ogni giorno, di celebrare lo straordinario banchetto della vita.

Ogni celebrazione è infatti anche un momento di condivisione: pubblica o privata, la festa implica che vi sia un momento speciale, particolare, che si desidera rendere indimenticabile attraverso gesti, riti, simboli. In Italia, dove la tradizione del banchetto rinascimentale ha profondamente in uenzato l’identità e la cultura (si pensi alle celebri “tavole imbandite” del Veronese, dalle Nozze di Cana alla Cena in Casa di Levi), ogni celebrazione prevede sempre la condivisione di un momento conviviale, che necessariamente passa per l’arte del desco.

Una tavola ben apparecchiata, pietanze preparate con cura, stoviglie scelte con gusto e disposte con grazia, ma soprattutto un’atmosfera di festa e di partecipazione rendono uniche le celebrazioni italiane, che dalle case escono per diventare sagre, feste o banchetti ma che trovano sempre e comunque intorno alla tavola il loro punto focale.

Per questo numero di Mestieri d’Arte & Design abbiamo dunque selezionato artigiani, atelier e manifatture che, in virtù del talento delle mani e della passione del cuore, permettono a tutti noi – grazie ai loro oggetti squisiti - di trasformare ogni momento di condivisione in un attimo da ricordare: attraverso agli straordinari beni che impreziosiscono le nostre case, ma anche attraverso il senso, la cura, la ra nata e potente fragilità che i loro manufatti trasmettono.

Nelle pagine che seguono scoprirete la meraviglia di oggetti che spesso utilizziamo per magni care l’e mero, come un banchetto o un brindisi, ma che restano sempre ancorati al nostro tempo ricorsivo: quello, appunto, della festa.

E soprattutto, scoprirete artigiani che lavorano ogni giorno per creare oggetti che rendono prezioso il presente, e che ci permettono di guardare al futuro attivando quella silenziosa complicità con il nostro cuore che infonde in ogni manufatto un senso di bellezza, di appartenenza, di identità. Un senso, in altre parole, che contribuisce in maniera signi cativa alla costruzione del valore, e alla percezione della cura.

Gli argenti e le porcellane, i vetri e i cristalli, le cere e i tessuti, le pietre e i colori: intorno alla tavola imbandita sbocciano le arti e oriscono i mestieri. E soprattutto, si dispiegano i talenti che rendono ancora più squisite le pietanze e più brillanti le conversazioni, per celebrare ciò che tutti noi abbiamo di più caro: la vita, il tempo, l’amore. •

Il banchetto della vita

Alberto Cavalli 20 Album

Stefania Montani

Che la festa continui

Alessandro Pilot

Botanica e poesia

Stefania Montani

30 La bellezza che si apparecchia

Francesco Rossetti Molendini

Il vetro più vero del vero

Susanna Pozzoli

L’eccellenza è servita

Andrea Tomasi

Trame di accoglienza

Roberta Morittu

Argento vivo

Maria Pilar Lebole

Una fata nel paese del vetro

Alessandra de Nitto

Celebrare la materia

Andrea Bertuzzi

L’alchimia della meraviglia

Alberto Cavalli

L’arte di tessere la storia

Anna Carmen Lo Calzo

Concetto e spettacolo

Ugo La Pietra

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Il linguaggio della condivisione

Ugo La Pietra

18

La scenografia del convivio

Csaba dalla Zorza

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La strada di casa

Franco Cologni

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Semestrale – Anno 16 – Numero 31 - Ottobre 2025 mestieridarte.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Alberto Cavalli

DIRETTORE EDITORIALE

Franco Cologni

DIREZIONE ARTISTICA

Lucrezia Russo

CONSULENTE EDITORIALE

Ugo La Pietra

REDAZIONE

Susanna Ardigò

Alessandra de Nitto

Lara Lo Calzo

Francesco Rossetti Molendini

TRADUZIONI

Giovanna Marchello

PRESTAMPA E STAMPA

Grafiche Antiga Spa

Foto: Courtesy Vetrerie di Empoli LE OPINIONI

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

PUBBLICITÀ E TRAFFICO

Mestieri d'Arte Srl

Via Statuto, 10 - 20121 Milano

IN COPERTINA:

Vetrerie di Empoli, bicchieri Ikebana, 2014. Realizzati in vetro e arricchiti da dettagli in oro, si distinguono per un sistema modulare brevettato nel 2001, che permette di personalizzare ogni bicchiere combinando diverse coppe e steli. Un design innovativo che unisce estetica e funzionalità.

Artigiani della parola

I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana (www.tipoteca.it)

Giornalista, ha maturato una lunga esperienza nel settore luxury. Collabora, fra gli altri, con Domus e Fondazione Dynamo. Conduce dal 2017 il Dreamers Day, evento dedicato ai sognatori. Ha scritto il libro per bambini Artùpertu con Enrica al museo, in collaborazione con il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci.

Csaba dalla Zorza si de nisce: nata il secolo scorso, appassionata di belle tavole e buone maniere. Scrive da circa trent’anni, ha pubblicato 23 libri di cucina e il suo primo romanzo. Occasionalmente la si trova anche in televisione. Esperta di arte della tavola, vive a Milano, ma lavora dove capita.

Artista, architetto, Compasso d’Oro, designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, pubblicazioni, didattica nelle Accademie e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

Giornalista, dirige la Rivista OMA ed è responsabile di Osservatorio dei Mestieri d’Arte per Fondazione CR Firenze. Da oltre venti anni è impegnata nella ricerca e promozione dell’artigianato artistico con iniziative e progetti culturali, tra cui mostre, contest dedicati alle giovani promesse del saper fare, esperienze di didattica e di formazione per i mestieri d’arte.

Ex modella internazionale, musa ispiratrice di stilisti come Gianfranco Ferrè e Giorgio Armani, archiviate le s late e i servizi fotogra ci, ha trasformato in professione la passione per il mondo del lusso e del made in Italy. Giornalista pubblicista dal 2003, è scrittrice e consulente di comunicazione.

Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla di usione della cultura e della conoscenza dell’artigianato.

Csaba dalla Zorza
Maria Pilar Lebole
Andrea Bertuzzi
Stefania Montani
Anna Carmen Lo Calzo
Ugo La Pietra

Designer ed esperta di artigianato, ha curato la realizzazione di numerose iniziative legate all’artigianato e al design, inclusi importanti progetti nalizzati alla valorizzazione delle produzioni artigianali locali. Come coprogettista della XIX Biennale dell’Artigianato Sardo ha ricevuto un Compasso d’Oro. Susanna Pozzoli

Esperto di comunicazione per il mondo dell’alta orologeria e del lusso, per cui lavora per anni, è consulente della Fondazione Cologni per i Mestieri d’Arte sul progetto Wellmade e ha fatto parte del team di Homo Faber 2022. Ha in corso collaborazioni editoriali con La Stampa, Icon e Homo Faber Guide.

Fotografa cosmopolita, vive e lavora a Parigi. Si è specializzata nel ritrarre il mondo artigiano, che racconta con immagini e parole sviluppando parallelamente una ricerca personale, pubblicata ed esposta internazionalmente con continuità. Su incarico di Fondazione Cologni ha coordinato l’edizione 2024 di Homo Faber in Città, creando, promuovendo e fotografando una rete di oltre 70 botteghe di eccellenza.

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo al DAMS di Bologna, ha lavorato per vent'anni come giornalista presso diverse testate internazionali. Nel 2018, in occasione della prima edizione di Homo Faber, ha iniziato la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship. Dopo aver curato il lancio Homo Faber Guide, una guida online a oltre 3500 artigiani in 51 paesi in tutto il mondo, è oggi responsabile delle Relazioni Strategiche e Istituzionali della Fondazione e si occupa della ricerca di artisti e artigiani per i vari progetti Homo Faber.

Roberta
Andrea Tomasi
Alessandro Pilot

In un mondo frammentato e in costante trasformazione, l’arte della tavola diventa il linguaggio comune della condivisione.

Oggetti fatti ad arte – portafrutta, alzate, contenitori, piatti, strumenti per il servizio –traducono i gesti del quotidiano in rituali significativi.

Il linguaggio della condivisione

Sono ormai diversi anni che la nostra società ha preso coscienza del fatto che non esiste più la divisione in tre grandi strati sociali (ricchi, borghesi e proletari) ma si può dire che sia articolata in un sempre più grande numero di gruppi sociali, i cui membri si possono de nire omogeni per a nità elettive. Questa frammentazione ha quindi messo sempre più in luce il fatto che siamo tanti, e siamo tutti diversi. La diversità si manifesta in modo particolarmente evidente nei riti che scandiscono la nostra quotidianità, soprattutto in quelli legati alla condivisione. Uno dei più signi cativi è senz’altro il rito dello “stare insieme a tavola”, che accompagna sia i momenti ordinari che quelli eccezionali delle nostre vite.

Tante sono le possibili occasioni per ricorrere a questo rituale collettivo: dalla prima colazione al pranzo e alla cena quotidiani, ad altri momenti d’eccezione come la cena di Natale o il pranzo pasquale, o ancora a occasioni legate a particolari cerimonie. Questi riti sono in continua evoluzione, arricchiti da contaminazioni culturali e adattamenti che ri ettono i mutamenti dei costumi e delle sensibilità.

Per riuscire a introdurre nel nostro spazio abitativo oggetti e strumenti su cientemente coerenti con le nostre abitudini (ci sono rituali di erenziati per territori diversi) occorre cercare le possibili relazioni tra modelli formali e modelli comportamentali. È evidente che all’interno di questi rituali quotidiani, come ad esempio quelli che si svolgono attorno alla tavola, e che si esplicitano attraverso l’uso di cibi e di strumenti (oggetti per conservare, oggetti per cucinare, oggetti per esporre, oggetti per consumare), è possibile individuare una serie di modelli che esprimono le varie esigenze della nostra società come il pranzo dello stare insieme (magiare per comunicare) che nulla ha a che fare con il pranzo di servizio (mangiare per sopravvivere).

In una società in continua evoluzione, proporre nuovi oggetti su cientemente di erenziati e caratterizzati vuol dire alimentare ed incentivare la ricerca attraverso l’analisi e la rielaborazione delle risorse espresse da tempo nei nostri territori. Dai cibi agli strumenti, è ancora evidente la diversità come grande risorsa della nostra cultura materiale, che non potrebbe essere praticata senza il ruolo fondamentale dell’artigianato artistico e del design territoriale. L’arte della tavola ancora oggi impegna l’ingegno e l’amore dei nostri creativi che si adoperano per riuscire ad esaltare tutta la nostra tradizione culinaria e realizzare gli strumenti per i rituali collettivi, dai banchetti ai pranzi u ciali, dai cenoni festivi alle grandi abbu ate collettive durante le sagre locali.

Sono gli oggetti che contengono (porta capperi, porta sale, porta zucchero, porta spezie, porta salse), gli oggetti che espongono (porta frutta, alzate per i dolci), gli oggetti che servono ad allestire e ad accompagnare al meglio i riti collettivi e che ci aiutano a dare signi cato alla celebrazione; oggetti e strumenti di design artistico che esaltano i cibi e le bevande nelle loro caratteristiche, di ondendo il loro aroma, custodendo il loro sapore e celebrando il valore della condivisione. •

Apparecchiare una tavola è molto più che disporre oggetti: è un gesto che rivela identità, ricerca e desiderio. Ogni scelta –di un piatto, un tessuto, un bicchiere – diventa parte di una scenografia intima o conviviale, dove l’artigianato si fa bellezza concreta e la cura diventa racconto.

La scenografia del convivio

Apparecchiare la tavola – questa espressione è così semplice da non lasciare dubbi. Eppure, il linguaggio della tavola non è patrimonio di tutti, ma solo di alcuni. Non sono più, oggi, i privilegiati per nascita a conoscere i segreti della mise en place, della conversazione e dell’arte del convivio, quanto piuttosto coloro che si pongono nei confronti della propria esistenza come ricercatori del bello. Tra loro, chi investe il proprio tempo, la propria passione e le capacità nel creare con le proprie mani: un piatto, un bicchiere, una posata, un ornamento. E chi, guardando tutto e scegliendo secondo il proprio gusto, abbina materiali come tessuti, porcellane, metalli preziosi, cristallo, con l’obiettivo di creare una scenogra a capace di accogliere i personaggi del convivio, riempie i vuoti e dà allo spazio un ruolo preciso, capace di generare armonia. La tavola non è qualcosa di statico e immobile – è un oggetto dal design mutevole, sempre in movimento: la quinta del palco a teatro, capace di suggerire atmosfere e far entrare sia gli attori che gli spettatori nello spirito del tempo. Un luogo al quale desideriamo appartenere, per far parte anche noi della sua bellezza, per viverne l’esperienza e poterla far nostra, raccontare o replicare. Apparecchiare la tavola è un gesto quotidiano che dovrebbe essere familiare, forse automatico, eppure non è così. L’atto in sé deve sottendere qualcosa, a metà tra il segreto e l’insidia, altrimenti non sarebbe così di cile raggiungere un risultato meritevole di essere ammirato con soddisfazione. Da molto tempo la storia si scrive passando per una tavola imbandita, eppure non possiamo mai dare per scontato l’e etto che avrà su di noi scorgere il frutto della scelta di oggetti, materiali, colori, altezze e illuminazione.

La tavola è tale quando è preparata con cura, che sia quella di un banchetto con molti invitati, o quella intima, personale, imbandita per una sola persona o per due. Intorno a questo mondo-luogo-oggetto ruota la società delle buone maniere, con le sue regole, le sue parole, l’alternanza degli oggetti che sono stati pensati per essere impiegati secondo un rituale preciso.

A tavola ci si incontra, a volte fugacemente, a volte per lunghe ore. Si stringono accordi, si costruiscono relazioni, si ritrovano gli a etti alla ne della giornata o della settimana. Ci innamoriamo o ci lasciamo, mentre la tavola fa da scenogra a al nostro stato d’animo. Quando c’è una tavola apparecchiata il tavolo nudo (oggetto) diventa tavola (da pranzo) nel momento in cui iniziamo ad abbigliarlo, come dicono i francesi per indicare l’arte di apparecchiare. Ci sono molti modi per farlo, ma uno solo è l’obiettivo che dovremmo avere in mente quando ci accingiamo a iniziare la danza intorno all’oggetto: creare (appunto) il bello in modo personale. Per questo chi realizza per la tavola oggetti frutto del lavoro delle mani ci dona la propria arte: perché nel bramarli, averli, custodirli e soprattutto utilizzarli c’è sia la genesi che l’estinzione. Generiamo la bellezza, estinguiamo il desiderio. Sino alla prossima volta. •

Foto:

Csaba dalla Zorza è considerata la prima food writer italiana, in grado di trasformare cucina e accoglienza in una filosofia di vita raffinata.
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MESTIERI D’ARTE & DESIGN

Album

Ganci Argenterie

Via Altaguardia, 8

20135 Milano

Tel. +39 02 58314323

ganciargenterie.com

L’ultima loro creazione è una modernissima teiera in argento concepita come una navicella spaziale insieme al designer Job Smeets e presentata con successo al Salone del Mobile 2025 per Doppia Firma. Ennesima dimostrazione della versatilità e della bravura dell’Argenteria Ganci, che da quasi un secolo produce e lavora l’argento con tecniche straordinarie.

Racconta Giovanna Morandino, che insieme a Giuseppe, Giorgio e Gianluca rappresenta la terza generazione di questa famiglia di argentieri: «Nel nostro laboratorio abbiamo alcuni maestri artigiani che da anni seguono tutto il ciclo completo della produzione: sono abili nella minuziosa cura dei dettagli, nella modellatura delle lastre di argento, al tornio, nelle operazioni di sbalzo e nelle incisioni. Grazie al loro lavoro e a una nutrita raccolta di archivio, con documenti dell’epoca Liberty e Art Déco, possiamo anche riprodurre dei pezzi identici ai servizi del secolo scorso. Comprese le posate mancanti nei servizi. In questi anni abbiamo dato vita a nuove linee per integrare la produzione storica e possiamo affermare con orgoglio

di essere in grado di soddisfare ogni richiesta dei nostri clienti. Per questo abbiamo aderito con entusiasmo al progetto Doppia Firma collaborando con il designer Job alla realizzazione di un samovar dalla forma di navicella spaziale: è stato allo stesso tempo un gioco e una sfida di abilità e competenza». Al piano terra, all’interno dello spazio espositivo, si possono ammirare tanti pezzi delle collezioni vecchie affiancati dalle nuove creazioni: piatti, cesti, posate, vassoi in argento specchiato, cornici dalle linee essenziali e minimaliste, candelieri, vasi con superfici impreziosite da piccoli interventi decorativi, caraffe dalle forme un po’ retrò che si ispirano al dopoguerra. Non mancano interi servizi da tè e da caffè e neppure monili dalle forme più originali. Grazie a un patrimonio di modelli, disegni e schizzi, alcuni dei quali risalgono agli anni Trenta del secolo scorso, la manifattura continua a produrre una vasta gamma di argenti.

«Il nostro laboratorio fornisce inoltre un servizio di restauro e pulizia degli argenti di famiglia», conclude orgogliosa Giovanna Morandino.

Brandimarte

Via del Moro, 92R

50123 Firenze

Tel. +39 349 4220269 brandimarte.com

L’argento, che passione! Per Bianca Guscelli, terza generazione, figlia di Stefano e nipote del fondatore dell’azienda Brandimarte, le tecniche del mestiere non hanno segreti. Soprattutto il metallo prezioso ha per lei un fascino misto ad amore che l’ha portata a ricostruire con coraggio il marchio fiorentino, dopo momenti difficili nel 2016: nel segno della tradizione di famiglia.

«Mio nonno Brandimarte amava la ricerca e la sperimentazione. E ha impiegato risorse per la formazione dei suoi artigiani, dando anche lavoro ai carcerati, con sensibilità sociale e lungimiranza», racconta Bianca Guscelli. «Era un uomo straordinario. Negli anni Cinquanta iniziò a proporre gli oggetti martellati, seguendo una tecnica che aveva appreso dai gitani e che veniva utilizzata per il rame. Lanciò così nuove linee che conquistarono i clienti. Si concentrò soprattutto su una collezione per la tavola, tra cui i bicchieri e i calici, con l’intento di far entrare gli accessori d’argento nella quotidianità, oltre che nel lusso». Anche perché, ci spiega Bianca, l’argento ha delle proprietà organolettiche e antibatteriche

uniche, oltre a non alterare il gusto dei cibi e delle bevande: per questo è un materiale ideale per realizzare gli accessori per la tavola. «Tutti i nostri gli argenti sono pezzi unici, completamente realizzati a mano e possono essere disegnati e personalizzati insieme al cliente, come per alcune aziende. Abbiamo una decina di artigiani specializzati nelle differenti fasi di lavorazione, dalla laminatura alla forgiatura, dalla martellatura al cesello. Noi forgiamo piatti, posate, bicchieri, decanter, vassoi, ma anche gioielli, in argento 925. Altra specialità del nostro atelier sono le medaglie storiche: riproponiamo le medaglie che Brandimarte negli anni Settanta creò non solo per le premiazioni ma anche per celebrare personaggi storici fiorentini». Dinamica, perseverante, costruttiva, Bianca Guscelli ha aperto un magnifico atelier con 4 “sporti” su una strada nel cuore di Firenze, tra via dei Tornabuoni e Santa Maria Novella. «Grazie a chi ha creduto in me», commenta con riconoscenza.

Dopo essere stata per anni Presidente nazionale dei Giovani Imprenditori, oggi è Presidente dei Giovani Imprenditori di Confartigianato

Toscana. Nei suoi progetti ci sono i corsi di formazione per gli artigiani. «Il mio intento è quello di dare un messaggio di gioventù al settore e di “svecchiare” il prodotto», conclude sorridendo la degna erede di Brandimarte.

Enza Fasano

Via Caravaggio, 31

74023 Grottaglie (TA) Tel. +39 0995 623949 enzafasano.it

Grottaglie è il più importante centro di produzione ceramica del Salento: lungo la gravina di San Giorgio, si trova un antico quartiere di esperti ceramisti, che negli anni hanno ricavato laboratori e forni di cottura nella roccia di ambienti utilizzati in passato come frantoi, riuscendo a creare un’attività fiorente ancora oggi riconosciuta in tutto il mondo. Tra le botteghe più rinomate vi è la Bottega di Enza Fasano, oggi punta di diamante dell’arte figulina grottagliese. Figlia di Nicola, stimatissimo Maestro d’arte, Enza è praticamente cresciuta tra le ceramiche sviluppando un’abilità manuale e un senso artistico fuori dal comune. Eredità di una famiglia di ceramisti arrivata ormai alla quinta generazione. Oggi, ristrutturato abilmente il laboratorio del padre Nicola, crea forme e manufatti raffinati di grande impatto visivo insieme al marito Salvatore Santoro e alla figlia Giovanna, continuando la tradizione di famiglia. Nell’atelier, che si sviluppa attraverso sale e salette di diverse dimensioni, come un piccolo labirinto, ci sono un’infinità di ceramiche di diversi modelli e colori. Dalle pigne di varie dimensioni, da sempre simbolo di fertilità e abbondanza, alle lampade, dai servizi di piatti alle zuppiere, dai candelieri ai posaceneri. Oltre al

laboratorio storico, i Fasano hanno recentemente acquisito una bottega confinante con torni a pedale e forni per la cottura dell’argilla. «Ogni pezzo creato richiede diversi passaggi», spiega Enza Fasano. «Dapprima viene lavorato al tornio e a mano, quindi cotto una prima volta per ottenere il “biscotto”, poi smaltato per immersione e decorato con i motivi pittorici prescelti. Infine, cotto una seconda volta per fissare i colori definitivi». Un lavoro di grande precisione e abilità che Enza e Salvatore svolgono coadiuvati da un team di Maestri artigiani. «Una delle nostre creazioni tipiche è il pumo beneaugurale», continua Enza. «Rappresenta un bocciolo del fiore di acanto ed è simbolo di prosperità, forza e fecondità. Abbiamo poi la pupa con i baffi, o a cavallo, che fa parte della tradizione storica della nostra regione. Si narra infatti che il signore del tempo pretendesse lo jus primae noctis ma che un futuro marito geloso si presentò travestito da donna dimenticando nella fretta di tagliarsi i baffi. Scoperto e processato fu condannato a fornire tutto il suo vino migliore al principe. Per contenerlo, fece realizzare dagli artigiani ceramisti del paese delle bottiglie che furono modellate a forma di pupa con i baffi». Oggi queste affascinanti forme antropomorfe sono utilizzate come basi di lampade o candelabri. Nel 2020 Enza Fasano ha ottenuto il titolo di MAM - Maestro d’Arte e Mestiere.

L’Arte nel Pozzo

Via Ronchi, 15C

33050 Terzo d’Aquileia (UD)

Tel. +39 351 4149794

artenelpozzo.it

Una grande casa colonica dell’Ottocento appena ristrutturata, circondata dalla campagna e dalla vigna, alle porte di Terzo d’Aquileia. È qui che si è appena trasferito l’Arte nel Pozzo, un laboratorio artigianale che realizza ceramiche e porcellane di grande qualità. Ci racconta Sara Corà: «Mia madre Anna Miniussi è sempre stata affascinata dalla ceramica e nel 1995, finiti gli studi e la specializzazione, ha deciso di aprire un laboratorio contagiando col suo entusiasmo mio padre, Andrea. Così è nata la prima bottega, sotto casa, con i primi prototipi e le prime collezioni, esposti in un piccolo negozio a Monfalcone». Oggi, a trent’anni di distanza, non si contano più i modelli e le collezioni usciti da questo laboratorio, sempre presenti alle più grandi fiere di settore, tra cui Maison et Objet a Parigi. Il nuovo laboratorio si sviluppa su due piani: al piano terra Anna lavora al tornio

le diverse forme, mentre Andrea e Sara, insieme a un piccolo gruppo di esperti artigiani, seguono le varie fasi della creazione. Ci sono lunghi tavoli per il disegno dei modelli, con tanti colori, pigmenti e pennelli per la pittura del biscuit, e c’è una zona per la lavorazione dell’argilla. In magazzino sono oltre trecento gli stampi realizzati in bottega dagli anni Novanta a oggi. Ci sono poi i forni per le differenti cotture. «Abbiamo dei forni che arrivano a 1000° per cuocere la maiolica, mentre per la porcellana ci serviamo di quelli a 1200°», spiega Sara. Il secondo piano è stato allestito come un vero e proprio showroom: bellissimi i servizi per la tavola della collezione Tola, in porcellana di Limoges, personalizzabili, ottenuti con colorazioni particolari grazie alla tinta in pasta con ossidi coloranti. Moderni i piatti in grès, modellati al tornio uno per uno. Un capitolo a parte merita la collezione di vasi componibili, formati da più parti e più pezzi, ispirati alle pitture corporali degli indigeni dell’Amazzonia, e realizzati in collaborazione con l’associazione Survival: parte del ricavato della vendita di questi pezzi viene ad essa devoluto. Tanti articoli, tanti pezzi unici, tutti curati ed eseguiti con maestria: il sogno di Anna e Andrea di unire arte e artigianato italiano si è avverato.

Laboratorio Paravicini

Via Nerino, 8 20123 Milano Tel. +39 02 72021006 paravicini.it

Un laboratorio artigianale di grande charme nascosto in un cortile segreto di un palazzo della vecchia Milano. L’ha aperto negli anni Novanta Costanza Paravicini che, dopo gli studi artistici, ha iniziato a creare dei servizi di piatti decorati a mano di straordinaria qualità. In breve, la raffinatezza e la particolarità delle sue ceramiche è divenuta una delle eccellenze della città. Oggi la produzione si è arricchita di tanti nuovi modelli, lo spazio è raddoppiato e con lei ci sono le figlie Bona, Benedetta e Margherita Medici, che seguono la produzione che negli anni è cresciuta fino ad annoverare trenta servizi di piatti, oltre a quelli realizzabili su commissione. Le forme tra cui è possibile scegliere sono cinque: ogni modello può essere dipinto con i decori desiderati.

