Murdo MacLeod/Corbis Sygma/Contrasto
MEDICINA
Il termine «dipendenza» è alla base di gran parte dei dibattiti e dei provvedimenti in materia di droghe.
Ma forse la sua ambiguità e il suo uso come sinonimo di malattia possono spiegare molti fallimenti
di Stefano Canali
Stefano Canali, storico della scienza, è cultore della materia presso la Sezione di storia della medicina del Dipartimento di medicina sperimentale e patologia dell’Università «La Sapienza» di Roma.
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Parole ambigue n. 9, maggio-giugno 2004
D
ipendenza è un termine centrale nella ricerca, nei diversi approcci esplicativi e nelle scelte politiche in tema di sostanze d’abuso. Forse per questo sembra chiaro e inequivocabile. Ma uno sguardo un po’ meno superficiale rivela immediatamente la pluralità dei significati, la misura della vaghezza e delle contraddizioni di questo concetto, singolare commistione di elementi di carattere normativo, clinico e farmacologico. Incongruenze e confusione sono così radicali che si perpetuano anche all’interno dei singoli modelli teorici di dipendenza, come quello medico, quello sociale e quello comportamentale.
Mente & Cervello
Da un lato, ci si chiede quindi come la nozione di dipendenza possa essere il fondamento dei discorsi e delle pratiche sulle droghe, e dunque quale sia, e se esista, un senso di questi discorsi e una ratio per queste pratiche. Dall’altro, la natura fondante di questo pasticcio teorico chiarisce molte ragioni del fallimento dei programmi attuati per limitare o addirittura eliminare l’abuso e l’uso cronico di sostanze psicoattive. Formulato per la prima volta nel 1793 da Benjamin Rush, padre della psichiatria statunitense, il modello della dipendenza come malattia è supportato dalle acquisizioni delle ricerche anatomiche, fisiologiche, neurofarmacologiche e genetiche che stanno progressivamente svelando le basi biologiche di questa condizione. Fondamentalmente, 37