Ciao Milano DAVIDE OLDANI Chef internazionale
Lo so, ti sorprende che ti saluti in questo modo, un tempo ti avrei detto buongiorno e ti avrei dato del lei. Ma allora ti vedevo lontanissima; in parte perché ero un bambino e le distanze – così come le altezze – facevano parte di un mondo gigantesco, ma anche perché non eri facilmente raggiungibile come invece sei oggi. Io sono nato in città, questo riporta la mia carta d’identità e questo è per me motivo di gioia, ma sono cresciuto in campagna, e ne sono ugualmente felice. Adesso che c’è più confidenza fra me e te posso confessartelo: non mi è mai piaciuto il nome periferia, ho sempre preferito pensare di vivere in campagna, e non per snobismo, davvero; come tu mi mettevi effervescenza, così il paese dove vivevo mi metteva tranquillità. Due luoghi diversi, uno per crescere, l’altro da cui andare e venire. Quando ero piccolo, arrivare da te più che una passeggiata era un autentico viaggio. A pensarci bene forse dovrei continuare a darti del lei, per sentire ancora l’entusiasmo che provavo quando dovevo raggiungerti, fare “tutta quella strada” e metterci “tutto quel tempo”. Adesso, per mia figlia Camilla Maria andare a Milano è più semplice, quando ero bambino era come andare al mare. Mio padre mi raccontava che fino a qualche anno prima ci arrivava soltanto il treno “Gamba de legn”; una vera salvezza se si pensa che prima del Gamba un paesano della campagna che doveva trovarsi in zona Brera all’alba doveva partire da Cornaredo a notte fonda. Comunque, salvezza o no, era l’unico mezzo che attraverso via Novara ti portava in città. Quando ero ragazzino poi sono arrivati gli autobus delle Autolinee Rimoldi, che hanno accorciato le distanze, ma non così tanto. La mia mamma, invece, da te ci veniva ogni mercoledì, a rifornirsi per il negozio di tessuti. Quello era un giorno di festa per me e per mio fratello Walter, uno in più ogni settimana, oltre alla domenica, perché lei tornava sempre con il “pan tramvai” e qualche volta anche con altri regalini. Dai che lo sai che cos’era il “pan tramvai”… uno spuntino semplice ma energetico – semplificando un po’ era un pane con l’uvetta –, lo portavano con sé i passeggeri del tram che arrivavano da Monza e che dovevano affrontare un viaggio molto lungo che poteva durare anche diverse ore.
Il fatto che tu mi fossi necessaria non ti ha resa meno bella ai miei occhi, anzi. Più ti conoscevo e più mi piacevi, e ci ho pensato non una volta sola, credimi, di aprire un ristorante in uno dei tuoi meravigliosi angoli. Ma pur amandoti tantissimo, ho finito sempre per scegliere di restare dove ho sempre vissuto, e anche il ristorante ho deciso di aprirlo…“in campagna”. Le ragioni sono diverse ma nessuna legata a pensieri negativi su di te – io ti voglio bene e tu mi hai sempre ricambiato, nel 2008 lo hai fatto addirittura con l’Ambrogino d’oro – e forse il motivo vero è soltanto uno: nonostante tutti i cambiamenti, continuo a sentirmi il Davide che dalla città va e viene e penso che se tu fossi il mio quotidiano non sarebbe più la stessa cosa. Ecco, senza sembrarti eccessivamente ossequioso vorrei continuare a mantenere fra noi quella distanza, quel rispetto che non mi hanno mai tolto la voglia di venirti a trovare, il piacere di riconoscerti nelle tue tradizioni e nello stesso tempo di scoprirti nelle tue novità e apprezzarti nei tuoi mutamenti. Ed è proprio quel modo di essere città di tradizione e innovazione che ho voluto onorare dedicandoti il mio “Zafferano e Riso alla milanese D’O”. Nell’immaginarlo mi è piaciuto pensarti con i tuoi sapori e i tuoi colori. Per questo ho voluto un piatto semplice ma invitante, legato alla tua storia nella sostanza ma aperto al cambiamento nel modo in cui si offre all’ospite; per questo l’ho preparato con il riso della tradizione ma l’ho vestito con un cerchio di zafferano che vuole essere un simbolo di circolarità intesa come accoglienza, come stiamo qui – dentro – diversi ma insieme. Come un percorso che non finisce mai, ma ricomincia sempre. Per questo ho voluto che ti somigliasse nel suo concepire la convivenza fra gli ingredienti che si equilibrano nei contrasti e che hanno ciascuno un proprio carattere, ma si armonizzano nel palato e si rinnovano, di continuo, in sempre nuovi abbinamenti.
Così, se nei miei pensieri il viaggio verso la città era “lungo”, il ritorno dalla città era… dolce! Ecco perché, nei miei ricordi d’infanzia, tu sei lontana ma dolcissima.
Non posso negare che il risotto giallo abbia un ruolo importante – nella tua storia e nella mia carriera di cuoco – ma come ti ho scritto prima tu per me non sei solo quello. Sei anche la nebbia. Quando c’era. Oggi hai perso parecchia di quella coltre che ci inghiottiva tutti e che per certi versi aveva un che di magico, ma a me non dispiace per niente quello che adesso si vede di te.
Da ragazzo, cara Milano, sei diventata una necessità. In città ci venivo per studiare, perciò sei stata il mio trampolino di lancio per il lavoro. In realtà ci venivo anche qualche sabato pomeriggio con gli amici, a Le Cinema – la discoteca di via Ricciarelli – ma niente di più, perché oltre all’impegno della scuola c’era il calcio, tantissimo calcio, e anche quello era tutto giocato in “campagna”.
E per me sei anche l’Inter. Anzi Inter e Milan. “Baùscia” e “casciavìt”. Io “casciavìt”, interista. Ma anche in questo caso, come per la nebbia, mi piace pensare che certe distinzioni si siano diradate per lasciare il posto a quello che si deve vedere: una sana competizione. Ma sì, che sia un ciao o un buongiorno, il mio saluto è un caldissimo arrivederci… Milano.
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Lettera a Milano | 51