«Il tipo di ceramica sulla quale vengono effettuati i decori è alquanto speciale, perché è simile per l’impasto a quella inglese, rinomata per resistenza e leggerezza», spiega Costanza Paravicini. «I decori vengono realizzati a mano, su mio disegno, poi riprodotti sui piatti a stampa, a pennello o con tecnica mista.

Per questo è possibile personalizzare ogni pezzo con infinite varietà di motivi. Riusciamo a realizzare da 4 fino a 12 grafiche diverse per ogni tema». La straordinaria artigiana ha messo a punto una tecnica per riprodurre, con serigrafie progettate a mano, i decori sul biscotto che poi viene invetriato e cotto in forno. Il decoro diviene così indelebile e inalterabile, nonché lavabile in lavastoviglie. «Noi effettuiamo motivi ornamentali che si ispirano alle antiche porcellane cinesi, ad animali selvatici, ai particolari di una tovaglia, ai fiori, agli insetti, ai cani. Possiamo riprodurre anche ville e giardini a campione, su interi servizi di piatti, tazze, cache-pot, vassoi, completandoli con cifre intrecciate, a scelta dei clienti». Si spazia dalle grafiche minimali e geometriche ai decori barocchi. Continua Costanza Paravicini: «Ogni anno, in occasione della Design Week, produciamo una collezione nuova. Quest’anno abbiamo lavorato con la designer Mary Lennox, ispirandoci ai giardini all’italiana. Le collaborazioni con architetti e creativi fanno parte integrante del nostro percorso. L'ultima nostra collezione, Jungle, riproduce disegni un po' naif nello spirito di Rousseau. Sarà possibile vederla in autunno».

La preziosità di queste ceramiche sta nel fatto che non si limitano a rendere bella l’apparecchiatura, ma raccontano storie ed evocano atmosfere aggiungendo personalità alla tavola.

Ceratina 1919

Via Meravigli, 12

20123 Milano

Tel. +39 02 8055737 ceratina1919.info

La tavola illuminata da candele è un luogo di fascino, capace di creare un’atmosfera unica e accogliente. Perché la luce delle candele non è solo illuminazione, ma è anche un’esperienza sensoriale che trasmette un senso di calore e di intimità.

A Milano c’è un negozio che ha una vasta scelta di articoli in cera: Ceratina 1919. Creata circa un secolo fa da Ettore Angelino, come vendita di prodotti per la casa tra cui le cere, la cereria si è sviluppata negli anni fino a realizzare tanti modelli di candele che ancora oggi ne contraddistinguono la produzione. Nel centralissimo spazio a pochi passi dal Castello Sforzesco, Daniela Angelino, pronipote del fondatore, continua la tradizione di famiglia. «Le nostre candele vengono prodotte artigianalmente su nostro disegno», racconta la proprietaria. «Ci sono quelle realizzate a colaggio, con stampi al silicone, oppure quelle ottenute a

pressa. Le nostre proposte variano dalle forme più semplici da terra, in contenitori di stagnola oppure in coccio, a quelle decorative da tavola, lisce o ritorte, con accessori quali porta lumi di vetro o in cotto. Ci sono poi le fiaccole da piantare nel terreno, le torce in bambù, ricaricabili sia con petrolio normale sia con antizanzare». In mezzo a un profumo di aromi naturali si possono scegliere tanti tipi di ceri, a colori oppure bianchi, oltre alle torce e alle fiaccole per illuminare terrazze e giardini. Continua Daniela: «Tra le ultime creazioni “a colaggio” ci sono delle lanterne di cera in varie forme e dimensioni, quadrate e cilindriche, in una vasta gamma di colori, realizzabili nella tonalità desiderata anche su richiesta del cliente». Bellissime, inoltre, le candele a forma di grandi parallelepipedi, per l’arredamento. Di quasi tutti i modelli presenti in negozio esistono versioni semplici oppure più raffinate, con oltre 30 varianti di essenze profumate. Su commissione, e per quantitativi di un certo numero, da Ceratina si possono far realizzare candele personalizzate. Per rendere l’atmosfera sempre più calda e suggestiva.

Peromatto

Viale Roma, 3

47018 Santa Sofia (FC) Tel. +39 346 3382975 peromatto.com

Una tecnica antica per una tavola modernissima. Sembra un controsenso, ma non lo è. Infatti, i decori monocromatici realizzati con la ruggine, come nel Cinquecento, hanno un’eleganza davvero fuori da ogni tempo. Racconta Antonio Bandini che insieme alla moglie Giulia Martina Serafini, compagna di vita e di lavoro, ha iniziato questa avventura nel 2017: «Ci siamo innamorati di questa antica tecnica romagnola, appresa dal maestro Franco Olivetti, e abbiamo deciso di riproporla con l’intento di far conoscere le nostre tradizioni. In Romagna ci sono undici stamperie d’arte tessile: ci conosciamo tutti e a volte collaboriamo». Il loro laboratorio è un vasto capannone, un tempo consorzio agrario, illuminato da grandi vetrate di ferro e vetro, nel centro di Santa Sofia Levante. Un grande open space con una parte espositiva, una zona destinata al taglio e alla cucitura dei tessuti, una alla creazione dei disegni modello e una attrezzata per la stampa, con due lunghi tavoli da lavoro. Alle pareti tanti scaffali per contenere le centinaia di

stampi, creati in questi anni. «Sono stampi intagliati nel legno di pero selvatico, detto anche matto, da cui il nome Peromatto. Ogni stampo viene da noi intagliato a mano per avere il massimo della nitidezza dei contorni al momento della stampa. Alcuni stampi sono anche in linoleum». Continua a spiegare Antonio: «Il colore principale della stampa è la ruggine che creiamo seguendo un’antica ricetta: aceto di vino, farina e ruggine del ferro. Tre ingredienti semplici, naturali, con i quali viene intriso un blocco di legno precedentemente inciso. Una volta imbevuto, il legno viene battuto sul tessuto con l’aiuto di un mazzuolo». Gesti antichi, completamente manuali. Tanti gli accessori per la casa che qui vengono realizzati esclusivamente con tessuti vegetali quali il cotone, il lino, la canapa, l’ortica. «Il colore prende meglio sui tessuti vegetali, ancora meglio su quelli realizzati a telaio», confida l’abile artigiano. Grande la scelta dei prodotti: tovaglie, tovaglioli, canovacci, presine, grembiuli, runner, tende, cuscini su misura, ma anche accessori di abbigliamento quali borse, zaini, vestiti. «Collaboriamo anche con designer e artisti per creare disegni nuovi, conclude Antonio Bandini, «per offrire una gamma di disegni diversi da quelli del mondo rurale della tradizione, quali uva, mele, galline, e rendere più moderna la stampa».

Martina Vidal

Via San Mauro, 307/309

30142 Venezia

Tel. +39 041 735523

martinavidal.com

Sull’isola di Burano, famosa da secoli per la tradizione del merletto, c’è un palazzo ricco di storia: è la Casa dei Pittori, che fu punto di incontro e atelier per quegli artisti veneziani che, rifiutati dalla Biennale, venivano qui a dipingere i loro quadri, ispirati dalla bellezza del luogo. Spesso donavano le loro opere in cambio di un pasto alla vicina trattoria Romano, lì vicina, che ne conserva una piccola collezione. Ora, dopo un periodo di abbandono e una sapiente ristrutturazione, questa dimora piena di fascino è tornata a vivere per diventare il quartier generale di Martina Vidal, intraprendente signora veneziana che ha saputo portare una visione moderna nella tradizionale arte del merletto. «La nostra famiglia da generazioni si tramanda l’arte del merletto, che anch’io ho appreso fin da ragazza, grazie a mia madre e a mia nonna», racconta Martina. «Quando alla fine degli anni Novanta io e mio fratello Sergio abbiamo visto la casa dei Pittori, oramai chiusa e in decadenza, abbiamo deciso di ristrutturarla e trasferire qui il nostro atelier per farla rivivere con una delle più antiche e caratteristiche arti veneziane». Oggi, a venticinque anni di distanza, il marchio Martina

Vidal è conosciuto ed esportato in tutto il mondo. Oltre il cancello, attraverso un poetico giardino, si accede ai saloni espositivi. «Abbiamo esposto i nostri prodotti in due zone, una dedicata alla biancheria per la tavola, il bagno, il letto, un’altra dedicata all’abbigliamento», spiega Sergio Vidal. «Utilizziamo i migliori filati di lino, cotone e cachemire per confezionare i nostri prodotti che arricchiamo con decori sempre nuovi. Abbiamo anche una scuola interna con delle maestre che insegnano l’arte del merletto. Ci sono corsi per studenti della durata di un giorno, di una settimana, oppure anche corsi di apprendistato. Il nostro scopo è non far morire quest’arte straordinaria per la quale Burano è rinomata nel mondo». Al primo piano del palazzo c’è anche un piccolo museo dove è possibile ammirare una serie di merletti della famiglia oltre a dei reperti acquisiti da privati, alcuni molto antichi. «Collaboriamo spesso con designer e architetti che amano impreziosire gli arredi per la casa con i nostri ricami e i merletti», conclude Sergio Vidal. Per rendere preziosa, speciale e unica ogni creazione.

Lisa Corti

Via Lecco, 2

20124 Milano

Tel. +39 02 29405589 lisacorti.com

Un’atmosfera unica avvolge l’atelier fin dall’ingresso. Qui, in un susseguirsi di stanze e corridoi, sono esposte tovaglie, trapunte, cuscini dalle calde tonalità abbinate a disegni di fiori, motivi geometrici, animali esotici. Con le più sorprendenti cromie.

È il mondo di Lisa Corti, straordinaria creatrice di uno stile che da oltre cinquant’anni non finisce di affascinare. Della sua infanzia in Eritrea, e dei soggiorni in India, la designer ha sempre portato nel cuore gli straordinari colori di quei Paesi. E sono quei colori, magnificamente riprodotti e disegnati sui tessuti di cotone, organza, viscosa e seta, che ha voluto portare a noi attraverso le sue creazioni che l’hanno resa inconfondibile. Un primo atelier negli anni Settanta, sui Navigli, poi dal 2005 tutta l’attività è stata trasferita in un ampio spazio a pochi passi da Porta Venezia.

Racconta la figlia Ida, che della madre ha ereditato il gusto e la creatività, continuando e ampliando le collezioni: «Abbiamo concepito questo spazio come una vera fabbrica, con un laboratorio, delle macchine da cucire, dei tavoli da disegno e dei computer per lo studio dei progetti, affiancandoli alla zona espositiva della nostra produzione». Alle pareti della zona studio, tra scaffali colmi di classificatori divisi per campioni, ci sono schizzi a matita, nuovi prototipi, tessuti sovrapposti. Testimonianza di un’attività creativa vulcanica. Appeso nello showroom c’è un campione con le varie fasi della stampa di un fiore: «È uno dei nostri disegni più amati, il nizam, un fiore che abbiamo ricavato da un arazzo Aubusson del Settecento e che riproduciamo con un bordo tratto da una miniatura indiana. L’abbiamo reinterpretato ed è

diventato un po’ il simbolo del nostro marchio». Declinato in tanti colori e con abbinamenti diversi, lo si trova sui servizi all’americana e sulle tovaglie, sulle tende leggere di voile, sui cuscini e copriletti, anche sui caftani. «I nostri tessuti sono realizzati artigianalmente con una stampa “a blocco” in legno di mango intagliato che viene bagnato con i diversi colori e pressato poi a mano sulle stoffe. Recentemente abbiamo affiancato anche un sistema di stampa sviluppata a blocco ma prodotta su file, che ci permette di velocizzare la procedura». Le proposte di Lisa Corti per la tavola sono molteplici: si spazia dalle tovaglie ai servizi all’americana in stoffa o masonite laccata e sughero, dai tovaglioli in mussola di cotone ai nuovissimi servizi di piatti in porcellana, fatti realizzare in Cina su loro disegno. «Uno dei complimenti più belli che abbiamo ricevuto», conclude Ida, «è stato quello di una signora che ci ha confidato che, grazie alla fantasia delle nostre tovaglie, riesce sempre ad allestire delle tavole di grande impatto visivo anche senza aggiungere centrotavola e fiori». Con una personalità inconfondibile.

Davide Fuin

Fondamenta Lorenzo Radi, 24 30141 Venezia

Tel. +39 041 736695 – 347 9646529 davidefuin.com

È considerato uno dei più abili maestri vetrai degli ultimi trent’anni. Ed è per questo che Davide Fuin viene spesso chiamato a insegnare la sua arte in varie parti del mondo, dall’Australia all’America, dall’Europa al Giappone, dagli Emirati Arabi all’Asia. Una straordinaria abilità, la sua, come testimoniano i pezzi realizzati per Venini, Salviati, Barovier & Toso. Negli anni Novanta ha creato una piccola fornace propria a Murano, chiamandola D.F. Glassworks. Un luogo magico dove, tra bacchette di vetro colorate, pinze, cannelli e fuoco prendono vita le sue straordinarie creazioni secondo la tradizione muranese. Grande soprattutto la sua abilità nell’utilizzare le tecniche della filigrana a reticello e a retortoli, o zanfirico, dell’incalmo e dell’avventurina. Molti dei suoi vetri fanno parte ormai di collezioni private e gallerie in varie parti del mondo. «Il mio primo maestro è stato mio padre», confida Fuin. «Da lui ho imparato l’amore per questo materiale che ho sempre

considerato un po’ magico. E poi fondamentale la straordinaria esperienza a bottega con Carlo Tosi, maestro del calice». Tra gli oggetti creati e pronti per la consegna ai suoi clienti ci sono bottiglie, calici, bicchieri, alzate dai gambi lavorati con straordinaria maestria e fantasia. Una leggerezza impalpabile che affascina negli ippocampi, nei delfini e negli animali marini che sostengono i calici, nei vari abbellimenti che sembrano finissimi pizzi. «Dal 2000 ho iniziato a realizzare calici in avventurina, utilizzando antiche tecniche risalenti al Seicento. Si tratta di un materiale particolarmente complesso da trattare, poiché risulta difficile dosarne gli elementi, rendendo ogni esito imprevedibile. Proprio da questa incertezza deriva il nome “avventurina”», ci spiega il maestro Fuin. «Ma l’effetto dei bagliori che scaturiscono quando un manufatto prende vita sono davvero strabilianti».

Vincitore di numerosi premi, tra i quali Vetro a Venezia nel 2015, per il sapiente uso delle tecniche muranesi, Davide Fuin è stato insignito del titolo MAM - Maestro d’Arte e Mestiere dalla Fondazione Cologni nel 2024.

Nason Moretti

Calle degli Orti, 12 30141 Murano (Ve) Tel. +39 041 739020 – 389 2011302 nasonmoretti.com

Magia del vetro: un rito centenario che alla Fornace Nason Moretti si tramanda fin dal 1923, rinnovandosi ogni giorno. Fondata dal Maestro vetraio Ugo, coadiuvato dai figli Antonio, Giuseppe, Vincenzo e Umberto, è arrivata oggi alla quarta generazione guidata dai cugini Marco, Piero e Giorgio. Una tradizione di famiglia caratterizzata dal saper fare delle mani dei maestri Nason, oggi gli unici al mondo a poter creare ben 30 tonalità diverse di verde e 12 di blu, grazie alla continua ricerca delle ricette dei colori, segretissime, vero patrimonio del vetro artistico veneziano. Racconta Piero Nason, pronipote del fondatore e MAMMaestro d’Arte e Mestiere dal 2016: «La nostra produzione è famosa per la varietà dei colori. Abbiamo una stanza apposita dove si mescolano le materie prime per realizzare il vetro colorato, ossidi, metalli, nichel, cobalto, cadmio... colorati in pasta dentro i crogioli. Poi la cottura in

forni diversi, sempre attenti alla compatibilità degli ingredienti». Un vero lavoro da alchimista. Grazie alla genialità e alla bravura dei Nason coadiuvati da una ventina di maestri vetrai, straordinari nel soffiare e dare forma a impalpabili oggetti variopinti, nella fornace vengono realizzati vasi, bicchieri, caraffe, bottiglie, set da tavola e complementi per l’illuminazione. Ogni pezzo è unico e viene modellato a mano libera. All’interno della fornace merita una visita il Museo allestito nel 2022, un viaggio fantastico e coloratissimo attraverso cento anni di storia di un marchio che sin dalla sua fondazione si è posto all’avanguardia come design rispetto alle tendenze artistiche dell’epoca e che, negli anni, è diventato protagonista delle tavole di case reali e palazzi di stato di mezzo mondo, compreso il Quirinale. I successi di questa straordinaria realtà artigianale muranese non si contano: tra i più celebri, lo storico servizio Francesca, commissionato da Gabriele D’Annunzio nel 1924 per il Vittoriale, colpisce ancora oggi per le sue linee sorprendentemente moderne. Altro esempio emblematico è la coppetta Lidia, vincitrice del Compasso d’Oro alla Triennale di Milano nel 1955. Fu realizzata con una tecnica innovativa, l’incamiciato rovescio, ideata da Umberto Nason – nonno degli attuali proprietari – che consisteva nell’applicare uno strato esterno di vetro bianco lattimo e uno interno colorato. Oggi non si contano le collaborazioni con i designer e gli architetti più famosi nonché le collezioni realizzate in esclusiva per importanti marchi. Alcuni tra i prodotti più iconici di Nason Moretti sono presenti al MoMA (New York), al Corning Museum of Glass (Corning, New York) e al Kunstmuseum (Dusseldorf).

Anna Sogno Design

Via San Calimero, 19

20122 Milano (su appuntamento)

Tel. +39 328 7249224

annasogno.it

La magnifica collezione Anna Sogno Design nasce da un grande gesto d’amore verso una nonna pittrice molto amata. È la storia di Margherita Rignon, graphic designer torinese con laurea in Storia dell’Arte, affascinata da sempre dai quadri della nonna. Dopo averli fotografati e digitalizzati, ha creato un archivio storico con oltre 900 opere, curando anche diverse mostre antologiche. Il passo successivo è stato trasformare quelle immagini in oggetti di uso quotidiano, con l’intento di portare l’arte tra le mani delle persone, fino alla tavola.

«Ho creato quattro linee di prodotti, appoggiandomi a quattro aziende lombarde», ci racconta la dinamica designer. «La collezione si articola in diverse linee: una in porcellana, con servizi di piatti, tazze da tè e da caffè; una in melamina vetrificata, leggera e resistente, pensata per piatti e vassoi; una in plexiglass, con tovagliette all’americana sia rotonde sia rettangolari; e infine una in materiale plastico o gomma morbida. Parto sempre dalle dimensioni dell’oggetto,

selezionando un dipinto da adattare alle misure. In alcuni casi, scelgo un dettaglio – come un fiore, un albero o una pagoda – e costruisco abbinamenti tra sottopiatti e piatti a partire da quell’elemento». Il risultato è una tavola originale e piena di colore. Ci sono diversi periodi nella pittura di Anna Sogno, grande viaggiatrice: il periodo italiano, prevalentemente bucolico, con giardini e tanti fiori colorati; il periodo americano caratterizzato dallo skyline dei grattacieli di Washington e Philadelphia; il periodo birmano, con pagode, mercatini. «Io creo i pattern estrapolando alcuni particolari, oppure adattando alle misure desiderate, poi faccio riprodurre sugli oggetti prescelti il disegno. È possibile anche realizzare decori specifici tratti dai quadri, su misura, concordandoli con il cliente», spiega Margherita Rignon. «Recentemente ho iniziato a lavorare anche su stoffa, collaborando con una azienda di Como. Ho realizzato degli scialli che riproducono i grattacieli di Philadelphia al tramonto». Una creatività vulcanica e moderna, al passo con i tempi. Ma anche un grande omaggio alla tradizione di famiglia che le ha regalato questa eredità artistica davvero speciale.

Antonietta Mazzotti, collezione Le frutte del mal orto (dettaglio), maiolica bianca e oro zecchino a terzo fuoco, 2021. Creata in occasione dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. I frutti modellati a mano sono stati cotti a quasi mille gradi, donando al centrotavola una vivace intensità materica.

Foto: © Giovanni Galetta

La bellezza che si apparecchia

Un viaggio attraverso cinquant’anni di maestria faentina: Antonietta Mazzotti Emaldi trasforma ogni creazione in un gesto di memoria e bellezza. Nella serra neogotica di Villa Emaldi, sede della sua attività, la maiolica diventa linguaggio identitario, evocando botanica, letteratura, mito e paesaggio.

La tavola rappresenta da sempre molto più di un semplice spazio destinato al consumo del cibo: è luogo di incontro, dove si celebra un rito quotidiano che diventa simbolo di appartenenza culturale. In questo contesto, la ceramica si è imposta non solo come materiale d’uso, ma come mezzo espressivo in grado di veicolare valori estetici, identitari e simbolici.

Celebrare la tavola attraverso la ceramica – come ci insegnano la produzione e le continue sperimentazioni di Antonietta Mazzotti Emaldi – signi ca riscoprire le connessioni tra forma e funzione, arte e vita.

IN QUESTE PAGINE: Proserpina, maiolica bianca e oro zecchino a terzo fuoco, 2024. Il centrotavola presenta un trionfo di melograni, fiori e lumache su un’alzata decorativa. Il bianco richiama

le ceramiche dello stile Compendiario faentino del XVII secolo. L’opera è stata esposta nella sala “Celebration” durante Homo Faber 2024, a Venezia. Foto: © Giovanni Galetta

Lungo la strada per Brisighella, nel cuore della campagna faentina, si trova Villa Emaldi, dove ha sede la sua manifattura di maioliche situata nella serra neogotica della Villa, inserita nello splendido giardino con piante secolari: è qui che nascono le brocche, i vasi, i piatti, le coppe, i centritavola e i vassoi disegnati da questa colta e ra nata signora della maiolica con all’attivo una carriera lunga oltre mezzo secolo. Celebrare la tavola signi ca anche riconoscere nella materia modellata e decorata dalla maestra artigiana (insignita del titolo di MAM-Maestro d’Arte e Mestiere) non solo uno strumento d’uso, ma un veicolo di narrazione e identità. È il caso di Faience Garden: la collezione ideata nel 2024 rappresenta una studiata formula in equilibrio tra innovazione e tradizione, traendo ispirazione da un decoro inconfondibile e sempre attuale, con una lunga storia alle spalle. Conosciuto nell’arte faentina con il nome di Garofano, questo stile policromo viene concepito a Faenza nel Settecento presso la Manifattura Ferniani su imitazione delle porcellane giapponesi Imari o

Kakiemon, e successivamente tradotto in porcellana dal genio di Gio Ponti nella collezione Oriente Italiano per Ginori: Faience Garden rappresenta l’evoluzione contemporanea di questo racconto estetico e formale intorno a un decoro simbolo di un lifestyle italiano, che in Antonietta Mazzotti si traduce in esaltazione delle note oreali dell’ornato classico con un design monocromo a rilievo.

La ceramica, per sua natura fragile e durevole al tempo stesso, conserva tracce di vita, diventando archivio della memoria materiale: smalti e forme organiche che rimandano ai frutti e agli ortaggi sono i protagonisti de La frutta del mal orto (titolo mutuato dall’Inferno, canto XXXIII), collezione realizzata nel 2021 in occasione dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. La ceramica incontra dunque la letteratura ma anche la mitologia, come nel caso speci co di Proserpina, pezzo unico della medesima collezione esposto durante l’ultima edizione di Homo Faber a Venezia, proprio nella sala “Celebration”: questo centrotavola in maiolica bianca è stato

pensato per un desco importante e presenta uno stand ellittico adornato con una vibrante disposizione di melograni, ori e lumache (con accenti in oro 24 carati dipinti, senza nemmeno il bisogno di speci carlo, a mano). Un rimando allo stile Compendiario faentino del XVII secolo qui riproposto in chiave contemporanea.

In Italia la ceramica si esprime attraverso un sempre più ampio numero di “mani intelligenti” legate, direttamente o indirettamente, alle numerose aree di tradizione, e a Faenza questa espressione d’arte applicata coincide con il nome di Antonietta Mazzotti, per giunta esperta botanica e appassionata lettrice. Ogni oggetto progettato e realizzato dal 1976 nella sua serra (un tempo ricovero per le piante di limone) porta con sé l’eco di una dimensione lenta, un bisogno di autenticità, di cura e di consapevolezza. Il tutto modellato a mano, o con l’uso di stampi, cotti a 950°, impreziositi spesso da applicazioni di oro zecchino a terzo fuoco con cottura a 680°. I servizi da tavola sono testimonianza del nostro modo di

stare al mondo e la tavola imbandita è un atto di comunione. Nella sua produzione il l rouge è sempre l’eleganza: alzatine, vasi, ciotole e coppette si alternano in stili ra nati come le grottesche blu rinascimentali, i decori “ ori di patata” rosa, i classici e intramontabili ‘bianchi’ faentini. Antonietta Mazzotti Emaldi rappresenta un esempio di come l’arte possa essere profondamente radicata nel territorio, con il genius loci che non solo ispira, ma diventa parte integrante dell’opera stessa. «Nei tempi più recenti ho avuto modo di organizzare una colazione per i miei più cari amici, imbandendo una tavolata qui a Villa Emaldi. Oltre alle pietanze tipiche della mia terra, protagonista indiscussa è stata la mise en place con 350 piatti diversi, ovvero tutti i campioni (che conservo con cura) realizzati nei miei 53 anni di lavoro», racconta con soddisfazione la maestra artigiana, decana illustre della grande ceramica faentina nel mondo. Una celebrazione come atto di comunione e convivialità. Come lo stile italiano insegna. •

Antonietta Mazzotti al lavoro nella neogotica serra di Villa Emaldi, suo suggestivo atelier immerso nella campagna faentina, in cui ogni creazione nasce in armonia con la natura e il silenzio ispiratore del luogo.

