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4WORDS LE PAROLE DELL’INNOVAZIONE IN SANITÀ — 2020
Paola Velardi
Fenotipi sociali: studiare le reti per capire la malattia
I
n che modo le reti sociali possono portarci a una maggiore comprensione di fenomeni correlati alla medicina e alla salute? È possibile rilevare, e quindi comprendere meglio, i bisogni
dei pazienti a partire dall’analisi dei tweet? Le reti sociali possono diventare veicolo di strategie di prevenzione? Sono queste alcune delle domande da cui è partito l’intervento di Paola Velardi, docente di informatica della Sapienza università di Roma, all’interno della sessione
15. Network / Reti
dedicata ai network che ha aperto 4words20, la quarta riunione annuale del progetto Forward. Paola Velardi Professore ordinario di informatica alla Sapienza università di Roma. La sua ricerca si concentra sull’impiego degli algoritmi per l’analisi del linguaggio naturale sui social media e in particolare sullo studio dei social media per la sorveglianza epidemiologica, per l’analisi del ruolo di leadership delle donne che lavorano nei social network aziendali e per la progettazione di sistemi di raccomandazione. Paola Velardi è una delle cento scienziate incluse nel database 100esperte.it ed è la fondatrice del progetto “NERD – Non è roba per donne?”.
Il lavoro di ricerca della Velardi ruota tra l’altro attorno all’impiego degli algoritmi per l’analisi del linguaggio naturale sui social media e in particolare allo studio dei social media per la sorveglianza epidemiologica. “Le persone parlano del proprio stato di salute, discutono dei propri sintomi”, sottolinea la studiosa. “Siccome l’uso delle reti sociali è pervasivo, i dati a disposizione sono tantissimi, c’è l’opportunità di sfruttare queste informazioni per applicazioni che possono essere utili per una maggiore conoscenza dello stato di salute dei pazienti. I dati vengono sempre collezionati a livello globale e sono informazioni che non riscontriamo solo nei singoli testi, ma a livello di connessioni tra i pazienti”. Perché le reti sociali, le interazioni che in esse avvengono e i messaggi che circolano sono così utili? “Ci sono diverse ragioni per cui è importante analizzare le interazioni che gli umani hanno attraverso le reti sociali”, spiega Velardi. Le interazioni umane
raccontano una storia e possono essere la base di un nuovo paradigma di medicina di rete, in particolare per quanto riguarda le emergenze di salute pubblica. Ad esempio, è possibile riuscire a prevedere la diffusione di malattie epidemiche: la sorveglianza epidemiologica può essere supportata e integrata con l’analisi delle reti sociali. Già diversi anni fa si analizzavano i messaggi pubblicati su Twitter per prevedere la diffusione. “Abbiamo fatto uno studio più dettagliato in cui abbiamo analizzato i tweet in cui le persone denunciavano di avere alcuni sintomi dell’influenza e abbiamo visto che la curva di questi messaggi rispecchia abbastanza la curva effettiva dei casi della malattia”, precisa. “Tracciare le comunicazioni su Twitter con informazioni sull’influenza permette di creare modelli di predizione del picco di influenza molto più precisi rispetto a quelli che si otterrebbero utilizzando le informazioni ricevute dai medici”, aggiunge Velardi. Ma facciamo un passo indietro: cosa significa analizzare le reti sociali? Una rete in senso fisico è fatta di nodi, ognuno dei quali ha lo stesso numero di collegamenti con gli altri nodi. Le reti sociali, come le reti biologiche, invece, sono caratterizzate da una struttura irregolare: “Ogni nodo può avere un numero di connessioni molto diverse, ci possono essere delle zone molto dense o rarefatte, ed è proprio qui, nell’analisi di queste irregolarità che troviamo l’informazione che ci interessa”. Quando dei gruppi di persone interagiscono all’interno di una rete sociale vuol dire che hanno qualcosa in comune. Questo qualcosa può darci informazioni su quel gruppo di persone o di pazienti. Analizzare una rete sociale significa da un lato mettere in campo metodologie per analizzare il linguaggio e capire l’informazione che le persone si scambiano, dall’altro procedere con l’analisi strutturale che permette di identificare le regolarità e irregolarità all’interno della rete che possono dirci qualcosa. L’analisi strutturale delle reti sociali prevede tre passaggi. 1. Identificare i key players, cioè gli elementi centrali nella comunità (le persone più influenti, che spesso sono gli uomini) e i “ponti”, ovvero i nodi che connettono due o più comunità, che spesso sono donne.
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Valeria Viola @vola_va Jan 30
#4words20 Paola Velardi parla di reti. Nei centri delle reti sociali si trova chi ha più potere di diffondere informazioni. Capovolgendo l’approccio penso che analizzare la periferia della rete aiuta a comprendere la rarità e gli ostacoli all’inclusione. Chi è come fare ponte?
2. Trovare le comunità, ovvero le zone in cui il numero di elementi e nodi è più denso. L’idea è che individuata una zona di elementi molto vicini tra loro è possibile che questi condividano un fenomeno o abbiano in comune una similarità che può essere, ad esempio, una stessa malattia. 3. Studiare o predire la diffusione dei fenomeni. Ma a cosa serve in medicina trovare le persone centrali, individuare le comunità e studiare il flusso della comunicazione? Abbiamo già visto come si possa prevedere la diffusione di certe malattie, ad esempio l’influenza, attraverso l’analisi dei messaggi che le persone si scambiano attraverso le reti sociali. Ma non solo. “Se i centri sono degli influencer, una volta trovati i centri si può, ad esempio, bloccare la trasmissione di una certa informazione: se loro vengono bloccati, il flusso di informazione virale si blocca”, spiega Velardi. Studiare le connessioni significa poter vedere come le malattie si propagano, ma anche a comprendere come le opinioni sulle malattie si diffondono. E potenzialmente correggere il tiro. L’altro esempio fatto dalla scienziata è relativo a una ricerca svolta sui pazienti con il diabete a partire dall’analisi dei forum di salute. “Nei blog e nei forum è il paziente a fare le domande, a dire ciò che è rilevante per lui nella gestione della sua malattia”, sottolinea. “Un problema che spesso si riscontra è che c’è una sorta di mismatch tra quello che il medico chiede al paziente e quello che il paziente vorrebbe esprimere”.
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