4. Eredi della guerra. Il fascismo e l’appropriazione della vittoria
La rinuncia, salvo alcune isolate eccezioni, del ceto politico liberale ad intervenire nella messa in scena pubblica del ricordo e a dirigere un processo di rimembranza che articolasse attorno al mito dell’esperienza di guerra un consenso alle istituzioni, lasciò di fatto campo libero al fascismo che si impadronì di un atout assai efficace nella lotta per la conquista del campo della politica patriottica. Si tratta di uno snodo fondamentale per comprendere il successo del fascismo non solo nel più vasto panorama di un’opinione pubblica largamente conquistata dalla violenza politica patriottica e antisovversiva ma soprattutto all’interno di quei gangli vitali dello stato, come l’esercito, che sul valore simbolico della vittoria costruivano la propria identità e il rapporto con la comunità nazionale, e che nel vuoto celebrativo – e nella deriva conflittuale attorno all’intervento e al significato della guerra – vedevano le spie di un isolamento e di una pericolosa emarginazione1. A fare da pendant al «ritorno a lumi spenti» che aveva alimentato l’immagine di una «nazione ingrata» (peraltro, una pratica discorsiva ampiamente diffusa già nella retorica di trincea, coniugata all’idea delle retrovie degli imboscati, dei profittatori, dei retori da salotto, contrapposti alla nazione «vera», al fronte) vi era infatti lo svilupparsi di una conflittualità di strada e di piazza, una violenza di fatti (e non solo di parole) esercitata dal «nemico interno» del tempo di guerra ora diventato, apparentemente, il dominatore dello spazio collettivo2. «Disfattisti» e 1. Sull’importanza, spesso misconosciuta, dell’incapacità psicologica del ceto dirigente di comprendere e soddisfare le aspettative simboliche dei funzionari e dei militari in particolare ho a lungo parlato in La politica delle armi. Il ruolo dell’esercito italiano nell’avvento del fascismo, Laterza, Roma-Bari 2006. 2. Sulla radicalizzazione del «nemico interno» come frutto della cultura di guerra cfr. per il caso italiano A. Ventrone, La seduzione totalitaria. Guerra, modernità, violenza politica (1914-1918), Donzelli, Roma 2003, specie pp. 211-233. Per il dopo-