Foto: © Francesca Galetta

Collezione Faience garden (dettaglio).

Questa raccolta valorizza l'ornato floreale della tradizione con un design monocromo a rilievo.

Il motivo del garofano reinterpreta in chiave contemporanea l’iconico garofano faentino, simbolo policromo della ceramica settecentesca.

Foto: © Giovanni Galetta

Dal 1974 Bruno Amadi crea a lume frutti e ortaggi in scala 1:1, così realistici da sembrare veri. Dopo un’attenta osservazione, miscela bacchette di vetro di Murano per ottenere cromie vivide e naturali. Qui mostra un rametto di bacche di rosa canina.

IL vetro PIÙ vero DEL vero

Da oltre cinquant’anni, nella sua storica bottega di Calle dei Saoneri a Venezia, Bruno Amadi trasforma il vetro in creature del mare, frutti della terra, insetti minuscoli e fiori, con poesia e precisione, restituendo alla natura una forma eterna. La sua arte celebra il silenzio, il dettaglio e la meraviglia del gesto artigiano.

Testo e foto di Susanna Pozzoli

QUI: Le ciliegie, realizzate a lume una per una, si distinguono per lievi differenze, rendendole realistiche pur nella loro apparente uniformità.

PAGINA ACCANTO: Funghi pioppino in primo piano, affiancati da finferli e baccelli. Ogni pezzo, fedele alla natura, è riprodotto con minuziosa cura nei dettagli e nei colori.

Per Bruno Amadi, nato nel 1946 a Burano e trasferitosi con la famiglia a Murano all’età di quattro anni, il vetro è stata più che una scelta un destino. Il padre, glio di gondoliere, operava in fornace e come tutti i giovani muranesi di allora Bruno inizia a lavorare a undici anni, ma contrariamente ai suoi quattro fratelli e alla sorella, si appassiona all’arte del vetro per la vita. Ricordando quegli anni racconta che: «a partire dai quattordici anni, alla sera andavo a imparare da mio padre. Anche lui, di giorno era in fornace e la sera continuava a lume, da solo». Bruno Amadi lavora in quegli anni per Salviati, Mazzega e Barbini, seguendo anche i corsi di disegno di Anzolo Fuga presso la Scuola del Vetro Abate Zanetti. Nel 1974, già sposato, apre la bottega in Calle dei Saoneri a Venezia dove inizia una ricerca personale, dedicandosi in particolare a ricreare fedelmente in vetro ortaggi, frutti e ori. Il successo non si fa attendere e la passione non manca: il maestro è in bottega ogni giorno e i clienti provenienti da tutto il mondo

non solo acquistano le sue opere, ma suggeriscono anche idee, regalandogli libri, inventari di animali e piante e inviando articoli che ancora oggi sono impilati su uno sca ale colmo di disegni e volumi da cui trae ispirazione. La bottega di Bruno Amadi, interamente realizzata, muri e so tto compresi, con la tecnica dello stucco veneziano in “rosso fornace”, cinquant’anni dopo l’apertura è intatta. Sulle mensole in vetro nero sono esposti i manufatti divisi per soggetti. Entrando a destra il mondo del mare, con molluschi, pesci, stelle marine, coralli, alghe, meduse, granchi. Alla sinistra un’ampia scelta di ortaggi e frutti in scala 1:1 che sembrano pronti per essere consumati. Su un’altra mensola possiamo ammirare miniature di uccelli di tante specie e colori diversi, ma anche insetti, rane e ranocchi, miniature di gira e e un rinoceronte nero. Una vetrinetta racchiude alcuni tesori particolarmente complessi da realizzare come la serie di zanzare poggiate su pietre di ume trasparenti, esposta nel 2011 al Museo Correr in “L’avventura del vetro”.

QUI: Tra le creazioni ispirate al mondo marino: un gambero rosso dalle lunghe chele e, a destra, due scarabei rinoceronte interpretati in modo libero e artistico.

PAGINA ACCANTO: Bruno Amadi nella sua bottega nel Sestriere di San Polo a Venezia, un luogo intimo e prezioso che conserva intatta l’atmosfera degli anni Settanta.

In bottega sono passati personaggi importanti diventati clienti, collezionisti e in seguito amici, come Keiji Murata, giapponese che da quarant’anni colleziona le opere di Bruno Amadi e il grande regista Takeshi Kitano che lo ha reso famoso realizzando un documentario per la rete nazionale giapponese NHK. Dietro alla postazione dove Amadi lavora troviamo messaggi di stima e una fotogra a di Pierre Rosenberg, ex direttore del Louvre, che sorride con in mano un grandissimo corallo. Nel 2021 la mostra “L’Arca di vetro. La collezione di animali di Pierre Rosenberg” a Le Stanze del Vetro, alla Fondazione Giorgio Cini, contribuisce a far conoscere al grande pubblico Amadi, che già nel 1981 si era fatto notare per la serie di 250 formiche rosse e nere, microscopiche e perfette, esposte sopra zucchero bianco a Palazzo Grassi. Nel 2016 è vincitore del premio Riedel Award e nel 2021 partecipa alla mostra “Più vero del vero” al Museo di Storia Naturale. Sempre a Venezia,

espone al Museo Correr e a Palazzo Ducale; a Firenze a Palazzo Pitti e al Museo Oceanogra co di Monaco. Nel 2023 realizza una serie di vegetali interamente bianchi e di insetti in colore blu Klein su invito di Federico de Vera, esposti nella sua galleria di New York. Nel 2024 diversi manufatti sono presentati alla mostra Homo Faber alla Fondazione Giorgio Cini, e alle Gallerie dell’Accademia nella mostra “Convito di vetro”. Amadi crea con grande libertà: ogni giorno plasma oggetti partendo dall’osservazione dal vero o da fotogra e e disegni. Non ama lavorare in serie e si lascia guidare dal desiderio che ancora oggi illumina la sua creatività: «Se ho comprato dell’uva la guardo, la mangio e intanto riproduco gli acini cercando di avvicinarmi alle forme, ai colori e alla trasparenza. Sono soddisfatto quando lo spicchio in vetro sembra proprio fratello di quelli naturali». Una delle fasi più importanti è la preparazione del colore adatto per ogni elemento, ottenuto mischiando a lume

più bacchette di vetro di Murano. Da diversi anni i colori sono “standard”, Amadi racconta che: «cinquant’anni fa il vetro dello stesso colore disponibile da ogni fornace era di erente. Ognuna aveva il suo colore, le sue sfumature. I colori erano anche più vivi perché tutto era fatto a mano, tirato a mano, mentre ora sono tirati da una macchina e sono omogenei.»

Per concentrarsi, per proteggersi dal usso incessante di turisti in la indiana nella calle a ollata, da alcuni anni Bruno Amadi lavora dietro la serranda chiusa. È rimasto uno dei pochi artigiani attivi in un quartiere che ha via via perso la sua unicità e ricchezza. Anche sua glia ha scelto altre strade e non darà seguito alla sua avventura. Per nostra fortuna, ogni giorno il maestro entra in bottega con passo deciso e si mette a creare. Concentrato sul lavoro, si astrae dal brusio della folla di turisti che vociano in tutte le lingue, mentre tra le sue mani continuano a nascere piccole meraviglie ricche di poesia. •

L’ECCELLENZA È SERVITA

Fotografie: Courtesy Buccellati

La tavola firmata
Buccellati: sul fondo, contenitori della collezione Jam Jars ; in primo piano, bowl in argento della collezione Nature, ispirate a fiori e foglie, realizzate con straordinaria perizia artigianale.

L' art de la table firmata Buccellati, da sempre parte del suo DNA, si arricchisce di nuovi oggetti in grado di soddisfare qualunque palato. In un continuo dialogo tra argento, ceramica e vetro, la tavola diventa spazio privilegiato di espressione estetica e rituale domestico. Tra rispetto della tradizione, lusso e audace ironia.

È una tavola gioiosamente a ollata quella pensata da Buccellati per le celebrazioni più importanti e preziose, anche e soprattutto emozionalmente parlando. Una costellazione scintillante di centrotavola, ciotole, segnaposto, sottobicchieri, posate e vassoi che, come una punteggiatura precisa, vanno a perfezionare le più ambiziose e varie apparecchiature.

Se la Maison milanese è certamente più nota per lo splendore dei suoi gioielli dalle intricate lavorazioni artigianali –dall’incisione all’incatenatura, dal lo ritorto al pizzo – i pezzi immaginati per decorare la tavola fanno saldamente parte del DNA dell’azienda sin dai suoi albori, quando nel 1919 Mario, emigrato dalle Marche a Milano dopo la morte del padre e per anni artigiano da Beltrami e Besnati, storica ore ceria del capoluogo lombardo, decise nalmente di mettersi in proprio.

Basti pensare che già negli anni Venti Buccellati lanciò sul famelico mercato del tempo le coppe di Boscoreale, incredibili

Sessanta da Gianmaria

e

espressioni dell'arte argentiera della Maison. In foto: Cerbiatto e Fagiano accovacciato in argento 925/1000.

capolavori di incisione che erano fedeli riproduzioni di quelle usate dai romani a Pompei e che ancora oggi si possono trovare in negozio.

Fu poi a partire dagli anni Cinquanta, con l’ingresso in azienda di Gianmaria, glio di Mario, e con l’apertura del primo negozio a New York sulla 51ema Strada, che l’art de la table rmata Buccellati si impose come elemento imprescindibile nelle sale da pranzo dell’alta borghesia. Grazie all’immaginazione del nuovo direttore creativo, le linee si moltiplicano andando a creare una narrazione capace di adattarsi a stili diversi, da quelli più eleganti ai meno formali. All’opulenza di Opera, in cui il logo della Maison è ripetuto in una tta trama di maestria artigiana, si a ancano ad esempio gli oggetti della linea Cervino, in cui il corno di cervo dialoga ardito con l’argento dando vita a pezzi di sorprendente e pratica bellezza.

Più la richiesta aumenta – nei primi anni Ottanta Buccellati decide di rilevare una leggenda della posateria d’argento, la

bolognese Clementi – più la fantasia di Gianmaria ampli ca e arricchisce l’o erta. Grazie al suo slancio, i maestri ora della Maison si spingono a sperimentare tecniche inedite e audaci. L’esempio più eclatante è senza dubbio la collezione Furry, rilanciata in occasione dell’ultima Design Week di Milano. «Volevo trovare un metodo che non fosse mai stato utilizzato prima, un modo per riprodurre la natura con ancor più precisione e con dettagli realistici, come le piume e il pelo degli animali»: con queste parole, Gianmaria Buccellati presentò negli anni Sessanta questa strepitosa collezione di piccoli e grandi animali d’argento pensati anche per decorare la tavola come mai si era visto prima. Apparentemente semplice, la creazione di questo e etto pelo richiede in realtà ore di lavoro e centinaia di sottilissime lastre d’argento che vengono poi applicate con cura su un calco in gesso.

E la natura, questa volta la ora, si fa ispirazione per quella che è forse la più ricca e famosa delle linee che Buccellati dedica

Collezione Furry, ideata negli anni
Buccellati
tra le più originali

In oltre sessant’anni, la collezione Furry ha esplorato un vasto repertorio animale.

Qui, una raffinata Anatra in argento 925/1000, ottenuta con la tecnica di lavorazione a piume.

Parte della linea Murano, le Jam

Jars Buccellati sono vere sculture da tavola, nate dall’incontro tra la maestria vetraria veneziana e la tradizione argentiera milanese. In foto: contenitore Arancia e segnaposto Prugna

alla tavola. Nature è un trionfo di foglie, ori, frutta e ortaggi declinati in oggetti puramente decorativi o anche funzionali.

Una linea democratica, sempre considerando che di eccellenza si parla: si parte da deliziosi segnaposto che costano solo un centinaio di euro, per arrivare a centrotavola che sono sculture, come l'incredibile composizione di carcio che lo scorso anno ha accolto i visitatori di Homo Faber nella sala dedicata appunto all'art de la table.

Con giusto spirito imprenditoriale, Gianmaria e i suoi eredi prima, e oggi il team creativo scelto dal gruppo Richemont che ha rilevato il marchio nel 2020, hanno deciso di ampliare la proposta unendo all’argento ceramica e vetro, talvolta legando il proprio nome a quello di altrettanto storiche e blasonate manifatture. È così che nella linea Rouche il caratteristico drappeggio non si trova solo sui bordi di vassoi e piatti in argento da portata, ma anche su stoviglie di porcellana realizzate in collaborazione con Ginori 1735. O, ancora,

che Rosso Maraviglia rende omaggio contemporaneamente alla scultorea di Buccellati e al colore simbolo di Venini, tra le fornaci regine del vetro muranese. Murano che è anche il nome di un’altra linea “collaborativa” di oggetti per la tavola, che uniscono ovviamente il vetro all’argento, come nel caso delle deliziose Jam Jars, frutti dentro ai quali riporre succose marmellate per la colazione. E qualora la primavera prossima vi venisse voglia di apparecchiare una magni ca tavola in mezzo a un prato di campagna orito, o su una distesa verde accarezzata dalla brezza di montagna, non temete: la Maison milanese ha pensato anche a quello con la linea Tahiti, che deve il suo nome alla passione che Gianmaria Buccellati aveva per il pittore francese Paul Gauguin e che fu creata su richiesta dell’avvocato Gianni Agnelli. Il suo ore all’occhiello sono gli incredibili set da picnic in cui l’argento si intreccia al bambù, ai legni e alla pelle. Per uno stile unico anche en plein air. •

In primo piano, Jam Jar a forma di lampone: vetro soffiato di Murano in colori vivaci e coperchio in argento che riproduce foglie e dettagli botanici con straordinaria precisione.
Tessile Medusa, runner
Sa Ide (La Vite) in lino bianco, realizzato con la tecnica del pibiones semipieno. Il bianco su bianco rievoca la tradizione dei corredi nuziali sardi.
Foto: © Andrea Olla

Trame DI accoglienza

Nel cuore della Sardegna, Marcella

Sanna intreccia tradizione e accoglienza. I suoi tovagliati realizzati nella storica cooperativa Tessile Medusa ridanno valore alla tavola quotidiana come luogo di relazione e continuità culturale. Ogni tessuto diventa così un gesto di cura e un atto poetico: una trama che accoglie, racconta e resiste.

di Roberta Morittu

QUI: Marcella Sanna al lavoro sul grande telaio, realizza manufatti con la tecnica a pibiones, nelle varianti tuttopieno e semipieno. Il filo di trama viene avvolto manualmente su un ferretto per ottenere i caratteristici rilievi chiamati "grani".

PAGINA ACCANTO: Nel runner presentato, Marcella Sanna fonde i motivi della stella e del rombo in un disegno centrale elegante. Il lino color nocciola valorizza il rilievo con sobria intensità.

Foto: © Andrea Olla

L’arte di abbellire la tavola con preziosi tovagliati rappresenta una speci cità del vivere italiano, dove il senso estetico si fonde con il valore della condivisione. Non si tratta semplicemente di disporre tessuti eleganti su una super cie, ma di mettere in scena un rituale quotidiano che parla di accoglienza, cura, bellezza e memoria. Apparecchiare la tavola diventa così un gesto di attenzione verso gli altri, un modo per trasformare il pasto in un momento di connessione autentica, dove ogni dettaglio contribuisce a creare un’atmosfera unica.

In Sardegna, questo costume si intreccia a una cultura dell’accoglienza che a onda le sue radici nella storia e nel patrimonio identitario dell’isola, fatto di gesti antichi e oggetti essenziali, ma colmi di signi cato. Oggetti spesso nati dall’arte silenziosa della tessitura, una delle espressioni più emblematiche della tradizione sarda: non solo tecnica

artigianale, ma autentica forma di linguaggio, un’eredità culturale che attraversa i secoli e si rinnova a ogni gesto compiuto sul telaio. Ogni lo intrecciato racchiude una storia, ogni motivo decorativo evoca un paesaggio, un simbolo, un’emozione radicata nella vita rurale e comunitaria dell’isola. Trasmessa di generazione in generazione, questa pratica ha preso forma tra le mura domestiche, dove le donne si dedicavano con sapienza e cura alla creazione dei tessuti destinati al corredo familiare. Lavorazioni preziose tra le quali la tecnica a pibiones si distingue per eleganza e forza espressiva: una tessitura a rilievo che forma piccoli grani, come semi di memoria, capace di donare ai tessuti una texture vibrante, generando disegni che custodiscono l’iconogra a profonda dell’isola. Richiede rigore, pazienza e abilità, e costituisce una delle più alte manifestazioni dell’artigianato tessile sardo.

Ed è proprio attraverso questa tecnica che Marcella Sanna, ideatrice e anima creativa di Tessile Medusa, realizza i suoi manufatti. Vive e lavora a Samugheo, piccolo centro nel cuore della Sardegna, noto per essere uno dei custodi più autorevoli della tradizione tessile isolana. In questo contesto, un tempo legato principalmente ai bisogni di una società agropastorale, l’arte del tessere si è trasformata, assumendo un ruolo centrale come espressione identitaria della comunità e motore di crescita culturale ed economica.

Marcella apprende l’arte della tessitura da sua madre, secondo tradizione, crescendo sin da bambina tra telai e trame. La sua formazione si consolida poi in un laboratorio artigianale del paese, dove ha l’opportunità di confrontarsi con una produzione rivolta a un mercato in trasformazione, profondamente in uenzato dal crescente sviluppo turistico

della Sardegna. Questo periodo rappresenta per lei non solo un momento di crescita professionale, ma anche la maturazione di un desiderio più profondo: creare qualcosa di proprio, dare forma a una visione personale del fare artigiano. Insieme alla sorella Daniela, raccoglie l’eredità di uno dei laboratori tessili più emblematici di Samugheo: la cooperativa Tessile Medusa, nata negli anni Settanta dall’iniziativa coraggiosa di un gruppo di giovani donne. Le due sorelle scelgono di conservarne il nome, rendendo omaggio alla memoria e al valore simbolico di quell’esperienza pionieristica. Allo stesso tempo, proiettano il progetto in una dimensione nuova, dove tradizione e innovazione dialogano con equilibrio e armonia. Coinvolgono nel loro percorso altre sapienti tessitrici, unite da profondi legami di amicizia e rispetto, che con la loro maestria contribuiscono al prestigio del laboratorio.

La produzione Tessile Medusa, interamente realizzata a mano con materiali naturali e di altissima qualità, è ampia e articolata, orientata a creare un prodotto capace di interpretare il gusto contemporaneo senza smarrire la profondità culturale della tradizione. Una tradizione che vive e si rinnova attraverso il sapere artigiano, espressione autentica di un’identità ancora viva. Una parte signi cativa della produzione è dedicata ai tessili per la tavola. Le preziose tele un tempo destinate ad accompagnare il vivere quotidiano si trasformano e si rinnovano per rispondere alle esigenze della convivialità contemporanea. Nei suoi tessuti, la tradizione non è mai semplice citazione, ma materia viva che dialoga con l’estetica del presente perché per Marcella la tessitura non è solo un mestiere, ma un gesto di memoria e di visione: un modo per restituire valore al tempo, alla cura, alla bellezza del fare. In ogni trama da lei creata si ri ette l’anima più intima della Sardegna, che attraverso le sue mani continua, con grazia e determinazione, a raccontarsi al mondo. •

IN QUESTE PAGINE: Tovagliette sottopiatto nelle tonalità ecrù e grigio su fondo bianco, con cornice decorativa ottenuta alternando i punti del pibiones. Un perfetto equilibrio tra rigore e bellezza.

Tutte le foto: © Bruno Gasperini per Rosamia

ARGENTO VIVO

di Maria Pilar Lebole

Fotografie: Courtesy Archivio Foglia Firenze 1935

Erede di una dinastia di maestri argentieri fiorentini, Lorenzo Foglia unisce la sapienza rinascimentale al linguaggio del design, creando opere che celebrano il vivere con bellezza e intenzione. Dalle tavole reali ai set cinematografici, dai calici ai trofei, ogni oggetto racconta una storia di eccellenza artigiana, di ricerca e di connessione profonda con la natura.

L’artista e maestro orafo-scultore Lorenzo Foglia nella sua bottega fiorentina accanto alla statua Octopus Proldo, in argento sterling.

La passione di Lorenzo Foglia per la lavorazione dell’argento a onda le radici nel passato e richiama, a tutti gli e etti, le botteghe rinascimentali: luoghi dove si forgiavano i metalli, si realizzavano utensili e si sperimentavano tecniche, forme e materiali. La sua prima ispirazione viene senz’altro dallo studio approfondito dei Trattati dell’ore ceria e della scultura di Benvenuto Cellini (1568), in cui sono descritte tutte le fasi di lavorazione, gli strumenti e i metodi che ancora oggi si utilizzano. Classe 1971, nato a Viareggio ma sempre vissuto a Firenze, Lorenzo Foglia incarna la dedizione e la competenza di una vera dinastia di argentieri e cesellatori. Presidente degli Argentieri della città di Firenze per Confartigianato Imprese Firenze, stato insignito del titolo di “Artigiano OMA”, riconosciuto come Maestro Artigiano dalla Regione Toscana dal 2012, e nel 2018 come MAM – Maestro d’Arte e Mestiere dalla Fondazione Cologni.

La tradizione professionale dei Foglia risale al 1935, quando il nonno Carlo – capostipite dell’eredità artistica famigliare –fondò il proprio laboratorio a Firenze, specializzandosi nella creazione di oggetti sacri, arredi e gioielli. Negli anni Sessanta, il glio Giuliano, padre di Lorenzo e a sua volta esperto argentiere e cesellatore, portò avanti con passione l’attività di famiglia. Ben più di un semplice erede, Lorenzo ha saputo ampliare e reinterpretare questo prezioso lascito. La sua produzione eclettica spazia con disinvoltura da oggetti d’arredo e gioielli per le case reali e il mondo dello spettacolo, alla creazione di simboli di prestigio internazionale come i trofei per i Gran Premi di Formula 1. Questa poliedricità si ri ette anche nella sua apertura all’innovazione: Lorenzo accosta con audacia materiali tradizionali come l’argento, il legno, il diaspro, il lapislazzulo e il corno a elementi contemporanei come il plexiglass e il nylon.

Artista multidisciplinare – scultore, orafo cesellatore, disegnatore classico, designer fotografo e 3D CAD Editor – è un punto di riferimento nell’artigianato di eccellenza. Raccogliendo l’eredità dei grandi cesellatori orentini e aprendosi alla cultura del design internazionale, il suo marchio Foglia Firenze 1935 rappresenta oggi una sintesi tra eccellenza artigiana, ricerca, innovazione e arte classica. Che si tratti di pezzi unici o di piccole serie, ogni creazione viene curata nei dettagli, dalla progettazione alla realizzazione manuale. Viene invitato a realizzare il diadema indossato da Elizabeth Taylor nel lm Il giovane Toscanini (1988), e il maestro orafo Gerardo Sacco lo chiama per creare le corone indossate da Mel Gibson e Glenn Close nel lm Amleto (1990), entrambi diretti da Franco Ze relli.

Vincitore di numerosi premi, Lorenzo ha realizzato vasi in stile liberty e calici in argento per il 50° anniversario di matrimonio

PAGINA ACCANTO: Riccio di Mare, particolare del portaghiaccio in argento sterling di Lorenzo Foglia.

QUI: Skorpio, contenitore alchemico per essenze e veleni, ispirato al simbolismo mercuriale, in argento sterling.

della Regina Elisabetta II con il Principe Filippo. Ha partecipato alla rassegna “Italia in Giappone 2001–2002”, la più grande manifestazione mai organizzata per la promozione dell’Italia all’estero, con l’inaugurazione a Tokyo della Mostra dedicata al Rinascimento. Il percorso creativo di Lorenzo Foglia si distingue per l’uso della tecnica mista, insieme a una grande vitalità espressiva. Le sue opere spesso sono ispirate alla ora e alla fauna, ma si a rancano dai limiti accademici della formazione giovanile: attraverso un percorso intimo, ra gura aspetti della natura colti nella loro più autentica libertà espressiva, e ogni creazione racchiude una storia, una parte del suo vissuto e del suo sentire più profondo. Giovanissimo, a soli 21 anni, conquista il podio

in un concorso internazionale con oltre trecento partecipanti grazie a una scatola sbalzata e cesellata ispirata al movimento dell’onda per rappresentare l’essenza del tema marino. Le sue capacità progettuali includono oggi anche il design d’interni, la domotica del lusso e servizi per esposizioni ed eventi. L’azienda lavora inoltre con laboratori specializzati in diverse discipline e si avvale di collaborazioni con centri di ricerca, architetti, designer e artisti di tutto il mondo. Spaziando con fantasia dalle linee classiche al design, dal disegno a mano alla progettazione CAD, dalla microfusione alla tiratura a martello, no all’arte dello sbalzo e del cesello, nella bottega Foglia si realizzano sempre opere esclusive, frutto di una creatività eclettica e di un’abilità artigianale d’eccellenza. •

PAGINA ACCANTO: Toscana, specchioportafoto in argento sterling, incorniciato da frutti e fiori ispirati a una terra incantata.
QUI: Lorenzo Foglia, insignito del titolo di MAM – Maestro d’Arte e Mestiere, mentre cesella le ventose di un tentacolo di polpo.

Il ciapun è una serie di pentole Lavéc ottenute da un unico blocco di pietra ollare. Generalmente cinque, variano per dimensioni a seconda del blocco originario. Qui esposte durante la terza edizione di Homo Faber (Venezia, 2024).

CHE LA

festa CONTINUI

di Alessandro Pilot Fotografie: Courtesy Lavéc

Quella del lavéc è la storia di una celebrazione antica che, grazie al giovane artigiano Nicola Bagioli, ha trovato nuova vita. Un tempo simbolo della tavola domenicale in Valtellina, questa speciale pentola in pietra ollare stava scomparendo con i suoi artigiani. Oggi, torna protagonista nelle cucine di chef e appassionati.

