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La guerra

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sti e perfino di esecuzioni e 4.060 si erano rifugiati in Bulgaria.18

Il malumore per il nuovo regime raggiunse anche gli albanesi, che spinti da richieste di autonomia insorsero tra il 1910 e il 1912 a più riprese in Kosovo, nel Sangiaccato di Novi Pazar e in Macedonia.

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La guerra

La retorica nazionalista delle élites al potere coincideva con un fattore di estrema rilevanza: l’ampliamento territoriale risultava una necessità vitale per i piccoli paesi balcanici prigionieri di una crisi del loro già fragile sistema economico.19 Nel caso serbo la necessità si faceva ancora più impellente: dal 1906 infatti era alle prese con la cosiddetta «guerra doganale» con l’Impero austro-ungarico che aveva spostato completamente le direzioni dell’economia di Belgrado. In seguito a dei contrasti riguardanti accordi commerciali, Vienna aveva imposto il blocco delle importazioni delle merci provenienti dalla Serbia e dirette verso l’Austria-Ungheria. Queste importazioni, rappresentate quasi esclusivamente da carne suina, nel 1906 rappresentavano l’86,5% delle totali esportazioni serbe: il blocco spinse quindi l’economia serba a rivolgersi a nuovi mercati e a nuove rotte commerciali. In questo contesto emerse l’importanza che aveva per la Serbia il commercio attraverso la Macedonia e Salonicco come transito per le merci dirette verso i nuovi mercati europei. Per questo motivo la penetrazione serba in Macedonia, oltre che politica, assunse ora anche un carattere economico, sempre all’interno della necessità di liberazione di quei territori.

La Serbia favorì l’industria e i piccoli produttori locali, soprattutto grazie ad una nuova politica creditizia messa in atto. Vennero aperte, d’accordo con le autorità turche, filiali di banche serbe nei centri più importanti della Macedonia,20 che insieme alle rappresentanze consolari diventavano un punto di riferimento fondamentale per l’espansionismo di Belgrado.

L’elemento che tuttavia frenava eventuali ulteriori passi e che in un certo senso confinava le aspirazioni a livello politico era l’atteggiamento delle grandi potenze. Con la guerra russo-turca e il Congresso di Berlino erano entrate nello scenario balcanico sostituendosi in gran parte al secolare dominio ottomano. Il nuovo assetto era stato stabilito da loro, non certo dai piccoli paesi balcanici:

18 Report..., cit., p. 37. 19 Egidio Ivetić, Le guerre balcaniche, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 28-29. 20 Dimitrije Đorđević, Carinski rat Srbije i Austro-Ugarske, Istorijski institut, Beograd 1962, pp. 572-574.

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e le ambizioni di questi ultimi non potevano prescindere dalle posizioni delle grandi potenze. Fu questo un altro piano sul quale si svolse il contrasto intorno alla Macedonia, che assumeva così una dimensione internazionale.

Lo stallo delle ambizioni espansionistiche bulgare, serbe e greche fu superato nel 1911, quando emerse chiaramente la fragilità dell’Impero ottomano. Oltre alle difficoltà provocate dalle rivolte albanesi, un peso rilevante ebbe la sconfitta subita nella guerra con l’Italia: in questo caso non fu solo la guerra in sé, quanto il fatto che una grande potenza, che fino ad allora aveva optato per il mantenimento dello status quo, con molta semplicità decise di annettere parte dell’Impero ottomano. La paura fu che qualcosa di simile potesse accadere anche in quella parte dei Balcani cui erano dirette le aspirazioni nazionali serbe, bulgare, greche (e rumene).21 In un momento di confronto serrato, in cui le grandi potenze fecero di tutto per evitare attriti pericolosi, nacque l’idea di un’alleanza tra i paesi balcanici e di una guerra contro la Sublime Porta. E dopo brevi trattative già il 29 febbraio/13 marzo 1912 Bulgaria e Serbia firmarono un trattato d’alleanza seguito il 16/29 maggio da un trattato bulgaro-greco; il 19 giugno/2 luglio fu la volta di un trattato militare serbo-bulgaro e infine il 14/27 settembre venne siglata l’alleanza serbo-montenegrina.

