GSA Igiene Urbana 04-18

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TERZA PAGINA PONTE MORANDI

Genova e il “suo” ponte

56 igiene urbana igiene urbana ottobre-dicembre 2018

Il crollo del ponte Morandi è stato un po’ una metafora di uno sviluppo industriale disattento alle esigenze della popolazione che ha coinvolto, in varia misura, tutta la città. di Antonio Bruno*

Alla fine, sono dovuto tornare a Genova. Dopo la caduta del ponte Morandi ho ritardato il più possibile. Ho trovato una città sospesa tra lo shock e la rassegnazione.

Shock Anche per chi, come me, il ponte rappresentava la supremazia della “crescita infelice” sulle persone, il Morandi era diventato uno di famiglia. Magari un parente non gradito, spesso scorbutico, ma ormai accettato per il solo fatto di averlo percorso migliaia di volte (è stato così anche per chi ha sempre privilegiato il trasporto pubblico). E ancora oggi ci stiamo chiedendo perché non sia toccato a noi, ai nostri cari, finire sotto le macerie di quel ponte… Ovviamente non c’è una spiegazione razionale. Tutto sembra causale, imprevedibile. Questo è vero se si guarda all’episodio puntuale. Se invece facciamo memoria di tutte le tragedie accadute a Genova negli ultimi decenni, non possiamo più imputare al fato o alla cattiva provvidenza questa o quella tragedia.

Abbiamo avuto numerose alluvioni con morti: 7-8 ottobre 1970 (44 vittime); 11 aprile 1991; 27 settembre 1992 (2 vittime); 23 settembre 1993 (5 vittime); 30 agosto 1994 (una vittima); 4 ottobre 2010; 4 novembre 2011 (6 vittime) ; 9-10 ottobre 2014 (una vittima).Impossibile dimenticare – era il 12 luglio 1981 - l’esplosione della nave Hakuyoh Maru 1981 (6 vittime); l’esplosione dell’azienda petrolchimica Carmagnani (6 vittime) il 16 maggio 1987; il naufragio della petroliera Haven (5 vittime l’11 aprile 1991); la caduta in mare di un aereo (4 vittime) il 25 febbraio 1999. Negli ultimi tempi due eventi hanno portato Genova all’attenzione dell’intero paese: il 7 maggio 2016 l’abbattimento della Torre Piloti da parte di una nave (9 vittime) e ovviamente il crollo del Ponte Morandi il 14 agosto scorso, con le sue 43 vittime. E’ una catena di sciagure di per sé impressionante e stiamo trascurando i morti per malattie dovute alle aziende inquinanti, anche perché gli enti locali hanno scelto consapevolmente di non monitorare con efficacia le fonti dell’inquinamento a Genova. Quando una serie di calamità si abbatte su una città con regolarità, diversamente

da quanto avviene nelle città vicine, c’è da chiedersi se non dipenda dalla crescita infelice – come altrimenti chiamarla? - che ha disegnato questa città, condannandola a essere piattaforma logistica e mercato aperto da un sistema economico capitalistico che poco si cura del dolore e della morte che semina lungo il suo percorso. Stiamo parlando di una pianificazione urbanistica che nasce dopo la formazione della Grande Genova nel 1926, quando il fascismo annullò tutti i comuni autonomi, ed è proseguita fino ad oggi.

Infrastrutture Da anni si discute della stabilità del Ponte Morandi. Da anni la Società Autostrade controllava il ponte ed eseguiva lavori di manutenzione. E’ notizia recente che già a febbraio il gestore e il Ministero dei trasporti erano a conoscenza dello stato precario delle strutture, ma sembra che abbiano deciso di rimandare i lavori a dopo le ferie estive per non intralciare l’esodo vacanziero. Viene in mente la decisione presa dalla sindaca Marta Vincenzi nel novembre del 2011, quando scelse di non chiudere le scuole nonostante l’al-


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