QUI: Un lavéc con coperchio (2022) e, a destra, una cioda, tradizionale piastra in pietra ollare. Tutti gli utensili da cucina di Nicola Bagioli sono realizzati a mano senza l’uso di smalti o vernici.

PAGINA ACCANTO: Lavéc in pietra ollare con doppi manici. Un tempo oltre 70 laveggiai operavano tra Valmalenco e Valchiavenna; oggi ne restano solo due.

«Qui, tutte le famiglie avevano un lavéc. Si portava direttamente a tavola la domenica, per il pranzo di festa, ma in verità niva per essere usato un po’ tutti i giorni... era la pentola per eccellenza». Nicola Bagioli attinge ai racconti della nonna per o rirci uno spaccato di com’era la vita quotidiana nei paesi della sua Valmalenco, no a qualche decennio fa. Racconti che parlano di vite semplici, vissute in condizioni s danti come le alte cime che circondano la valle e confortate solo, a momenti, da fondamentali antichi riti collettivi. Il lavéc – la pentola realizzata al tornio da un unico blocco di pietra ollare – possiede proprio le caratteristiche dello strumento rituale. Realizzato in pietra e destinato al fuoco, ha una forma arcaica e primordiale e una lunga storia che si perde nei secoli. È strettamente legato a un territorio, alla sua natura e alle sue tradizioni, e come tale ha un nome misterioso, non comprensibile ai non iniziati, ai forestieri. Soprattutto, è lo strumento che consente di compiere l’antico rito di riunire la

famiglia per mangiare insieme. Il pasto è da sempre il cuore simbolico di ogni rito di celebrazione.

La lavorazione artigianale del lavéc, che un tempo dava lavoro a oltre 70 tornitori tra Valmalenco e Val Chiavenna, è oggi quasi scomparsa. Molte famiglie hanno ancora in casa la vecchia pentola di pietra ma non se ne producono più di nuove, anche perché molti strumenti tradizionali dei laveggiai sono scomparsi, le competenze sono andate dimenticate, i costi sono saliti. Il rito stesso del pasto della domenica si è s lacciato, come il tessuto sociale di queste piccole comunità di montagna.

Tanti giovani, invece di tenere in vita i faticosi e poco remunerativi mestieri tradizionali, lasciano le valli, cercando opportunità altrove.

In questo scenario si inserisce la storia di Nicola: un racconto a lieto ne, a atto nostalgico e anzi perfettamente contemporaneo. Nicola è ancora molto giovane (classe 1995) ma ha già due vite alle spalle. Nato in un paese della

Valmalenco da una famiglia di laveggiai da cinque generazioni, ha coronato prima di tutto il suo sogno di diventare un promettente ciclista professionista. Poi, a causa di un incidente che ne ha sospeso la carriera nel 2019, ha fatto una scelta controcorrente che si è rivelata un’intuizione geniale: ha mantenuto la passione per le due ruote ma si è dedicato al recupero della tradizione familiare, riscoprendosi laveggiaio. «Volevo fare un lavoro che mi piacesse almeno quanto andare in bicicletta. Tutti mi prendevano per matto, ma io avevo capito che c’era un potenziale. Bastava pulire il laboratorio: del resto, avevo la grande fortuna di poter contare sugli strumenti originali del nonno, tutti realizzati apposta per questo mestiere, e sugli insegnamenti di mio padre», racconta Nicola. Con l’aiuto della famiglia e della danzata Arianna, che si dedica alla comunicazione, in poco tempo Nicola e i suoi lavéc cominciano a farsi conoscere nella valle – dove magari le nonne vanno nella piccola bottega di Lanzada per comprarne uno da regalare alle nipoti – ma anche altrove, in Italia e all’estero, grazie a un intelligente uso dei social e all’e-commerce, che accompagna con grande successo l’attività della bottega.

«Oggi l’80% delle vendite avviene online. Vista la complessità della lavorazione artigianale, i tempi di produzione sono lunghi e le liste di attesa possono arrivare anche a un anno». Un successo supportato dall’intelligente attività di comunicazione, fatta di racconti autentici sulle tradizioni, sulle montagne e sulle ricette, ma soprattutto sulle eccellenti qualità del lavéc, che lo rendono un ricercato strumento per veri gourmand. «Tradizionalmente, il lavéc è la pentola ideale per le cotture prolungate e uniformi di piatti semplici, come le zuppe e gli stufati, ma oggi ha anche prospettive del tutto nuove. Ho la fortuna di lavorare con molti straordinari chef, giunti a me attratti dalle prestazioni e dalla dimensione completamente naturale della cucina con il lavéc, e alcuni mi hanno anche s dato a realizzare varianti particolari come il lavéc a pressione, che ha un coperchio pesantissimo».La lista dei famosi sedotti dalla pietra ollare plasmata da Nicola comprende già numerose celebrità dell’alta cucina come Heinz Beck, i fratelli Cerea, Michelangelo Mammoliti e Alessandro Negrini. Grazie al maestro laveggiaio Nicola, sulle loro tavole stellate – come nelle nostre case – la celebrazione può continuare. •

PAGINA ACCANTO: Due fasi di lavorazione del lavéc : la tornitura della pietra e il taglio delle fasce di rame che servono per realizzare i cerchi con cui sono rilegate le pentole e le piastre.

SOPRA: La pietra ollare, tenera e malleabile, si lavora facilmente al tornio.

A DESTRA: Nicola Bagioli con la moglie Arianna davanti alla loro bottega a Lanzada (SO).

BOTANICA e poesia

di Stefania Montani Foto di Laura Ferrari

Nel laboratorio genovese di Paola Nizzoli Desiderato, la cera d’api diventa materia viva. Maestra artigiana di rara sensibilità, riproduce con precisione ogni frutto, fiore e alimento, trasformandoli in oggetti d’arte che celebrano la natura. Un sapere antico, recuperato con studio e dedizione, che oggi torna a incantare musei, collezionisti e mostre internazionali.

Paola Nizzoli Desiderato, Zucche, ceroplastica in cera vergine d’api, in scala reale, come tutte le opere di questo servizio. Una sorprendente sintesi tra arte e scienza, che restituisce la forma e la materia con verosimiglianza emozionante.

Di cile descrivere con parole lo stupore e l’ammirazione che si provano osservando le opere in cera d’api create da Paola Nizzoli Desiderato, maestra artigiana e artista di grande sensibilità, in grado di modellare e riprodurre al reale ogni prodotto della natura. Con risultati straordinari. Nel suo laboratorio di Genova, sui tavoli da lavoro e negli sca ali, ci sono più di 50 tipi di cere, calchi in gomma, pigmenti naturali, pennelli, pentolini e prototipi. Nell’archivio circa 700 modelli da lei creati, tra pere, mele, uva, susine... Ognuno di essi con una scheda tecnica.

«La passione per quest’arte antica è scaturita improvvisa nel 2006 quando sono stata chiamata a Torino per tenere una conferenza sui ori nella Storia dell’Arte, la mia materia», racconta Paola Nizzoli. «In quell’occasione ho visitato il Museo della Frutta e ho scoperto la straordinaria collezione pomologica in cera realizzata a metà Ottocento da Francesco Garnier Valletti, il più famoso e abile dei modellatori che ha riprodotto, con una mistura di cera, pece greca, alabastrino e cenere, centinaia di varietà di frutti, alcuni ormai estinti, a scopo di documentazione scienti ca. È stato amore a prima vista: all’uscita ho acquistato tutti i libri sull’argomento esposti nel bookshop e, rientrata a Genova, ho iniziato a studiare e sperimentare. Mi sono dedicata alle tecniche dei grandi maestri ceroplasti, quali Susini e Calamai, i cui pezzi sono esposti alla Specola di Firenze».

Studio, conoscenza dei materiali, sperimentazione, pazienza, perseveranza, estro e manualità. Sono i segreti di quest’arte inusuale che a onda le origini tra i bizantini, i greci, i romani, che se ne servivano prevalentemente per rappresentare i visi dei loro defunti. «Nella mia attività ho imparato che ogni cera vergine è diversa dalle altre, sia per consistenza che per colorazione. Quindi ogni processo creativo ha un suo percorso che può mutare in corso d’opera.» Ma come prende vita ogni frutto? Spiega Paola Nizzoli: «Il procedimento è inverso rispetto a quello scultoreo: in quel caso si parte dalla forma in cera, si fa un calco in gesso o gomma siliconica, successivamente si cola il bronzo al suo interno. Nel mio lavoro, invece, creo l’impronta di un frutto rivestendolo con gesso o colla siliconica, poi tolgo delicatamente il frutto e riempio il calco con la cera. Una volta creati i calchi, la realizzazione dei modelli dipende dalla complessità dei frutti stessi: per esempio una mela richiede circa 5 ore di preparazione, il melograno aperto 2 o 3 giorni lavorativi, un grappolo d’uva anche 10 giorni. In quest’ultimo caso va tenuto presente che ogni acino viene modellato, dipinto

con colori e velature, prima di essere collegato al graspo a sua volta formato da me con lo di ottone rivestito di carta gommata». Straordinarie sono anche le pesche dalla super cie vellutata che Paola riesce a ottenere grazie a un processo che prevede l’utilizzo della polvere di lana che conferisce alla super cie un e etto vellutato. I successi accumulati in questi anni da Paola Nizzoli Desiderato non si contano: tra i più signi cativi, la sua riproduzione della Canestra di frutta del Caravaggio esposta nel 2010 alla GAM di Milano con un’istallazione dell’architetto Italo Rota. «Ho studiato per sei mesi quel quadro magni co, tornavo ogni giorno alla Pinacoteca Ambrosiana per interiorizzare ogni dettaglio. In quel periodo continuavo a comperare frutta per studiarla: ne ho mangiato quintali», confessa ridendo. Un’altra opera straordinaria creata dall’artista è la Piramide alimentare realizzata per il Museo Martinengo di Brescia in occasione di Expo 2015. Si tratta di un’opera alta 3 metri e formata da 1.927 pezzi, tra i quali pasta, carne, pesce, verdura, frutta, formaggi tutti realizzati in cera con

PAGINA ACCANTO: Mele selvatiche, fedelissima composizione in ceroplastica, con foglie realizzate in carta e cera.

SOPRA: Arance tarocco adagiate su base ceramica.

QUI: Riproduzione tridimensionale della Canestra di frutta di Caravaggio: una rilettura rigorosa e filologica dell’iconico dipinto.

Agrumi. L’artigiana esplora il concetto di mimesi estrema, con superfici lucide e porose che evocano il profumo e la consistenza della frutta appena colta.

l’aggiunta di specchi per consentire all’osservatore una visuale tridimensionale dal basso. «In questo caso si è trattato di una vera corsa contro il tempo perché la data stabilita per la consegna era vicinissima. Una vera s da, per la quale ho lavorato anche 14 ore al giorno.»

Un altro evento che le piace ricordare è la partecipazione all’allestimento della mostra al museo Stibbert «Conviti e banchetti. L'arte di imbandire le mense». Per l'occasione, ha riprodotto in cera ogni tipo di cibo e di centrotavola, comprese le uova di Pasqua e i panettoni, creando un itinerario storico incentrato sulla trasformazione del design e della decorazione della tavola avvenuta nel corso di tre secoli, dal Cinquecento all'Ottocento. Aggirandosi nel suo studio, ci racconta un ultimo aneddoto che le è particolarmente caro e che fa capire come sia legata alla Natura. «Qualche anno fa, in maggio, sono entrata le mio

studio – dove lascio sempre uno spiraglio di nestra aperto – e l’ho trovato invaso da uno sciame di api. Spaventata, ho chiamato i vigili del fuoco ma, trattandosi di una specie protetta, non potevano intervenire con una disinfestazione. Né io l’avrei voluto. Così ho chiesto consiglio a un amico apicoltore. La sua risposta mi ha sorpresa: mi ha spiegato che probabilmente si trattava di uno sciame in cerca di una nuova casa e che aveva scelto il mio studio per fare una sosta. Mi ha suggerito di chiudere la porta e tornare il giorno dopo. Il giorno seguente, le api erano sparite. Mi ha intenerito pensare che avessero scelto proprio il mio atelier per riposarsi prima di riprendere il volo».

Negli ultimi anni Paola Nizzoli Desiderato, sempre spinta dalla curiosità scienti ca, ha realizzato anche gure umane studiando procedimenti e ingredienti per riprodurre gli e etti dell’incarnato. Con risultati davvero straordinari. •

QUI: Dolci, una raccolta golosa e ingannevolmente reale, in cui ogni dettaglio invita all’illusione sensoriale.
PAGINA ACCANTO:

Sei varietà d’uva : un raffinato esercizio di verosimiglianza che rievoca le antiche tradizioni delle cere botaniche. Il cestino intrecciato in carta dipinta a mano, con foglie anch’esse in carta, completa la composizione.

Vanessa Cavallaro, particolare di un vaso in cristallo soffiato color ambra con incisione a losanghe impreziosite da foglia d’argento. La lavorazione a ruota crea profondità e giochi di luce.
Foto: © Roberto Greco

Una fata nel paese del vetro

Nel borgo ligure di Altare, dove la storia del vetro vive da secoli, Vanessa Cavallaro incide emozioni sul cristallo con la precisione di un gesto antico e la grazia di una visione contemporanea. Unica donna a portare avanti la tradizione dell’incisione alla ruota, scolpisce calici, bicchieri e oggetti per la tavola che uniscono funzionalità e poesia.

La storia di Altare, suggestivo borgo medievale alle porte della Valbormida, tra i verdi boschi e le dorate spiagge della vicina costa savonese, si intreccia da sempre con quella del vetro, almeno a partire dal XII secolo grazie ai monaci benedettini. Una storia a ascinante, documentata dal Museo dell’Arte Vetraria Altarese, sito nello splendido edi cio liberty di Villa Rosa, che conserva un patrimonio unico, con opere che vanno dal Settecento ai giorni nostri. Ancor oggi Altare è sede di alcune botteghe artigiane dedicate alla so atura e incisione del vetro, ma il territorio avrebbe bisogno di una promozione più incisiva, per non perdere la straordinaria produzione millenaria che è la sua inestimabile ricchezza e di cui restano oggi poche testimonianze.

Vanessa Cavallaro è rimasta qui l’unica maestra dell’incisione su vetro, che ha scelto Altare come luogo del cuore, sede di vita e di lavoro.

Savonese classe 1971, Vanessa inizia a dar prova di talento non comune n da giovanissima, cimentandosi a soli dieci anni nella di cile arte della glittica alla ruota. Un’arte complessa di incisione sul cristallo che Vanessa a na nel tempo, esercitandosi nella bottega paterna e arrivando in pochi anni alla maestria. Del resto è stata questa l’avventura del vetro no ai giorni nostri, con la formazione in bottega di tutti i maestri n da bambini o poco più. Il caso di Murano insegna. Nel suo atelier nel cuore di Altare, aperto nel 1993, la maestra si specializza in particolare in oggetti per la tavola: calici, bicchieri, brocche, bottiglie e decanter, piatti da portata, e complemeti per l’arredo, dal vaso alla scultura. Della sua abilità si avvalgono molti nomi importanti dell’home decor, fra cui Dior, che le commissiona preziosi e ra natissimi servizi. Ci confessa il suo amore speciale per i bicchieri, in ogni forma e decoro: «Ho un debole per i bicchieri e per gli stemmi, che

declino in moltissimi modi per ornare questa tipologia a me cara di ornamento per la tavola, che può unire funzione e decorazione in modo sublime». Frequenta il liceo artistico e successivamente l’Istituto Europeo di Design di Torino, dove si diploma in gra ca nel 1992. L’approfondimento delle conoscenze sulle tecniche vetrarie e l’esercizio incessante la portano a un’altissima capacità esecutiva. Quando nel 1993 apre il suo laboratorio, ha subito una commessa speciale: esegue su richiesta dei Lions Club liguri ben 93 vasi in vetro da collezione incisi a mano e numerati.

Nel 1997 viene invitata ad avviare la prima apertura del workshop nel MACEF a Milano, a riscontro dell’alta competenza raggiunta. Ma il rango di artista internazionale le è riconosciuto nel 2000 con l’invito a partecipare all’11° Salon décoration et jardin, nel Principato di Monaco.

Nel 2014 diventa membro della prestigiosa corporazione

Vasetto in vetro, 1985. La superficie curva è decorata con un disegno a fantasia floreale che ne esalta l’eleganza artigianale.
Foto: © Anita Rizzolo

una greca di linee curve intrecciate, seguita da un motivo floreale con tre gruppi di fiori a cinque petali, ornati da riccioli e rametti fogliati.

Foto: © Anita Rizzolo

inglese e Guild of Glass Engravers e nel 2016 riceve dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte l’ambito riconoscimento di MAM - Maestro d’arte e Mestiere, entrando nel Libro d’Oro dell’Eccellenza Italiana. Nel 2018 è invitata a partecipare a Homo Faber, la grande mostra internazionale che la consacra tra i più importanti artisti-artigiani del vetro d’Europa. Empatica e solare, dotata di un’invidiabile e inesausta energia, Vanessa conquista con il suo sorriso e la sua passione per il mestiere, che non si stanca mai di raccontare e di ondere. «Mio padre è stato la mia guida. Era un grande appassionato e ne conoscitore del vetro. Nel suo atelier e nel suo negozio (ha avuto per anni una orentissima attività commerciale) ho potuto conoscere e ammirare anche la miglior produzione di cristalleria europea, innamorandomene. Lui mi permetteva anche di seguirlo in molti viaggi, vere immersioni nella bellezza che mi hanno formata», ci racconta con orgoglio e rimpianto.

Ricorda come il padre prediligesse sempre l’insegnamento alle donne, dicendo che la sensibilità e la ra natezza femminile davano al lavoro un tocco impareggiabile. Pur essendo il mondo del vetro molto chiuso e tipicamente maschile, la sua apertura mentale è stata essenziale per la talentuosa Vanessa.

Le chiediamo di raccontarci brevemente in cosa consiste il suo lavoro: «Incido sulla super cie del vetro o del cristallo con una ruota di pietra avvitata al mandrino del tornio, appoggio il vaso o calice che sia sulla ruota e facendo una pressione asporto il vetro creando un bassorilievo. Non si può cancellare e si può anche bucare la super cie ma l’esperienza ti permette di non fare errori. Uso vetro e cristallo so ato, sia cavo che piano. Amo lavorare sulla sottigliezza…».

Figure umane, paesaggi, ori, racemi, animali, ballerine, conchiglie, decorazioni commemorative, delicate geometrie, stemmi e monogrammi incisi donano luce, leggerezza e

Collezione Luigi per la tavola, in cristallo 24% Pb soffiato, composta da tre calici — acqua, vino e flûte — impreziositi da steli lavorati che richiamano l’eleganza dell’Art Déco. L'incisione a mano alla ruota propone

Secchiello per champagne in cristallo 24% Pb soffiato. Il fondo, molato e lucidato, crea raffinati giochi di luce che valorizzano la trasparenza del cristallo. L’incisione floreale è eseguita a mano alla ruota.

Foto: © Roberto Greco

SOTTO: Bicchiere da acqua in vetro soffiato con finitura lustro verde, decorato con due rami di rosa: fiori aperti, boccioli e foglie realizzati con estrema precisione.

Foto: © Ida Luce

sulla superficie durante l’incisione.

Foto: © Roberto Greco

profondità ai cristalli so ati, illuminando le tavole più eleganti e ra nate. Nell’ultima produzione, la maestra ha inserito anche la foglia d’oro, per la passione di sperimentare nuovi materiali e decori.

La sua peculiare cifra stilistica, ciò che rende le sue opere subito riconoscibili, sono a suo dire le speciali sfumature di grigio che riesce a ottenere con la molatura delle pietre, che ben conosce e sceglie con cura.

Cosa la ispira maggiormente nella sua produzione decorativa? «Tutto ciò che mi circonda è per me fonte di ispirazione: la natura, il paesaggio, l’arte, le arti applicate, la moda…». Quando le chiediamo quali sono i suoi interessi al di fuori del lavoro sembra quasi sorpresa: il lavoro è anche la sua passione e la sua felicità, la assorbe e la appaga completamente! Cosa la rende davvero felice? Portare a termine un pezzo e vedere che è fatto proprio come l’aveva immaginato, a regola d’arte. •

SOPRA:
PAGINA ACCANTO: Vanessa Cavallaro al lavoro davanti al mandrino del tornio. L’acqua che scorre dal tubo alla mola previene rotture

Vaso sfera in cristallo 24% Pb, soffiato a bocca, color ambra, con apertura obliqua. La decorazione, composta da incisioni ovali disposte in un elegante motivo a V, è impreziosita dall’applicazione

di foglia oro. Luce, riflessi e materia si fondono in un insieme armonico, trasformando il vaso in una scultura contemporanea che celebra l’incontro tra maestria artigianale e ricercatezza estetica.

Foto: © Roberto Greco

Francesca, 32 anni, intreccia una poltrona Violet. Disegnata da Mario Bonacina e Renzo Mongiardino nel 1973 per le dimore di Donna Marella Agnelli, Violet prende forma ispirandosi a modelli d’archivio dei primi del ’900 firmati dal fondatore Giovanni Bonacina.

bonacina1889.it

Vetrerie di Empoli, bicchieri realizzati a mano con una raffinata tecnica di incisione e decorati manualmente con dettagli in oro.
Foto: © Fabio Nova

CELEBRARE LA MATERIA

Da quasi un secolo, Vetrerie di Empoli crea con spirito libero oggetti unici per la tavola e la casa. Nata in Toscana e attiva a Milano, unisce tecniche antiche e forme nuove. Ogni collezione celebra la materia con incisioni, oro zecchino e invenzioni, fondendo arte, design e convivialità.

di Andrea Bertuzzi

«L’artigiano prova, l’artigiano osa, l’artigiano doma la materia. Perché siamo sperimentatori». È la convinzione che muove la creatività di Vetrerie di Empoli, storico atelier specializzato nella produzione di vetro artistico da tavola e per la decorazione di interni. Fondato nella cittadina toscana nel 1938 per dedicarsi alla lavorazione del tipico vetro verde locale, oggi ha sede a Milano ed è gestito dalla terza generazione della famiglia Parentini insieme a una piccola squadra di artigiani, abilissimi nella molatura e nella decorazione a mano. Le loro opere impreziosiscono le tavole di clienti e hotel internazionali, che possono scegliere sia linee classiche sia design moderno, oltre a servizi di personalizzazione e restauro.

Il dialogo con Simona Belforti, export manager dell’azienda, parte da un’interessante ri essione: in Toscana il vetro parla una lingua diversa. Questo materiale, che nella regione si

lavora sin dal tempo degli Etruschi, anche grazie alla successiva in uenza della cultura medievale e rinascimentale, ha sempre lasciato liberi gli artigiani di esprimere la propria creatività: «Non hanno mai sentito l’urgenza di apparire riconoscibili, come i muranesi, i francesi o i boemi, semplicemente perché in Toscana si è sempre prodotto qualsiasi oggetto, dai aschi alla cristalleria più ricercata», spiega Belforti. Dunque, le collezioni di Vetrerie di Empoli non inseguono uno stile, semmai lo destrutturano, lo ricompongono, lo inventano, continuando a osare nel segno della libertà assoluta. Uno degli esempi più eclatanti è Capriccio, una serie di bicchieri scolpiti a mano nel massello di vetro poi ricoperti in oro zecchino o platino. «Si tratta di una tecnica dimenticata, di cilissima da controllare, che è stata riscoperta nel nostro laboratorio. Il vetro viene scolpito in modo irregolare e

QUI: Particolare della lavorazione dei bicchieri in apertura: la seconda mano di oro — inizialmente liquida e di colore marrone — durante la cottura ad alta temperatura sviluppa sfumature che rappresentano autentici prodigi di raffinatezza.
PAGINA ACCANTO: Dettaglio della finitura in oro sul bordo di un decanter. Entrambe le foto: Courtesy Vetrerie di Empoli

l’aspetto materico della decorazione richiama i “non niti” di Michelangelo». Poi c’è Marmo, altro picco di eccellenza artigianale, che ricrea sul vetro i colori e l’e etto dei marmi policromi impreziositi dall’inserimento di venature dorate. Aurora, che unisce sabbiatura a mano, incisioni segrete e pennellate libere. Arlecchino, che si ispira alla tradizione classica del vetro di fornace so ato italiano. Dolce Vita, un tributo ai colori dell’Italia e delle sue opere d’arte... Dalle parole di Simona Belforti risulta evidente che nei laboratori di Vetrerie di Empoli nulla, però, nasce a tavolino: «Sono le emozioni, che in quanto tali non sono prevedibili, a guidare piuttosto il processo creativo». Come quando, nella solitudine in cui la pandemia gettò l’umanità intera, Paolo Falasco, il capo dell’atelier, forse alla ricerca del suo centro interiore, un po’ come tutti noi, cominciò a disegnare dei cerchi. «Tornati in azienda, Tiziano

Brusamento, il responsabile di produzione, aveva realizzato alcuni campioni. Erano i giorni in cui Milano veniva nominata sede delle Olimpiadi Invernali 2026...». Cerchi concentrici colorati – che siano quelli dell’anima oppure olimpici poco importa – oggi caratterizzano la collezione Olimpia. A capo dell’azienda c’è Franco Parentini, glio di Ugo, il fondatore, coadiuvato dalle glie Olivia e Ilaria. L’attuale presidente è un uomo di grandissima cultura, che ha permesso ai suoi artigiani di sperimentare. Appassionato d’arte, custodisce nel suo u cio il quadro Festa Campestre di Jan Boeckhorst (1604-1668) e, sicuramente d’accordo con il pensiero di Goethe, secondo cui «l’anima che vede la bellezza a volte può camminare da sola», ha fatto in modo che tutti i suoi collaboratori possano ammirare ogni giorno in azienda un prestigioso dipinto di Francesco Valaperta (1836-1908),

L’ultima cena di Maria Stuarda. «Il signor Parentini ha un “occhio assoluto”, ovvero sa cogliere l’impercettibile, riuscendo a distinguere, per esempio, un fondo d’oro orentino da uno senese. È una poesia sentirlo spiegare il perché sono diversi, pur sembrando identici», spiega Belforti. Il genio di Parentini, unito alla straordinaria capacità manuale e tecnica di Tiziano Brusamento, si è spinto anche a brevettare nel 2017 un calice unico, Gira e rigira, inserito nell’ADI Design Index e candidato al Compasso d’oro 2020: un piccolo globo in metallo posto tra l’apice dello stelo e la base del calice permette, con una lieve carezza del pollice, di imprimere un morbido movimento rotatorio al vino, in modo da consentirne la valutazione degli aspetti visivi, delle note olfattive e delle sensazioni gustative. È l’evoluzione di Ikebana, brevettato nel 2001, innovativo calice per la tavola che può variare in altezza aggiungendo o togliendo il gambo a seconda della mise en place. «Amiamo le s de impossibili», chiosa Simona Belforti. Ed è proprio grazie a questa dedizione assoluta che anche la materia, alla ne, può svelare la sua anima. •

IN QUESTE PAGINE: Vetrerie di Empoli, calici della collezione Ikebana, 2014. Un brevetto del 2001 consente di personalizzare ogni pezzo assemblando liberamente i vari componenti tramite una vite nascosta. Entrambe le foto: Courtesy Vetrerie di Empoli

Calici e bicchieri della collezione
Dolce Vita, ispirata all’Italia e alle sue opere d'arte, 2014. La finitura satinata opaca si abbina ai bordi rifiniti in oro. Selezionati per Homo Faber 2024, Venezia. Foto: © Tutti i diritti riservati
Villari, Lord Peacock, scultura in porcellana smaltata lucida, interamente realizzata a mano dal maestro
Leone Villari. Impreziosita da cristalli Swarovski applicati su cresta e coda, è proposta in edizione limitata a 18 esemplari numerati.
Foto: © Villari Studio

L’ALCHIMIA della meraviglia

Villari trasforma la porcellana in un’arte della meraviglia quotidiana. Ogni oggetto, modellato con amore per il gesto, la memoria e la bellezza, nasce per celebrare la potenza della condivisione e ci ricorda che la tavola

non è solo un luogo domestico, ma lo spazio in cui il tempo si fa prezioso.

