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La FIC e sala&cucina

a intervenire in qualunque momento lo richiedano, purtroppo, eventi calamitosi ed emergenze, come le recenti alluvioni in Emilia Romagna o il terremoto anni fa nel Centro Italia. Cuochi in grado di entrare in azione, con cucine mobili, per preparare ogni giorno migliaia di pasti e donare un sorriso e un po’ di normalità alle popolazioni colpite e ai tanti volontari operativi sul posto.

Un cenno, infine, meritano gli eventi FIC, organizzati da noi o supportati. Appuntamento di prestigio internazionale sono certamente i Campionati della Cucina Italiana, che si svolgono ogni anno a Rimini con migliaia di iscritti e la partecipazione della Worldchefs, organizzazione mondiale di cui FIC fa parte attiva da anni. A questi si aggiungono la Festa nazionale del Cuoco, che si celebra itinerante ogni anno in ottobre, e Cibo Nostrum, la grande festa della cucina italiana, organizzata per anni a Taormina e che tornerà nel 2024. E poi, le grandi fiere a cui prende parte FIC, come Host o TuttoFood, mentre il Corporate Meeting lo celebriamo ogni anno con le numerose aziende partner che hanno scelto di sposare idee e progetti FIC. E tra i grandi protagonisti, oggi con entusiasmo, possiamo annoverare anche Cateringross.

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La neurovendita

Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

Se il menù è lo strumento principe di un ristorante, l’esperienza del cliente passa anche attraverso la capacità del ristoratore e del personale di sala di saper presentare le pietanze e teatralizzare l’intera esperienza di visita. A volte si tratta di azioni semplicissime, come un sorriso autentico al momento di salutare la clientela, così come la capacità del personale in sala di massimizzare l’esperienza del cliente attraverso le storie.

Le storie, generando una intensa attività cerebrale, hanno una enorme capacità di attrarre l’attenzione, di emozionare e di essere ricordate. E il mondo della ristorazione è un universo di storie: persone, luoghi, lavorazioni, passione, sfide, tradizioni, innovazione; e non parliamo dei soli ristoranti stellati o grandi vini. Una buona narrazione favorisce l’attenzione e il rilascio da parte del cervello di ossitocina, ormone legato a situazioni sociali particolarmente gradevoli e da alcuni definito “ormone della fiducia” per la sua capacità di generare empatia. Come emerso dagli studi di Paul Zak: “il racconto di una storia cambia il comportamento intervenendo sulla chimica del cervello”. Quale storia potrebbe interessare il consumatore? È questo un esempio di domanda da cui partire per definire alcune possibilità di racconto e far così leva sul fascino che i consumatori attribuiscono alle storie e il loro apprezzamento verso la possibilità di apprendere cose nuove (esiste infatti un meccanismo cerebrale che ricompensa questa acquisizione di conoscenza). Con l’obiettivo di valorizzare al massimo l’esperienza del cliente.

Se ad esempio ci raccontano dell’intenso profumo che è possibile sentire passeggiando in primavera in un determinato bosco si attivano, in chi ascolta, le aree cerebrali sensoriali dell’olfatto. Se ascoltiamo la storia delle difficoltà attraversate da un imprenditore per mantenere attiva l’azienda di famiglia, ci immedesimiamo in lui e sviluppiamo empatia.

Certo non è pensabile avere tutti sommelier, ma il personale di sala, tramite anche una maggiore interazione con chi opera in cucina, deve arrivare a conoscere tutto del piatto. Non deve essere più ammessa la frase “chiedo in cucina”. Un utile esercizio è riunire il personale, scegliere un piatto dal menù o dalla lista delle bevande e provare a raccontare una storia in grado di valorizzare la pietanza.

Durante la raccolta delle ordinazioni c’è un piccolo “trucchetto” di neuromarketing che può permettere ai camerieri di attivare più facilmente il principio del piacere. Come emerso dalle ricerche di Rick van Baaren, infatti, i camerieri che ripetono al cliente l’ordinazione parola per parola, esattamente come ricevuta, arrivano a ottenere mance più alte anche del 70%.

Abituiamoci pertanto a comunicare con le storie, consapevoli che il cliente non sceglie solo il piatto ma quel che raccontiamo di quel piatto.

Luigi Caricato oleologo

I prezzi dell’olio salgono. Salgono, fino a diventare impraticabili. L’olivagione 2022-2023 se la ricorderanno in tanti per penuria di prodotto. L’Italia, come ben si sa, è sempre sottodimensionata rispetto al proprio fabbisogno, il quale si attesta intorno a un milione di tonnellate annue. Questa volta di prodotto italiano ne abbiamo a disposizione solo 200 mila ton. Siamo stati storicamente sempre deficitari. Abbiamo sempre prodotto poco, ma adesso ancor meno del solito. La Spagna, abituata da decenni a dominare incontrastata la scena mondiale – a volte raggiungendo anche un milione e 800 mila tonnellate – supererà con qualche difficoltà quota 700 mila. Lo scenario in cui ci si muove complica moltissimo i mercati: mancando l’olio, il poco disponibile ha prezzi elevatissimi. Sul portale di informazione Olio Officina ogni settimana quattro broker riportano le quotazioni del prodotto sfuso italiano e di altri Paesi. Prezzi, a scanso di equivoci, che coinvolgono gli imbottigliatori: ci si riferisce agli oli acquistati in autobotti. Ad oggi si registrano quotazioni massime per l’extra vergine italiano pugliese superiori ai 7 euro, Iva esclusa. Anche i prezzi di Spagna e Grecia volano alti, si attestano, rispettivamente, intorno a euro 6,30 e 6,20. Stessa situazione per Tunisia e Marocco, con punte di 6,10 e 6,25. Sono prezzi mai registrati finora. Questi numeri li riporto non certo per tediarvi, ma per chiarire il contesto inusuale in cui ci si sta muovendo. Da un lato alcune aziende sono arrivate perfino a sospendere le forniture, dall’altro i consumatori si sentono spaesati, non abituati a prezzi tanto elevati. Una situazione così complessa ci insegna però qualcosa: a partire da questo stato eccezionale di crisi possiamo ripensare in modo diverso l’olio extra vergine di oliva. È l’occasione per restituire il valore che il prodotto ha perduto nel corso degli anni, visto l’infausto e immeritato ruolo di commodity in cui era stato confinato dalla grande distribuzione. Gli stessi operatori del settore Horeca si sono dimostrati poco inclini ad assegnare il giusto valore agli extra vergini: in molti ancora non credono alle potenzialità che si possono sviluppare. Ed è un grande limite, a maggior ragione oggi, in un contesto come quello attuale, con

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