I patti stipulati prevedevano da un lato la spartizione dei territori turchi nei Balcani, escluse quelle zone contese della Macedonia che sarebbero state sottoposte ad un arbitrato russo, ma comprendevano anche un’alleanza antiaustriaca in base alla quale nel caso l’Austria-Ungheria avesse attaccato la Serbia, la Bulgaria si sarebbe impegnata ad inviare un esercito di almeno 200.000 soldati in aiuto dell’alleato serbo. La sigla di questi accordi, che stringevano l’uno all’altro i paesi balcanici e per la prima volta li vedeva agire indipendentemente (o quasi, dato che la Russia era in un certo senso presente), significava necessariamente un’imminente radicale modifica nei Balcani. L’obiettivo di allargare i propri confini e realizzare le proprie aspirazioni nazionali, proprio di tutti i paesi balcanici del periodo, si era infatti rinvigorito dai recenti avvenimenti in Turchia ed era riuscito a creare un sistema difensivo che avrebbe di certo fatto titubare l’Austria-Ungheria di fronte alla possibilità, già in precedenza valutata, di un attacco militare verso i suoi vicini meridionali. I piccoli paesi balcanici infatti, nonostante le varie discordie relative ai territori contesi, erano riusciti a realizzare quello che da sempre aveva cercato di evitare l’Austria: l’unità.

Nel frattempo l’insurrezione albanese non solo non si era placata ma anzi aveva raggiunto dimensioni tali da far scoppiare, nella primavera-estate del 1912, una rivolta nell’esercito turco di stanza a Prilep, Resan, Ohrid e Struga

21 Vladimir Ćorović, Odnosi Srbije i Austro-Ugarske u XX veku, Biblioteka grada Beograda, Beograd, 1992, p. 373.

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(composto da molti albanesi) che si rifiutò di proseguire nelle azioni repressive. Le violenze, che avevano coinvolto anche molti villaggi, cessarono solo a fine luglio quando gli albanesi, con la promessa di almeno un’autonomia della regione, entrarono vincitori nelle città di Novi Pazar, Prishtina e Skopje. Il crollo delle autorità turche e l’indecisione sul da farsi furono resi ancora più evidenti dal fatto che, per timore di ulteriori disordini nel resto dei territori albanesi – che avrebbero portato ad una vera e propria guerra -, le autorità turche rifiutarono di ratificare il trattato sui confini con il Montenegro in base al quale sarebbero rimasti al di fuori della nuova situazione d’autonomia numerosi albanesi. Il governo montenegrino inviò per questo una nota di protesta sia alla Turchia che alla grandi potenze, e la mancata risposta del diretto interessato fu presa a pretesto, l’8 ottobre 1912, per la dichiarazione di guerra..

II passo verso lo scoppio delle ostilità fu breve e non fu per nulla ostacolato dalle tardive e deboli azioni della diplomazia europea per evitarle. Anzi, questa stessa diplomazia si rivelò del tutto incapace o forse indecisa per timore delle conseguenze, ad ulteriori azioni una volta che la guerra scoppiò.

A fine ottobre gli eserciti balcanici, forti di una netta superiorità numerica, avevano già messo in seria difficoltà le truppe ottomane, già in condizioni disastrate. I serbi in poco tempo presero il Sangiaccato e il Kosovo, giungendo a Skopje e Kumanovo e conquistando una dopo l’altra le città macedoni ad ovest e lungo il fiume Vardar. I bulgari costrinsero il nemico a ritirarsi nella fortezza di Adrianopoli, mentre i greci entravano vittoriosamente a Salonicco, nella Macedonia egea e cingevano d’assedio la città fortificata di Giannina. I montenegrini, che insieme ai serbi entrarono nel Sangiaccato e in Kosovo, presero d’assedio Scutari, dove si erano rifugiate le truppe turche.

La prima guerra balcanica finì di fatto il 3 dicembre con la firma da parte turca di una tregua; e benché le città assediate resistettero fino a primavera inoltrata, già il 16 dicembre a Londra cominciarono le trattative per l’accordo definitivo di pace (che venne siglato il 30 maggio 1913).

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