Scriveva André Breton che «la meraviglia è sempre bella.

Ogni cosa meravigliosa è bella. Solo il meraviglioso è bello». Un’a ermazione celebre, una presa di posizione acuta e una proposta artistica sicuramente provocatoria: legare l’idea del bello “solo” al meraviglioso signi ca infatti saldare in maniera ferrea la concezione del gradimento estetico, dell’apprezzamento etico, della forza persuasiva e insomma di tutte le caratteristiche che associamo all’idea di “bello” al fattore scatenante e imprescindibile della sorpresa, dello stupore, appunto della meraviglia.

Di ogni meraviglia. Solo della meraviglia.

L’arte e l’alto artigianato, che costantemente ci stimolano a interrogarci intorno alla rappresentazione del bello e al suo valore nelle nostre vite e per i nostri giorni, sembrano dunque doversi necessariamente nutrire di questo senso quasi di commozione, che ci s ora e ci seduce ogni volta che arriviamo

alla scoperta (sorprendente, appunto) di un senso nuovo, sino ad allora nascosto: un senso, inteso come signi cato, che si dipana attraverso attimi indimenticabili, che come esseri umani desideriamo celebrare e ricordare.

Celebrazione, ricordo, meraviglia, arte e mestiere: parole chiave che sin dal 1967 innervano e sostengono la produzione di Villari, manifattura di porcellane ra natissime che nasce da una storia d’amore (Cesare e Silvia si incontrarono proprio grazie al lavoro che li accomunava, e decisero di iniziare le loro avventure familiari e imprenditoriali) e che di amore continua a nutrirsi.

Amore per la qualità: la realizzazione di ogni oggetto rmato Villari richiede abilità artigianali straordinarie, visioni creative potenti, intuizioni artistiche audaci, innovazioni tecniche che guidino i processi verso il futuro.

Amore per la memoria: le suggestioni energetiche del Barocco,

le sinuosità eleganti dello stile Impero, ma anche il dialogo generativo con designer quali Ferruccio Laviani e Fabio Novembre, e artisti come Je Koons, creano un universo di possibilità espressive che la famiglia Villari traduce in oggetti preziosi e abbaglianti – per il candore e la bellezza, per la novità e la purezza.

Amore per il lavoro: da Villari ogni fase legata alla creazione, alla progettazione, alla lavorazione e alla decorazione (che è un “gioco serio”, come dice Cesare) viene sviluppata e seguita con il senso profondo del rispetto e dell’audacia che motiva ogni vero artigiano.

E in ne, amore per la vita: le tavole sulle quali oriscono gli oggetti rmati Villari sono una celebrazione continua del tempo, e della preziosità che moltiplica il suo valore grazie alla condivisione di ogni momento signi cativo. La porcellana di Villari impreziosisce tutti gli spazi domestici dove si articola

Composizione di fiori in porcellana, modellati a mano dai maestri artigiani Villari: un tributo alla bellezza senza tempo del savoir-faire italiano. Foto: © Fulvio Francone

IN ALTO: Collezione Cap-Ferrat , una linea di illuminazione decorativa che comprende lampadari, lampade da tavolo e da terra. Ogni pezzo è realizzato a mano in Italia e decorato

la vita di tutti i giorni, grazie al lucore di pezzi ra natissimi la cui fragilità va di pari passo con la potenza espressiva e la perfezione formale.

Ma le tavole imbandite sono certamente la fonte più e cace di meraviglia. E se la meraviglia è il più potente dei sentimenti, che ci permette ogni giorno di scoprire cose nuove e nuovi signi cati partendo da quello che si ha sotto gli occhi, allora la bellezza è il privilegio di chi – come la famiglia Villari – sa continuamente sorprendersi, e trovare appunto un “senso” che si cela non solo nei singoli oggetti, ma nei nessi tra un oggetto e l’altro, tra i materiali, tra i gesti: le connessioni culturali e narrative contribuiscono alla percezione della bellezza tanto quanto lo splendore delle singole opere, perché la meraviglia è la necessaria messaggera che trasferisce il bello verso il signi cativo, e dunque verso il memorabile. La sala da pranzo è da sempre un luogo domestico speci co

con fiori in porcellana bianca biscuit, a sottolineare l'eleganza della lavorazione artigianale. Foto: © Photopiù

IN BASSO: close up di una rosa, testimonianza concreta dell'impegno di Villari nel preservare le tecniche tradizionali. Foto: © Villari Studio

e de nito, ma è anche uno spazio conviviale necessario per apprendere a vivere insieme, e a comprendere il valore della condivisione. Per esplorare il mondo attraverso la celebrazione delle relazioni umane. Per coglierne le bellezze sublimi che si celano dietro signi cati che vanno indagati, raccontati, trasmessi. Per iniziare ogni giorno la collezione più bella che ognuno di noi è chiamata a comporre: quella di attimi indimenticabili, in cui i sogni antichi mantengono l’esotismo della fantasia ma diventano la naturale incarnazione dei nostri desideri, per permetterci di creare le nostre bellissime, personalissime, immagini che chimere. Che non potrebbero essere tramutate in realtà da nessun altro materiale, che dalla porcellana: potente, fragile, lucente, abbagliante. Come i sogni, che Cesare e Silvia Villari hanno trasformato in realtà, cuocendoli al fuoco alchemico della passione. •

IN ALTO, A SINISTRA: Leone Villari e Ferruccio Laviani, Littargicus , vaso in metallo dorato e lastre in porcellana dorata e smaltata, 2022. Opera creata per “Doppia Firma. Dialoghi tra pensiero progettuale e alto artigianato”, esposta a Palazzo Litta durante la Milan Design Week 2022.

Foto: © Luca Rotondo

IN ALTO, A DESTRA: Flacone per oud in vetro soffiato di Murano con fiore in porcellana applicato a mano.

Foto: © Villari Studio

Villari, lampadario

Lady V : la struttura in ottone placcato oro 24ct comprende una sfera centrale che funge da base per i 32 steli, ognuno dei quali termina con una splendida sfera in vetro di Murano illuminata nelle tonalità del rosa e del blush. Il lampadario Lady V è un omaggio alla femminilità e ormai un'icona della produzione Villari. Foto: ©Villari Studio

tavole

un motivo di piume in rilievo dipinto a mano in bianco brillante con dettagli in oro

Villari, collezione per la tavola Queen Elizabeth : realizzato in porcellana finissima, questo servizio da tavola - che si ispira alla maestosità delle
reali - presenta
24ct.
Foto: ©Villari Studio
Collezione TaorminaCosta Smeralda : la linea
Taormina nella variante
Costa Smeralda è attualmente protagonista della campagna
"La Meraviglia", in corso fino alla fine di luglio
presso Harrods, terzo piano, sezione Home.
Foto: © Villari Studio
Da circa settant’anni la Tessitura Pardi è sinonimo dello stile italiano nella biancheria per la casa e nell’arredamento di interni. Qui, esposizione di tovaglie di vari disegni e composizioni.

L’arte di tessere la storia

di Anna Carmen Lo Calzo

Nata nel 1949 a Todi da una visione familiare che intreccia storia, coraggio e identità, la Tessitura Pardi è oggi simbolo di eccellenza artigianale umbra. Le sue stoffe, frutto di una lavorazione minuziosa su telai tradizionali, non sono solo oggetti per la tavola: sono frammenti di memoria viva, tessuti che raccontano valori e legami tramandati.

Foto di Anna Morosini

La storia della famiglia Pardi sembra un racconto epico, una narrazione letteraria o il capolavoro di un grande regista del Novecento. Dall’intuito visionario di un nucleo familiare unito da valori solidi come determinazione, spirito d’avventura, condivisione, nel 1949 nasce a Todi la Tessitura Pardi, laboratorio d’eccellenza specializzato in biancheria per la casa e corredi ispirati alla tradizione medievale umbra. I motivi decorativi, come il famoso grifo di Perugia che evoca forza, nobiltà e protezione, riprendono temi classici: ora, fauna, gure geometriche, soggetti mitologici. Proprio come in una grande saga, Alberto Pardi – a ettuosamente chiamato Albertino – ci conduce in un viaggio suggestivo tra episodi personali e familiari, intrecciati a vicende storiche e imprenditoriali, che hanno segnato il cammino della sua famiglia. Tutto ebbe inizio ventisette generazioni fa, quando il capostipite della famiglia Pardi, maestro orologiaio, si trasferì da Camerino (comune in provincia di Macerata) a Montefalco,

per esercitare l’attività di responsabile dell’orologio del Comune. Successivamente, i Pardi iniziarono a diversi care le loro attività, caratterizzandosi sempre per spirito di intraprendenza e senso di appartenenza al territorio. «Quattro generazioni fa», racconta Alberto, «il mio bisnonno e i suoi fratelli, spinti dalla passione, fondarono una cantina specializzata nella vini cazione del Sagrantino e del Passito. Entrambi i vini furono molto apprezzati dal Vaticano, ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale l’attività vinicola andò in crisi e la cantina venne chiusa. Nel 1949, in pieno dopoguerra, il fratello del nonno e tre cugini non si persero d’animo e decisero di dedicarsi a un mestiere antico. Fondarono il loro primo laboratorio di tessitura, passando dalla produzione di pezze grezze per la casa a quella dei corredi, molto richiesti durante il boom delle nascite. Acquistarono il loro primo telaio a navetta per la lavorazione Jacquard a Busto Arsizio. Poiché a Montefalco non esistevano tecnici capaci di

utilizzarlo, decisero di chiedere a un operaio locale di trasferirsi in Umbria. A quel tempo in paese non c’erano alberghi, quindi lo ospitarono a casa loro. Si narra che versasse il vino nella minestra durante la cena, secondo una tradizione nordica a loro sconosciuta. Fu un eccellente tessitore, lavorò al loro anco per anni ed è il nonno del nostro attuale capo fabbrica».

Lo spirito d’avventura continua anche con la gura di Alberto Pardi, padre di Albertino, il quale, prima di dedicarsi alla tessitura, lavorò in Venezuela nell’importazione di ceramiche da Sassuolo. Tornato in Italia, negli anni Novanta, dopo qualche rocambolesca peripezia, Albertino riuscì a realizzare il suo sogno nel cassetto: diventare enologo.

«Avrei voluto frequentare la scuola superiore di agraria, ma mio padre fece di tutto per rimandarmi al corso di enologia una volta nito il liceo. Per lui la cantina era il lascito di mio nonno, mentre la tessitura rappresentava il frutto di tre generazioni di operai. Quando gli dissi che volevo lasciare

IN ALTO: Varietà di copriletti. Alcuni disegni sono preziosi, altri sono contraddistinti da un rigore di forme e da una ricercata essenzialità degli accostamenti, tipici della moderna eleganza minimalista.

PAGINA ACCANTO: Tovaglia con disegno uva in puro lino (in primo piano).

l’Italia per andare in Australia, mi chiese di salutare uno a uno i nostri collaboratori. In quel momento capii che non ce l’avrei mai fatta a partire. Ottenuto il risultato con poche e sagge parole, mio padre mi spinse anche a frequentare un master sulla gestione d’impresa alla Bocconi. Oggi mi sento completo, non ho rinunciato alla mia passione per l’enologia, sono entusiasta della tessitura: studio le tecniche di lavorazione, faccio ricerca e sperimentazione». Nei primi anni del Duemila la globalizzazione mise in crisi il settore del tessile di produzione italiana e la famiglia Pardi si trovò davanti a una scelta: modernizzare i telai o tenere quelli dei nonni? «Non avemmo dubbi, restammo fedeli alla tradizione. L’idea fu vincente, nonostante sembrasse folle. La verità è che il nostro prodotto si caratterizza proprio grazie al tipo di lavorazione sui vecchi telai a navetta che curiamo minuziosamente. I colori nascono dall’intreccio tra ordito e trama, non da stampe. I clienti comprano da noi un

frammento di storia, la storia della nostra famiglia. Lavoriamo in lo tinto, personalizziamo ogni creazione perché siamo artigiani. È un’esperienza sensoriale che coinvolge vista, tatto e olfatto. Non è un prodotto da comprare con un clic. Tuttavia, ci siamo “attrezzati”, grazie anche al coinvolgimento di mia moglie, che è diventata interior designer. Sono lieto di notare che i giovani stanno riscoprendo l’amore per la tavola ben apparecchiata e per ciò che rappresenta, a prescindere dall’estetica. Apparecchiare è un atto d’amore, un gesto di rispetto; la tavola crea il ricordo di un momento, evoca carattere, personalità, come un abito sartoriale.»

Quando un mestiere si trasmette attraverso generazioni, intrecciando umanità, dedizione e bellezza, acquista un valore che va oltre il prodotto nito. La tessitura diventa metafora della vita: un intreccio di legami autentici e durevoli, che rendono ogni creazione della Tessitura Pardi qualcosa di unico e irripetibile. •

IN QUESTE PAGINE: I tessuti realizzati nella manifattura umbra sono composti in fibre naturali del lino e cotone e sono il risultato della valente operosità di artigiani dediti alla lavorazione Jacquard, con telai a navetta.

IN ALTO: Canovaccio geometrico in misto lino. L’eleganza a firma Pardi spazia dai decori presenti nelle arti figurative delle antiche civiltà mediterranee ai motivi geometrici della tradizione popolare umbra.

Bertozzi & Casoni, Pausa con dollaro, ceramica policroma. Un oggetto del quotidiano reso scultura, che unisce ironia e iperrealismo per riflettere sulla relazione tra consumo e valore. Collezione privata.

Foto: © Nazario Spadoni

CONCETTO e spettacolo

Con ironia tagliente e maestria assoluta, Bertozzi & Casoni hanno trasformato la ceramica in un linguaggio potente e provocatorio. Dalle tavole imbandite di resti e illusioni, ai cumuli di ossa e oggetti dimenticati, ogni loro opera è una celebrazione ambigua della materia, del gesto e del pensiero. Un’arte che attraversa l’artigianato e lo supera, fondendo bellezza e inquietudine in forme di maiolica iperrealista.

Ho conosciuto Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni nei primi anni Ottanta, quando frequentavo la Cooperativa Ceramica di Imola. I due artisti ceramisti –allora giovani e all’inizio della propria carriera – operavano soprattutto come esecutori di progetti che venivano sviluppati all’interno di questa storica manifattura. In loro era già visibile la qualità del fare, unita a una certa curiosità, alimentata dal confronto con autori legati al design milanese, anche grazie alle occasioni che si creavano con le mostre che organizzavo tra gli anni Ottanta e Novanta, dove erano sempre invitati, e con le opere che hanno realizzato su mio progetto per queste manifestazioni e per altre mie ricerche. Oggetti che troviamo soprattutto nelle tante mostre collettive a cui il duo artistico ha partecipato come “L’arte della tavola” (1990, Abitare il Tempo, Verona) con l’opera Pic-nic table, o con il Vaso da passeggio, esposto per la prima volta nella

rassegna “Per abitare con l’arte” (1991, ex Chiesa di San Carpoforo, Milano).

Già dalla seconda metà degli Ottanta, Bertozzi & Casoni mostrarono la passione verso la ceramica impegnandosi non solo nella grande capacità di elaborazione, attraverso la spettacolarità delle loro opere, ma anche nella ricerca di un proprio linguaggio denso di contenuti concettuali. Proprio questa componente ri essiva ha segnato la loro evoluzione da ceramisti a veri e propri artisti-ceramisti, capaci di ride nire i con ni della disciplina.

Fin dalle prime sculture come Re (1988) e Dormigliona (1991), la loro attività diventa in modo sempre più evidente un forte contributo all’a ermazione della ceramica, spesso relegata ai margini della scena artistica contemporanea, dando così a questa pratica piena dignità portandola all’interno dei principali circuiti internazionali dell’arte.

QUI: Documentazione fotografica del processo creativo di Sparecchiatura con melone e uova, ceramica policroma, 2023. L’opera prende
forma attraverso una messa in scena minuziosa della traccia lasciata da un gesto domestico. Collezione privata. Foto: © Studio Bertozzi & Casoni
PAGINA ACCANTO: Dettaglio di Resistenza 2 , ceramica policroma, 2017: frammenti di memoria e oggetti
residuali si trasformano in icone della resistenza quotidiana. Collezione Privata. Foto: © Domenico Oddi

Negli anni Novanta Bertozzi & Casoni si impegnano in opere più complesse, con in uenze soprattutto di carattere surreale. Maioliche dipinte dove l’iperrealismo è sempre più ricercato no a usare tecniche e materiali del mondo industriale, come la fotoceramica: temi come la contemplazione del presente e la caducità umana diventano centrali nella loro poetica Alle loro grandi opere – vere e proprie installazioni – si a ancano, con la stessa carica di fascino, i loro oggetti “quasi” domestici: quasi perché sono sempre carichi di allusioni surreali e di una certa dose di ironia. L’osservatore è così coinvolto su più livelli: dalla scala ambientale a quella microscopica. Cumuli di ossa, cestini pieni di ri uti attraversati da lumache, specchiature e vassoi con avanzi di cibo, zolle d’erba con macabri ri uti sono alcuni dei segni che distinguono il loro lavoro ormai negli anni Duemila. Segni già pre gurati nei primi “accumuli” degli anni Ottanta, come il vassoio con tazzine, che parlano di una società consumistica - emblematica in questo senso Composizione 1 (2011), dove una cicogna e il suo nido poggiano su una torre di batterie.

Meraviglia, stupore e spettacolarità sono sempre presenti nelle loro opere, accompagnate da una forte voglia di esplorare tematiche legate al sociale e a problemi esistenziali.

La morte dell’eros (2000-2003) è forse l’opera più signi cativa, anche perché incompiuta per la prematura scomparsa di Stefano Dal Monte Casoni e quindi terminata da Giampaolo Bertozzi.

L’insegnamento di questi due virtuosi ceramisti ha aperto un grande orizzonte all’interno del cosiddetto artigianato artistico. Un’area disciplinare che ancora oggi è carica di signi cati ambigui: né arte, né design.

Bertozzi & Casoni, con il loro percorso, hanno dimostrato che è possibile caricare l’artigianato artistico di signi cati, oltre che di valori fattuali, tali da collocarlo tra le più nobili sfere dell’arte. Con Bertozzi & Casoni la ceramica italiana, e in modo più speci co la maiolica legata al territorio faentino, ha raggiunto livelli tali da poter essere paragonata alle più alte tradizioni ceramiche internazionali, dalle varie esperienze del “craft” europeo a quelle delle ra nate tradizioni giapponesi. •

PAGINA ACCANTO: Minimi avanzi, ceramica policroma, 2017. Tracce minime che raccontano il vissuto della materia, in un gioco di finzione e realtà dove nulla è trascurabile. Collezione privata. Foto: © Elena Bandini

SOPRA: Club 59, ceramica policroma, 2022. Un’installazione sospesa tra memoria e citazione, che riprende il lessico degli oggetti dimenticati. Foto: © Nazario Spadoni

A DESTRA: Bertozzi & Casoni, ritratto in studio. Dopo la scomparsa di Stefano Dal Monte Casoni, l’eredità artistica e concettuale del duo prosegue con Giampaolo Bertozzi, fondatore dell’atelier nel 1980 a Imola. Foto: © Lorenzo Palmieri

testimo n iato da franco cologn i

La strada di casa

C’era una volta una tavola apparecchiata per chi tornava...

Basta un piatto fumante e profumato, una fetta di pane, una sedia libera, un gesto semplice.

Uno spazio d’amore e conforto dove gli oggetti artigianali e i gesti quotidiani diventano rassicuranti riti di appartenenza.

Per lunghi anni ho viaggiato senza sosta: i giorni e le notti scorrevano veloci mentre io prendevo aerei, treni, automobili, in lando gli impegni come perle lungo il lo del tempo. Ho perso il conto di quanti compleanni ho festeggiato sul sedile di un aeroplano, mentre il telefono squillava per trasmettermi gli auguri che più di tutti aspettavo: quelli delle persone che amavo. Con le quali avrei voluto condividere una cena, magari intorno alle belle tavole che mia moglie Adele sapeva organizzare alla perfezione: perché quando si condivide il nutrimento, quando si spezzano le catene della solitudine insieme al pane, quando si crea un ricordo gioioso, lì c’è il vero spirito della festa.

Eccezionale o quotidiana che sia, per noi italiani l’idea di celebrazione è legata alla casa, e a tutti coloro che consideriamo “famiglia”. E dunque, agli oggetti che trasformano ogni tavola in un banchetto. Pur viaggiando, pur osservando quanto labili a volte diventino le relazioni, per me la sicurezza di avere un posto in cui ritornare è sempre stato fondamentale: così come, del resto, è necessario sapersene allontanare, per cercare con un po’ di sacri cio la propria strada di casa.

«Avere delle radici è forse il più importante bisogno dell’animo umano, e spesso il meno riconosciuto», scriveva la mia amata Simone Weil. Quanto è infatti importante, per ognuno di noi, avere un posto da chiamare “casa”? Quanto è importante ripercorrere una strada, posare lo sguardo su un oggetto o su dettaglio, e riconoscervi un’aria familiare, un’aria di felicità domestica, spesso rappresentata da un manufatto signi cativo?

La casa, inevitabilmente, è il luogo dove si trova il nostro cuore: Santa Caterina da Siena raccomandava infatti di avere sempre due case, una “vera” e una “spirituale”, da portare con sé. “Casa” può anche essere un luogo mentale, una città ormai lontana o una persona da tempo perduta, ma una cosa è certa: la casa è collegata all’amore, all’a etto, ai ricordi di intimità e di felicità, agli oggetti che ci hanno accompagnati in questi momenti così speciali.

Per costruire il proprio sogno o per compiere il proprio progetto è necessario abitare con a etto e sicurezza la propria casa, il proprio cuore, fatto di stanze spesso sconosciute, a volte inaccessibili, sempre misteriose. Perché, per riprendere lo spirito – se non le parole – di Emily Dickinson, a volte la felicità bussa alla porta del nostro cuore, ma noi – come direbbe la domestica – non siamo in casa. Mai.

Essere presenti a sé stessi è un’impresa che può richiedere una vita, e tanto impegno. Ma che può essere vissuta con un esaltante senso di attesa se sapremo che basta prendere la strada di casa, per quanto nascosta sia, e ritrovarsi circondati dagli a etti che contano, dagli oggetti che amiamo e che il cuore non dimentica: se sapremo che a volte basta prendere una sedia (fatta a mano, naturalmente!) e stare ad aspettare, con profonda ducia. Qualcuno, o qualcosa, ci parlerà. E ci farà sentire davvero nel luogo in cui ogni celebrazione è una festa: a casa. •

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THE FEAST OF LIFE

In his entertaining literary fairy-tale Princess Brambilla, published in 1820, E.T.A. Ho mann writes that “we often suddenly nd ourselves standing before the open gate of a wondrous, magical realm in life; that we are granted glimpses into the innermost workings of the mighty spirit whose breath mysteriously envelops us in the strangest premonitions…” (*)

An open gate, a mysterious breath, a premonition: at rst glance, these elements could be mistaken for the basic ingredients of a Gothic novel. Instead, they can become the small joys that allow us to celebrate the amazing banquet of life as it unfolds, day after day. Indeed, every celebration is also an opportunity for sharing: whether public or private, it marks a special, unique event that we wish to make unforgettable through rituals and symbols.

