GSA 5/2017

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TERZA PAGINA AUTOMAZIONE E LAVORO

quei robot che ci rubano il lavoro… di Antonio Bagnati

34 MAGGIO 2017

Il bellissimo libro “Al posto tuo”, di Riccardo Staglianò (Einaudi, Passaggi 2016) racconta in una serie di reportage come i robot ci stanno sottraendo posti di lavoro. E non si tratta più solo di automazione nel manifatturiero: oggi l’automazione minaccia anche i colletti bianchi ed erode il valore di lavori che non ti aspetti, ad alto contenuto cognitivo, come il medico, l’analista finanziario, l’autista. “Un tema che dovrebbe ossessionare la politica globale, ma di cui in Italia si parla ancora molto poco”, spiega l’autore. E il cleaning non ne è affatto esente. C’è chi ha tirato in ballo i luddisti, gli operai inglesi che, due secoli fa, spaccavano le prime macchine nelle fabbriche, colpevoli secondo loro di rubare posti di lavoro. Chi canta il de profundis all’industria stessa, per come oggi la conosciamo. E anche al settore dei servizi, sempre più automatizzato a tutti i livelli grazie a dispositivi, ma anche oggetti, in costante dialogo fra loro. Non è mancato nemmeno chi ha rispolverato le vecchie teorie del Capitale, puntando il dito contro “padroni” sempre più avidi che, pur di assicurarsi ulteriori scorpacciate di marginalità, non esitano ad automatizzare anche i processi e i segmenti di produzione tradizionalmente riservati all’uomo.

Tassare i robot?

C’è chi, con un approccio più scientifico, ha riaperto i libri di storia e riper-

corso croci e delizie delle precedenti rivoluzioni industriali, mostrando come, alla fine, i benefici di ogni progresso si spalmano sull’intera comunità. “Questo però vale nel lungo periodo”, hanno ribattuto i più allarmati. “Intanto, a breve e medio termine, si dovranno contare morti e feriti, come in tutte le rivoluzioni”, concludono i profeti di sventura. E speriamo che non abbiano ragione. D’altra parte qualcosa di sensato, in tutto questo preoccuparsi, ci sarà pure, se è vero, come abbiamo sentito nei giorni scorsi, che perfino un guru del mondo digitale come Bill Gates, che fra parentesi è anche l’uomo più ricco del pianeta e non certo per caso, ha accolto con favore la recente proposta di un’europarlamentare europea di tassare i robot. Una misura che, per quanto stia incontrando non poche resistenze, a dire dei suoi sostenitori avrebbe se non altro il merito di creare un paracadute sociale per tutti coloro che stanno perdendo o perderanno il loro impiego.

La fine del lavoro?

Ciò che è fuor di dubbio è che da anni stiamo assistendo, più o meno consapevolmente, a una rivoluzione silenziosa nel nostro modo di vivere, e di conseguenza di lavorare. Qualcosa di inarrestabile che, volenti o nolenti, dobbiamo imparare ad accettare. E che, in tempi meno sospetti, l’economista e opinion maker americano Jeremy Rifkin, brillantissimo ospite, come ricorderete, a una passata edizione di “Pulire”, preconizzava nel suo bestseller “La fine del lavoro”. Correva l’anno 1995, e certi scenari sembravano ancora di là da venire. Eppure…

Viaggio in un futuro già presente

Eppure così è stato e così è, il futuro è già arrivato: “Qual è l’ultima volta che avete comprato un biglietto del treno allo sportello invece di farlo online? O un cd in un negozio di dischi? O che avete messo piede in banca? Non siete i soli. Il risultato individuale è una maggiore convenienza immediata, quello collettivo è la fine di quei lavori. È una schizofrenia che ci riguarda tutti. Le macchine hanno sempre rimpiazzato gli uomini. Prima però lo facevano nei compiti pesanti, colpendo i colletti blu. Ora sostituiscono il lavoro dei colletti bianchi. In passato l’aumento della produttività dato dalla tecnologia si trasformava in più ricchezza per la società: se uno perdeva il lavoro in manifattura ne trovava un altro nei servizi. Ormai le macchine corrono troppo forte e distruggono più posti di quanti non riescano a creare. Web e robot, dunque,


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