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Manon Steyaert
a cura di Chiara Moro
Da quando ho terminato la ristrutturazione di casa, con le mani che fremono in stato febbrile, sogno di prenderne un’altra con consunti affreschi alle pareti e stucchi a punteggiare le volte delle stanze. È forse per questa mia ultima propensione agli immobili ricchi di storia che mi sono affezionata all’estetica decadente e lussuosa degli spazi fiorentini di numeroventi, un palazzo storico convertito a residenza d’artista all’interno dei cui spazi ho incontrato le opere di Manon Steyaert, delicati drappi di silicone, omaggio al mondo del tessile, rivisitazione di una estetica rinascimentale che torna a influenzare moda, arte e design, in cui sono la morbidezza e le volute del panno a guidare la vista.
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“Dans L’air” 2021, 25x30cm, silicone

“Walking Along The Canals II” 2020, 40x60cm, silicone and pigment “Iridescent Silicone V” 2021, 20x25cm, silicone, cellophane and pigment


Private commission 2021, 70x90cm, silicone and pigment
Qual è la tua storia? Cosa diresti di te per presentarti a chi non ti conosce?
Mi chiamo Manon Steyaert, sono un’artista contemporanea nata a Bruxelles, mi sono trasferita a Londra nel 2014 per intraprendere un ciclo di studi nel campo dell’arte presso la Central Saint Martins e il Chelsea College of Arts.
Come è nato il tuo percorso espressivo? È stato difficile incanalare in un mezzo l’istanza di espressione che hai sentito?
In realtà, mi sono trasferita a Londra per studiare moda alla Central Saint Martins, ma il caso ha voluto fossero altre le mie strade, dirottandomi nel corso di Belle Arti. Con me ho portato la passione per tessuti e trame, facendo evolvere questo media in dipinti e sculture. Direi che è stata la curiosità circa il saper fare le cose a guidare il mio percorso espressivo: il mio primo amore, la moda, è infatti un unire i pezzi tra loro nel creare una sorta di scultura 3D. Portando queste idee in pittura, ho messo in discussione il rapporto tra la cornice e il contenuto, decostruendo il mezzo fino al suo nucleo e riassemblandolo in modi inaspettati, permettendo allo spettatore di cambiarne la percezione. Data la mia spiccata curiosità, ho fatto molti tentativi, dando forma alle mie idee più disparate, ma, in un processo di eliminazione, ho messo da parte tutto ciò che non funzionava fino al trovare i materiali giusti e la mia voce assieme a quei materiali.
Come definiresti il tuo lavoro e come racconteresti il tuo approccio progettuale?
Non credo si possa dire che presento un approccio progettuale specifico al mio lavoro, ma sicuramente ho trovato alcune influenze nel design. Sono sempre profondamente attratta dall’ambiente di una stanza, dalle combinazioni di colori e dai punti di vista che possono essere creati posizionando le opere d’arte in determinati punti. Le mie opere non sono create come oggetti, ma si esprimono in quanto tali grazie al materiale di cui sono composte. Descriverei il mio lavoro come una fusione tra scultura e pittura, nel limbo tra i due; mi piace il fatto che siano molteplici i significati che porta, mi piace non sia vincolato ad una singola narrazione. Uso il colore per attirare l’occhio dello spettatore per poi confonderlo con la superficie materica dell’opera, permettendo alla vista di ballare sulle forme, cambiando il loro punto di vista su ciò che pensavano di sapere su pittura e scultura.
È possibile arredare con l’arte? L’arte e il design possono convivere, unirsi, trasformarsi a vicenda?
Penso siano molteplici gli ideali dell’arte: alcuni sono puramente estetici, al fine di completare e/o decorare una stanza; altri sono il tentativo di elevare e sfidare l’ambiente circostante. Spetta sicuramente anche allo spettatore e alla sua percezione il determinare lo scopo dell’arte per loro e

“Gazing In I” & “Gazing In II”
all’interno di in una stanza. Personalmente penso che alcune opere possano essere utilizzate per arredare e altre sicuramente no. Alcuni dei miei lavori a colori credo possano essere visti come un’opera d’arte realizzata ad hoc per il mero arredare, aggiunti ad una stanza iniettando colore nello spazio, mentre altri miei lavori di installazione riguardano maggiormente l’interazione che voglio che uno spettatore e la sua mente abbiano con il lavoro. Penso che l’arte stia poco alla volta percorrendo le strade che una volta erano solo del design, dando vita ad un coesistere, però mi fa ridere l’idea di etichettare ancora le cose! Il Covid ci ha chiuso nelle stanze per un periodo di tempo molto più lungo rispetto a quello a cui siamo normalmente abituati, costringendoci a fare i conti con le nostre abitazioni e con il fatto che, spesso, non ci assomigliavano. Design e arte ci aiutano a trovare espressioni e riflessi per vivere al meglio nella nostra quotidianità.
In questo periodo sono cambiate molte cose; secondo te è cambiata anche la nostra immaginazione?
Parlo di me e, sì, la mia immaginazione ha attraversato un periodo di cambiamento; abbiamo tutti avuto più tempo per riconoscerci, sia nel nostro ambiente, sia nella nostra vita. Ho avuto l’occasione di notare ciò che mi circondava con un’attenzione mai avuta prima e ho applicato alcuni di questi pensieri nella mia pratica artistica. In una recente mostra in Danimarca ho avuto la possibilità di esporre il risultato di una passeggiata lungo i canali che sono solita percorrere a Londra: un giorno ho visto combinazioni di colori che non avevo notato prima e da qui sono nate diverse opere. Sento di aver aperto maggiormente la mente, vedendo, così, più di prima. Inoltre penso che le persone siano diventate in generale più riconoscenti e questo indubbiamente cambia le idee e la nostra immaginazione.
C’è il rischio di perdere la vera essenza dell’arte davanti ad uno schermo?
L’incontro fisico con l’opera e la sua essenza materiale non possono essere ricreate dal mezzo digitale, è la connessione che viene a mancare, l’empatia. Tuttavia credo sia essenziale che anche l’arte sia, in qualche modo, sui nostri schermi, posso solo immaginare le eventuali difficoltà durante la pandemia. L’evoluzione del mezzo non deve essere qualcosa di cui vergognarsi, gli artisti in generale penso lo sappiano, è bene mantenere un approccio fisico, ma senza qualche forma di evoluzione è la crescita personale a pagare.
Cosa non ha più senso, nel mondo dell’arte?
Credo non abbia senso il far pagare gli artisti emergenti per esporre in una mostra. Proprio ieri mi è stata offerta la partecipazione ad una collettiva e la piccola (enorme!) tassa che mi è stata chiesta per esporre è stata uno schiaffo in faccia dato che ogni artista, al fine di realizzare l’opera, deve già sostenere numerosi costi.
Un’immagine per rappresentare la tua quotidianità?
Un’immagine, una fotografia, ecco, questa può essere il cielo appena sopra la mia quotidianità. Siamo a Londra, non è prettamente soleggiato, ma penso che un cielo appena offuscato sia la perfetta rappresentazione dei momenti in cui mi sento più ispirata, in grado di carpire le piccole cose di tutti i giorni. Un cielo come quello appena fuori dal pub che amo frequentare con i miei amici dopo una lunga giornata di studio, una pinta in mano e la sera attorno a noi.
“Silcone Toile I”, 2019, 70x90cm, exhibition at Numeroventi, Firenze