In Italy, whose identity and culture were deeply shaped by the Renaissance banquet (as exempli ed by Veronese’s famous lavishly laid tables in  e Wedding at Cana and  e Feast in the House of Levi), every celebration always involves a convivial moment, inevitably underpinned by the art of table setting. What makes the Italian way of celebrating special is not just a beautiful table, with carefully prepared food and tastefully chosen tableware – but above all, the festive atmosphere and the sense of togetherness that go with it. Whether it’s a family gathering, a village festival or a banquet, the occasion always revolves around the table.

e artisans, ateliers and manufacturers featured in this issue of Mestieri d’Arte & Design stand out for their talented hands and passionate hearts. eir exquisite objects enable us to transform every convivial event into a memory to cherish. Not only do they bring beauty to our homes, but also a sense of meaning, thoughtfulness and a subtle yet powerful fragility that permeates their creations. In the following pages, you will discover the wonderful objects that are often used to celebrate eeting moments, whether a banquet or just a toast, but which are forever rooted in the recurrent nature of life: namely, that of celebration. Most importantly, you will discover artisans who labour daily to craft objects that add value to the present and help us embrace the future, establishing a silent connection with our hearts by infusing a sense of beauty, belonging and identity in their creations. In other words, a sense that plays a signi cant role in the creation of value and the perception of care.

Silver and porcelain, crystal and glass, beeswax and fabrics, gems and colours: whenever a table is laid, art blossoms and craftsmanship ourishes. Most importantly, talent unfolds to make the food even more delicious and the conversation all the more lively, while we celebrate the gifts we hold most dear: life, time and love.

A collective ritual occurring in many di erent circumstances: from everyday breakfast, lunch and supper to special moments such as Christmas dinner or Easter lunch, or even events linked to speci c celebrations. Constantly evolving, these rituals are enriched by cultural in uences and adjustments that re ect shifting customs and sensibilities.

In order to furnish our homes with objects and tools that are su ciently consistent with our lifestyles (rituals varying from one region to another), we need to identify patterns linking formal and behavioural models. In the context of these daily rituals—such as those that take place around the table and are expressed in the way food and utensils are used (objects for preserving, cooking, displaying and eating)—it is possible to identify a number of patterns that re ect the di erent values of our society. For instance, sharing a meal (where food is used to communicate) is completely di erent from having a meal (consuming food to survive).

In a constantly evolving society, creating new products that are su ciently diversi ed and distinctive is a way of stimulating and encouraging research through the analysis and transformation of resources that have long existed in our local communities. From food to utensils, diversity clearly remains a major asset of our material culture, which could not be expressed without the key role played by artistic craftsmanship and territorial design. e art of setting the table continues to inspire and drive our designers, who are committed to showcasing our culinary traditions through the creation of tableware t for every occasion—from banquets and formal dinners to holiday gatherings and communal feasting in local fairs.

Objects that are used to contain (capers, salt, sugar, spices, sauces); objects that are used to display (fruit bowls, cake stands); objects that are used to decorate the table and complement community gatherings, adding signi cance to the celebration itself. ese objects and utensils are designed to showcase the characteristics of the food and drinks they hold, lling the air with their aroma, preserving their avour and celebrating the value of sharing.

SETTING THE STAGE FOR CONVIVIALITY

To set the table—an idiom so straightforward that it leaves no room for doubt. Yet only a small proportion of people are actually uent in the language of table setting. Because in this day and age, the secrets of mise en place, conversation and the art of entertaining are no longer the preserve of the socially privileged, but rather of those who approach life on a constant quest for beauty.

is includes everyone who invests time, passion and skill in creating something with their own hands: a plate, a glass, a piece of cutlery, a decoration. en there are those who take everything in and follow their own taste, combining fabrics, porcelain, precious metals and crystal to create a scenography designed to welcome guests, generating harmony by lling the voids and giving each space a precise role.

THE SEMANTICS OF SHARING

Ugo La Pietra

Over the years, we have become increasingly aware that our society is no longer divided into three major social classes (the a uent, the middle class and the working class), but rather consists of a growing number of social groups, whose members are de ned by their shared a nities. is fragmentation has emphasised the fact that there are many of us, and that we are all di erent. e variety that characterises our society becomes particularly evident in the rituals that mark our daily lives, especially when they involve the act of socialising. One of the most signi cant is undoubtedly the custom of “gathering around the table”, which is a feature of both ordinary and special occasions.

A laid-out table is not something static and immutable. Ever-changing and constantly in motion, it is like a stage set, where di erent atmospheres are created to transport both actors and audience into the spirit of the moment. It is a place where we want to belong: to share in its beauty, to immerse ourselves in the experience and make it our own, to talk about it or replicate it.

Setting the table is a daily activity that should be familiar, perhaps even routine, but this is not always the case. e act itself carries a certain signi cance, somewhere between a secret and a challenge, which is why it is so di cult to achieve a result worthy of admiration.

Since time immemorial, history has been written around a table laden with food, but we can never take for granted the e ect that the choice of objects, materials, colours, heights and lighting will have on commensals. A table is only

(*) E.T.A. Ho mann, Little Zaches Called Fuss & Princess Brambilla, trans. Robert S. Cottis (2024)

truly a table when it is carefully prepared, whether for a banquet with many guests or a private, intimate meal for one or two people. e culture of good manners revolves around this object-place, with its rules, its vocabulary and the choice of items intended to be used according to a speci c ritual.

e table is where we get together, sometimes only brie y, at other times for hours on end. is is where we make deals, develop relationships, and reunite with those dear to us at the end of the day or week. is is where we fall in love or part ways, the table providing the backdrop for our state of mind.

e naked table (object) becomes a dressed table (for dining) as soon as we begin to set it. is can be done in many di erent ways, but there is only one goal we should pursue when we start dancing around the object: to create beauty in our own distinctive style. For this reason, those who use their hands to craft objects for the table share their art with us. When we covet, acquire, cherish and, above all, use these objects, we participate in both their creation and their extinction. We generate beauty and quench desire. Until the next occasion.

Ganci Argenterie

Via Altaguardia 8, Milano tel. +39 02 58314323

eir latest creation is an ultra-modern silver teapot made for the Doppia Firma project, which was showcased at the 2025 Salone del Mobile. Developed in collaboration with designer Job Smeets—who conceived it to look like a spaceship—it is yet another example of the skill and artistry of Argenteria Ganci, whose extraordinary silverworking heritage dates back almost a century. “A few of the master silversmiths in our workshop,” says Giovanna Morandino, who manages the family business with her brothers Giuseppe, Giorgio and Gianluca, “have been working with us for years. ey excel in traditional techniques that span casting, planishing, chisel work and engraving. anks to their craftsmanship and our rich archive of documents, some dating back to the Art Nouveau and Art Deco epochs, we can recreate exact replicas of original 20th century designs, including any missing cutlery item. In recent years, we have introduced new lines to complement our classic collections and o er tailored services to suit every request. For this reason, we eagerly embraced the Doppia Firma project, partnering with Job Smeets to create a samovar that resembles a spacecraft. It was enjoyable and challenging, calling on all our skills and expertise.”

In the showroom on the ground oor, a large number of vintage pieces are displayed alongside new additions to the collection: platters, baskets, cutlery, polished silver trays, minimalist picture frames, candle holders, vases adorned with decorative details and retro-style carafes inspired by a post-war aesthetic. e selection includes full tea and co ee sets as well as jewellery in all sorts of original styles. Drawing on a rich archive of moulds, designs and sketches, the company continues to produce a wide range of silverware. “We also provide repair and polishing for family heirlooms,” concludes Giovanna Morandino with pride.

ganciargenterie.com

Brandimarte

Via del Moro 92R, Firenze tel.+39 349 4220269

Bianca Guscelli’s passion for silver spans three generations: from her grandfather Brandimarte, who founded the business, to her father Stefano. Driven by her thorough knowledge of the secrets of the craft and her genuine love for this precious metal, Bianca endeavoured to revive the Florentine brand after it faced a di cult period in 2016, determined to preserve the family tradition.

“My grandfather Brandimarte valued research and experimentation greatly. He allocated resources to training his artisans and, re ecting his social awareness

and foresight, he provided employment to convicts,” shares Bianca. “He was a truly exceptional man. In the 1950s, he introduced hammered silver, drawing on a technique that he had picked up from gypsy craftsmen who used it on copper. e new lines proved very popular with customers. His focus was chie y on tableware, including glasses and goblets, as he sought to establish silver in everyday life, rather than relegating it to the realm of luxury.” Not least because, as she underlines, silver has unique antibacterial properties that, combined with the fact that it does not alter the taste of food and beverages, make it the perfect material for tableware.

“ e silverware we create is entirely handmade and one-of-a-kind, and can be designed and customised in collaboration with our customers. Our team of artisans specialises in all stages of manufacturing, from laminating to forging, from hammering to chiselling. Our atware, cutlery, glasses, decanters and trays as well as our jewellery is entirely made from sterling silver. Our workshop is also renowned for its historical medals: we o er replicas of those Brandimarte originally created in the 1970s, both for awards and to celebrate notable gures from Florence’s history.” Energetic, persevering and proactive, Bianca Guscelli has set up a magni cent atelier with four display windows in the heart of Florence, between Via dei Tornabuoni and Santa Maria Novella. “I am grateful to everyone who believed in me,” she says, appreciatively. She is currently serving as President of the Young Entrepreneurs of Confartigianato Firenze, and her projects include training courses for young artisans. “My mission is to inject youthful energy into the sector and refresh production,” concludes Brandimarte’s worthy successor with a smile. brandimarte.com

Enza Fasano

Via Caravaggio 31, Grottaglie (Taranto) tel. +39 0995 623949

Grottaglie is the most important centre for ceramic manufacturing in Salento. An ancient district spreads along the San Giorgio ravine, inhabited by expert ceramists who, throughout the years, have turned the former oil mills carved into the rock into workshops and kilns, successfully establishing a thriving business that is still recognised worldwide. One of the most renowned is Enza Fasano’s workshop, considered the jewel in the crown of Grottaglie pottery. Her father Nicola was a distinguished master craftsman, and Enza literally grew up surrounded by ceramics, developing exceptional manual skills and artistic air. Today, she follows in the footsteps of her ancestors, who have been making pottery for ve generations. In Nicola’s old workshop, now tastefully renovated, she creates exquisite and visually striking objects and artworks in collaboration with her husband Salvatore Santoro and her daughter Giovanna. e studio, a small maze of di erent-sized rooms, is entirely lled with ceramic objecys in all shapes and colours: from pine cones in various sizes—traditional symbols of fertility and abundance—to tableware, soup tureens, candlesticks and ashtrays. In addition to their historic workshop, the Fasano family recently acquired a space next door equipped with treadle potter’s wheels and clay kilns. “ e making of any item involves a number of steps,” explains Enza Fasano. “ e clay is rst hand-thrown on the potter’s wheel, red to obtain the bisque, and then dipped in glaze and decorated according to the chosen pattern. Finally, it is red a second time to seal the colours.” e process calls for extreme precision and skill, which Enza and Salvatore carry out aided by a team of master artisans. “One of our most iconic creations is the pumo, a talisman for good luck,” she continues. “It is made in the shape of an acanthus ower bud and symbolises prosperity, strength and fertility. en there is the pupa with a moustache, or astride a horse, which is a traditional gure in our region. According to popular legend, the local lord, who wanted to exercise his jus primae noctis, was confronted by a jealous husband-to-be disguised as a woman. Unfortunately, in his haste the man forgot to shave o his moustache. Once discovered, the

man was sentenced to supply all his best wine to the prince. To contain it, local potters were commissioned to make bottles fashioned in the shape of a woman donning a moustache.” ese fascinating anthropomorphic gures are now used as bases for lamps and candlesticks. In 2020, Enza Fasano was awarded the MAM-Master of Arts and Crafts title. enzafasano.it

L’Arte nel Pozzo

Via Ronchi 15C, Terzo d’Aquileia (Udine) tel. +39 351 4149794

Arte nel Pozzo, an artisan workshop crafting high-quality ceramics and porcelain, has recently relocated to a large, newly renovated 19th-century farmhouse surrounded by elds and vineyards just outside Terzo d’Aquileia.

“My mother, Anna Miniussi, had a fascination for ceramics,” explains Sara Corà. “In 1995, after completing her studies and specialisation, she resolved to open a workshop, my father Andrea happily succumbing to her enthusiasm. It was initially set up downstairs from our home, and the rst prototypes and collections were sold in a small shop in Monfalcone.” irty years on, countless models and collections have been created in this workshop, which always participates in the most important trade fairs, including Maison et Objet in Paris. e new atelier covers two oors: Anna works on the lathe on the ground oor, while Andrea and Sara, supported by a small team of expert craftspeople, supervise the other stages of production.

e atelier houses long tables with an array of colours, pigments and brushes used to decorate the bisque, as well as an entire area dedicated to working the clay. e warehouse contains over three hundred moulds made in the workshop since the 1990s. Finally, there are ovens dedicated to di erent ring techniques. “Our majolica kilns reach a temperature of 1000°C, while for porcelain they go up to 1200°C,” explains Sara. e second oor has been set up as a showroom, where beautiful tableware from the Tola collection, in Limoges porcelain, is displayed. ese articles can be customised with distinctive tones obtained by adding coloured oxides to the clay. e contemporary stoneware plates are individually hand-thrown on a potter’s wheel. e Stackable Vases collection deserves a special mention. Consisting of several sections and pieces, these vases are inspired by the body paintings of native Amazonian tribes and were created in collaboration with the Survival organisation, to which part of the proceeds from their sale are donated. In their extensive range of skilfully crafted items, many of which are unique pieces, Anna and Andrea’s dream of marrying Italian art and craftsmanship has become a reality. artenelpozzo.it

Laboratorio Paravicini

Via Nerino 8, Milano tel. +39 02 72021006

In the heart of Milan, tucked away in the courtyard of a historic building, hides the charming workshop of Costanza Paravicini. After graduating in ne arts in the 1990s, Costanza set about designing and hand-decorating tableware of exceptional quality. Before long, her re ned and unique ceramics became one of the city’s prized symbols of artisanal excellence. Over the years, the workshop has doubled in size, and the range has expanded to include a wide variety of new designs, while her daughters Bona, Benedetta and Margherita Medici have also joined the family enterprise. Today they o er thirty di erent dinner services, in addition to those that can be tailor-made. ere are ve styles of tableware to choose from, and each model can be decorated with one’s preferred motif. “ e ceramic we use is quite special, because its composition is similar to English earthenware, which is renowned for its durability and lightness,” explains Costanza Paravicini. “ e decorations are all hand-made and based on my original designs. ey can be either printed, painted with a brush, or

created using a combination of both techniques. As a result, each individual piece can be customised with an unlimited variety of patterns. In fact, we o er between four and twelve di erent patterns within each theme.”

A talented artisan, Costanza also devised a technique for reproducing patterns on bisque with hand-designed silk-screen prints, which are subsequently glazed and red in a kiln. is makes the decoration permanent and dishwasher-safe. “Our designs are inspired by ancient Chinese porcelain, wild animals, tablecloth patterns, owers, insects, dogs... We can also re-create villas and gardens on a table set, including plates, cups, cache-pots and trays, and further personalise them with intertwined initials.” Laboratorio Paravicini’s extensive creativity ranges from minimalistic and geometric designs to baroque decorations. “We introduce a new collection every year during Milan Design Week. For the 2025 edition, we developed one with designer Mary Lennox, who drew inspiration from Italian gardens. Collaborations with architects and other creative gures are a fundamental part of our journey.” Beyond making a table setting beautiful to see, these ceramics also tell stories and contribute to creating an atmosphere, thus adding a personal touch to every table. paravicini.it

Ceratina 1919

Via Meravigli 12, Milano tel. +39 02 8055737

A candlelit table holds a special charm, creating an atmosphere that is both unique and welcoming. In fact, the light cast by candles is more than a source of illumination: it o ers a sensory experience that radiates warmth and intimacy.

In the heart of Milan, just steps from the Sforza Castle, Ceratina 1919 presents a wide selection of wax products. Founded over a century ago by Ettore Angelino, the original shop has evolved over time, specialising in many di erent types of candles that still de ne its production today. Daniela Angelino, the founder’s great-granddaughter, keeps the family tradition going. “We design and craft all our candles in-house,” she explains. “Some are made by pouring molten wax into silicone moulds, others by pressing. Our range includes classic oor candles in tin or earthenware containers, decorative table candles—both plain and twisted—with glass or terracotta holders. We also produce outdoor torches that can be stuck into the ground, including a bamboo range that is fuelled by petroleum or mosquito repellent.” Surrounded by natural aromas, visitors can choose from a vast array of coloured and white candles, alongside torches and lanterns perfect for illuminating terraces and gardens. “Among our latest cast creations are wax lanterns in multiple shapes and sizes, from square to cylindrical, available in a wide palette of colours, which can be customised to our customers’ preferences,” Daniela adds. Ceratina 1919 large-size rectangular candles for home decoration are particularly striking. Most designs come in both basic and more elaborate versions, with over 30 di erent scents to choose from. Custom-made candles can also be made for larger quantities. All of which are perfect for adding a cosy, distinctive touch to every setting. ceratina1919.info

Peromatto

Viale Roma 3, Santa So a (Forlì-Cesena) tel. +39 346 3382975

An ancient technique for a contemporary table. It may sound like a contradiction, but monochromatic decorations made with rust, just as in the 16th century, possess a timeless elegance of their own. Antonio Bandini describes how he and his wife Giulia Martina Sera ni embarked on this adventure in 2017: “We fell in love with this centuries-old technique typical of Romagna, taught to us by master craftsman Franco Olivetti, and decided to revive it so that people could rediscover our traditions. Today, there are still

eleven hand-block printing workshops active in this region. We all know each other and collaborate from time to time.”

eir atelier is located in the centre of Santa So a Levante, inside a large warehouse formerly used by a farming cooperative. Huge iron and glass windows ood with natural light the vast open space, which is divided into di erent areas: a showroom, an atelier where fabrics are cut and sewn, a design studio, and a print shop equipped with two long working tables. Shelves lining the walls hold hundreds of moulds created over the years.

“ ese blocks are made of wild pear wood, also known as ‘matto’ (mad), hence the name Peromatto. We carve each matrix by hand to obtain the sharpest outlines possible when printed. Some printing blocks are even made of linoleum,” Antonio explains. “ e main colour used in the traditional print is obtained by following an ancient recipe: wine vinegar, our and iron rust. We dip the block in these three simple, natural ingredients and, once soaked, it is beaten onto the fabric with a mallet.” is time-honoured, all-manual technique produces beautiful results. Many of the home accessories made here use exclusively vegetable bres such as cotton, linen, hemp and nettle. “Colours adhere better to natural fabrics, especially when woven on a loom,” the experienced craftsman reveals.

Peromatto o ers a wide selection of products: tablecloths, napkins, tea towels, pot holders, aprons, table runners, curtains, custom cushions, as well as accessories like bags, backpacks and clothing. “We also work with designers and artists to develop new designs beyond the classic rural motifs of grapes, apples and hens,” concludes Antonio Bandini. “In this way, we update the patterns for today’s tastes.” peromatto.com

Martina Vidal Via San Mauro 307/309, Venezia tel. +39 041 735523

Renowned throughout the centuries for its lace-making, the island of Burano is also home to the Casa dei Pittori, a building steeped in history where Venetian artists excluded from the Biennale would meet and paint, inspired by the island’s beauty. ey often donated their works in exchange for a meal at the nearby Trattoria Romano, which still boasts a small collection of their paintings. After a period of decay, this charming residence has been brought back to life following careful renovation, and now serves as the headquarters of the enterprising Venetian lady Martina Vidal, who has infused a contemporary vision into the traditional art of lace-making. “Lace-making has been a family tradition for generations, and I myself learned it from my mother and grandmother as a young girl,” recounts Martina. “When my brother Sergio and I rst came across the Casa dei Pittori, at the end of the 1990s, it had long been shut down and was in a state of total neglect. We decided to renovate it and relocate our studio here, giving it a new lease of life with one of the oldest and most distinctive Venetian crafts.” Twenty- ve years later, the Martina Vidal brand is renowned and exported internationally. Past the gate, a poetic garden leads to the showrooms. “Our production is displayed in two areas,” continues Sergio Vidal. “ e rst is dedicated to table, bathroom and bed linen, and the second to clothing. We use only the best linen, cotton and cashmere yarns to craft our products, which we enrich with ever-changing decorations. We also run an in-house training centre with tutors who teach the secrets of lace-making. We provide one-day and one-week courses to students, as well as full apprenticeships. We are committed to preserving an extraordinary art that has made Burano famous throughout the world.” e rst oor of the building also houses a small museum showcasing a collection of lace items belonging to the Vidal family, as well as a number of pieces—some exceptionally old—acquired from private individuals. “We regularly collaborate with designers and architects, who use our embroidery and lace to add a special

touch to their home décor projects,” he adds. In this way, every creation is guaranteed to be exclusive, special and truly precious. martinavidal.com

Lisa Corti

Via Lecco 2, Milano tel. +39 02 29405589

A unique atmosphere reigns in the atelier’s rooms and corridors, where tablecloths, bedspreads and cushions are displayed featuring oral designs, geometric patterns and exotic animals in the most amazing and unexpected colour combinations. is is the world of Lisa Corti, whose extraordinary style continues to captivate after more than fty years. She has always kept in her heart the memories of the rich colours of her childhood days in Eritrea and her travels in India, which she captures beautifully in her designs—printed on cotton, organza, viscose and silk fabrics— creating a distinctive identity entirely her own. In the 1970s, she opened her rst studio in the Navigli area of Milan. en, in 2005, she moved to larger premises in the Porta Venezia neighbourhood. Her daughter Ida, who inherited her sense of style and creativity, continues to develop new collections: “ is space was conceived as a manufacturing site, with a workshop, sewing machines, drawing tables and computers for the design process, set alongside the exhibition area where our products are displayed.” Bearing witness to the galvanic creative activity that goes on within, the walls of the design studio are lined with shelves that are packed with classi ers, divided according to sample types, and studded with sketches, prototypes and fabric swatches.

A sample illustrating the stages involved in a ower print hangs in the showroom: “ is is the Nizam, one of our most enduring designs. e ower comes from an 18th-century Aubusson tapestry, while the pattern around the edge is from an Indian miniature. Our reinterpretation has made it an emblem of our brand.” Available in many di erent colours and combinations, the Nizam adorns placemats and tablecloths, curtains and cushions, bedspreads and kaftans. “Our fabrics are all crafted with the block printing technique. e design is carved in mango wood blocks that are inked with di erent colours and then pressed manually onto the fabric. We have recently introduced a new version of this technique, in which the blocks can be used on the same line, thus speeding up the process.” Lisa Corti’s tableware range is extensive, covering everything from tablecloths to placemats (either in fabric or lacquered masonite and cork), cotton muslin napkins and a newly introduced range of porcelain dinner sets, designed in-house and manufactured in China. “One of the most attering comments we received,” concludes Ida, “was from a customer who con ded that, thanks to the creativity of our tablecloths, she can always arrange striking table settings without the need to add centrepieces and owers.” Striking and with a distinctive personality. lisacorti.com

Davide Fuin

Fondamenta Lorenzo Radi 24, Venezia tel. +39 041 736695 +39 347 9646529

Widely regarded as one of the most skilled master glassmakers of the last thirty years, Davide Fuin is regularly invited to share his expertise in various parts of the world, including Australia, the United States, Europe, Japan, the United Arab Emirates and Asia. His extraordinary talent shines through in the works he creates for Venini, Salviati and Barovier & Toso. In the 1990s, he established his own small furnace in Murano, called D.F. Glassworks. In this enchanted setting, amidst coloured glass rods, tongs, blowtorches and re, he brings his extraordinary creations to life following Murano’s long-standing tradition. He is particularly accomplished in the techniques of reticello and retortoli ligree, zan rico, incalmo and avventurina. Many of his creations are held in private

collections and galleries worldwide. “My rst mentor was my father,” Fuin con des. “He sparked my love for glass, a material I have always considered somewhat magical. Another fundamental experience came from my time working in the studio of Carlo Tosi, a master in making goblets”.

Among the items in his workshop that are ready for shipment are bottles, goblets, glasses and cake stands featuring stems crafted with extraordinary skill and imagination. An almost impalpable lightness characterises the seahorses, dolphins and other marine creatures serving as bases for the goblets, together with decorative elements resembling ne lace.

“I began making avventurina goblets in 2000, using techniques that date back to the 17th century. is material is particularly challenging because it is di cult to gauge proportions, and the outcome is always unpredictable. e name avventurina actually derives from its unpredictability,” explains Master Fuin. “But the sparkles emanating from the glass when it catches the light are truly breathtaking.”

Winner of numerous prizes, including Vetro a Venezia in 2015 for his masterful application of Murano techniques, Davide Fuin was awarded the title of MAMMaster of Arts and Crafts by Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte in 2024. davidefuin.com

NasonMoretti

Calle degli Orti 12, Murano (Venezia) tel. +39 041 739020 +39 389 2011302 e magic of glass-making: a timeless ritual that the NasonMoretti furnace has been perpetuating and renewing every day since 1923. Originally established by master glassmaker Ugo and his sons Antonio, Giuseppe, Vincenzo and Umberto, the business is now in the hands of the fourth generation, represented by cousins Marco, Piero and Giorgio. A family heritage characterised by the expertise of Nason master glassmakers, the only in the world who can create 30 di erent shades of green and 12 shades of blue. An achievement that is the result of their ongoing research into age-old colour recipes—a closely guarded secret and the true legacy of Venetian artistic glassmaking.

Piero Nason, the founder’s great-grandson and holder of the MAM-Master of Arts and Crafts title since 2016, explains: “Our production is renowned for the variety of colours. We have a dedicated workshop where raw materials (oxides, metals, nickel, cobalt, cadmium) are blended in special melting pots to obtain the coloured vitreous paste. Paying meticulous attention to the compatibility of the di erent components, the mixtures then undergo a complex ring process in di erent kilns.”

e Nason family ingenuity and skill is complemented by a team of some twenty master glassmakers, all highly skilled in the art of blowing and shaping these ethereal and colourful objects. Each item in their production, which includes vases, glasses, carafes, bottles, tableware and decorative lighting xtures, is crafted freehand and is therefore one-of-a-kind. e furnace also houses a museum, inaugurated in 2022, where visitors can enjoy a fantastic journey through the hundred-year history of a company that has consistently been at the forefront of design trends, and whose creations adorn the tables of royal families and state buildings around the world, including the Quirinale Palace in Rome.

e list of achievements of this extraordinary Murano furnace is extensive: one of the most famous is the iconic Francesca set, commissioned by Gabriele D’Annunzio in 1924 for his Vittoriale residence, which continues to strike admiration for its surprisingly modern lines. Another emblematic example is the Lidia bowl, winner of the Compasso d’Oro award at the Milan Triennale in 1955. It was made with an innovative technique called “incamiciato rovescio” devised by Umberto Nason, grandfather of the current owners, consisting in combining an outer layer of white lattimo glass and a coloured inner layer. e furnace can also boast countless collaborations with many of the most famous

international designers and architects, as well as a number of collections created exclusively for prestigious brands. NasonMoretti’s most iconic products are exhibited at the MoMA in NewYork, the Corning Museum of Glass and the Kunstmuseum in Düsseldorf. nasonmoretti.com

Anna Sogno Design

Via San Calimero 19, Milano tel. +39 328 7249224

Anna Sogno Design is a beautiful collection that started as an act of love for a fondly remembered grandmother and painter. Margherita Rignon, a graphic designer with a degree in art history living in Turin, had always been intrigued by her grandmother’s paintings. First, she photographed and digitised them, creating a historical archive of over 900 works that have also been exhibited in several retrospectives she curated. e next step was to translate these images into everyday objects, delivering art into people’s hands and all the way to their tables. “I developed four product lines in collaboration with four manufacturers in Lombardy,” the enterprising designer explains. “One in porcelain, with dinner services, tea and co ee cups; one in vitri ed melamine, lightweight and hard-wearing, ideal for plates and trays; one in plexiglass, with round and rectangular placemats; and one in either plastic or soft rubber. e starting point is always the size of the object, for which I select a painting that can be adapted to its dimensions. In some cases, I choose a detail –a ower, a tree, a pagoda – and develop matching sets of placemats and plates, always based on that element.” e aim is to create a very original and colourful table setting. Anna Sogno was also a great traveller, and her paintings cross several phases: the Italian period, mostly bucolic, with gardens and brightly coloured owers; the American period, characterised by the skylines of Washington and Philadelphia; and the Burmese period, lled with pagodas and markets. “I create patterns by focusing on certain details or resizing them, and the design is then transferred onto the objects. I also create tailor-made decorations based on speci c paintings, in close collaboration with the customer,” explains Margherita Rignon. “I recently started a collaboration with a textile company in Como, designing shawls decorated with the view of Philadelphia’s skyscrapers at sunset.” Her creativity is explosive and innovative, perfectly in sync with the times. It is also a beautiful tribute to her family, which has bestowed upon her a remarkable artistic legacy. annasogno.it

DECK THE TABLE WITH BEAUTY

e table has long been more than a place for eating: it is where people gather to celebrate a daily ritual that becomes the representation of a cultural identity. In this context, ceramicware has come to be regarded not merely as a set of utensils but a medium capable of conveying aesthetic, symbolic and cultural values.

As the ongoing production and experimentation of Antonietta Mazzotti Emaldi demonstrates, the celebration of the table through ceramics o ers a way to rediscover the deep ties between form and function, art and life. Her workshop lies in the heart of the Faenza countryside, along the road to Brisighella. Here, nestled in the neo-Gothic greenhouse of Villa Emaldi and surrounded by a lush garden with centuries-old trees, the jugs, vases, plates, cups, centrepieces and trays designed by the cultured and sophisticated Lady of Maiolica, whose career spans more than fty years, are crafted. e celebration of the table allows us to recognise that the clay moulded and decorated by this master artisan (who was honoured with the MAM–Master of Arts and Crafts title) is not just a useful

object but a medium through which stories and identity are shaped. Such is the case with Faience Garden: designed in 2024, the collection is a carefully balanced blend of innovation and tradition, drawing on a distinctive and timeless decorative pattern that has travelled through time. Known as Garofano, this polychrome motif, inspired by the traditional Japanese Kakiemon style of Imari ware, was developed in the 18th century at the Manifattura Ferniani pottery factory in Faenza. e ingenious Gio Ponti later transposed it onto porcelain when he designed the Oriente Italiano collection for Ginori. Faience Garden is the contemporary evolution of the aesthetic and formal journey of this iconic pattern of Italian lifestyle, which Antonietta Mazzotti reinterprets by emphasising its original oral elements through a monochrome relief.

Inherently fragile and durable, ceramics preserve traces of life, serving as an archive of material memory. Glazes and organic shapes reminiscent of fruits and vegetables take centre stage in the collection La frutta del mal orto—a title borrowed from Inferno, Canto XXXIII—created in 2021 to mark the 700th anniversary of Dante Alighieri’s death. Here, ceramics intersect not only with literature but also with mythology, as in the case of Proserpina, a unique piece from the same collection, exhibited in the Celebration Room during the latest edition of Homo Faber: e Journey of Life in Venice. is white maiolica centrepiece, conceived for a grand table setting, features an elliptical base adorned with a dazzling arrangement of pomegranates, owers and snails, and is highlighted—needless to say—with hand-applied 24-carat gold, paying homage (with a contemporary take) to the 17th-century Compendiario style from Faenza. In Italy, an ever-increasing number of “intelligent hands” express themselves through ceramics, whether directly or indirectly linked to the country’s many traditional production centres. In Faenza, this particular form of applied art is personi ed by Antonietta Mazzotti, who is also an expert botanist and avid reader. Every item designed and created in her greenhouse (once a winter shelter for lemon trees) since 1976 conveys a slower pace, a need for authenticity, care and mindfulness. Each piece is either hand-modelled or moulded, red at 950°C and often embellished with applications of pure gold in a third ring at 680°C.

Tableware is a re ection of how we live and setting the table is a sign of fellowship. e common thread running through Antonietta Mazzotti’s creations is elegance: cake stands, vases, bowls and cups in a variety of distinctive themes, from Renaissance-inspired blue grotesques and pink potato ower decors to the timeless classics of the “whites of Faenza.” She exempli es how art can be deeply rooted in a territory, where the genius loci not only inspires, but actually becomes an integral part of the work itself.

“I recently organised a lunch for my closest friends here at Villa Emaldi. On top of the typical local dishes, the undisputed star of the occasion was the mise en place. I set up the table using 350 di erent plates, all of which are carefully preserved samples from my 53 years of work,” proudly explains Mazzotti, distinguished representative of Faenza’s great ceramic tradition throughout the world. As the spirit of Italian living teaches us, celebration is an act of communion and conviviality.

LIFE REFLECTED IN GLASS

For Bruno Amadi, working with glass has been more a matter of destiny than a choice. Born in Burano in 1946, he moved to Murano with his family at the age of four. His father, the son of a gondolier, was a glassworker and Bruno began working at the age of eleven, like most boys in Murano in those days. But unlike his four brothers and sister, he found a lifelong passion in the art of glassmaking. Looking back on those years, he says: “When I turned fourteen,

my father started teaching me in the evenings, after coming back from the furnace where he toiled during the day. He would stay up late, doing his lampworking by himself.” At that time, Bruno Amadi was working for Salviati, Mazzega and Barbini, along with taking Anzolo Fuga’s drawing classes at the Abate Zanetti Glass School. In 1974, when he was already married, Bruno opened his workshop in Calle dei Saoneri in Venice, where he set out on his own journey, focused on recreating vegetables, fruits and owers in glass. Success arrived quickly and his passion was boundless: Bruno spent every day in his workshop, welcoming customers from all over the world who not only purchased his creations but also gave him new ideas and gifts, such as books and inventories of animals and plants, along with articles that are still piled on a shelf over owing with drawings and volumes that continue to inspire him to this day.

Bruno Amadi’s workshop—entirely covered, walls and ceiling included, in rosso fornace Venetian plaster—has not changed in the fty years since it opened. His creations, divided by subject, are displayed on black glass shelves. e right-hand side of the workshop houses the underwater world, with shell sh, sh, star sh, corals, seaweed, jelly sh and crabs. Opposite, on the left, is a wide selection of fruit and vegetables in 1:1 scale that look good enough to be eaten. Miniature birds of many species and colours feature on another shelf, together with insects, frogs and toads, model gira es and black rhinoceros. A glass cabinet holds some particularly complex pieces, including a collection of mosquitoes resting on translucent river stones, originally presented in 2011 in the L’avventura del vetro exhibition staged at Museo Correr.

Many notable gures who visited the shop have gone on to become customers, collectors and eventually friends. ese include Keiji Murata, from Japan, who has been collecting Bruno Amadi’s works for forty years, and the acclaimed lm director Takeshi Kitano, who brought Amadi to fame with a documentary he shot for Japanese national television channel NHK. Behind the workstation hang messages of appreciation and a photo of Pierre Rosenberg, former director of the Louvre, smiling as he holds a huge piece of coral in his hand. In 2021, the exhibition L’Arca di vetro. La collezione di animali di Pierre Rosenberg staged in Le Stanze del Vetro, Fondazione Giorgio Cini—introduced the general public to Amadi’s works; he had already made a name for himself in 1981 with a series of 250 perfect, microscopic red and black ants displayed on a bed of white sugar at Palazzo Grassi.

He won the Riedel Award in 2016, and in 2021 he was the protagonist of the exhibition Più vero del vero at the Natural History Museum in Venice. His work has been exhibited at Museo Correr and Doge’s Palace, also in Venice; other venues include Palazzo Pitti in Florence and the Oceanographic Museum of Monaco. In 2023, he created a series of all-white vegetables and Klein-blue insects that were exhibited in Federico de Vera’s gallery in New York. In 2024, a number of his glass sculptures were presented at Homo Faber: e Journey of Life (Fondazione Giorgio Cini) and in the exhibition Convito di vetro (Gallerie dell’Accademia).

Amadi enjoys his creative freedom: the objects he sculpts are based on his observations of the real world, as well as photographs and drawings. He does not like serial work, preferring to follow the impulse that still sparks his imagination: “If I buy some grapes, I look at them, eat them and then try to reproduce the individual grapes, capturing their shape, colour and transparency. I am satis ed when each glass element looks just like its real-life counterpart.” One of the most crucial phases is mixing the right colour for each element, which is done by combining several rods of Murano glass over a blowtorch. ough colours are now “standardised”, Amadi explains that “ fty years ago, you would get a di erent shade of the same colour from every furnace, since each one developed its own unique palette. On top, the colours were more vibrant because everything was done by hand, while today they are all machinemade and uniform.”

In order to stay focused and shield himself from the never-ending stream of tourists drifting through the city’s narrow streets, several years ago Bruno Amadi decided to keep the shutters closed while at work. Today, he is one of the last remaining artisans active in a neighbourhood that has gradually lost its unique character and charm. His daughter too has chosen to follow a di erent path, and will not continue his legacy. Luckily for us, every day the master craftsman strides into his workshop and sets down to work. Completely absorbed in his craft, isolated from the buzz of tourists chattering in every language, his hands busy creating miniature wonders full of poetry.

THE TASTE OF EXCELLENCE

Buccellati’s joyous and luxurious tableware is designed for the most important and meaningful celebrations, especially those imbued with a strong emotional signi cance. Its glittering constellation of centrepieces, bowls, placeholders, coasters, cutlery and trays adds a distinctive touch to the most diverse and elaborate table settings.

Although the Milanese maison is most renowned for its exquisite jewellery, characterised by elaborate artisanal techniques – from engraving to enchaining, from twisted thread to lace – the items conceived to embellish the table have been an integral part of the brand’s DNA since its inception in 1919. at year, Mario Buccellati, who had emigrated from the Marche region to Milan after his father’s death, decided to set up his own business following several years working as a craftsman at Beltrami e Besnati, a historic goldsmith’s workshop in the Lombard capital. As early as the 1920s, he launched his Boscoreale cups onto the voracious market of the time: remarkable masterpieces of engraving that were accurate reproductions of Romans cups from Pompeii, still available in Buccellati boutiques today.

Buccellati art de la table became an essential feature of upper-class dining rooms in the 1950s, when Mario’s son Gianmaria joined the company and their rst New York store was opened on 51st Street. anks to the imagination of the new creative director, Buccellati’s signature lines continued to expand, harmonising with di erent styles, from the most sophisticated to the more casual. e opulence of Opera, in which the maison’s logo is replicated to form an exquisitely crafted pattern, is complemented by the objects in the Cervino line, in which deer antlers engage in an audacious dialogue with silver, giving rise to objects of outstanding functional beauty.

As demand continued to grow – in the early 1980s, Buccellati took over Clementi, a renowned silver cutlery manufacturer based in Bologna –Gianmaria’s fertile creativity broadened and enriched the range. Under his impetus, the maison’s master goldsmiths ventured into innovative and daring technical explorations. e most striking example of this quest is the Furry collection, relaunched during the latest edition of Milan Design Week. “I was looking for a process that had never been used before,” explained Gianmaria Buccellati when this stunning collection of small and large silver animals was rst presented in the 1960s. “A way to recreate nature with even greater accuracy and realism, capturing details such as feathers and animal fur.” As simple as the result may appear, achieving the e ect of fur involves hours of meticulous work and hundreds of ultra-thin silver layers, all carefully laid onto a plaster mould.

Nature, this time ora, also inspired what is perhaps Buccellati’s richest and most celebrated tableware collection. Nature is a triumph of leaves, owers, fruit and vegetables, crafted into objects that are either purely decorative or also functional. It is an inclusive collection, although the standard is always one of excellence: prices range from a hundred euros for charming little placeholders to impressive sculptural centrepieces, such as the incredible arrangement of

artichokes that welcomed visitors to last year’s Homo Faber exhibition in the room dedicated to art de la table

Driven by entrepreneurial spirit, Gianmaria and his sons—and today, the creative team appointed by the Richemont Group (which acquired the brand in 2020)—expanded the range by combining silver with porcelain and glass, in some cases in partnership with other equally historical and prestigious manufacturers. As a result, the signature draping of the Rouche collection extends beyond the rims of silver trays and platters to adorn porcelain tableware created in collaboration with Ginori 1735. Similarly, Rosso Meraviglia is a contemporary tribute to Buccellati’s distinctive sculptural designs and Venini’s iconic red glass, crafted in the world-renowned Murano glassworks. Murano is also the name of another “co-ed” tableware line blending glass and silver in multiple designs, including the charming fruit-shaped Jam Jars, ideal containers for delicious breakfast preserves.

And if next spring you should feel like setting a magni cent table in a owerlled country meadow or on a green clearing caressed by a cool mountain breeze, worry not: the Milanese maison has taken care of that too. e Tahiti line, which Gianmaria Buccellati named after French painter Paul Gauguin and created as a special commission for Italian tycoon Gianni Agnelli, features exquisite picnic sets in which silver is skilfully intertwined with bamboo, wood and leather—the perfect choice for a one-of-a-kind style even en plein air

HOSPITALITY IN THE WEAVE

e art of dressing the table with precious linens is a hallmark of Italian lifestyle, where a re ned sense of aesthetics is blended with the spirit of sharing. More than simply laying elegant fabrics over a surface, setting the table is a daily ritual that celebrates hospitality, care, beauty, tradition. Preparing the table is a way to express consideration towards others, and a meal becomes an occasion for genuine togetherness, where every detail contributes to the creation of a special atmosphere.

In Sardinia, this practice is expressed in a culture of hospitality rooted in the island’s history and identity, sustained by ancient gestures and simple objects that carry profound meaning. Many of these originate from the silent art of weaving, one of Sardinia’s most emblematic cultural expressions. Far beyond a mere craft, weaving is a language, a living legacy that crosses the centuries and renews itself with every movement at the loom. Each thread tells a story, each decorative motif evokes a landscape, a symbol, a sentiment ingrained in rural and community life. Passed down through generations, this tradition was originally nurtured at home, where women devoted their skill and care to creating fabrics for family trousseaux.

Among Sardinia’s exquisite techniques, the pibiones style stands out for its elegance and evocative power: the pattern is formed by small grains woven into the fabric’s surface like seeds of memory, creating vibrant textures and designs that re ect the island’s rich symbolism. It requires precision, patience and expertise, making it one of Sardinia’s nest textile crafts. is is precisely the technique used by Marcella Sanna, founder and creative soul of TessileMedusa, to bring her creations to life. Her home and workshop are in Samugheo, a small town renowned as one of the most authoritative guardians of Sardinia’s textile heritage. Originally tied to the needs of a rural society, here the art of weaving has evolved into a central expression of community identity and a catalyst for cultural and economic development.

Marcella grew up surrounded by looms and yarns, and was taught to weave by her mother. She honed her skills in a local artisan workshop, where she experienced rsthand the profound changes brought about by Sardinia’s booming tourist industry. is period marked a crucial phase of professional

growth and sparked a deeper ambition: to create something entirely her own, representing her personal vision of craftsmanship. Together with her sister Daniela, Marcella chose to carry forward the legacy of TessileMedusa, one of Samugheo’s most iconic textile cooperatives, founded in the 1970s by a group of enterprising young women. e sisters retained the original name as a tribute to the symbolic and historic value of that pioneering spirit, while simultaneously introducing a new vision where tradition and innovation coexist in perfect harmony. eir work involves other skilled weavers, bound by friendship and mutual respect, who contribute to the workshop’s prestige. TessileMedusa’s production is entirely handmade using the nest natural materials. It is varied and extensive, aimed at creating products that interpret contemporary tastes without ever losing sight of the cultural richness of tradition. is tradition lives on and evolves through craftsmanship — a genuine re ection of an identity that remains vibrant today.

A signi cant part of Marcella Sanna’s work focuses on textiles for the table. e beautiful fabrics that were once integral to everyday life are transformed and renewed to meet the demands of modern living. In her creations, tradition is never just a reference, but living matter that engages in dialogue with contemporary aesthetics. For Marcella, weaving is much more than a craft: it is an act of remembrance and anticipation, a way to rediscover the value of time, dedication and the beauty of workmanship. Every thread she weaves re ects Sardinia’s intimate soul, which continues to reveal itself to the world through her graceful and resolute hands.

NATURE CHISSELLED IN SILVER

Maria Pilar Lebole

Lorenzo Foglia’s passion for silversmithing is deeply rooted in tradition and evokes, in every respect, the workshops of the Renaissance: places where metals were forged, tools were made and techniques, designs and materials were explored. A passion undoubtedly sparked by his in-depth study of  e Treatises on Goldsmithing and Sculpture (1568), in which Benvenuto Cellini describes all the stages of the processes, tools and techniques still in use today.

Lorenzo Foglia, who was born in Viareggio in 1971 but has always lived in Florence, epitomises the dedication and expertise of a long-standing lineage of silversmiths and engravers. e current chairman of the Silversmiths of Florence for Confartigianato Imprese Firenze, he was awarded the title of Artigiano OMA and the status of Master Craftsman by the Region of Tuscany in 2012, while in 2018 he was named MAM–Master of Arts and Crafts by the Fondazione Cologni.

is silversmithing tradition dates back to 1935, when Lorenzo’s grandfather Carlo—who initiated the family’s artistic legacy—established his workshop in Florence, specialising in sacred objects, furnishings and jewellery. In the 1960s, Lorenzo’s father Giuliano, also an expert silversmith and engraver, passionately continued the family business. More than just a scion, Lorenzo has expanded and reinterpreted this precious legacy. His eclectic production e ortlessly ranges from furniture and jewellery for royal households and projects for the theatre and cinema, to the creation of iconic symbols of international prestige, such as Formula 1 trophies. Lorenzo’s versatility is also re ected in his receptiveness to innovation, as he daringly blends traditional materials like silver, wood, jasper, lapis lazuli and horn with more contemporary ones, such as plexiglass and nylon.

A multidisciplinary artist (sculptor, silversmith, illustrator, designer, photographer and 3D CAD editor) Lorenzo is a leading gure in the world of ne craftsmanship. By continuing the legacy of the greatest Florentine engravers and embracing the culture of international design, his brand Foglia Firenze 1935 has grown to represent the synthesis of artisan excellence, research,

innovation and classical art.

Whether unique pieces or small series, everything is crafted with meticulous attention to detail, from the initial design to the handmade production. He was invited to make the tiara worn by Elizabeth Taylor in the lm Young Toscanini (1988), and master goldsmith Gerardo Sacco turned to him to create the crowns worn by Mel Gibson and Glenn Close in Hamlet (1990), both directed by Franco Ze relli. e winner of numerous awards, Lorenzo also crafted Art Nouveau-style vases and silver chalices commemorating the 50th wedding anniversary of Queen Elizabeth II and Prince Philip. He took part in Italy in Japan 2001–2002, the largest event ever organised to showcase and promote Italian lifestyle and products internationally, which opened in Tokyo with an exhibition dedicated to the Renaissance.

Lorenzo Foglia’s creative path has been marked by his use of mixed media and his powerful expressive energy. His works, often drawing inspiration from ora and fauna, break free from the academic conventions of his formative years. His intimate approach allows him to depict aspects of nature captured in all their authentic beauty, and each of his works contains a story, re ecting his personal experiences and innermost feelings.

At the age of 21, he won rst prize in an international competition (involving over three hundred participants) with an embossed and chiselled box inspired by the motion of waves, representing the essence of marine life.

His creative skills have grown to embrace interior design, luxury home automation and exhibition services. His atelier also carries out projects with workshops specialising in di erent disciplines, and collaborates with research centres, architects, designers and artists from all over the world.

Spanning from classical to contemporary design, from hand sketching to CAD planning, from micro-casting to hammering, right up to the art of embossing and chiselling, the Foglia atelier consistently develops exceptional works that are the expression of eclectic creativity and outstanding craftsmanship.

TRADITION REVAMPED

Pilot

Far from being sentimental, the story of the lavéc is based on an ancient celebration that has taken on a contemporary dimension. e traditional Valtellina cooking pot, carved from a single block of soapstone, was once a household item commonly taken to the table to celebrate family gatherings in a simple way. With the disappearance of the laveggiai (pot makers), the tradition almost died out, until a young craftsman by the name of Nicola Bagioli decided to revive this disappearing craft, and turned the lavéc into an ally of chefs and epicureans.

“In the past, all families owned a lavéc. It was reserved for special occasions, such as Sunday lunch, but in reality, it was used almost every day... it was the quintessential cooking pot.” Nicola Bagioli draws on his grandmother’s memories to paint a picture of what daily life was like in the villages of the Valmalenco valley up until a few decades ago. Modest lives endured in challenging conditions, mirrored by the towering peaks surrounding the valley, and only occasionally made bearable by essential and ancestral collective rituals. Turned on a lathe from a single block of soapstone, the lavéc embodies the typical qualities of a ceremonial instrument. Carved from stone and designed to be used over an open re, this archaic and primitive vessel has a long history that stretches back across the centuries. Closely connected to the local community, nature and traditions, its mysterious name is incomprehensible to outsiders and anyone unfamiliar with it. Most importantly, this is the utensil required to perform the ancient liturgy of the family gathered to share a meal, since food has always played a central role in marking important moments. e artisanal production of lavéc pots, which once employed over 70 turners

between Valmalenco and Val Chiavenna, has almost disappeared. Although many families still possess their old soapstone pots, new ones are no longer being manufactured, mainly because many of the traditional tools used by the laveggiai have disappeared, the skills have been lost and production costs have soared. e very institution of Sunday lunch has begun to fray, along with the social fabric of these small mountain communities. Instead of perpetuating traditional trades that require hard work and provide little nancial reward, many young people leave their valleys in search of better opportunities elsewhere. is scenario provides the backdrop for Nicola’s life: a story with a happy ending, by no means nostalgic, and perfectly contemporary. Despite his young age (he was born in 1995), Nicola has already lived two lives. Born in Valmalenco to a family of laveggiai for ve generations, he rst pursued his dream of becoming a professional cyclist. In 2019, after an accident that forced him to put his career on hold, he made an unconventional choice that turned out to be a stroke of genius: while maintaining his passion for cycling, he focused on reviving the family tradition and unearthed a talent for crafting lavéc. “I wanted a job that I would enjoy at least as much as riding my bike. Everyone thought I was crazy, but I could see the potential. I just had to clean up the workshop. Besides, I was lucky enough to still have my grandfather’s original tools, which were speci cally made for this craft, and my father was there to teach me,” explains Nicola.

With the support of both his family and his girlfriend Arianna, who handles the marketing, Nicola and his lavéc soon began to gain recognition not only in the valley—where grandmothers visit the small shop in Lanzada to buy one of his pots as a gift for their granddaughters—but also across Italy and abroad, thanks to their smart use of social media and e-commerce, which have greatly contributed to the success of the business. “Right now, 80% of orders are coming from our online shop. Given the complexity of crafting these items by hand, the production timeline is quite long, and the waiting list is in the region of a year.” ese results have been achieved thanks to an e ective marketing strategy that focuses on sharing authentic accounts of the local traditions, landscapes and recipes, but above all on the remarkable qualities of lavéc, making it a must-have utensil for true gourmets. “Traditionally, the lavéc is best suited to simple dishes that require prolonged and uniform cooking, such as soups and stews, but nowadays it is used in completely new ways. I’m lucky enough to work with many amazing chefs who have approached me, attracted by the lavéc’s high performance and completely natural cooking mode. Some of them have even challenged me to create special adaptations, such as the pressure lavéc, which has an extremely heavy lid.”

e list of celebrities from the world of haute cuisine seduced by the soapstone skilfully carved by Nicola includes the likes of Heinz Beck, the Cerea brothers, Michelangelo Mammoliti and Alessandro Negrini. anks to master levaggiaio Nicola, the celebration can continue on their Michelin-starred tables—and also in our homes.

THE FUSION OF POETRY AND BOTANICAL ART

Words can hardly describe the amazement, admiration and emotions evoked by Paola Nizzoli Desiderato’s wax creations. Gifted with the ability to model and replicate every product of nature with extraordinary realism, Nizzoli is a master craftswoman and an artist of remarkable sensitivity. e workbenches and shelves of her workshop in Genoa are laden with more than 50 types of wax, rubber moulds, natural pigments, brushes, small pots and prototypes. Her personal archive houses some 700 models—from pears and apples to grapes and plums—each with its corresponding technical speci cations.

“My fascination with this ancient form of art emerged quite unexpectedly in

2006, when I was invited to Turin to deliver a lecture on owers throughout the history of art, which is my eld of expertise,” she explains. “On that occasion, I visited the Museum of Fruit, where I discovered the impressive wax collection created by Francesco Garnier Valletti in the mid-19th century, with a mixture of wax, Greek pitch, alabaster chalk and ash. Valletti is the most renowned and skilled wax sculptor of all times, who reproduced hundreds of fruit varieties, several of which are now extinct, to document nature’s rich diversity. I was blown away. I purchased all the books on the subject available in the museum shop and, once back in Genoa, I immediately began studying and experimenting with the techniques of the greatest wax modelling masters, such as Susini and Calamai, whose pieces are on display at the Specola in Florence.” Research, understanding of materials, experimentation, patience, perseverance, creativity and manual skill: these are the secrets of this unusual art, its origins dating back to the Byzantines, Greeks and Romans, who used it mainly to portray the features of the deceased. “I have learned that every type of virgin beeswax is di erent, both in terms of texture and colour. erefore, every creative process follows its own path, which can change along the way.”

So how does each fruit come to life? “ e process is the reverse of sculpting,”

Paola Nizzoli explains, “where you start with a wax gure that is then used to make a plaster cast into which bronze is poured. Whereas I create a mould rst by covering a piece of fruit with plaster or silicone rubber, which I then carefully remove and ll with wax. Once the moulds are completed, the process of creating the models themselves depends on the complexity of each individual fruit. An apple, for example, takes around ve hours to complete, a sliced pomegranate requires two to three workdays, while a bunch of grapes can take up to ten days, because each single grape is modelled and painted with di erent colours and glazes before it is attached to the stem, which I fashion from brass wire coated with gummed paper.” Nizzoli’s peaches, too, are quite remarkable: their velvety surface is obtained through a process involving the sprinkling of wool powder, which lends the skin its distinctive texture.

Over the years, Paola Nizzoli Desiderato has collected countless achievements, including one of her most signi cant works, Caravaggio’s Basket of Fruit, exhibited in 2010 at the GAM in Milan with an installation designed by architect Italo Rota. “I spent six months examining that magni cent painting, visiting the Pinacoteca Ambrosiana on a daily basis to absorb every detail. During that period, I kept buying fruit to study, and ended up eating tons of it,” she reveals with a laugh.

Another of her extraordinary works is the Food Pyramid commissioned by the Museo Martinengo in Brescia for Expo 2015. Standing 3 metres high, it is made up of 1,927 individual elements modelled in wax—including pasta, meat, sh, vegetables, fruit and cheese— tted with mirrors to provide viewers with a three-dimensional perspective from below. “ is was a huge challenge and a race against time. Because the deadline was so tight, I ended up working as many as 14 hours a day.”

Another memory she cherishes is tied to her participation in setting up the exhibition at Museo Stibbert entitled Conviti e banchetti. Come imbandire le mense. To create the displays, she reproduced every type of food and centrepiece in wax, including Easter eggs and panettone, bringing to life a journey through history that explored how table settings and food presentation evolved between the 16th and the 19th centuries. Highlights included fruit stands, centrepieces over owing with citrus fruits and twelve di erent desserts.

As she bustles around, she shares one last anecdote that is particularly dear to her and shows how deeply she is connected to nature. “A few years ago, in May, I walked into my studio (where I always leave a window ajar) and found it swarming with bees. Startled, I called the re brigade, but they couldn’t intervene with pest control since bees are a protected species. Nor would I have wanted them to, for that matter. So, I turned for advice and help to a friend of mine who is a beekeeper in Liguria. His answer took me by surprise: he told me

that the bees were clearly migrating to a new hive, and had chosen my studio as their resting place. He suggested I close the door and wait. When I reopened the doors, the following day, the bees had vanished. I was very touched that they had chosen to stop in my studio to rest before resuming their ight.”

Forever driven by scienti c curiosity, in recent years Paola Nizzoli Desiderato has also worked on human gures, experimenting with techniques and ingredients to reproduce the appearance of skin. With truly impressive results.

A FAIRY IN THE KINGDOM OF GLASS

e history of Altare, a quaint medieval village surrounded by green woodlands at the foot of Val Bormida, not far from the golden beaches of the Savona riviera, has always been deeply tied to glassmaking. A connection dating back to at least the 12th century, when Benedictine monks introduced the craft to the area. is fascinating history is chronicled in the Museo dell’Arte Vetraria Altarese—the glass museum housed in the splendid Art Nouveau setting of Villa Rosa—which boasts a unique legacy of works dating from the 1700s to the present day. Altare continues to be home to a few artisan workshops specialising in glassblowing and engraving, but the district requires a more e ective promotional strategy to preserve its priceless millennia-old heritage, of which only a few vestiges remain.

Vanessa Cavallaro is the only glass master engraver left in Altare, where she has chosen to live and work. Born in Savona in 1971, Vanessa revealed her uncommon talent at the age of 10, when she began exploring the demanding art of wheel engraving. She honed her skills in this elaborate technique by practising in her father’s workshop, developing remarkable mastery within a few short years. is apprenticeship model has long characterised the history of glass, where all masters received their training in workshops from childhood or soon after. Murano’s history perfectly exempli es this practice.

Since opening her atelier in the heart of Altare in 1993, Vanessa has specialised in tableware—goblets, glasses, jugs, bottles, decanters and plates—as well as decorative objects such as vases and sculptures. Many prestigious home décor brands rely on her expertise, including Dior, which entrusted her with the creation of exquisite dinner services. She admits to a particular fondness for glasses in all shapes and decorative styles: “I am especially drawn to coats of arms, which I reinterpret in many ways to adorn a category of tableware I deeply value for its ability to combine functionality and decoration in a magni cent way.”

After graduating from art school, she went on to study at the Istituto Europeo di Design in Turin, earning a diploma in graphic design in 1992. Her deep knowledge of glassmaking techniques and relentless practice brought her to a high level of artistry. When she opened her workshop, her rst special commission was to create 93 hand-engraved and numbered vases for the Lions Club of Liguria.

In recognition of her expertise, in 1997 she was invited to lead the rst edition of the MACEF workshop in Milan. Her international breakthrough came in 2000, when she was invited to exhibit at the 11th Salon Décoration et Jardin in Monte Carlo. In 2014, she became a member of the British Guild of Glass Engravers, and in 2016 she joined the Golden Book of Italian Excellence receiving the prestigious MAM–Master of Arts and Crafts award from the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. In 2018, Vanessa participated in Homo Faber, the major international event celebrating ne craftsmanship, securing her place among Europe’s most distinguished glass artists. Caring, outgoing and endowed with tireless energy, Vanessa charms people with her warm smile and genuine passion for her craft, which she is always eager to share and promote. “My father was my mentor. He was a glass enthusiast

and knowledgeable expert. In his studio and shop, where he ran a thriving business for years, I had the opportunity to discover and admire Europe’s nest crystalware, which I promptly fell in love with. He also took me on many of his travels, exposing me to a world of beauty that shaped me,” she reveals with a mixture of pride and longing. She remembers how her father preferred to teach women, believing that feminine sensitivity and re nement imbued the work with an unrivalled touch. Although the world of glass was traditionally maledominated, his open-mindedness played a crucial role in nurturing her talent. When asked about her technique, she explains: “I engrave the surface of glass or crystal using a lathe tted with a stone wheel. Pressing the vase, goblet or any other object to the wheel, I create a bas-relief. Once engraved, it cannot be changed, and there is always the risk of piercing the surface in the process. But with experience, mistakes are avoided. I work with blown glass and crystal, both hollow and at, and I particularly enjoy working on extra-thin pieces.”

Human gures, landscapes, owers, grape bunches, animals, ballerinas, shells, commemorative motifs, delicate geometric patterns, coats of arms and monograms—all engraved into the glass—give lightness, depth and brilliance to blown crystal, illuminating the most elegant tables. In her latest work, Vanessa has also introduced gold leaf, re ecting her passion for experimentation and innovation.

In her view, what makes her pieces instantly recognisable is the unique range of greys she achieves by carefully selecting and grinding her stones. When asked about her sources of inspiration, she replies: “Everything can be inspiring— nature, the landscape, art, crafts, fashion…” Asked about her life outside work, she seems surprised: her work, she says, is her greatest joy and ful lment. And what makes her truly happy? Completing a piece exactly as she envisioned it— and to the highest standard.

THE CELEBRATION OF MATTER

Andrea Bertuzzi

“An artisan endeavours, an artisan challenges, an artisan harnesses materials. Because an artisan is always an experimenter.” is sentiment is the driving force behind Vetrerie di Empoli, a historic atelier specialising in the production of artistic glassware for the table and the home. Established in the eponymous Tuscan town in 1938, it originally focused on working the dark green glass typical of this area. Now based in Milan, the business is run by third-generation members of the Parentini family assisted by a small team of highly skilled experts in traditional hand-grinding and decoration techniques. eir creations, which range from classic to contemporary designs, add a touch of distinction to the table settings of households and hotels worldwide, which are also o ered a range of customisation and restoration services.

e conversation with Simona Belforti, the company’s export manager, kicks o with an interesting insight: in Tuscany, glass speaks a language of its own. Crafted in this region since Etruscan times, and subsequently in uenced by medieval and renaissance culture, glass has always allowed artisans to give free rein to their creativity. “ ey never really felt the need to stand out, like glassmakers in Murano, France or Bohemia, for the simple reason that the Tuscans have always manufactured all kinds of objects, from simple jugs to the most exquisite crystalware,” she explains. Indeed, Vetrerie di Empoli has never followed a speci c style, choosing instead to deconstruct, recon gure, reinvent and pursue bold experimentation in the name of uncompromising freedom. An outstanding example of this approach is epitomised by the Capriccio series, hand-carved from solid glass and coated in pure gold or platinum. “ is is an age-old technique that is extremely di cult to master. Long forgotten, it has been revived in our workshop. e unevenly cut glass creates a textured e ect reminiscent of Michelangelo’s ‘un nished’

sculptures.” In the Marmo collection, also a pinnacle of craftsmanship, the colours and patterns of polychrome marble are reproduced on glass and further enhanced by streaks of gold veining. While Aurora combines manual sandblasting, secret engravings and freestyle brushstrokes, Arlecchino is inspired by the classic tradition of Italian blown glass. Last but not least, Dolce Vita pays tribute to the colours of Italy and its artistic heritage. Simona Belforti’s words clearly suggest that nothing is planned in advance in the Vetrerie di Empoli workshops: “ e creative process is always guided by emotions, which are by their very nature unpredictable.” Just as when, during the lockdown in icted on the world by the Covid pandemic, Paolo Falasco, head of the workshop, began doodling circles, possibly—like most of us in that period— in search of his inner self. “Once we returned to work, Tiziano Brusamento, our production manager, had already developed some prototypes. At that time, Milan had just been selected to host the 2026 Winter Olympics...”. Colourful concentric circles (whether representing the human soul or the Olympic rings is of marginal importance) now feature across the Olimpia collection. Flanked by his daughters Olivia and Ilaria, Franco Parentini sits at the helm of the company founded by his father Ugo. A man of vast culture and with a passion for art, the current CEO has always encouraged his artisans to experiment. A painting by Jan Boeckhorst (1604-1668) adorns his o ce and—clearly in agreement with Goethe’s belief that “a soul that sees beauty may sometimes walk alone” —he also arranged for Francesco Valaperta’s (1836-1908) Last Supper of Mary Stuart to be admired by all his employees when they are at work.

“Mr Parentini has such a keen eye. He can tell the di erence between a Florentine and a Sienese gold ground, for example. Listening to him explain in what way they di er, even though they look exactly the same, is sheer poetry,” continues Belforti. Parentini’s genius, combined with Tiziano Brusamento’s extraordinary skill and expertise, led to the creation of Gira e rigira, an innovative wine glass (patented in 2017) that was selected for the ADI Design Index and nominated for the Compasso d’Oro Award in 2020. A small metal globe placed between the top of the stem and the base of the glass makes it possible to impart a gentle rotating movement to the wine with a stroke of the thumb, enabling the evaluation of clarity, colour and consistency, olfactory notes and taste sensations. is goblet is the evolution of Ikebana, patented in 2001, a transformable drinking glass that can vary in height by adding or removing segments of the stem, depending on the table setting. “We are always ready to pick up a challenge, even when it seems an impossible one,” concludes Simona Belforti. And thanks to this wholehearted dedication, the material itself can reveal its innermost soul.

ALCHEMICAL

MARVELS

Alberto Cavalli

“ e marvellous is always beautiful, anything marvellous is beautiful; in fact, only the marvellous is beautiful.” (*) André Breton’s famous declaration is both an acute insight and a provocative artistic statement. By associating the notion of beauty “only” with the marvellous, he is establishing a direct connection between aesthetic pleasure, ethical appreciation, persuasive power and, in essence, all of the characteristics we associate with “beauty” and the essential triggering factor of surprise, amazement and, indeed, marvel. Of every marvellous thing. Of the marvellous only Art and ne craftsmanship—constantly prompting us to re ect on the representation of beauty and its value in our lives and in today’s world—seem to depend on the emotional involvement that stirs and captivates us every time we (unexpectedly) discover a new meaning in them that was previously unknown to us. A meaning that manifests itself when we experience memorable moments that, as human beings, we wish to celebrate and cherish.

Celebration, remembrance, marvel, art and craftsmanship: these are the core values that, since 1967, have inspired and guided Villari’s production of exquisite porcelain. e manufactory originated from love (the founders, Cesare and Silvia, having met through their shared passion for porcelain, decided to start a family and a business venture together), and continues to be nurtured by love. Love for quality: the creation of each and every Villari design is the culmination of extraordinary craftsmanship, powerful creative vision, audacious artistic intuition and technical innovations that lead straight into the future.

Love for memory: the powerful imagery of the Baroque, the sinuous elegance of the Empire style, along with the inspiring dialogue involving designers— Ferruccio Laviani and Fabio Novembre, for example—and artists such as Je Koons, all combine to generate a universe of creative potential that the Villari family transforms into precious, eye-catching objects—pure and beautiful, innovative and authentic.

Love for craftsmanship: at Villari, the entire process, from design to production and decoration (which, in Cesare’s words, is “serious business”), is carried out with the respect and fearlessness that drive every true artisan.

Last but not least, love for life: the tabletops on which Villari’s objects blossom stand as a permanent tribute to time and to the beauty that multiplies its value whenever we share a meaningful occasion. e porcelain crafted by Villari graces the domestic spaces where everyday life unfolds, lling them with the radiance of exquisitely re ned objects, whose fragility is o set by their visual impact and formal perfection.

Yet lavishly laid tables are indeed the most powerful source of marvel. If marvel is the strongest of emotions, enabling us to discover, day by day, new things and new meanings in what we see before our eyes, then beauty is the privilege of those who, like the Villari family, are constantly lled with marvel and capable of uncovering the hidden meaning not only in individual objects but also in the connections between objects, materials and gestures. Cultural and narrative connections thus contribute to the perception of beauty as much as the splendour of individual works, because marvel is the messenger that lls beauty with meaning, transforming it into something memorable. Since bygone days, the dining room has been a speci c and well-de ned environment in the home, providing a convivial space where we learn to coexist and appreciate the value of sharing. It is a gateway to the world, which we explore through the celebration of human relationships. To perceive the superlative beauty concealed behind meanings that need to be explored, narrated, disseminated. To engage in the daily pursuit of the most magni cent collection that each person is called upon to create: an assortment of unforgettable moments, in which distant dreams preserve the exoticism of imagination as they become the natural embodiment of our aspirations, enabling us to develop our own exquisite, highly personal, imaginative fantasies. No other material could transform all this into reality, except for porcelain: strong, brittle, gleaming, dazzling. Like the dreams that Cesare and Silvia Villari have managed to turn into reality with the alchemical re of passion.

(*) André Breton, Manifestoes of Surrealism, trans. Richard Seaver, Helen R. Lane (1969)

STORYTELLING ON THE LOOM

e Pardi family history unfolds like a legendary narrative, a masterpiece of literature, the brainchild of one of the great lmmakers of the 20th century. Founded in Todi in 1949, Tessitura Pardi originated from the pioneering vision of a close-knit family sharing solid values: commitment, spirit of adventure and a sense of community. e company soon established itself as a centre of excellence specialising in home linens and bridal trousseaux in the medieval

style typical of Umbria. Its decorative patterns, such as the famous Perugia gri n (representing strength, nobility and protection) draw on timeless themes: ora, fauna, geometric shapes and mythological subjects.

Just like in an epic saga, Alberto Pardi—endearingly nicknamed Albertino—guides us on a fascinating journey through personal and family events intertwined with historical and entrepreneurial milestones that have marked his family’s story. e journey began twenty-seven generations ago, when the forefather of the Pardi family, a master watchmaker, relocated from Camerino (a municipality in the province of Macerata) to Montefalco to serve as the town’s clockkeeper. Later, the Pardis diversi ed their activities, which nonetheless continued to be characterised by resourcefulness and a sense of belonging to the local community.

“Four generations ago,” Alberto recalls, “my great-grandfather and his brothers set up a winery specialising in Sagrantino and Passito. ese wines were highly prized by the Vatican, but at the outbreak of World War II, business declined and the winery was forced to close. After the war, my grandfather’s brother and three of his cousins refused to give in, resolving to revive an ancient craft. In 1949, they opened their rst weaving workshop, initially manufacturing coarse fabrics for domestic use before shifting to layettes, which were in high demand during the baby boom. ey purchased their rst Jacquard shuttle loom in Busto Arsizio, but since no technicians in Montefalco were quali ed to operate it, they invited a local worker to join them in Umbria. In those days, there were no hotels in the village, so they o ered him accommodation in their home. Legend has it that, in accordance with a northern tradition unknown to them, he would pour wine directly into his evening soup. He was an outstanding weaver, who worked at their side for many years. Our current factory manager is his grandson.”

e same spirit of adventure was passed on to Alberto Pardi, Albertino’s father, who started out in Venezuela, importing ceramics from Sassuolo, before returning to Italy to work in the textile industry. In the 1990s, after a few twists and turns, Albertino nally ful lled his lifelong dream of becoming a winemaker. “I would have liked to attend an agricultural college, but my father was adamant that I enrol in a winemaking course after graduating from high school. He considered the winery to be my grandfather’s legacy, while the weaving business represented the achievements of three generations of craftworkers. e day I announced that I intended to leave Italy for Australia, he asked me to say goodbye to each and every one of our employees. at’s when I realised that I would never leave. Having achieved what he wanted with just a few wisely-picked words, my father also encouraged me to take a Master’s in Business Management at Bocconi University. I feel complete today. I haven’t given up my passion for wine, and I’m also really into weaving: I study di erent techniques, carry out research and enjoy experimenting.”

In the early 2000s, globalisation hit the Italian textile industry hard, and the Pardi family was faced with a radical choice: should they modernise their looms or hold on to the old machines that had been owned by their grandparents?

“We never had any doubts: we stuck with tradition. It was a winning move, even if it seemed pretty foolish at the time. e truth is that what sets our production apart rests precisely in the way it is carried out, using old shuttle looms that we look after with the utmost care. Patterns are not printed, but obtained from the interweaving of warp and weft. What our customers buy from us is a piece of history, of our family history. We create yarn-dyed fabrics, and because we are artisans, we can tailor each individual item. We o er a sensory experience that engages sight, touch and smell. Our products are not something you can buy with a few clicks, although thanks to the involvement of my wife, who is an interior designer, we have taken steps to address this aspect too. It’s comforting to see that young people are rediscovering the pleasure of a beautifully laid table, and what it stands for, not just in terms of its aesthetic appeal. Setting the table is an act of love, a sign of respect. e table captures the memory of a moment, re ecting the character and personality of the host, just like a tailored suit.”

Whenever a craft is passed down through generations, incorporating human values, dedication and beauty, it takes on a value that goes far beyond the nished product. Weaving thus becomes a metaphor for life: an intertwining of authentic, lasting connections that make every item created by Tessitura Pardi truly special and unique.

FROM CONCEPT TO SPECTACLE

I rst met Giampaolo Bertozzi and Stefano Dal Monte Casoni in the early 1980s, when I was associated with the Cooperativa Ceramica d’Imola. Both ceramic artisti—young and at the beginning of their careersi—were primarily engaged in executing projects developed within that historic manufactory. e quality of their craftsmanship was already evident, complemented by a keen curiosity that was fuelled by their collaborations with artists from the Milanese design scene. ese opportunities arose from the exhibitions I organised in the 1980s and 1990s, to which they were consistently invited, creating the objects I designed both for these events and for other research projects. Most of these works were exhibited in numerous group shows featuring the duo, such as Picnic table, created for the exhibition L’arte della tavola (1990, Abitare il Tempo, Verona), and Vaso da passeggio, rst presented at Per abitare con l’arte (1991, former Church of San Carpoforo, Milan).

As early as the second half of the 1980s, Bertozzi & Casoni expressed their passion for ceramics through both their remarkable craftsmanship, re ected in their spectacular works, and their exploration of a unique language rich in conceptual content. is re ective approach paved the way for them to evolve from pottery makers to fully- edged ceramic artists, capable of rede ning the very boundaries of their craft. rough their early sculptures—such as Re (1988) and Dormigliona (1991)—they contributed to the recognition of ceramics, which had long been relegated to the sidelines of contemporary art. By introducing the medium into the main international art networks, they enabled it to gain its own status.

During the 1990s, Bertozzi & Casoni focused on more complex projects, mostly connoted by surrealist in uences: painted maiolica works in which hyperrealism is pursued to the extreme, incorporating industrial techniques and materials such as photoceramics. emes such as the contemplation of the present and human impermanence thus became central to their artistic expression.

eir large-scale works—installations in their own right—are accompanied by equally fascinating “quasi-domestic” objects: “almost”, because they are invariably imbued with surreal references and a dose of irony. e observer is engaged on multiple levels, from the environmental to the microscopic. Stacks of bones, bins over owing with rubbish and crawling with snails, mirrors, trays with leftover food and patches of grass littered with gruesome debris are some of the features characterising their work in the 2000s. e rst signs of this modus were visible in the “accumulations” they developed in the 1980s, such as the tray with co ee cups, which speak of a consumption-driven society. Composizione 1 (2011), depicting a stork and its nest resting on a tower of batteries, emblematically captures this spirit.

Awe, wonder and a sense of drama are always at the heart of their work, along with a strong desire to explore social issues and existential problems. La morte dell’eros (2000–2003) is probably their most representative piece, partly because it was still un nished at the time of Stefano Dal Monte Casoni’s untimely death and was eventually completed by Giampaolo Bertozzi.

e in uence of the two virtuoso ceramicists has signi cantly broadened the horizons of so-called artistic craftsmanship – a eld still characterised by an ambiguous identity, neither art nor design. rough their work, Bertozzi & Casoni have established that, in addition to an intrinsic value, it is possible to

charge artistic craftsmanship with meaning, thereby elevating it to the most noble realms of art. anks to Bertozzi & Casoni, Italian ceramics—and more speci cally the maiolica associated with the area of Faenza—have reached such heights that they can stand head to head with the world’s nest ceramic traditions, from the wide-ranging European craft culture to the exquisite expressions of Japanese heritage.

THE WAY HOME

For many years, I was travelling without pause. Days and nights slipped by while I was sitting in planes, trains and cars, my engagements knotted like pearls on the thread of time. I lost count of my own birthdays celebrated ying on aeroplanes, waiting for the phone to ring and bring me the wishes I was most eager to receive: from my loved ones. From those with whom I would have loved to be, possibly gathered around one of the dinner tables that my wife Adele so beautifully arranged. After all, the true spirit of celebration manifests itself in the act of sharing a meal, of breaking the chains of loneliness—along with the bread—of creating lasting memories.

Whether a special occasion or part of everyday life, in our culture the whole notion of celebration is closely identi ed with our homes and with the people we consider family. is includes all the objects that transform an ordinary table into a banquet. While travelling around, witnessing how volatile relationships can be, the con dence that I had a safe place to return to meant everything to me. At the same time, I believe that it is equally important to venture out from home and, with a little sacri ce, nd one’s “own” place in the world.

“To be rooted is perhaps the most important and least recognised need of the human soul,” wrote my beloved Simone Weil (*). Indeed, how important is it for each one of us to have a place we can call “home”? How important is it to walk down a familiar street, rest our eyes on an object or detail, and perceive a familiar vibe, an atmosphere of domestic happiness, which is often embodied by a symbolic household item?

Our home is, ultimately, where our heart resides. Saint Catherine of Siena encouraged the idea of having two homes: a physical one to live in and a spiritual one to carry with us. “Home” can also be a state of mind, a faraway city or a long-lost friend, but one thing is certainly true: home is associated with love, fondness, intimate and happy memories, and the objects that are part of these special moments. In order to realise our dreams or accomplish our plans, it is essential to enjoy the warmth and security of our home, of our heart. A place lled with rooms that can be unfamiliar, at times even inaccessible, and invariably mysterious. To borrow the spirit—if not the words—of Emily Dickinson: sometimes happiness knocks at our door, but we, as the maid would say, are never in.

e task of becoming aware of ourselves can take a whole lifetime and a great deal of e ort. But it is also a journey that we can undertake with anticipatory excitement if we understand that whenever we follow the path that leads us home—however concealed it may be—we will always nd ourselves surrounded by the people we hold dear, the objects we treasure, and the memories forever engraved in our hearts. All we need to do is pull up a chair (handcrafted, of course!) and just wait, trusting that someone, or something, will speak to us and make us feel at home, where every celebration is a feast.

(*) Simone Weil, e Need for Roots. Prelude to a Declaration of Duties towards Mankind, trans. Arthur Wills (1952)

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